Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 7 aprile 2017, n. 17750

In materia di termini massimi di custodia cautelare il superamento del criterio di proporzionalità tra gravità del reato e durata della custodia cautelare non è dovuto al superamento dei limiti in astratto previsti da legislatore ma di quelli in concreto determinati dal giudice

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI penale

sentenza 7 aprile 2017, n. 17750

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CONTI Giovanni – Presidente

Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere

Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere

Dott. GIORDANO Emilia – rel. Consigliere

Dott. D’ARCANGELO Fabrizio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), n. in (OMISSIS) il (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 15 dicembre 2016 del Tribunale di Torino;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIORDANO Emilia Anna;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ANIELLO Roberto che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) impugna, con il patrocinio del difensore, l’ordinanza con la quale il Tribunale del riesame di Torino ha respinto l’appello avverso la decisione della Corte di appello di Torino del 20 ottobre 2016 che aveva rigettato la sua richiesta di dichiarare la perdita di efficacia della misura avendo subito custodia cautelare pari alla pena inflittagli. Il Tribunale della cautela, premesso in fatto che l’imputato era stato condannato, in esito al giudizio di appello, alla pena di mesi otto e giorni venti di reclusione per il reato di evasione per il quale era stato raggiunto da misura cautelare dell’11 gennaio 2016 e che, contemporaneamente, era sottoposto a carcerazione in esecuzione pena, ha ritenuto che la esecuzione sincrona, della custodia cautelare e del titolo esecutivo, non e’ compatibile con la previsione di cui all’articolo 300 c.p.p., comma 4 con la conseguenza che il termine di efficacia della misura ai fini indicati andava computato a partire dalla intervenuta scarcerazione dal titolo cd. definitivo e che, alla data del 1 ottobre 2016, la durata della custodia subita era inferiore alla entita’ della pena inflitta. In particolare il Tribunale ha ritenuto che la disposizione di cui all’articolo 297 c.p.p., comma 5, secondo la quale la custodia cautelare si considera compatibile con la detenzione, in regime di esecuzione pena, e’ rilevante solo ai fini del computo dei termini di durata massima della custodia cautelare e non e’ applicabile ai fini di cui all’articolo 300 c.p.p., comma 4.

2. Il ricorrente denuncia la erronea applicazione delle norme che regolano la durata e il computo dei termini di custodia cautelare in relazione all’articolo 300 c.p.p., comma 4 e articolo 297 c.p.p., comma 5, e connessi vizi di motivazione. Rileva che la disposizione di cui all’articolo 297 c.p.p., comma 5 trova applicazione anche con riguardo alla previsione di cui all’articolo 300 c.p.p., comma 4.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato.

2. L’ordinanza impugnata ha richiamato un risalente principio, piu’ volte ribadito da sentenze di questa Corte, nelle quali si afferma che, in relazione all’articolo 300 c.p.p., comma 4, secondo cui la custodia cautelare perde efficacia quando, essendo stata pronunciata sentenza di condanna, la sua durata risulti non inferiore all’entita’ della pena inflitta, non puo’ tenersi conto, nel computo di detta durata, del periodo in cui il soggetto sia stato detenuto anche in forza di un sopravvenuto titolo di espiazione di una pena a lui inflitta per altri fatti, atteso che il regime della compatibilita’ fra custodia cautelare ed espiazione opera soltanto nei limiti di cui all’articolo 297 c.p.p., comma 5, e cioe’ ai fini del computo dei termini di durata massima della custodia cautelare (Sez. 1, n. 6066 del 04/11/1999, Prete, Rv. 21484101; Sez. 6, n. 1758 del 30/04/1997, Zitouni Abdelhanid Ben Sad, Rv. 20749401; Sez. 2, n. 4152 del 20/01/2015, Cava, Rv. 26319201). Secondo questa ricostruzione, la disposizione ora richiamata individua un criterio legale di coesistenza custodia cautelare in carcere/carcerazione per titolo definitivo e, si osserva in dottrina, codifica una fictio iuris, in deroga ad un criterio empirico ed istintivo che vorrebbe perfettamente compatibile la custodia cautelare in carcere con la detenzione. La norma viene letta in combinato disposto con il meccanismo di cui all’articolo 657 c.p.p., comma 1, disposizione secondo la quale il pubblico ministero, nel determinare la pena detentiva da eseguire, computa il periodo di custodia cautelare subita per lo stesso o per altro reato. Si afferma che, se si ritenesse la piena compatibilita’ (coesistenza) fra custodia cautelare e pena, ne deriverebbe che il condannato, in virtu’ di un unico periodo temporale di privazione di liberta’, potrebbe vantare di avere espiato piu’ pene, per reati ovviamente diversi. Da qui la lettura, in termini di stretta interpretazione, dell’eccezionale concorrenza e compatibilita’ fra titolo custodiale e titolo esecutivo, recata dall’articolo 297 c.p.p., comma 5 che non consente esecuzione sincrone, se non “ai soli effetti del computo del termini di durata massima della custodia cautelare”. In conseguenza di tale incompatibilita’, nella successione cronologica di cui all’articolo 297 c.p.p., comma 5, cit. gli effetti della custodia cautelare (a fini diversi da quelli del computo dei termini di durata massima) non decorrono mentre nella successione cronologica inversa (articolo 298 c.p.p., comma 1) gli effetti della custodia cautelare sono sospesi.

3. Contrapposti sono i principi affermati in altre sentenze di questa Corte pervenute alla conclusione secondo la quale, ai fini previsti dall’articolo 300 c.p.p., comma 4, deve computarsi anche il periodo in cui il soggetto e’ stato contestualmente detenuto in esecuzione pena per un altro titolo, poiche’ questa, in quanto compatibile, ai sensi dell’articolo 297 c.p.p., comma 5, con lo stato di detenzione derivante dalla misura cautelare, non sospende gli effetti di quest’ultima (Sez. 6, n. 18512 del 01/03/2016 – dep. 04/05/2016, Katfawi, Rv. 26720201). Si rileva che, anche in questo caso, si determina un superamento dei termini massimi di custodia cautelare ai sensi dell’articolo 297 c.p.p., comma 5, dovendo gli stessi essere computati per l’intervenuta affermazione di responsabilita’, non piu’ con riguardo a quelli, astratti, di cui all’articolo 303 c.p.p., ma in relazione alla pena in concreto inflitta (Sez. 5, n. 47998 del 10/10/2014, P.M. in proc. Gionta, Rv. 26210201).

4. Ritiene il Collegio che sono maggiormente condivisibili le conclusioni alle quali perviene tale ultimo indirizzo poiche’ il principio posto a fondamento dell’opposto orientamento, obbedisce ad un rigore concettuale che non trova corrispondenza nella interpretazione sistematica delle cause che regolano il fenomeno della estinzione delle misure cautelari, nella connaturata ratio della misura cautelare e nella previsione letterale dell’articolo 297 c.p.p., comma 5, che espressamente, regola il fenomeno della successione detenzione per altro titolo e applicazione di misura cautelare e che, per l’ipotesi inversa, ha il suo omologo nell’articolo 298 c.p.p.. Nella sentenza n. 18512/2016 si evidenzia la piena interpretazione letterale dell’articolo 297 c.p.p., comma 5, secondo la quale “Se l’imputato e’ detenuto per un altro reato o e’ internato per misura di sicurezza, gli effetti della misura decorrono dal giorno in cui e’ notificata l’ordinanza che la dispone, se sono compatibili con lo stato di detenzione o di internamento; altrimenti decorrono dalla cessazione di questo. Ai soli effetti del computo dei termini di durata massima, la custodia cautelare si considera compatibile con lo stato di detenzione per esecuzione di pena o di internamento per misura di sicurezza”. Diversamente da altre misure cautelari, si osserva, la custodia cautelare in carcere e’ pienamente compatibile con la detenzione per l’espiazione di una pena detentiva, infatti esse sono eseguibili contemporaneamente. Ne deriva che, per tutti gli effetti “del computo dei termini di durata massima”, quindi anche quello ex articolo 300 c.p.p., comma 4, l’instaurarsi della seconda non sospende il decorso della durata della prima, sicche’ la custodia cautelare in carcere perde efficacia “quando e’ pronunciata sentenza di condanna, ancorche’ sottoposta a impugnazione, se la durata della custodia gia’ subita non e’ inferiore all’entita’ della pena irrogata”.

5. Come noto, le ipotesi di cui all’articolo 300 c.p.p. prevedono una causa di estinzione della misura cautelare correlata alla pronuncia di “determinate sentenze” e codificano l’incondizionato diritto della persona sottoposta a misura cautelare ad ottenere un’immediata reintegrazione dello status libertatis, in coincidenza con la pronuncia di sentenze di proscioglimento che scavalchino la precedente valutazione di probabile colpevolezza posta a base della misura; ovvero che, pur avendo contenuto di condanna, si pongano in contrasto con il principio di proporzionalita’ del permanere della misura (concessione della sospensione condizionale della pena, indulto, pena di durata non superiore a quella della custodia gia’ sofferta). La disciplina delle cause di estinzione trova il suo corollario e completamento nella previsione di un termine di durata di massima della custodia per effetto del decorso del tempo, agganciato alla misura, generale ed astratta, della sanzione prevista per il reato per il quale si procede, previsione fondata, anch’essa, sul rapporto di proporzione tra gravita’ del reato e sacrificio della liberta’ personale nei confronti di un soggetto, sottoposto a indagine ovvero a processo, nei cui confronti, tuttavia, vige la presunzione di innocenza.

6. Se queste sono le necessarie coordinate all’interno delle quali muoversi, ragioni logiche ed equita’ impongono di pervenire alla conclusione – tracciata nella sentenza n. 47998/2014 – che, una volta che alla generica previsione del legislatore, si sostituisca la concreta statuizione del giudice, che indica la pena, determinata in specie e durata, il rapporto di proporzione tra durata della custodia cautelare e gravita’ del reato, da astratto, si trasforma in concreto, con la conseguenza che, qualora la sua durata sia stata non inferiore alla pena inflitta – per esplicito dettato del legislatore – la custodia perde efficacia, anche se la sentenza non sia definitiva, per effetto dei termini di durata di essa quali determinati dalla pronuncia del giudice. Il superamento del criterio di proporzionalita’ tra gravita’ del reato e durata della custodia cautelare – in altre parole – non e’ piu’ dovuto al superamento dei limiti, in astratto, previsti dal legislatore, ma di quelli, in concreto, determinati dal giudice. Sarebbe d’altra parte assurdo che si facesse luogo alla scarcerazione di un soggetto in stato di custodia cautelare perche’ risultano superati i termini massimi di cui all’articolo 303 c.p.p. e non anche quando – con accertamento ex post – si verifichi che la custodia cautelare e’, di fatto, stata superiore alla pena inflitta. Conclusione che e’ in linea con la ratio della fictio juris in base alla quale lo stesso periodo di detenzione va computato in relazione a due diverse finalita’ e, cioe’ evitare che l’indagato o l’imputato, gia’ detenuto per altra causa, veda dilatarsi il suo stato di custodia cautelare, che di fatto sarebbe “assorbito” dalla pena che sta espiando e che, pur trovandosi in regime che realizza appieno la finalita’ della custodia cautelare di massimo rigore, inizierebbe a decorrere solo al momento della liberazione e, al contempo rende autonoma, e quindi impermeabile alle vicende eventualmente modificative della carcerazione che e’ in atto, la misura cautelare.

7. Tale lettura delle disposizioni di cui all’articolo 297 c.p.p., comma 5, e articolo 300 c.p.p., comma 4, consente di delineare una disciplina unitaria che si preoccupa di mantenere una effettiva correlazione tra lo scorrere temporale della custodia e il decorso dei termini della sua durata e si pone su un piano diverso rispetto a quello del computo della pena detentiva che, a norma dell’articolo 657 c.p.p., comma 1, andra’ scontata per il fatto per il quale si sia riscontrata la esecuzione sincrona di custodia cautelare e detenzione poiche’ la compatibilita’ degli effetti della misura cautelare e lo stato di detenzione non deroga al principio secondo cui lo stesso giorno (o periodo) di privazione della liberta’ non puo’ essere imputato autonomamente a due diverse pene.

8. E, nel caso in esame, e’ incontestato che, essendo stata la misura cautelare eseguita il g. 11 gennaio 2016 deve ritenersi scaduto alla data del 1 ottobre 2016, il termine di efficacia della misura della custodia cautelare in carcere perche’ coincidente con la pena inflitta, in primo e secondo grado, all’odierno ricorrente, rilievo dal quale discende l’annullamento dell’ordinanza impugnata e di quella della Corte di appello di Torino del 20 ottobre 2016, con conseguente immediata liberazione del ricorrente, se non detenuto per altro titolo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e quella della Corte di appello di Torino del 20 ottobre 2016 e, per l’effetto, ordina l’immediata liberazione di (OMISSIS) se non detenuto per altro titolo. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 626 c.p.p..

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