Cassazione 13

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 24 febbraio 2016, n. 7521

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza 20.05.2013 la Corte di Appello di Napoli confermava la pronuncia con cui, il precedente 03.08.2009, il g.o.t. del Tribunale di Napoli, all’esito dei relativo processo condotto con le forme del rito abbreviato, aveva dichiarato B.C. colpevole dei reato di evasione – per essersi allontanato arbitrariamente dalla propria abitazione, ove trovavasi ristretto in regime di arresti domiciliari – per l’effetto condannandolo, previa concessione delle attenuanti generiche dichiarate equivalenti alla contestata recidiva infraquinquennale, alla pena di giustizia di mesi quattro di reclusione.
2. Avverso detta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, avv. S.D., lamentando:
a) violazione dell’art. 178 del codice di rito, per avere la Corte anzidetta indebitamente disatteso, per ritenuta intempestività, la richiesta di differimento del processo, avanzata dalla difesa in ragione dei sopravvenuto stato di detenzione (agli arresti domiciliari) del B. per altra causa;
b) violazione dell’art. 385 cod. pen., malamente ritenuto integrato, pur in presenza “di una condotta non diretta a comportare l’irreperibilità dell’obbligato o tesa a compromettere e/o rendere più difficoltosa la vigilanza dell’Autorità”, essendosi limitato l’imputato a stazionare ad una distanza minima dall’ingresso del “tipico basso napoletano” che ne costituisce l’abitazione, al fine di fumare una sigaretta (a dorso nudo ed in pantaloncini), essendo la moglie in stato interessante, alla 33^ settimana, ed intenta a rassettare casa.

Considerato in diritto

1. II ricorso proposto è manifestamente infondato e va pertanto dichiarato inammissibile, con ogni consequenziale statuizione a mente dell’art. 616 cod. proc. Pen., come da dispositivo.
2. Per ciò che concerne il primo e preliminare profilo di doglianza, dagli atti di causa – che la Corte è legittimata a compulsare in ragione della natura processuale della questione di cui trattasi – emerge che, effettivamente, all’udienza del 20.05.2013, a fronte della preliminare richiesta di rinvio formalizzata dalla difesa del B., in ragione dei suo sopravvenuto stato di restrizione cautelare agli arresti domiciliari per altra causa, il giudice distrettuale, ritenuto il carattere intempestivo del motivo di legittimo impedimento addotto – appunto poiché rappresentato per la prima volta in quella sede, per di più sulla scorta di imprecisata documentazione, qualificata “non dei tutto pertinente” – ebbe a rigettare l’istanza, pervenendo in pari data all’adozione della censurata sentenza, nella dichiarata contumacia dell’imputato.
Tanto premesso, è consolidato l’orientamento giurisprudenziale che pone a carico dell’imputato, che adduca l’esistenza di una situazione di impedimento basata su di un sopravvenuto stato di restrizione agli arresti domiciliari, l’onere di richiedere tempestivamente l’autorizzazione a comparire in udienza al giudice competente, in tal caso non essendo configurabile l’obbligo dell’A.G. procedente di disporne la traduzione (cfr. Cass. Sez. 5, sent. n. 12690 dei 10.11.2014 – dep. 25.03.2015, Rv. 263887; Cass. Sez. 5, sent. n. 8876 del 22.12.2014 – dep. 27.02.2015, Rv. 263423; Cass. Sez. 5, sent. n. 30825 dell’01.07.2014, Rv. 262402; Cass. Sez. 6, sent. n. 36384 dei 25.06.2014, Rv. 260620). Orientamento che si conforma al dettato delle Sezioni Unite, che, con sentenza del 2010, ponendo l’accento sulla circostanza, normativamente prevista, che nel giudizio camerale la presenza dell’imputato non assume carattere necessitato, ebbero a stabilire che l’eventuale volontà dello stesso di presenziare all’udienza a suo carico, pur indubbiamente rilevante, va tuttavia contemperata con l’esigenza, pure di rango costituzionale, di ragionevole durata del processo, da ciò facendo discendere l’anzidetto onere, gravante appunto sull’imputato, “di richiedere al giudice competente l’autorizzazione a recarsi in udienza o di essere ivi accompagnato o tradotto”: donde solo in forza di tempestiva richiesta dell’interessato di presenziare e di rigetto dei provvedimenti del caso ad opera dei giudice della restrizione, vi è l’obbligo per quello che procede, a pena di nullità assoluta, di disporre la traduzione dell’imputato, in tal caso “essendo inibita la celebrazione del giudizio in sua assenza” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. n. 35399 del 24.06.2010, Rv. 247837).
Ebbene, a detto onere, vertendosi qui in ipotesi di giudizio camerale, l’odierno ricorrente è rimasto del tutto inadempiente, avendo formulato solo il giorno dell’udienza, a mezzo del proprio difensore, l’istanza, peraltro non di traduzione, bensì di differimento tout court dell’udienza, senza in alcun modo specificare, alla stregua di quanto emerge dal relativo verbale d’udienza, né da quanto tempo fosse sopravvenuto lo stato di restrizione domiciliare per altra causa, né in quale luogo tale misura cautelare fosse stata applicata, così non consentendo alla Corte di valutare doverosamente la sussistenza della possibilità di porla previamente a conoscenza dei sopraggiunto stato di restrizione e comunque neppure di adottare un ipotetico provvedimento di traduzione, ove si consideri che il decreto di citazione per il giudizio d’appello risulta essere stato notificato presso il difensore del B., ai sensi dell’art. 161 co. 4 cod. proc. pen., non essendo andata a buon fine la notifica presso l’imputato, in quanto “sloggiato” dall’abitazione risultante in atti.
Logico corollario di quanto precede è l’assoluta inconsistenza della doglianza difensiva, del resto resa palese dal carattere non conferente del richiamo giurisprudenziale operato, atteso che la sentenza 26.09.2006 delle Sezioni Unite n. 37483 concerne l’ipotesi, affatto diversa, del sopravvenuto stato di restrizione, anche domiciliare, dell’imputato nell’ambito del giudizio ordinario, per il quale solo non è configurabile a carico dell’imputato alcun onere di preventiva e tempestiva comunicazione all’A.G. dell’impedimento, in ragione del suo incondizionato diritto a presenziarvi.
3. Altrettanto inconsistente è la residuale doglianza.
Invero, è ius receptum che “L’evasione consistente nell’allontanamento del detenuto agli arresti domiciliare dal luogo in cui è autorizzato a svolgere attività lavorativa richiede il dolo generico, caratterizzato dalla consapevolezza di allontanarsi in assenza della necessaria autorizzazione, a nulla rilevando i motivi che hanno determinato la condotta dell’agente” (così Cass. Sez. 6, sent. n. 19218 dell’08.05.2012, Rv. 252876), onde nessun pregio riveste la giustificazione addotta, secondo cui – come detto – il B. si era limitato a posizionarsi ad una distanza minima dall’ingresso del ‘tipico basso napoletano’ che ne costituisce l’abitazione, al fine di fumare una sigaretta (a dorso nudo ed in pantaloncini), mentre la moglie, incinta alla 33^ settimana, era impegnata a rassettare casa. Non senza rilevare come la giustificazione medesima costituisca la mera reiterazione dell’argomento già prospettato innanzi alla Corte distrettuale e da questa confutato anche nel merito, senza che il punto sia stato minimamente preso in considerazione dal ricorrente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della cassa delle ammende.

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