Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 11 novembre 2013, n. 25340

Fatto e diritto

Ritenuto che C..S. ved. V. , V.C. e A..V. , eredi dei donanti A..C. , V.P. e A..V. , convennero in giudizio, con atto del 4 dicembre 2000, il Comune di Alessandria, chiedendo che venisse dichiarata, per inadempimento del convenuto, la risoluzione dell’atto ai rogiti del notaio Moccagatta in data 5 luglio 1947, con cui erano stati donati al Comune immobili da adibirsi a scuole comunali e da intitolarsi (omissis) , domandandone la retrocessione;
che gli attori lamentarono che il Comune donatario non aveva adempiuto all’onere, giacché gli immobili oggetto della donazione non erano attualmente adibiti ad uso scolastico, ma ad attività ricreative di vario genere;
che il Comune di Alessandria si costituì, resistendo;
che l’adito Tribunale di Alessandria, con sentenza depositata il 3 agosto 2009, disattesa l’eccezione di prescrizione formulata dal Comune ed accertato l’inadempimento derivante dalla diversa destinazione, dichiarò risolto l’atto di donazione e pronunciò la retrocessione degli immobili oggetto di causa;
che la Corte d’appello di Torino, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 5 dicembre 2011, ha accolto il gravame del Comune e, in totale riforma della pronuncia impugnata, ha rigettato le domande delle attrici, condannandole alle spese del doppio grado;
che a tale conclusione la Corte subalpina è pervenuta dopo avere premesso che in base al senso letterale delle espressioni usate nell’atto di donazione ed alla comune volontà delle parti, il modus non era affatto riferito ad un generico utilizzo scolastico degli immobili oggetto di causa, ma aveva lo specifico contenuto di destinazione a scuola elementare, e dopo avere rilevato che si era verificata la prescrizione decennale, giacché, a seguito della cessazione di tale destinazione (avvenuta nel 1973), vi era stato un atto di diffida nel 1974, ma successivamente, per tutto il successivo decennio, non vi erano stati atti interruttivi, non potendo considerarsi utilizzazione conforme al titolo l’adibizione degli immobili, nel periodo 1981-1986, a sede di corsi professionali finanziati dalla Regione;
che per la cassazione della sentenza della Corte d’appello, notificata il 27 febbraio 2012, la S. e le V. hanno proposto ricorso, sulla base di un motivo;
che il Comune ha resistito con controricorso;
che in prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione in forma semplificata;
che, con l’unico mezzo, le ricorrenti denunciano insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia;
che, ad avviso delle ricorrenti, l’intenzione dei donanti, emergente dal contratto di donazione del 1947, sarebbe stata quella di destinare gli immobili ad uso genericamente scolastico, ben essendo possibile un utilizzo a fini didattici, anche diversi dalla scuola elementare, sicché l’avvenuto utilizzo degli immobili ad uso scuola professionale nel quinquennio 1981-1986, consentito dal Comune di Alessandria alla Regione Piemonte, avrebbe determinato l’interruzione della prescrizione, con conseguente tempestività del giudizio di retrocessione dell’immobile;
che va preliminarmente rigettata l’eccezione di inammissibilità del motivo, perché i ricorrenti non si sono limitati a prospettare una mera critica del risultato interpretativo raggiunto dalla Corte territoriale, contrapponendovi una differente interpretazione, ma hanno puntualizzato l’obiettiva deficienza del ragionamento svolto dai giudici del merito, in contrasto con il dato letterale della clausola modale e della connessa clausola risolutiva;
che, nel merito, la censura è fondata;
che la Corte territoriale non ha adeguatamente valutato la circostanza che, secondo la lettera della clausola risolutiva prevista nel contratto di donazione del 1947, la possibilità di chiedere la retrocessione dell’immobile donato è contemplata in caso di mancata destinazione dell’immobile “ad altro scopo e non ad uso scuole”;
che detta clausola, nel mentre evidenzia la necessità di un uso scolastico (prevedendo il diritto di domandare la retro-cessione in caso di adibizione ad altro scopo), non limita tuttavia il tipo di attività didattica da espletare all’interno dell’immobile (elementare o primaria, secondaria o professionale), ponendo la generica definizione di “uso scolastico” in rapporto di alternatività con un qualsiasi altro, diverso scopo;
che detta limitazione neppure può ragionevolmente farsi derivare dalla intitolazione del fabbricato (OMISSIS) o dalla previsione, espressa, che l’immobile “rimanga adibito a scuole comunali”, giacché l’intitolazione non vale, di per sé, a circoscrivere l’utilizzazione consentita, mentre il sintagma “scuole comunali” è suscettibile di accogliere e, al contempo, di consentire, secondo i bisogni della comunità locale via via emergenti, la destinazione a qualsiasi istituto di istruzione, gestito direttamente dal Comune o anche – nel nuovo ordinamento costituzionale e amministrativo della Repubblica – dalla Regione;
che, pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata, essendo necessaria una nuova valutazione del giudice del merito, immune dai vizi riscontrati, con riguardo alla conformità al titolo dell’avvenuto utilizzo dell’immobile donato come scuola professionale nel quinquennio 1981-1986;
che la causa deve essere rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Torino;
che il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Torino.

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