Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 7 novembre 2016, n. 46616

I giudici della commissione tributaria possono essere giudicati dai magistrati locali perché è inapplicabile nei loro confronti l’articolo 11 del codice di procedura penale sui procedimenti a carico dei magistrati

In tema di competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati, la regola fissata dall’art. 11 c.p.p. che prevede lo spostamento della competenza all’ufficio giudiziario limitrofo nel caso in cui imputato o parte offesa sia un magistrato ordinario trova applicazione esclusivamente nel caso in cui sia parte un magistrato appartenente all’ordine giudiziario e non nel caso in cui ad essere imputato o parte offesa sia un giudice tributario.

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI penale

sentenza 7 novembre 2016, n. 46616

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROTUNDO Vincenzo – Presidente
Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere
Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere
Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere
Dott. CORBO Antonio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 03/07/2015 della Corte d’appello di Ancona;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CARDIA Delia, che ha concluso chiedendo dichiarasi l’inammissibilita’ del ricorso;

udito l’avvocato (OMISSIS), difensore di fiducia del (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 3 luglio 2015, la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Pesaro, ha confermato, per quello che interessa in questa sede, la dichiarazione di penale responsabilita’ di (OMISSIS) per i reati di corruzione in atti giudiziari, concussione, induzione indebita ex articolo 319 quater c.p., e abuso di ufficio (capi A, C, L, KK, ii, Q e S della rubrica), tutti commessi, in concorso con altri, nell’esercizio delle funzioni di giudice della Commissione Tributaria Provinciale di (OMISSIS), nonche’ la condanna dello stesso alla pena di anni otto e mesi tre di reclusione, previo diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche, e la confisca per equivalente disposta ex articolo 322 ter c.p., fino alla concorrenza dell’importo di 80.000 Euro per i fatti di cui al capo A) ed Decreto Legge n. 306 del 1992, ex articolo 12 sexies, fino alla concorrenza dell’importo di 157.000 Euro, nonche’ il sequestro conservativo fino ad Euro 218.786,08 a garanzia del pagamento delle spese del procedimento; ha inoltre disposto, in accoglimento dell’appello del Pubblico ministero, l’ulteriore confisca per equivalente ex articolo 322 ter c.p., fino alla concorrenza di 5.000 e di 10.000 Euro per i fatti, rispettivamente, di cui ai capi Q e S.

Precisamente, il (OMISSIS) e’ stato condannato per i reati di: a) corruzione in atti giudiziari in favore di (OMISSIS) e delle societa’ a questi facenti capo, fatto commesso in data anteriore e prossima al 18 luglio 2008 (capo A della rubrica), nonche’ in favore di (OMISSIS) e delle societa’ a questi facenti capo, fatto commesso fino al dicembre 2009 (capo C della rubrica); b) di concussione in danno di (OMISSIS), fatto commesso il (OMISSIS) (capo L della rubrica e con assorbimento in esso del capo H), nonche’ in danno di (OMISSIS) e (OMISSIS) e della societa’ (OMISSIS) ad essi facente capo, fatto commesso in epoca prossima al (OMISSIS) (capo KK della rubrica); c) di induzione indebita ex articolo 319 quater c.p., in danno di (OMISSIS) e della ditta (OMISSIS) a questi facente capo, fatto commesso in epoca prossima al (OMISSIS) (capo Q della rubrica), nonche’ in danno di (OMISSIS), fatto commesso in epoca anteriore e prossima al (OMISSIS) (capo S della rubrica); d) di abuso di ufficio a vantaggio di (OMISSIS), e della societa’ (OMISSIS) allo stesso facente capo, fatto commesso tra il (OMISSIS) (capo ii della rubrica).

I fatti di cui ai capi Q, S, ii (commessi in favore di persone appartenenti alla loggia massonica (OMISSIS) unitamente al (OMISSIS)), KK, sono stati sostanzialmente ammessi dall’imputato. Gli altri fatti risultano comprovati da intercettazioni telefoniche, pedinamenti, dichiarazioni auto – ed etero – accusatorie dei coimputati, accertamenti bancari e documentali.

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe l’avvocato (OMISSIS), quale difensore di fiducia del Venutati, articolando otto motivi.

2.1. Nel primo motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo all’articolo 420 ter c.p.p., articolo 484 c.p.p., comma 2 bis, e articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), nonche’ vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e), in riferimento all’ingiustificato rigetto della richiesta di differimento di una udienza del giudizio di primo grado, avanzata sulla base di ragioni di salute dell’imputato.

Si deduce che il certificato medico, attestante stato influenzale in paziente affetto da grave cardiopatia, e’ stato disatteso, senza disporre visita fiscale o dichiarare falso il documento, e che la Corte d’appello si e’ limitata ad affermare che la valutazione del primo giudice sul punto era ineccepibile.

2.2. Nel secondo motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo all’articolo 11 c.p.p., a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c), in riferimento al difetto di competenza del Tribunale di Pesaro.

Si deduce l’applicabilita’ dell’articolo 11 c.p.p., sia perche’ tale disposizione deve ritenersi riferibile anche ai Giudici onorari, sia perche’ i reati contestati hanno come persone offese o comunque danneggiate dal reato anche magistrati togati, in quanto la Commissione tributaria provinciale di (OMISSIS) era composta anche di magistrati togati, ed anzi il presidente della Sezione e’ un magistrato togato.

2.3. Nel terzo motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo all’articolo 17 c.p.p., e articolo 12 c.p.p., comma 1, lettera a) e b), nonche’ mancanza di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e), in riferimento alla mancata riunione del procedimento con altro relativo ad identici o analoghi fatti.

Si deduce che il procedimento penale, originariamente unitario, era stato scisso in due, nonostante i fatti fossero i medesimi, e tale separazione aveva prodotto illegittimamente conseguenze negative per il (OMISSIS) sia sotto il profilo della valutazione della prova, sia sotto il profilo della pena irrogata, sia sotto il profilo delle spese. In particolare, il diverso procedimento vedeva come esito il giudizio di inattendibilita’ di gran parte delle accuse mosse al (OMISSIS) da (OMISSIS), segretario della Sezione della Commissione Tributaria Provinciale nella quale esercitava le sue funzioni il (OMISSIS). D’altro canto, la richiesta di riunione dei due processi era stata avanzata anche davanti alla Corte d’appello.

2.4. Nel quarto motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo all’articolo 192 c.p.p., nonche’ mancanza di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e), in riferimento all’omessa autonoma valutazione delle prove rispetto al giudice di primo grado, compiuta senza procedere all’esame dei motivi di appello.

2.5. Nel quinto motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo all’articolo 82 c.p.p., a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c), in riferimento all’omessa dichiarazione di revoca delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), per avere gli stessi omesso di presentare conclusioni scritte.

2.6. Nel sesto motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo agli articoli 2, 323, 319 quater, 317 e 317 c.p., nonche’ mancanza di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e), in riferimento all’omessa valutazione delle censure formulate nell’atto di appello in ordine alla corretta qualificazione giuridica dei fatti, alla successione di leggi nel tempo ed al favor rei.

2.7. Nel settimo motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo agli articoli 62 bis, 133 e 133 bis c.p., nonche’ mancanza di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e), in riferimento all’omessa applicazione delle circostanze attenuanti generiche ed alla eccessivita’ della pena inflitta.

2.8. Nell’ottavo motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo al Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 sexies, articolo 322 c.p.p., e articolo 133 bis c.p., nonche’ mancanza di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), c) ed e), in riferimento alla disposta confisca.

Si deduce, precisamente, che all’imputato sono stati sequestrati e confiscati beni per un valore di gran lunga superiore ai danni attribuitigli e persino la casa di abitazione, acquistata nel gennaio 1980, e, quindi, in epoca di gran lunga anteriore alla data di commissione dei reati addebitatigli.

3. In data 5 ottobre 2016, e’ pervenuto nella Cancelleria di questa Corte un atto contenente diciotto motivi aggiunti, depositato nella Cancelleria del Tribunale di Pesaro in data 16 settembre 2016.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso contiene motivi inammissibili perche’ manifestamente infondati o sprovvisti del requisito della specificita’ richiesta dall’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c). Inammissibili, inoltre, sono i motivi aggiunti, perche’ depositati nella Cancelleria di un giudice diverso dalla Corte di Cassazione.

2. Sono manifestamente infondati, il primo, il secondo, il quinto e l’ottavo motivo, mentre risultano privi della specificita’ normativamente richiesta il terzo, il quarto, il sesto ed il settimo motivo.

2.1. Manifestamente infondato e’ il primo motivo, che lamenta l’immotivato rigetto della richiesta di differimento dell’udienza dell’11 maggio 2011 davanti al Tribunale.

In realta’, il primo giudice ha ritenuto che la situazione addotta, e precisamente lo stato influenzale in paziente affetto da cardiopatia, non attestasse una assoluta impossibilita’ a comparire in udienza, all’esito di una valutazione del tipo di infermita’ denunciata e dei suoi effetti impeditivi, poi confermata dal giudice di appello. Ne’ deve ritenersi che, nel giudizio di primo o di secondo grado, per ritenere insussistente l’impedimento a comparire supportato da certificato medico sia necessario disporre accertamenti tecnici: costituisce principio consolidato, condiviso dal Collegio, quello secondo cui il giudice di merito puo’ ritenere l’insussistenza dell’impedimento a comparire dell’imputato, dedotto mediante l’allegazione di certificato medico, anche indipendentemente da una verifica fiscale e facendo ricorso a nozioni di comune esperienza idonee a valutare l’impossibilita’ del soggetto portatore della prospettata patologia di essere presente in giudizio (cosi’, tra le piu’ recenti, Sez. 5, n. 44369 del 29/04/2015, Romano, Rv. 265819, e Sez. 6, n. 36636 del 03/06/2014, F., Rv. 260814).

2.2. Manifestamente infondato e’ anche il secondo motivo, che lamenta il difetto di competenza del Tribunale di Pesaro in applicazione dell’articolo 11 c.p.p..

Innanzitutto, infatti, e premesso che pacificamente i giudici tributari sono giudici speciali e non certo magistrati onorari (sulla natura della giurisdizione tributaria come giurisdizione speciale, cfr., in particolare, Corte cost., sent. n. 64 del 2008), la disciplina posta dall’articolo 11 c.p.p., deve ritenersi riferibile ai soli magistrati che esercitano la giurisdizione ordinaria, e non anche ai giudici speciali. In effetti, in primo luogo, il testo dell’articolo 11 c.p.p., facendo riferimento alla nozione di “ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d’appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni o le esercitava al momento del fatto”, evoca, anche letteralmente, l’esercizio delle funzioni giudiziarie ordinarie. In secondo luogo, la disciplina in discorso e’ diretta ad evitare il rischio di danni all’immagine di imparzialita’ dell’esercizio della funzione giurisdizionale, che puo’ apparire compromessa in misura obiettivamente percepibile quando quest’ultima e’ amministrata da “colleghi” anche funzionalmente vicini a coloro che assumono la veste di parti del processo, ma non anche laddove ha come destinatari soggetti privi di qualunque legame ordinamentale con i titolari dello ius dicendi: i giudici tributari, nell’esercizio delle loro funzioni, quale che sia la loro provenienza professionale, sono estranei all’ordine giudiziario, tanto da essere sottoposti ad un diverso organo di governo autonomo. Proprio per questa ragione, anzi, non e’ estensibile anche ai giudici tributari il principio giurisprudenziale dell’applicabilita’ delle regole di cui all’articolo 11 c.p.p., ai magistrati onorari il cui incarico sia connotato di stabilita’: l’operativita’ di detta disciplina, nel caso appena indicato, e’ stata affermata da Sez. U, n. 292 del 15/12/2004, dep. 2005, Scabbia, Rv. 229632, perche’ il sospetto di un non imparziale esercizio della giurisdizione nei confronti dei magistrati onorari il cui incarico sia connotato di stabilita’ deriva dal radicamento di costoro nel plesso territoriale di riferimento, e, quindi, dal rapporto di colleganza e di normale frequentazione tra magistrati della medesima circoscrizione; presupposto di questa considerazione e’ costituito esattamente dal comune esercizio, anche da parte dei magistrati onorari, di funzioni istituzionalmente riservate ai componenti dell’ordine giudiziario. In terzo luogo, ancora, le deroghe all’ordinario regime della distribuzione della competenza per territorio sono da ritenersi di stretta interpretazione, in quanto la nozione di “giudice naturale” suggerisce la prossimita’ tra il luogo del fatto ed il luogo dell’accertamento. La soluzione della inapplicabilita’ dell’articolo 11 c.p.p., del resto, trova precedenti in plurime pronunce di questa Corte riferite ai procedimenti concernenti magistrati amministrativi (cosi’ in particolare: Sez. 6, n. 2874 del 10/06/2002, dep. 2003, Stara, Rv. 224098; Sez. 5, n. 7025 dl 07/12/2001, dep. 2002, Scudieri, Rv. 221407; Sez. 6, n. 4027 del 02/12/1999, dep. 2000, Stara, Rv. 217110).

Cio’ posto, deve anche escludersi che la disciplina di cui all’articolo 11 c.p.p., sia applicabile nel caso di specie perche’ anche magistrati togati sarebbero persone offese o comunque danneggiate dai reati ascritti al (OMISSIS), in quanto componenti della stessa Commissione tributaria provinciale e della stessa sezione cui era addetto il medesimo. Costituisce, infatti, principio consolidato, e che il Collegio condivide, quello secondo cui l’operativita’ dell’articolo 11 c.p.p., e’ subordinata alla condizione che il magistrato, nel procedimento penale, abbia assunto formalmente la qualita’ di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato (cosi’ tra le tante, Sez. F, n. 35729 del 01/08/2013, Agrama, Rv. 256569, nonche’ Sez. 6, n. 35218 del 22/04/2008, Trolio, Rv. 241373); tale circostanza, pero’, non risulta verificatasi, e nemmeno allegata, nella vicenda in esame.

2.3. Privo della specificita’ normativamente richiesta e’ il terzo motivo, che lamenta un pregiudizio per il diritto di difesa cagionato dalla separazione tra il presente procedimento ed altro procedimento sempre a carico del (OMISSIS), e nel quale molte accuse sono state ritenute inattendibili.

Il motivo in questione, infatti, non indica compiutamente le violazioni del diritto di difesa derivanti dai due procedimenti. In linea generale, comunque, stante l’assenza di doglianze concernenti la mancata ammissione di prove specificamente richieste, e considerato il principio di tassativita’ delle nullita’, il pregiudizio lamentato non potrebbe comunque tradursi in un vizio di invalidita’ della sentenza impugnata o degli atti a questa precedenti.

2.4. Privo della specificita’ normativamente richiesta e’ anche il quarto motivo, che lamenta l’omessa autonoma valutazione delle prove rispetto al giudice di primo grado e l’omesso esame dei motivi di appello.

Il motivo in questione, in effetti, si limita ad osservare del tutto laconicamente che la “sentenza impugnata si e’ conformata integralmente alla decisione” di primo grado, “senza esaminare i motivi di appello, in particolare in ordine all’erronea o omessa valutazione delle prove offerte in primo grado, in palese violazione dell’articolo 192 c.p.p.”, e che “sul punto la sentenza e’ insufficientemente motivata”. Manca, quindi, ogni riferimento agli elementi di fatto, ed alle conseguenti valutazioni, cui si rivolge la critica sollevata con il ricorso: pero’, con un motivo cosi’ articolato, si chiede alla Corte di cassazione una rivalutazione indiscriminata di tutte le argomentazioni della sentenza di merito concernenti l’apprezzamento del materiale istruttorio, ed in riferimento a tutte le contestazioni.

2.5. Manifestamente infondato e’ il quinto motivo, che lamenta la mancata dichiarazione di revoca della costituzione di parte civile di (OMISSIS) e (OMISSIS), per avere omesso gli stessi di presentare conclusioni scritte.

In effetti, dall’esame della sentenza di primo grado, risulta espressamente che il difensore delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) presento’ specifiche ed articolate richieste (cfr. pag. 13); ne’, del resto, l’imputato si era doluto di tale omissione nell’atto di appello. La censura, allora, deve essere circoscritta alla mancata presentazione di conclusioni scritte nel giudizio di appello. Tuttavia, costituisce principio consolidato, condiviso dal Collegio, quello secondo cui la mancata presentazione delle conclusioni della parte civile nel giudizio di appello non integra gli estremi della revoca tacita della costituzione di parte civile di cui all’articolo 82 c.p.p., comma 2, essendo quest’ultima norma applicabile al solo giudizio di primo grado, e stante l’immanenza della costituzione di parte civile del processo per effetto di quanto previsto dall’articolo 76 c.p.p., comma 2, (cosi’, tra le tante Sez. 5, n. 39471 del 04/06/2013, De Iuliis, Rv. 257199, e Sez. 6, n. 25012 del 23/05/2013, Leonzio, Rv. 257032).

2.6. Privi della specificita’ normativamente richiesta sono anche il sesto ed il settimo motivo, che lamentano, rispettivamente, l’uno, l’omessa valutazione delle censure formulate nell’atto di appello in ordine alla corretta qualificazione giuridica dei fatti, alla successione di leggi nel tempo ed al favor rei, e, l’altro, il difetto di motivazione in ordine al diniego di applicazione delle circostanze attenuanti generiche ed alla eccessivita’ della pena inflitta.

Si tratta, infatti, di motivi che non contengono alcuna specificazione, ma restano al livello di meri enunciati generali. L’unica indicazione dotata di qualche concretezza attiene alla eccessivita’ della pena: la stessa, pero’, consistendo nella denuncia della sproporzione tra il trattamento sanzionatorio riservato al (OMISSIS) rispetto a quello applicato al (OMISSIS), definito “organizzatore effettivo del sistema”, svolge un argomento estraneo alle tipologie di censure deducibili in sede di legittimita’, a norma dell’articolo 606 c.p.p..

2.7. Manifestamente infondato, infine, e’ l’ottavo motivo, che lamenta l’eccessivita’ della confisca e l’illegittimita’ della sua applicazione a beni acquisiti in epoca enormemente precedente a quella in cui si collocano i fatti in contestazione.

In realta’, dall’esame combinato delle due sentenze di merito, risulta, innanzitutto, che la confisca per equivalente disposta a carico del (OMISSIS) fino alla concorrenza dell’importo di 80.000 Euro in relazione al capo A), avente ad oggetto una corruzione in atti giudiziari in cui il prezzo complessivamente versato e’ pari a 240.000, e’ stata fissata proprio tenendo conto del fatto che nei confronti dei due coimputati (OMISSIS) e Perugini e’ stata disposta confisca fino alla concorrenza di un importo pari, per ciascuno di essi, ad 80.000 Euro, sicche’ nessun illegittimo eccesso si e’ verificato. Risulta, poi, che la confisca Decreto Legge n. 306 del 1992, ex articolo 12 sexies, e’ stata disposta per un importo pari a 157.000 Euro, e che detto importo e’ stato quantificato in misura esattamente corrispondete al denaro versato in contanti dal (OMISSIS) sui conti correnti nel periodo compreso tra il 2007 ed il 2010, ossia nel periodo in cui si sono verificati i fatti di reato per i quali e’ stata pronunciata condanna, tenendo conto dei proventi leciti, anche se in parte non dichiarati, dell’imputato, ammontanti, nel medesimo arco di tempo a 140.000 Euro, e della illogicita’ della spiegazione fornita dalla moglie del ricorrente, la quale ha riferito di incassare in contanti il proprio stipendio non fidandosi delle banche, di conservare l’intera somma cosi’ percepita in casa, e di consegnare la stessa una volta l’anno al marito perche’ la versasse proprio su un conto bancario cointestato; anche in questo caso, quindi, nessun vizio logico o giuridico e’ riscontrabile in ordine a tale statuizione nel provvedimento impugnato. Risulta, infine, che la confisca per equivalente e’ stata disposta per ulteriori 15.000 Euro complessivi in relazione ai reati di cui ai capi Q) e S) esattamente alla luce delle somme che risultano corrisposte in pagamento dai privati per il compimento degli atti di ufficio; con riferimento a tali importi, tuttavia, occorre correggere, a norma dell’articolo 619 c.p.p., l’affermazione della sentenza di merito, che ha qualificato dette somme, ai fini dell’applicazione della misura ablatoria, come “profitto” del reato, e dare alle stesse il nomen iuris di “prezzo” del reato (secondo la giurisprudenza di legittimita’, infatti, costituisce “prezzo” del reato il “compenso dato o promesso ad una determinata persona, come corrispettivo dell’esecuzione dell’illecito”, come evidenziato da Sez. U, n. 38691 del 25/06/2009, Caruso, Rv. 244189, ma anche da Sez. U, n. 1811 del 15/12/1992, dep. 1993, Bissoli, Rv. 192493, e da Sez. U, n. 9149 del 03/07/1996, Chabni Samir, Rv. 205707): trattasi di precisazione necessaria perche’, in considerazione dell’epoca di fatti di cui ai capi Q) e S), la confisca per equivalente puo’ essere disposta solo per il “prezzo” e non anche per il “profitto” del reato.

Proprio in considerazione del fatto che la confisca e’ stata disposta per equivalente, infine, corretta e’ l’imposizione del vincolo anche su beni immobili acquisiti dal ricorrente in epoca di molto precedente alla commissione dei fatti illeciti: la confisca per equivalente, a norma dell’articolo 322 ter c.p., siccome serve a soccorrere all’impossibilita’ di sequestrare i beni costituenti il “prezzo” o il “profitto” del reato, si indirizza naturalmente verso altri “beni, di cui il reo ha la disponibilita’”, di “valore corrispondente” al prezzo o profitto, e, quindi, anche verso beni acquisiti legittimamente ed in tempi molto diversi da quelli della commissione dei reati.

3. Sono poi inammissibili i motivi aggiunti al ricorso per cassazione, in quanto non depositati presso la cancelleria della Corte di cassazione e pervenuti oltre i termini previsti dall’articolo 611 c.p.p., presso la stessa.

Invero, secondo l’orientamento ormai assolutamente consolidato nella giurisprudenza di legittimita’, condiviso dal Collegio, i motivi aggiunti al ricorso per cassazione depositati presso la cancelleria del giudice a quo invece che presso quella della Corte di legittimita’, sono inammissibili, a norma dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), in quanto la specifica disposizione di cui all’articolo 585 c.p.p., comma 4, volta a consentire al giudice l’immediata conoscenza delle ragioni integrative dedotte dalle parti, non e’ derogabile applicando analogicamente le previsioni speciali di cui all’articolo 582 c.p.p., comma 2, e articolo 583 c.p.p., comma 1, che attengono, rispettivamente, alle modalita’ di presentazione o di spedizione dell’atto di impugnazione (cosi’, tra le tantissime, Sez. 6, n. 27603 del 18/03/2016, Nocera, Rv. 267263, e Sez. 2, n. 1381 del 12/12/2014, dep. 2015, Tomaino, Rv. 261862).

Ovviamente, tale regola e’ espressione di un principio piu’ generale che vale anche allorche’, come nel caso di specie, i motivi aggiunti sono stati depositati presso la cancelleria di un giudice diverso sia dalla Corte di cassazione, sia da quello che ha emesso il provvedimento impugnato: anche in questa ipotesi, infatti, e’ preclusa al giudice dell’impugnazione, nella specie alla Corte di cassazione, l’immediata conoscenza delle ragioni integrative dedotte dalle parti.

Si puo’ aggiungere che le ragioni addotte risaltano con particolare evidenza quando l’atto perviene nella cancelleria del giudice dell’impugnazione oltre il termine di quindici giorni prima dell’udienza, come appunto nel procedimento in esame, nel quale i motivi aggiunti sono pervenuti nella cancelleria della Corte di cassazione solo il giorno precedente all’udienza. Puo’ rilevarsi, in effetti, che, in linea con questa impostazione, la giurisprudenza di legittimita’ ha ripetutamente ritenuto l’inammissibilita’ anche dei motivi aggiunti (rectius: nuovi) presentati a mezzo del servizio postale, qualora la raccomandata giunga nella cancelleria del giudice dell’impugnazione oltre il termine, previsto dall’articolo 585 c.p.p., comma 4, di quindici giorni prima dell’udienza, pur se si sia proceduto ad anticipare gli stessi a mezzo telefax (cosi’ Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, Stasi, Rv. 258319, nonche’ Sez. 5, n. 7449 del 16/10/2013, dep. 2014, Casarubea, Rv. 259526).

L’inammissibilita’ dei motivi aggiunti comporta, come automatica conseguenza, l’esonero del giudice dell’impugnazione dal prendere in esame il contenuto degli stessi.

4. Posto che le censure sono tutte o manifestamente infondate, o prive della specificita’ richiesta dall’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c), o comunque depositate irritualmente e fuori termine, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonche’ della somma di Euro millecinquecento, cosi’ equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti, in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500 in favore della cassa delle ammende

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