La massima

Il reato di maltrattamenti si configura attraverso una condotta abituale, che si estrinseca in una pluralità di atti volti a ledere l’integrità fisica e il patrimonio morale del soggetto passivo. Conseguentemente, colui che costringe i familiari conviventi a vivere in condizioni igieniche insopportabili ed a subire qualche episodio di estorsione e di furto, non risponde del reato di maltrattamenti in famiglia.

 

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 12 ottobre 2012, n 40291

 

 

Fatto e diritto

C.A. ricorre per cassazione contro l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale di Salerno, da lui adito in sede di riesame ai sensi dell’art. 309 c.p.p., ha confermato la misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare, disposta nei suoi confronti con ordinanza del G.I.P. in sede per il reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p., in danno della sorella C.M. e del di lei convivente D.A.

A sostegno della richiesta di annullamento il ricorrente articola vari motivi.

Con il primo motivo denuncia violazione di legge e difetto di motivazione in riferimento alla valutazione del quadro indiziario, sostenendo che la misura imposta era fondata esclusivamente sulla denuncia delle presunte parti offese, omettendo di considerare che i predetti avevano riferito solo di condizioni igieniche insopportabili, ma mai di violenza fisica, e censurando l’errore dei giudici del riesame, che avevano fatto riferimento ad altri reati, quali estorsione e furto, non contestati e a precedenti penali irrilevanti ovvero assorbiti dal reato contestato.

Con il secondo motivo eccepisce violazione di legge e difetto di motivazione in riferimento alla sussistenza delle condizioni generali di applicabilità delle misure, sostenendo che il Tribunale aveva omesso di considerare che in ogni caso l’indagato è incensurato e la pena irrogabile è compatibile con la concessione del beneficio della sospensione condizionale.

Con il terzo motivo deduce violazione di legge in riferimento alla ritenuta utilizzabilità degli atti di indagine, quali le sommarie informazioni rese dalle parti offese e la relazione di servizio, compiuti dopo la data di scadenza del termine di mesi di cui all’ art. 406/1 c.p.p. essendo stata la richiesta di proroga presentata dal P.M. in epoca successiva ad essa, con conseguente inoperatività del meccanismo di salvataggio, di cui al successivo co. 8° cit. art.

Infine con il quarto e ultimo motivo lamenta violazione di legge e difetto di motivazione in riferimento alla valutazione del quadro cautelare, operata in contrasto con quanto affermato dai denunciati, i quali avevano escluso l’uso da parte dell’indagato di violenza fisica.

Le censure di cui al primo e al terzo motivo sono fondate e assorbono tutte le altre.

Ed invero il Tribunale ha utilizzato a sostegno della gravità del quadro indiziario le dichiarazioni delle persone offese e le successive indagini di p.g., intervenute dopo la scadenza del termine di sei mesi ci cui all’art. 405/2 c.p.p., rilevando che il P.M. aveva richiesta la proroga di mesi sei ex art. 406/1 c.p.p. in data 2/5/2012 prima della scadenza del predetto termine, senza però indicare la data dell’iscrizione della notizia di reato nell’apposito registro di cui all’art. 335 c.p., onde consentire la verifica della tempestività della stessa richiesta di proroga, contestata dalla difesa del ricorrente e quindi della utilizzabilità delle fonti di prova summenzionate. Non ha poi la Corte tenuto conto che nella richiesta di proroga del P.M, allegata agli atti si fa riferimento alla sospensione feriale dei termini, incompatibile con l’istituto in esame.

Inoltre nell’analizzare gli elementi indiziari e valutarne la gravità si è limitato a valorizzare le pessime condizioni igieniche nelle quali erano costrette a vivere le persone offese, nonché alcune condotte di estorsione e di furti, poste in essere dall’indagato ai danni delle stesse, che appaiono insufficienti e poco conferenti con il reato di maltrattamenti ipotizzato in rubrica, che si configura attraverso una condotta abituale, che si estrinseca in una pluralità di atti volti a ledere l’integrità fisica e il patrimonio morale del soggetto passivo.

Si impone pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata e il rinvio al Tribunale di Salerno, che nel demandato nuove esame provveda a eliminare nell’ovvia autonomia della valutazione di fatto le evidenziate incongruenza motivazionali.

 

P.Q.M.

 

Annulla l’ordinanza impugnato e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Salerno.

 

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *