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Suprema Corte di Cassazione

sezione VI
Sentenza 20 gennaio 2014, n. 1089

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GOLDONI Umberto – Presidente
Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) ((OMISSIS)), rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso, dagli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
COMUNE DI BOLOGNA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, per procura speciale a margine del controricorso, dagli Avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso l’ordinanza del Giudice di pace di Bologna NRG. 3579/10 depositata il 2 febbraio 2011.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9 gennaio 2014 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;
sentiti gli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
(OMISSIS), premesso che il 26 marzo 2010 e l’8 aprile dello stesso anno le erano state notificate da (OMISSIS) s.p.a., Agente di riscossione per la Provincia di (OMISSIS), due cartelle di pagamento i cui importi erano richiesti a titolo di mantenimento di inabili; che aveva una figlia portatrice di handicap grave e che la stessa, pur frequentando un centro diurno gestito dal Comune di Bologna, non doveva corrispondere alcunche’, essendo priva di reddito; che in ogni caso essa attrice era estranea al rapporto debitorio; tanto premesso, con ricorso depositato in data 16 aprile 2010, chiedeva al Giudice di pace di Bologna che venissero sospese le cartelle di pagamento e che fosse dichiarata la sua carenza di legittimazione.
L’istanza di sospensione veniva reiterata al Giudice di pace, il quale in data 4 febbraio 2011 emetteva, inaudita altera parte, ordinanza di inammissibilita’, ritenendo che l’opposizione proposta fosse da presentarsi nei termini e nelle forme dell’opposizione alla esecuzione ex articolo 615 e ss. cod. proc. civ. e non, come avvenuto, nel termine e nelle forme della Legge n. 689 del 1981, articoli 22 e 23.
Avverso tale ordinanza la (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione ex articolo 111 Cost., sulla base di tre motivi.
Il Comune di Bologna ha resistito con controricorso, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o venga comunque rigettato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il Collegio rileva preliminarmente che non e’ di ostacolo alla trattazione del ricorso la mancata presenza, alla odierna pubblica udienza, del rappresentante della Procura generale presso questa Corte.
Invero, l’articolo 70 c.p.c., comma 2, quale risultante dalle modifiche introdotte dal Decreto Legge 21 giugno 2013, n. 69, articolo 75, convertito, con modificazioni, nella Legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede che il pubblico ministero “deve intervenire nelle cause davanti alla Corte di cassazione nei casi stabiliti dalla legge”. A sua volta il Regio Decreto 10 gennaio 1941, n. 12, articolo 76, come sostituito dal citato Decreto Legge n. 69, articolo 81, al comma 1 dispone che “Il pubblico ministero presso la Corte di cassazione interviene e conclude: a) in tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze dinanzi alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di cui all’articolo 376 c.p.c., comma 1, primo periodo”. L’articolo 376 c.p.c., comma 1, stabilisce che “Il primo presidente, tranne quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374, assegna i ricorsi ad apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in camera di consiglio”.
Infine, l’articolo 75 del gia’ citato Decreto Legge n. 69 del 2013, quale risultante dalla legge di conversione Legge n. 98 del 2013, dopo aver disposto, al primo comma, la sostituzione dell’articolo 70, comma 2, codice di rito, e la modificazione degli articoli 380-bis codice di rito, comma 2 e articolo 390, comma 1, per adeguare la disciplina del rito camerale alla disposta esclusione della partecipazione del pubblico ministero alle udienze che si tengono dinnanzi alla sezione di cui all’articolo 376, comma 1, al comma 2 ha stabilito che “Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissazione dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire dal giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, e cioe’ a far data dal 22 agosto 2013.
Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento contenuto sia nel Regio Decreto n. 12 del 1941, articolo 76, comma 1, lettera b), (come modificato dal Decreto Legge n. 69 del 2013, articolo 81), sia nell’articolo 75, comma 2, citato, alle udienze che si tengano presso la Sesta sezione (e cioe’ quella di cui all’articolo 376 c.p.c., comma 1), consenta di ritenere non solo che la detta sezione e’ abilitata a tenere oltre alle adunanze camerali anche udienze pubbliche, ma anche che alle udienze che si tengono presso la stessa sezione non e’ piu’ obbligatoria la partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la facolta’ dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’articolo 70 c.p.c., comma 3, e cioe’ ove ravvisi un pubblico interesse.
Nel caso di specie, il decreto di fissazione dell’udienza odierna e’ stato emesso in data 25 settembre 2013, sicche’ deve concludersi che l’udienza pubblica ben puo’ essere tenuta senza la partecipazione del rappresentante della Procura generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al quale pure copia integrale del ruolo di udienza e’ stata trasmessa, ravvisato un interesse pubblico che giustificasse la propria partecipazione ai sensi dell’articolo 70 c.p.c., comma 3.
2. Passando all’esame del ricorso, con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge per falsa ed erronea applicazione della Legge n. 689 del 1981, articolo 23, comma 1.
Con il secondo motivo lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e con il terzo motivo violazione di legge per falsa ed erronea applicazione dell’articolo 615 c.p.c., comma 1, in relazione alla Legge n. 689 del 1981, articolo 23, comma 1, nonche’ violazione del diritto di difesa garantito dall’articolo 24 Cost..
3. Deve preliminarmente osservarsi che e’ ammissibile il rimedio dell’immediato ricorso per cassazione – e non dell’appello avverso l’ordinanza resa Legge n. 689 del 1981, ex articolo 23, comma 1, – anche se si versa in ipotesi diversa da quella della tardivita’ dell’opposizione.
Invero per effetto delle modifiche recate dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 26 che ha soppresso la Legge n. 689 del 1981, articolo 23, u.c., a far data dal 2 marzo 2006 il rimedio dell’appello e’ divenuto generale strumento di impugnazione delle sentenze pronunciate in primo grado in materia di opposizione a sanzione amministrativa, nonche’ avverso le ordinanze di cui al citato articolo 23, comma 5 con le quali, in caso di assenza in udienza dell’opponente, il giudice puo’ convalidare il provvedimento impugnato, ove non ne risulti dagli atti la manifesta illegittimita’, rimanendo impugnabili con ricorso diretto per cassazione soltanto le ordinanze che dichiarano inammissibile l’opposizione per tardiva proposizione, ai sensi del medesimo articolo 23, comma 1 (Cass. n. 182 del 2011).
Tuttavia, dopo la citata sentenza n. 182 del 2011, si e’ ritenuto (Cass. n. 17393 del 2011; Cass. n. 16471 del 2011 e Cass., SS.UU., n. 7190 del 2011) che avverso un’ordinanza che appare emessa inaudita altera parte seguendo il paradigma procedimentale previsto dalla Legge n. 689 del 1981, articolo 23, comma 1, si possa rimediare con lo strumento previsto dal medesimo articolo 23, comma 1, citato, derivando il regime impugnatorio del provvedimento dall’applicabilita’ del principio dell’apparenza (v. Cass., SS.UU., n. 390 del 2011), indipendentemente dal motivo posto dal giudice a base della declaratoria di inammissibilita’.
In virtu’ della scelta operata dallo stesso giudice di pace di svolgere e definire il procedimento con il provvedimento impugnato, la parte opponente non doveva quindi proporre appello, ma immediato ricorso per cassazione, dovendosi aver riguardo al rimedio esperibile avverso il provvedimento apparentemente emesso.
4. Nel merito il ricorso e’ fondato atteso che, come questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare, ove sia stato intimato da un Comune ad un privato il pagamento di una somma ed il privato abbia promosso il giudizio di opposizione con le modalita’ del procedimento di opposizione ad ordinanza-ingiunzione anziche’ con il rito dell’opposizione all’esecuzione di cui all’articolo 615 cod. proc. civ., cio’ non costituisce di per se’ motivo di inammissibilita’ della domanda, ne’ di invalidita’ assoluta del giudizio, essendo il giudice tenuto, anche d’ufficio, a disporre la conversione del rito e a fissare un termine per l’eventuale integrazione dell’atto introduttivo (Cass. n. 10746 del 2012; Cass. n. 16481 del 2011).
Il giudice di pace, pertanto, avrebbe dovuto in ogni caso fissare l’udienza per la trattazione del ricorso e, ove avesse ritenuto che fosse stata introdotta un’opposizione all’esecuzione, avrebbe dovuto disporre il cambiamento di rito.
5. Il ricorso va dunque accolto, con conseguente cassazione del provvedimento impugnato, con rinvio ad altro Giudice di pace di Bologna, che procedera’ a nuovo esame alla luce dell’indicato principio di diritto.
Al giudice di rinvio e’ demandata altresi’ la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimita’, a altro Giudice di pace di Bologna.

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