Cassazione 15

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI

SENTENZA 11 agosto 2015, n.34782

Svolgimento del processo

E’ indiscusso in atti che G.N. e C.A. la mattina del 7.5.2012 hanno ferito alla tibia della gamba destra, con un colpo di pistola cal. 7,62 sparato a distanza ravvicinata, A.R., amministratore delegato di Ansaldo Nucleare spa, appena uscito di casa. Il primo imputato ha materialmente sparato, il secondo è il conducente dello scooter con cui i due sono arrivati e ripartiti. L’azione è stata rivendicata da un sedicente ‘nucleo Olga federazione anarchica informale fronte rivoluzionario internazionale’ (FAI-FRI), con un documento inviato ad un quotidiano, dalla cui valutazione gli inquirenti sono giunti ai due, dopo plurimi riscontri in fatto tutti coerenti nella loro individuazione; nel corso del giudizio abbreviato definito dal GUP di Genova con sentenza del 12.11.2013, gli imputati hanno espressamente rivendicato l’azione (p. 8 e 9 sent. primo grado).

1.1 Le imputazioni originarie contestavano:

. il concorso (anche con persone da identificare) nei reati: ex art. 280 c.p., comma 2, per avere attentato all’incolumità di A. in ragione della sua qualità di amministratore delegato di Ansaldo Nucleare spa e a causa del suo impegno professionale in favore dell’utilizzo dell’energia nucleare, per finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico, quali componenti del nucleo Olga creatosi all’interno del FAI-FRI, cagionandogli lesioni gravi (capo 1); di lesioni pluriaggravate: dall’uso dell’arma, dall’aver provocato un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per tempo superiore ai quaranta giorni, dal fine di commettere il reato sub 1 e dalla finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico (capo 2); di furto pluriaggravato dello scooter usato per l’azione e sottratto esposto alla pubblica fede (capo 4, consumato tra l’11 e il 12.2.2012);

. il reato ‘p. e p. dall’art. 61 c.p., n. 2, L. n. 895 del 1967, artt. 2 e 4 per avere portato in luogo pubblico o aperto al pubblico’ l’arma da fuoco utilizzata per commettere i primi due reati (capo 3).

Il GUP affermava la colpevolezza degli imputati per i reati di cui ai capi 1, 3 e 4, giudicando assorbito nel capo 1 il delitto di lesioni contestato al capo 2, e determinava le pene nei seguenti termini:

. per C., giudicato più grave il reato del capo 1, ritenuta la recidiva reiterata senza tuttavia applicare il pertinente aumento (così, con pertinente specifica motivazione, esercitando la discrezionalità attribuita dall’art. 63 c.p., n. 4): pena base di dodici anni di reclusione (minimo previsto per la fattispecie ex art. 280 c.p., comma 2); aumenti per la continuazione: di un anno dieci mesi per il reato ex art. 2 legge armi, di un anno dieci mesi per il reato ex art. 4 legge armi, di quattro mesi di reclusione per il furto; dalla pena complessiva di sedici anni riduzione del terzo imposto dalla legge per il rito prescelto e quindi pena finale di dieci anni otto mesi di reclusione;

. per G., ritenuta la recidiva semplice e quindi con quantificazione degli aumenti per la continuazione non vincolati nel loro minimo, pena base di dodici anni di reclusione ed aumenti di mesi undici per ciascuno dei reati ex artt. 2 e 4 legge armi e di mesi due per il furto: dalla complessiva pena di quattordici anni, riduzione del terzo imposto dalla legge per il rito prescelto e quindi pena finale di nove anni quattro mesi di reclusione.

Provvedeva poi sulle pertinenti pene accessorie e misure di sicurezza patrimoniale; condannava infine gli imputati in solido al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite ( A., Ansaldo Nucleare spa, Ministero dell’Interno, Presidenza del Consiglio dei ministri), rimettendo le parti al giudice civile per le quantificazioni, nonchè alla rifusione delle spese di difesa da quelle sostenute per il grado.

La Corte di assise d’appello di Genova con sentenza del 11.7- 23.9.2014 ha integralmente confermato il dispositivo del primo grado.

1.2 Il primo Giudice, dopo aver ricostruito le vicende dell’agguato (pagg. 4-9), ha commentato espressamente l’applicazione nel caso concreto dei parametri normativi (indicati dall’art. 270-sexies cod. pen.) della ‘natura della condotta’ (p. 12: valorizzando la scarsa notorietà pubblica della vittima, invece dirigente di Ansaldo Nucleare e colpito nel contesto di una strategia volta a nuocere al gruppo di Finmeccanica, di determinante rilievo strategico nella politica industriale nazionale) e del suo ‘contesto’ (p. 12 s.:trattarsi di un’azione non isolata ma consapevolmente inserita nella compagine internazionale FAI/FRI e nelle sue attività ‘rivoluzionarie’ volte al cambiamento dell’esistente con azioni distruttive, concretizzatasi in tempi precedenti anche in attentati a sedi diplomatiche in Grecia; con finalità eversiva espressamente rivendicata dagli imputati nel processo). Ha quindi giudicato sussistente il fine eversivo, sussunto in uno di quelli considerati idonei a determinare la finalità di terrorismo dall’art. 270-sexies, pur a fronte della previsione alternativa delle due finalità, contenuta nell’art. 280 cod. pen., e, quindi, in concreto la (assorbente) finalità di terrorismo.

I Giudici dell’appello, confrontandosi con gli articolati motivi dell’impugnazione, sostanzialmente riproposti nei ricorsi, sulla premessa di una ricostruzione difensiva complessiva in fatto in termini di gesto dimostrativo e di giustizia privata, quindi atto non terroristico o eversivo, hanno spiegato perchè nella fattispecie sussistessero entrambe le finalità, di terrorismo e di eversione, giudicate ciascuna per sè e quindi autonomamente idonea a imporre la qualificazione del fatto di aggressione come attentato ai sensi dell’art. 280 cod. pen..

I due imputati hanno proposto ricorso tramite i rispettivi difensori.

2.1 C. enuncia due motivi:

-1. violazione di legge e vizi alternativi della motivazione in relazione agli artt. 280 e 270-sexies cod. pen., per (seguendo l’ordine espositivo concretamente prospettato):

. errata esclusione del parametro dell’idoneità della condotta a causare un ‘grave danno al Paese’, ex art. 270-sexies, dalla finalità di eversione;

. confusione del dolo specifico proprio della finalità perseguita dall’agente (270-sexies) con il dolo diretto che deve necessariamente sussistere per l’integrazione dell’elemento soggettivo del delitto di attentato (art. 280), con la necessità che l’idoneità della condotta sia sussunta anche nel dolo; in particolare, secondo il ricorrente ‘al fine di valutare la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato si dovrà dapprima verificare se la condotta illecita sia idonea ad offendere il bene giuridico che il finalismo dell’azione mira ad attentare e solo successivamente verificare se l’azione stessa sia altrettanto idonea a causare un macroevento di danno per il Paese’;

. quanto alla ricorrenza della finalità terroristica ed alla sussistenza del grave danno per il Paese, i Giudici dell’appello sarebbero incorsi in una ‘patente distorsione interpretativa degli obiter dicta espressi dai Giudici di legittimità’, confondendo profilo oggettivo e soggettivo e le due finalità (eversione, terrorismo) laddove hanno argomentato che l’offesa (diretta) alla persona coinvolgeva lo Stato perchè gli imputati avevano cercato di punire o condizionare le sue scelte economiche; invece, ravvisata la finalità di terrorismo, per sussumere la condotta degli imputati nell’art. 270-sexies si sarebbe dovuto argomentare la sua idoneità a provocare un macroevento di danno in punto di intimidazione della popolazione del Paese e di tenuta dell’ordine pubblico; ciò in adesione all’insegnamento sul punto della sentenza 28009/14 che viene sintetizzato nell’assunto che la finalità terroristica sussisterebbe solo ‘nelle ipotesi in cui l’interesse politico istituzionale sotteso alla finalità che costituisce l’oggetto del dolo specifico risulti concretamente minacciato dalla condotta dell’agente, sì da rendere possibile la realizzazione di un macroevento di grave danno per lo Stato’; la sentenza impugnata non avrebbe invece spiegato l’idoneità dell’azione contro A. a ‘cagionare un macroevento di danno al Paese con riferimento all’intimidazione della popolazione’;

. erroneamente la Corte d’appello (distaccandosi dall’insegnamento che il ricorrente attribuisce alle sentenze di questa Corte Sez. 5 n. 12252/12 e 46340/13) avrebbe ignorato la ‘necessità di adeguare il significato ricavabile dal dettato normativo alla realtà fenomenica nella quale il fine propriamente terroristico, la finalità di intimidire, non rappresenta mai una finalità in sè bensì un metodo di lotta per conseguire un risultato ulteriore’, individuato nelle due sentenze rispettivamente nelle finalità di costrizione e di eversione; tale assunto rileverebbe non solo per i reati associativi ma per tutte le fattispecie criminose in cui la finalità di terrorismo o di eversione rileva, in particolare per l’art. 280 cod. pen.;

. vi sarebbe contraddittorietà nell’argomentazione in diritto della Corte ligure, cui si attribuisce il riconoscimento della previsione della finalità di eversione nell’art. 270-sexies epperò la contraddittoria disapplicazione di tale fattispecie al caso dell’eversione;

. secondo il ricorrente, la Corte avrebbe affermato che le azioni che rappresenterebbero il contesto sarebbero tutte finalisticamente orientate al terrorismo ma il ragionamento sarebbe volto a dimostrare la finalità di eversione della condotta; mai sarebbe stata dimostrata processualmente la presenza di FAI-FRI e comunque mancherebbe motivazione sull’individuazione degli episodi di violenza a questa attribuiti, quindi solo assertivamente indicati come esistenti.

In definitiva:

. dal punto di vista oggettivo la condotta sarebbe stata rivolta solo contro lo scienziato A. senza alcuna idoneità a porre in pericolo o ledere i beni giuridici posti a fondamento dell’assetto pluralistico e democratico richiesti dalla finalità di eversione, in particolare quelli indicati nel titolo 3 Cost.; sarebbe mancata ogni idoneità dell’azione ad arrecare grave danno al Paese correlato alla finalità di eversione dell’ordine democratico; su tali punti mancherebbe tuttora motivazione;

. dal punto di vista soggettivo, mancherebbe alcuno dei tre tipi di dolo specifico alternativamente richiesti dall’art. 270-sexies: per la maniera altamente selettiva dell’azione, per la finalità dichiarata di ‘giustizia privata’ (rappresaglia per gli eventi di Fukushima e l’azione di diffusione di impianti nucleari), per l’impossibilità di raggiungere un obiettivo (il rifiuto dell’energia nucleare) già acquisito dall’esito del referendum; nè la vittima nè Ansaldo Nucleare spa costituirebbero espressioni dell’ordinamento costituzionale dello Stato; nell’azione sarebbe assente ogni metodo terroristico e le modalità selettive fonderebbero la riqualificazione in termini di violenza comune;

-2. violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. con riferimento al reato di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 2, perchè la sola condotta descritta in fatto nell’imputazione del capo 3) era quella del porto dell’arma (art. 4) e non anche della detenzione, rimanendo irrilevante la pur presente mera indicazione numerica della pertinente norma (appunto l’art. 2).

2.2 G. enuncia sette motivi:

-1. il primo motivo corrisponde al primo motivo del ricorso C., con sostanzialmente mere modifiche di stile o posposizioni dei brani del testo;

-2. Erronea applicazione della legge penale in relazione alla giudicata gravità delle lesioni, perchè tenuto conto della ripresa dell’attività lavorativa dopo 39 giorni, nella fattispecie sarebbe configurabile una alterazione anatomica cui non era più associabile un’apprezzabile riduzione della funzionalità e quindi una ‘malattia’ in senso penalistico;

-3. violazione di legge e vizi della motivazione in riferimento all’art. 59 cod. pen., comma 2 ed alla mancanza di elemento soggettivo in ordine alle ritenute lesioni gravi: ‘ben poco dirimente’ sarebbe la motivazione con cui la Corte distrettuale ha giudicato irrilevante perchè di non univoca valenza la mancata reiterazione dei colpi, a fronte della concreta dinamica dell’azione e della parte di corpo colpita;

-4. violazione di legge in relazione al diniego delle attenuanti generiche ed all’art. 133 cod. pen., per la censurabilità delle argomentazioni esposte dal Giudice collegiale distrettuale per negare le attenuanti innominate (nelle deduzioni del motivo si accenna anche alla ricorrenza di condizioni per il riconoscimento delle attenuanti di particolare valore morale e sociale, in relazione al tema della politica di utilizzo delle fonti di energia nucleare da parte dello Stato ed all’esito del referendum popolare del 1987);

-5./-6. violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. in relazione alla condotta di detenzione dell’arma ed al capo 3) di imputazione ed erronea applicazione della L. n. 895 del 1967, art. 2, per l’insufficienza dell’indicazione della mera norma di legge e, comunque, quanto alla specifica posizione di questo imputato, essendo mancata motivazione su situazioni di fatto che, avuto riguardo anche alla diversa residenza degli imputati, attribuisse a lui l’esercizio di una stabile relazione con l’arma a prescindere dal suo contingente impiego;

-7. Sempre con riferimento al capo 3) ed agli artt. 2 e 4 legge armi, omessa motivazione sulla contraddittorietà ed eccessiva onerosità, dedotta nei motivi d’appello, dei due aumenti di pena per la continuazione, attribuiti in misura uguale alle due violazioni ritenute pur a fronte di pene edittali apprezzabilmente diverse 2.3 I difensori hanno poi depositato tempestiva e congiunta memoria, a sostegno del primo motivo dei rispettivi ricorsi, in particolare argomentando di: distinzione tra condotta illecita motivata politicamente e terrorismo, non riconducibilità del finalismo terroristico a fenomeno esclusivamente psicologico, individuazione nel caso concreto del danno grave al Paese (e erroneità della sua individuazione nel fatto stesso e solo della lesione all’integrità fisica di una persona umana con successivo rilievo della sola finalità eversiva), identificazione (dopo l’art. 270-sexies) della finalità eversiva in una mera species del genus terrorismo (con la conseguenza che oggi un attentato finalizzato all’eversione ex art. 280 costituirebbe una condotta con finalità di terrorismo ex art. 270); rilevanza costituzionale dell’esclusione del danno grave per il Paese dall’attentato con finalità di eversione (art. 3 Cost. e art. 27 Cost., commi 1 e 3); coerenza della ricostruzione normativa difensiva alla giurisprudenza di Sez. 5 sent. 12252/12. In definitiva, la condotta finalisticamente tesa all’eversione potrebbe considerarsi terroristica solo se realizzata con metodo terroristico, nella fattispecie assente: il caso andrebbe quindi ricondotto alla violenza comune e non qualificata.

Motivi della decisione

I ricorsi sono fondati limitatamente alla deliberazione di condanna relativa al reato di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 2, che va annullata senza rinvio con rideterminazione delle pene, previa esclusione degli aumenti determinati nelle sentenze di merito per ciascuno degli imputati, che vanno eliminati. Devono invece essere rigettati nel resto, con la conseguente condanna dei ricorrenti, oltre alle spese del grado, alla rifusione in solido delle spese di difesa sostenute dalle parti civili costituite e presenti all’odierna udienza, liquidate come da dispositivo tenuto conto sia del concreto apporto che dell’omogeneità di alcune delle posizioni delle parti private rappresentate da medesimo difensore.

L’art. 280 cod. pen. enuncia la rubrica di ‘attentato per finalità terroristiche o di eversione’ ed incrimina la condotta di chiunque, per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, attenta alla vita od alla incolumità di una persona.

Secondo la L. n. 304 del 1982, art. 11, all’espressione ‘eversione dell’ordine democratico’ corrisponde per ogni effetto giuridico l’espressione ‘eversione dell’ordinamento costituzionale’.

La pena è graduata secondo la gravità dell’esito (morte, anche come conseguenza non voluta; lesioni semplici, gravi o gravissime) e la qualità del soggetto passivo.

Nella previsione della specifica norma, per la sussistenza del reato e per la quantificazione della sanzione le due finalità sono del tutto equivalenti: anche la sussistenza di una sola tra esse determina la peculiare rilevanza penale della condotta di attentato, nè vi è differenza nel trattamento sanzionatorio quando ricorrano l’una o l’altra di tali finalità. Neppure la stessa eventuale compresenza, nel caso concreto sottoposto al contingente giudizio, di entrambe le finalità determina alcun diverso tipo di conseguenze sanzionatorie, di effetti penali o di trattamento penitenziario: il che, va avvertito fin d’ora, priva di interesse processuale concreto la questione dell’eventuale assorbimento dell’una nell’altra finalità (sicchè, dovrebbero necessariamente essere dichiarati inammissibili, per mancanza di interesse, ed ex art. 568 c.p.p., comma 4, motivi di impugnazione che si limitassero in ipotesi a porre solo questione di ricostruzione astratta della fattispecie, perchè qualunque soluzione possibile condurrebbe alla medesima conclusione sanzionatoria e di complessivo trattamento penale, anche in sede esecutiva: SU sent. 6624/2012 e Sez. 1 sent. 47675/11).

Nel nostro caso, l’avere gli imputati effettivamente cagionato alla persona offesa lesioni personali con un’arma da sparo ha poi reso non pertinente (come bene avvertito dai Giudici d’appello: sent. p. 7) ogni approfondimento sul concetto normativo di attentato in relazione all’aspetto dell’idoneità della specifica condotta.

4.1 Una ulteriore riflessione preliminare è opportuna, sollecitata in particolare sia dal passaggio argomentativo con cui la Corte genovese ha spiegato che la giurisprudenza affermata da Sez. 2 sent.

12252/12 deve essere apprezzata in stretta connessione alla peculiarità del caso che lì doveva essere risolto (quello in definitiva dell’individuazione della differenza ontologica e normativa tra l’associazione ‘sovversiva’, ex art. 270 cod. pen., e l’associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico, ex art. 270-bis cod. pen.), sia dalla censura con cui i ricorrenti attribuiscono ai Giudici del merito di essere incorsi in una ‘patente distorsione interpretativa degli obiter dicta espressi dai Giudici di legittimità’.

Osservato incidentalmente che i due punti di vista risultano, nella lettura metodologica, solo apparentemente diversi, perchè anche i ricorrenti finiscono con il riconoscere l’assenza di precedenti giurisprudenziali non solo in termini esatti, rispetto al nostro caso, ma che almeno abbiano risolto a loro volta casi specifici con affermazioni in diritto di portata consapevolmente e specificamente generalizzante, immediatamente quindi pertinente anche il nostro caso (con la parziale eccezione della sentenza Sez. 6 sent. 28009/14, non a caso richiamata anche da GUP e Assise d’appello), va rilevato che effettivamente difese e Giudici del merito hanno richiamato, volta per volta, parti di motivazione di precedenti sentenze di questa Corte, ciascun soggetto cogliendone elementi a sostegno delle proprie, diverse, tesi.

E’ allora utile chiarire, e confermare, che, anche nella giurisprudenza di legittimità, il valore orientativo che al singolo precedente giurisdizionale va riconosciuto, quanto meno come pensiero interpretativo con cui opportunamente il successivo interprete deve confrontarsi, è strettamente dipendente dalla fattispecie concreta che costituisce l’oggetto specifico, l’ambito ed il limite della precedente contingente pronuncia. Ciò, perchè sono le peculiarità in fatto del singolo caso e delle pertinenti tematiche giuridiche che, in concreto, tale singolo caso impone di affrontare approfondire e risolvere specificamente, quindi con passaggi argomentativi strutturalmente necessari alla contingente decisione, che debbono orientare nel corretto apprezzamento dei principi giuridici che la singola sentenza afferma, o pare affermare.

Qui non si vuole richiamare solo la problematica dei cosiddetti obiter dicta: casi nei quali, in genere consapevolmente, la Corte di cassazione coglie l’occasione della specifica questione che è chiamata a risolvere in relazione al caso concreto per indicare possibili implicazioni su questioni connesse ma diverse, tuttavia non esaminate, nel processo definito da quella sentenza, espressamente e con l’adeguato approfondimento che, invece, deve caratterizzare il percorso argomentativo che affronta problematiche interpretative, anche sistematiche, la cui esauriente e specifica soluzione sia indispensabile per la definizione del singolo giudizio.

Il riferimento è, anche, alla possibile obiettiva diversità strutturale astratta, o anche solo contingente in relazione al caso concreto, delle tematiche in fatto e normative che costituiscono il presupposto specifico da cui muove la singola decisione e che orientano necessariamente il successivo percorso argomentativo.

4.2 Così, rispetto alla tesi difensiva (in estrema sintesi:

l’eversione è finalità ormai assorbita nel terrorismo e questo è solo metodo) i Giudici d’appello hanno già opportunamente osservato (con riferimento alla sentenza di questa Corte Sez. 5 n. 12252/12 ed in particolare ad un’interpretazione della nozione normativa di terrorismo che parrebbe limitata al metodo di lotta – in realtà la sentenza precisa trattarsi di ‘strategia’ – particolarmente efferato) che, ad esempio, la necessità di distinguere le strutture associative secondo la loro finalità (artt. 270 e 270-bis cod. pen.) è l’esigenza peculiare stringente e particolarmente caratterizzante l’approccio ermeneutico sul punto, sicchè non necessariamente ai singoli passaggi del ragionamento di interpretazione che deve risolvere quello specifico problema, ed alle pertinenti affermazioni in diritto, può essere riconosciuta una valenza generale per qualsiasi caso di possibile applicazione di concetti giuridici apparentemente analoghi (specie quando esso risulti strutturalmente diverso ed implicante confronti interpretative con e tra norme diverse). Del resto, va rilevato, proprio quell’articolata sentenza spiega che l’interpretazione che prospetta ‘è l’unica interpretazione che possa giustificare il permanere nell’ordinamento dell’art. 270 cod. pen., dopo l’introduzione dell’art. 270 bis e il loro ‘rimaneggiamento’ ulteriore’ (p. 42). Ed altrettanto significativo appare il rilievo che quella stessa sentenza afferma cosa diversa da quella dedotta dai ricorrenti (il carattere indiscriminato della individuazione della vittima come requisito del terrorismo-metodo), perchè sul punto l’insegnamento ricordato è altro: ‘il terrorismo costituisce un mezzo, o più correttamente una strategia, che si caratterizza per l’uso indiscriminato e polidirezionale della violenza, non solo perchè accetta gli ‘effetti collaterali’ della violenza diretta, ma anche perchè essa può (corsivo non presente nel testo originario) essere rivolta in incertam personam …’.

In tal senso è utile il richiamo anche all’articolata e successiva sentenza Sez. 5 n. 25428/12, la quale esclude che l’eversione dell’ordine democratico (della cui nozione normativa fornisce l’interpretazione puntuale nella seconda pagina del paragrafo 6 del considerato in diritto) sia una sostanziale endiadi della finalità di terrorismo (così riconoscendole piena autonomia anche dopo l’art. 270-sexies cod. pen.): ciò afferma procedendo a risolvere un caso dove il punto in diritto da decidere è la dimostrata ricorribilità, in concreto, di una fattispecie che giustifichi l’aumento di pena, proprio dell’aggravante L. n. 15 del 1980, ex art. 1, per l’effettiva presenza di uno scopo eversivo strutturato con mezzi obiettivamente idonei a mettere in pericolo la democrazia, a ledere l’effettiva vigenza dei suoi principi intangibili in tutto il territorio e per tutti i cittadini dello Stato.

Da ultimo va appunto richiamata la stessa precedente sentenza di questa Sezione n. 28009/14 che, fornendo un’articolata, e qui condivisa, esegesi dell’art. 270-sexies cod. pen. (con riferimento al reato ex art. 280 cod. pen.), in nessun momento della sua motivazione prospetta una ricostruzione sistematica di assorbimento, tantomeno generalizzato, quindi di sistema, della permanente finalità normativa di eversione in quella di terrorismo. In realtà lì la Corte doveva occuparsi di un caso nel quale erano contestati con unitaria imputazione provvisoria cautelare i reati ex artt. 280 e 280- bis cod. pen. (quest’ultimo relativo ai soli ‘atti di terrorismo’ con ordigni micidiali ed esplosivi, nella fattispecie condotta essenziale in fatto e quindi orientante la ‘lettura giuridica’ della vicenda, negli stessi motivi degli originari ricorsi trattata solo con riferimento all’aspetto afferente il terrorismo, secondo il riferimento agli artt. 280, 281-bis e 270-sexies cod. pen.). Sicchè la Corte muove dal richiamo generico alle due finalità (di terrorismo o di eversione, p. 11 punto 1 del considerato in diritto), ma quando poi tratta la questione in diritto affronta il solo aspetto della finalità di terrorismo (punto 3 e 4, p. 21 ss.), in particolare senza mai svolgere alcuna argomentazione, esplicita o implicita, sulla sussunzione normativa generalizzata della finalità di eversione in quella di terrorismo, anzi, nell’argomentare il secondo scopo della finalità di terrorismo ex art. 270-sexies cod. pen., enunciando un passaggio che risulta in direzione opposta (del tutto conservativa e differenziata della finalità di eversione rispetto al possibile punto di contatto tra questo concetto normativo e quello di terrorismo): ‘In secondo luogo rilevano la destabilizzazione o la distruzione delle strutture istituzionali fondamentali di un Paese o di una organizzazione istituzionale: una finalità più prossima allo scopo tradizionale dell’eversione dell’ordine costituzionale e democratico, spinta fino alla ‘destabilizzazione’ delle istituzioni più essenziali dal punto di vista politico, costituzionale, economico o sociale’ (punto 4.2, p. 24).

4.3 Anche la sola lesione di una singola persona è idonea, nella ricorrenza della finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, a configurare il reato di attentato ex art. 280 cod.pen.. Ciò per inequivoca volontà del legislatore, che per più volte nella struttura della medesima norma utilizza, con consapevolezza inequivoca e coerenza sistematica, il termine ‘persona’ al singolare (primo comma: vita o incolumità di una persona; secondo comma: attentato alla incolumità di una persona;

terzo comma: fatti previsti nei commi precedenti/persone, ribadendo il parallelismo fatto/persona; quarto comma: morte della persona). La scelta del legislatore è, appunto, chiara ed inequivoca. Il bene giuridico tutelato dalla norma è quello della vita e dell’incolumità della singola persona, quando questi vengono in gioco in ragione di una delle due finalità, che divengono lo scopo perseguito, dell’azione del colpire quella singola persona. In altri termini, la persona viene colpita nel contesto del perseguimento di uno dei due scopi, ciascuno dei quali va oltre la persona colpita e in qualche modo ne prescinde.

L’attentato di cui all’art. 280 cod. pen. è dunque una condotta volta alla lesione o all’omicidio (consumati o tentati) anche di una sola persona, qualificata dalla finalità, terrorismo o eversione dell’ordinamento costituzionale, che ha determinato l’azione in danno della persona e che costituisce lo scopo ultimo perseguito dall’agente. Vi è quindi una scelta chiara del legislatore: l’attacco all’incolumità ed alla stessa vita di una persona costituisce, per sè, ragione di tutela penale, quando l’agente è mosso da ragioni di terrorismo o eversione.

L’indagine ermeneutica sul contenuto delle nozioni di terrorismo e di eversione dell’ordinamento costituzionale che, come detto, nella norma rilevano in alternativa (ciascuna di esse risultando per sè sufficiente a configurare il delitto di attentato), va quindi compiuta per dar conto delle condizioni di una loro eventuale sussistenza nel caso concreto, sussistenza idonea a determinare il ‘passaggio’ dal reato comune (lesione personale, omicidio doloso o preterintenzionale, nelle forme consumate o tentate, eventualmente aggravato da circostanze comuni o speciali) al reato speciale previsto e punito dall’art. 280 cod. pen..

Può allora fin d’ora osservarsi che palesemente insostenibile risulterebbe l’approccio ermeneutico che conducesse al paradossale ragionamento per cui è vero che la lettera e la ragione legislativa dell’art. 280 cod. pen. prevedono esplicitamente la sufficienza di conseguenze per una sola persona (senza qualifiche peculiari che non l’essere tale), anche quando la condotta già sorga con lo specifico intento di colpire quella sola persona, ma poichè le nozioni di terrorismo e quella di eversione richiederebbero l”attacco’ di ‘beni importanti’, di ‘gravi conseguenze’ ‘per l’intero Stato o per l’intera collettività’, non essendo mai possibile ritenere le sorti di una singola persona di peso tale da incidere sulla sorte dello Stato intero e della collettività, allora il reato non potrebbe mai configurarsi, per come è stato costruito dal consapevole legislatore. In realtà, è davvero sufficiente tener presente l’epoca di reintroduzione della norma (D.L. 15 dicembre 1979, n. 625, art. 2 conv. in L. 6 febbraio 1980, n. 15) per cogliere la conferma della ben consapevole volontà del legislatore di tutelare, da azioni condotte per finalità di terrorismo o eversione, proprio l’incolumità e la vita dei suoi singoli cittadini, ciascuno considerato e protetto in sè e nella propria individualità, incolumità e vita del singolo che – come condivisibilmente avvertito dalla Corte d’assise d’appello – sono beni giuridici per se stessi primari ed essenziali per lo Stato-istituzione: come, plasticamente e con descrizione e narrazione quasi giornalistiche, avverte e spiega anche la circostanza aggravante dell’art. 280 cod. pen., comma 3.

Per quanto argomentato, per la positiva sussunzione di una condotta di ‘aggressione alla vita o all’incolumità’ di ‘una persona’ nella fattispecie ex art. 280 cod. pen. è manifestamente irrilevante il punto se l’agente abbia colpito una concreta persona perchè precedentemente selezionata come specifico obiettivo simbolico o in generica ragione della funzione svolta (la ‘divisa’ o l’attività lavorativa svolta, come elementi di individuazione del bersaglio- persona) ovvero in quanto mero cittadino. Va pertanto sul punto pienamente condiviso l’argomentare della Corte d’assise d’appello (p. 5 sent. app.), del resto suffragato, come si è già evidenziato, dalla concreta motivazione di Sez. 5 sent. 12252/12 (p.43), impropriamente sul medesimo punto richiamata dalle difese.

Ciò che pertanto solo rileva è l’aver consapevolmente attentato alla incolumità o alla vita anche di una singola persona per una delle due finalità.

In tale contesto normativo, la eventuale previa individuazione specifica della persona-bersaglio altro non è, quindi, che una modalità della concreta fattispecie in fatto, al più utile a meglio orientare la ricostruzione dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo del reato.

4.4 Le usuali categorie della dommatica penale escludono, inoltre, alcun problema di delimitazione, o indeterminatezza, della fattispecie incriminatrice, così come ricostruita, anche sotto il profilo soggettivo.

Se il reato si consuma con un’azione che attenta all’incolumità o alla vita ‘della persona’ per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, occorre innanzitutto provare che l’agente abbia voluto consapevolmente colpire una persona (quale sia stato il criterio della contingente individuazione); poi, che l’abbia voluta colpire per una ragione riconducibile alle nozioni di terrorismo o eversione dell’ordine democratico (dell’ordinamento costituzionale): si tratta del cosiddetto doppio finalismo argomentato da Sez. 6 sent. 28009/14, p. 34, punto 6 del considerato in diritto. A queste nozioni va certamente data (come con argomentazione articolata avvertito già in tale sentenza) una propria seria, e in qualche modo oggettiva, o meglio oggettivabile consistenza, in termini sia di offensività che di consapevolezza (rappresentazione e volizione) dell’agente, in modo da escludere comunque la configurabilità di tali finalità quando l’intento dell’agente risulti, anche per ragioni oggettive, palesemente inconsistente o velleitario.

4.5 Il contenuto normativo delle locuzioni ‘finalità di terrorismo’ e ‘finalità di eversione dell’ordine democratico’ va ricavato dalla disciplina positiva dei due fenomeni giuridici.

La nozione normativa di ‘finalità di terrorismo’ risulta allo stato positivamente fornita dall’art. 270-sexies cod. pen.. La norma qualifica con finalità di terrorismo le condotte che: a) per loro natura o contesto, possono recare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale, e: b) sono compiute allo scopo bl) di intimidire la popolazione o b2) costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o b3) distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale, nonchè c) le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia.

La nozione di eversione dell’ordine democratico deve innanzitutto intendersi come eversione dell’ordinamento costituzionale, secondo la L. n. 304 del 1982, art. 11. L’individuazione della tipologia di ‘attacchi’ all’ordinamento costituzionale idonei a concretizzare il concetto di eversione dello stesso si rinviene in consolidata giurisprudenza di questa Corte (per tutte Sez. 2, sent. 39504/2008), secondo cui ‘… per quanto riguarda la nozione stessa di eversione dell’ordine democratico, ‘deve ritenersi che, a seguito dell’interpretazione autentica fornita dalla L. 29 maggio 1982, n. 304, art. 11, essa deve intendersi riferita all’ordinamento costituzionale, cioè a quei principi fondamentali che formano il nucleo intangibile destinato a contrassegnare la specie di organizzazione statale secondo la Costituzione, come ad esempio il principio del metodo democratico ovvero le garanzie dei diritti inviolabili, sia del singolo, che delle formazioni sociali (artt. 1 e 5 Cost.)…. Di conseguenza, il significato di ‘eversione dell’ordine democratico’ non può limitarsi al solo concetto di ‘azione politica violenta’, finendo in questo modo per rappresentare sostanzialmente una endiadi della finalità di terrorismo, ma deve necessariamente identificarsi nel sovvertimento dell’assetto costituzionale esistente ovvero nell’uso di ogni mezzo di lotta politica che tenda a rovesciare il sistema democratico previsto dalla Costituzione, nella disarticolazione delle strutture dello Stato o, ancora, nella deviazione dai principi fondamentali che lo governano. In sostanza, ogni azione, violenta o non violenta, che mira a ledere tali principi è finalizzata alla eversione dell’ordine democratico: in questa nozione la violenza non è un elemento indispensabile dell’eversione, ciò che deve sempre sussistere è, invece, la finalizzazione dell’azione verso l’obiettivo eversivo”.

Costituisce pertanto delitto di attentato per finalità terroristiche o di eversione, ex art. 280 cod. pen., la condotta di chi attenta a vita o incolumità di una persona, sotto il primo profilo e ai sensi dell’art. 270-sexies cod. pen. quando ciò, per natura o contesto, può arrecare grave danno al Paese e l’agente persegue una delle tre finalità indicate, ovvero, sotto il secondo profilo e tenuto conto del contesto oggettivo e soggettivo in cui essa consapevolmente si inserisce, quando la condotta è volta a quella sostanziale deviazione dai principi che regolano l’essenza della vita democratica, nei termini indicati dalla sopra richiamata giurisprudenza.

4.6 Nel nostro caso, entrambi i Giudici del merito hanno innanzitutto argomentato con motivazione specifica, immune da vizi di manifesta illogicità o contraddittorietà, che deve escludersi per l’attentato/aggressione all’ing. A. alcuna ragione ‘privata/personale’, interna ai rapporti tra i due autori e la persona offesa o anche riconducibile ad un intento punitivo ‘privato’: secondo i concordi Giudici del merito egli è stato scelto e colpito per la sua attività nel settore dell’energia nucleare e, ciò, in un contesto di azione offensiva anche sovranazionale, con finalità anche di ‘ritorsione’ e ‘rappresaglia’ espressamente rivendicata. Sul punto sono generiche e in fatto le censure dei ricorsi.

In secondo luogo, quanto alle due finalità contestate (terrorismo e eversione dell’ordinamento costituzionale), i Giudici del merito (cui compete l’apprezzamento di merito pertinente la sussistenza in fatto dei diversi requisiti, apprezzamento che non può essere messo in discussione da questa Corte di legittimità, cui invece compete la sola verifica che il ragionamento che lo sostiene sia immune dai vizi di motivazione apparente, manifestamente illogica, contraddittoria, unici che ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e rilevano in questa sede, o da errori di diritto) hanno specificamente argomentato i propri puntuali apprezzamenti in fatto sugli elementi che seguono:

– natura e contesto della condotta quali indici di un’azione violenta che trascende il mero rapporto tra imputati e specifica persona offesa. La motivazione su tali aspetti, articolata e diffusa in entrambe le sentenze (p. 12 e 13 sent. GUP e p. 8, 10 sent. app., in particolare la collocazione all’interno di un consapevole e coordinato più ampio attacco a Finmeccanica ed alla politica industriale del Governo e la predisposizione di un’organizzazione articolata per l’esecuzione dell’attentato), risulta non palesemente incongrua ai dati probatori contestualmente richiamati, non apparente, nè manifestamente illogica o contraddittoria. In particolare questa Corte osserva che il rilievo difensivo che critica la valorizzazione del collegamento dell’azione con il contesto dell’attività di soggetti che si riconoscono nella sigla FAI-FRI risulta manifestamente infondato, sul punto essendovi già specifiche significative deliberazioni della Corte di cassazione: Sez. 5 sent.46340/13 (in particolare p. 8 e 12 della motivazione: 4. Tanto premesso sul piano formale, rileva la Corte che gli elementi evidenziati dal Tribunale di Milano appaiono congruenti e logici in punto di affermazione della gravità indiziaria circa la possibilità di qualificare la Federazione Anarchica Informale quale associazione con finalità di terrorismo, anche internazionale, e di eversione dell’ordine democratico … le modalità operative qui rilevate, allo stato, confermano la sussistenza della gravità indiziaria in ordine alla riconducibilità della F.A.I. – anche perchè operativa in ambito internazionale, come correttamente segnalato dai giudici di merito – allo schema tipico della associazione con finalità di terrorismo od eversione dell’ordine democratico), Sez. 1 sent.49892/12 (p. 7 motivazione, con citazione di ulteriori precedenti di legittimità conformi). Si tratta di plurime pronunce di questa Corte, tutte danti conto della correttezza logica dei ragionamenti probatori specifici dei diversi Giudici del merito i cui provvedimenti erano nell’occasione esaminati, per fatti precedenti quello dell’attentato all’ing. A.;

– concreta potenzialità della condotta a recare grave danno al Paese. I Giudici d’appello hanno in proposito seguito sostanzialmente un duplice percorso argomentativo, in qualche modo parallelo, che risulta in entrambe le prospettazioni corretto in diritto e immune dai ricordati tassativi vizi logici che, soli, rilevano in questa sede. La Corte d’assise d’appello ha innanzitutto argomentato sulla rilevanza in sè della vita e dell’incolumità dei cittadini, secondo la nostra Costituzione: l’affermazione, oltre che condivisibile sul piano logico, posto che tale tutela è certamente uno degli obblighi costituzionali primari dello Stato, il che la rende anche corretta in diritto, trova un significativo riscontro nella sentenza di questa Corte Sez. 5 n. 40348/13; questa ha espressamente ricordato come tutti i diritti fondamentali riconosciuti ad ogni uomo, anche come singolo, sono oggetto di specifica protezione, in un sistema pluralistico, e rilevano con pari dignità rispetto agli interessi delle istituzioni. Nello stesso specifico senso è l’insegnamento della sentenza 39504/2008 richiamata nel precedente paragrafo 4.5. In altri termini, è corretta in diritto ed è immune dai soli vizi logici che rilevano in questa sede l’affermazione dei Giudici di merito secondo cui costituisce condotta suscettibile di provocare grave danno al Paese l’attentato alla salute o alla vita di una persona che il Paese abbia l’obbligo costituzionale di tutelare come singolo, quando inserito in un contesto di non occasionalità e di consapevole strumentalità: in tal caso il colpire la singola persona (cittadino o meno) diviene infatti lo strumento consapevole per perseguire una delle tre finalità indicate dall’art. 270-sexies (secondo i criteri interpretativi di attenzione alle connessioni logiche e di merito tra i diversi elementi della fattispecie, sollecitati da Sez. 6 sent. 28009/14 cit.). In secondo luogo, secondo i Giudici d’appello il colpire la persona strumentalmente cagiona, oltre in sè il precedente danno grave di tale lesione di diritti individuali costituzionalmente garantiti che la singola persona ha e che già costituisce bene rilevante del Paese, nei termini prima ricordati, anche un danno che coinvolge direttamente e con immediatezza Stato e Paese in ragione della potenziale idoneità di tale condotta (attesi natura e contesto dell’azione) a deviare i criteri democratici di selezione delle scelte del Paese. Anche in questo caso l’apprezzamento di merito sulla idoneità della concreta condotta ad arrecare grave danno al Paese risulta sorretta da motivazione scevra dei vizi logici tassativi e corretta in diritto.

Le censure difensive sul punto sono inammissibili perchè al tempo stesso manifestamente infondate e diverse dai motivi consentiti, risolvendosi in sostanziale sollecitazione alla rivalutazione degli apprezzamenti di merito;

– sussistenza delle finalità; entrambi i Giudici del merito hanno argomentato:

. la natura non genericamente politica o dimostrativa dell’azione; la selezione della vittima in esclusiva e specifica funzione del suo collegamento lavorativo con la politica industriale del Paese e in funzione di punizione e pressione per le scelte passate e future;

l’inserimento dell’azione contingente in un contesto più ampio e strutturato volto a colpire ripetutamente, e con numero di volte simbolico in relazione a vicende internazionali connesse proprie di esperienze anarchiche sovranazionali, l’attività complessiva di Finmeccanica (azienda riconducibile a proprietà sostanzialmente pubblica di determinante rilievo strategico nazionale); il collegamento della condotta appunto con intenti omogenei già verificatisi a livello internazionale ed a quelli espressamente richiamata;

. l’essere pertanto la condotta volta a influire con metodo violento e coordinato sulle modalità democratiche di selezione delle scelte di un aspetto essenziale per il Paese, come tale costituzionalmente previsto e organizzato, quali le scelte di politica industriale;

quindi la volontà di condizionare le scelte economiche e di politica industriale dello Stato, colpendo il capo di una delle più grandi aziende nazionali in un settore strategico;

. al tempo stesso la volontà di destabilizzare l’ordine economico quale previsto e disciplinato dagli artt. 41-43 Cost.;

– natura nè delirante nè palesemente inadeguata della volontà finalistica manifestata, nel caso concreto in ragione dell’articolata organizzazione, delle peculiari modalità dell’agguato caratterizzato da disponibilità ed uso di arma, della positiva realizzazione, del richiamo a contesto anche esterno alla mera contingente azione dei due) e, dal punto di vista sistematico, dovendosi tener conto che la tendenziale ‘asimmetria naturale dello scontro tra stato ed eversori’ (p. 11 sent. app.) non può per sè comportare una generale conclusione di intrinseca inconsistenza/inidoneità dei fatti e fenomeni eversivi.

Tali complessive argomentazioni, che hanno sostenuto la concorde affermazione dei Giudici del merito in ordine alla sussistenza delle finalità terroristiche e di eversione, sono non manifestamente incoerenti ai dati probatori puntualmente richiamati, immuni dai vizi logici rilevanti ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), corrette in diritto.

Debbono essere dichiarati inammissibili i motivi secondo, terzo e quarto del ricorso G..

Il secondo è manifestamente infondato e al tempo stesso generico e diverso da quelli consentiti. La Corte d’assise d’appello ha risposto sul punto (p. 14), con esplicito riferimento a certificazione sanitaria che attestava la persistente limitazione funzionale, il che è stato giudicato in termini logici ineccepibili assorbente rispetto all’anticipata ripresa della peculiare attività lavorativa.

Il terzo è manifestamente infondato e diverso da quelli consentiti perchè pure risolventesi in censura di merito: la Corte genovese (p.15) ha congruamente spiegato, con motivazione immune da alcun vizio di manifesta illogicità o contraddittorietà, le ragioni della sussistenza dell’elemento psicologico anche con riferimento alle lesioni gravi.

Il quarto motivo è al tempo stesso diverso da quelli consentiti e generico: si risolve in censure volte ad ottenere diverso apprezzamento nel merito e il riferimento ai motivi di particolare valore morale e sociale è formulato in termini del tutto generici.

Sono invece fondati i comuni motivi relativi al reato di detenzione dell’arma (secondo del ricorso C., quinto e sesto del ricorso G., con assorbimento del settimo), nei termini che seguono.

Il capo di imputazione sub 3 risulta così enunciato: ‘del reato p. e p. dall’art. 61 c.p., n. 2, L. n. 895 del 1967, artt. 2 e 4 per aver portato in luogo pubblico o aperto al pubblico un’arma da fuoco, presumibilmente una pistola Tokarev cal. 7,62, utilizzata per compiere i reati sub. 1) e 2)’.

La descrizione del fatto materiale concretamente contestato è pertanto quella dell’aver portato in luogo pubblico o aperto al pubblico l’arma da fuoco, condotta sussumibile nella L. n. 895 del 1967, art. 4.

L’imputazione richiama tuttavia, attraverso la sola indicazione numerica, anche l’art. 2 stessa legge, che si riferisce alla condotta di detenzione dell’arma. Ed anche per tale condotta di detenzione è intervenuta condanna, con l’applicazione di un corrispondente autonomo aumento di pena, diversamente determinato per i due imputati secondo le rispettive peculiari situazioni soggettive.

Detenzione e porto di un’arma sono condotte tra loro del tutto diverse, soggette ad una ricostruzione probatoria autonoma e specifica. Basti osservare che quando, come nel caso concreto, due persone utilizzano insieme e consapevolmente un’arma per provocare lesioni a una terza persona, possono darsi astrattamente almeno quattro situazioni alternative: che l’arma utilizzata (e quindi ‘portata’) sia stata in precedenza anche ‘detenuta’ da entrambi da momento apprezzabilmente precedente il concreto inizio della condotta di ‘porto contingente al caso’; che l’arma sia stata detenuta da uno dei due all’insaputa dell’altro e comunque senza che l’altro abbia in qualche modo esercitato una forma di compossesso sulla disponibilità dell’arma a prescindere dal momento del suo consapevole impiego comune nel caso specifico; che nessuno dei due abbia avuto la disponibilità dell’arma prima di tale momento di concreto inizio del ‘porto contingente alla specifica condotta di offesa’, essendo stata tale arma procurata da terzi e consegnata agli autori della condotta di aggressione nell’immediata prossimità all’inizio dell’azione (per tutte: Sez. 1 sent. 5685/1996).

Per questo ciò che doverosamente rileva, ai fini della contestazione dell’accusa, è la compiuta descrizione del fatto e non la mera generica indicazione degli articoli di legge che si assumono violati, quando del tutto avulsi da alcun concreto riferimento a condotte comunque almeno evincibili con chiarezza dalla complessiva contestazione.

Tale principio di diritto (per tutte, SU sent. 18/2000, rv. 216430) certamente riguarda i casi in cui, a fronte di una specifica ed inequivoca descrizione di un fatto che ha rilevanza penale (come reato autonomo o come aspetto suscettibile di sussunzione in una circostanza del reato) la corrispondente norma di legge non sia indicata ovvero sia indicata erroneamente. Esso tuttavia riguarda anche il caso in cui manchi del tutto l’indicazione del fatto materiale contestato: in definitiva, la descrizione del fatto materiale delimita i termini della contestazione, quale che sia la qualificazione giuridica che a quel fatto materiale possa essere attribuita (come reato autonomo o circostanza; fermo restando il diritto della parte ad essere allertata della possibile diversa qualificazione giuridica, riconosciuto espressamente in tempi recenti da questa Corte suprema anche in esito a conformi deliberazioni della Corte EDU: per tutte Sez. 5 sent. 12213/2014).

Ed effettivamente sia l’art. 429 c.p.p., comma 1, lett. c) che l’art. 552 c.p.p., comma 1, lett. c) esplicitano l’enunciazione del fatto, in forma chiara e precisa, quale requisito indefettibile dell’imputazione definitiva, quella che ‘apre e delimita’ la fase processuale, il giudizio. Nè potrebbe essere diversamente, perchè solo l’indicazione del fatto, sufficientemente delineato secondo la particolarità delle varie fattispecie, permette di delimitare l’ambito dei temi di prova, per l’adempimento e l’esercizio tanto dell’onere della prova che dei diritti di azione penale e di difesa delle parti che degli stessi pertinenti poteri e doveri del giudice del singolo processo.

Nel caso concreto, proprio la ricordata plurima alternativa ricostruzione dei fatti materiali, cui il mero richiamo alla L. n. 895 del 1967, art. 2 poteva far riferimento, e la contestuale assenza di alcun riferimento in fatto ad una precedente detenzione autonoma (dell’uno, dell’altro, di entrambi), anche almeno nella complessiva ricostruzione dei fatti quale risultante dalle varie imputazioni, impone il giudizio che mai vi sia stata la rituale contestazione pertinente.

Nè l’assunto odierno si pone in contrasto con il precedente di SU sent, 16/1999 rv. 214004 che, oltre a riguardare la materia cautelare (nella quale vige il diverso parametro della descrizione sommaria del fatto, come evidenziato nella motivazione di quel provvedimento), ha deciso una fattispecie complessa nelle cui articolate diverse imputazioni provvisorie, appunto, la Corte ha giudicato essere in definitiva presenti gli elementi di fatto idonei a dar conto della contestazione di una circostanza aggravante che era stata indicata nella specifica contingente imputazione provvisoria con il mero riferimento numerico.

Si impone pertanto, sul capo relativo al reato L. n. 895 del 1967, ex art. 2 l’annullamento senza rinvio per difetto di contestazione.

6.1 Avendo il GUP indicato dettagliatamente i diversi passaggi della quantificazione della pena finale (p. 21 e 22 sentenza di primo grado), confermati dalla Corte d’assise d’appello, alla conseguente rideterminazione delle pene può provvedere già in questa sede la Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 620 c.p.p., lett. l), con l’eliminazione delle pene corrispondenti ai pertinenti specifici aumenti: le due pene vanno pertanto rideterminate come da dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 2 per difetto di contestazione.

Rigetta nel resto i ricorsi e ridetermina le rispettive pene in nove anni, cinque mesi, dieci giorni di reclusione per C.A. e in otto anni, otto mesi e venti giorni di reclusione per G. N..

Condanna gli imputati a rifondere in solido le spese di difesa sostenute per questo grado dalle parti civili, che liquida in complessivi Euro 4.320 per Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero dell’Interno, e 4.320, oltre 15 per cento per spese generali, IVA e CPA per Ansaldo Nucleare s.p.a. e A.R..

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