Cassazione 6

SUPREMA CORTE  DI CASSAZIONE

SEZIONE III

sentenza 7 marzo 2016, n. 9229

Ritenuto in fatto

Il Tribunale di Cremona, con ordinanza resa in data 9 gennaio 2015, ha accolto la richiesta di riesame, presentata da C.C. , in qualità di legale rappresentante pro tempore di MPO & Partners Professional Trustee Spa, avverso il sequestro preventivo disposto dal Gip di quello stesso Tribunale, in data 15 dicembre 2014, in relazione ai beni costituenti il trust denominato (…), del quale la Società ricorrente (di seguito MPO) svolge le funzioni di trustee, annullando pertanto il citato provvedimento.

Va precisato che nel corso di indagini svolte a carico di G.G. , ed altri, in relazione numerose ipotesi di reati tributari commessi nell’ambito di una costituita associazione per delinquere, era stato disposto, oltre che una misura cautelare personale a carico del G. , anche il citato sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, sino alla concorrenza di oltre 10.000.000,00 di Euro, dei beni facenti parte del ricordato trust gestito dalla MPO.

Nell’accogliere l’istanza di riesame il Tribunale di Cremona, in sostanza, ha rilevato che, sebbene il compendio costituente il patrimonio del trust sia stato conferito dal G. , il quale prima della sua cessione alla MPO svolgeva anche le funzioni di gestore (mentre dopo l’attribuzione di tale compito alla MPO egli si è riservato la qualifica di “Guardiano”) del patrimonio in questione, tuttavia allo stato attuale, una volta intervenuto in data 3 febbraio 2014 la sostituzione del trustee da G. alla MPO, avendo quello perso ogni potere di gestione dei beni conferiti ne (…), gli stessi non potevano più essere sottoposti a sequestro nel corso delle indagini in corso a carico del G. , in quanto non più nella sua disponibilità, come, invece, richiesto dall’art. 321 cod. proc. pen..

Il provvedimento impugnato era stato, pertanto, annullato limitatamente ai beni immobili ed ai conti correnti sequestrati al trust (…) ed era stata disposta la loro restituzione in favore della MPO in qualità di trustee.

Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Cremona, deducendo il vizio di violazione di legge per non avere il Tribunale tenuto conto del fatto che l’originario negozio di costituzione del trust era viziato in quanto il disponente G. , il quale si era inizialmente riservato la posizione di trustee, non aveva perso il controllo dei beni una volta che questi erano stati trasferiti al trust, come è, invece, prescritto, a pena di nullità del negozio costitutivo, dalla normativa di settore.

Il ricorrente ha, altresì, rilevato che il Tribunale aveva errato nel non aver considerato che, ai sensi degli artt. 189 e 192 cod. pen., sono inefficaci gli atti di disposizione a titolo gratuito compiuti dall’autore del reato dopo la sua commissione; tale inefficacia ne comporta la inopponibilità con riferimento ai crediti in ordine ai quali lo Stato ha ipoteca legale e segnatamente in ordine alle somme dovute dal condannato all’Erario.

Ha, infine, il ricorrente dedotto la violazione degli artt. 321 e 322-ter cod. proc. pen., affermando la inosservanza da parte del Tribunale di Cremona dei limiti posti alla possibilità di sottoporre a sequestro preventivo i beni conferiti in un trust.

In data 24 giugno 2015, la difesa della MPO ha depositato presso la cancelleria di questa Sezione una articolata memoria a confutazione degli argomenti contenuti nel ricorso.

Considerato in diritto

Il ricorso è risultato fondato ed esso è, pertanto, meritevole di accoglimento.

Va preliminarmente osservato che con il ricorso introduttivo il Procuratore della Repubblica di Cremona non ha inteso contestare i termini motivazionali del provvedimento impugnato (nel qual caso la impugnazione sarebbe stata inammissibile stante l’espressa limitazione posta dall’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. alla possibilità di impugnare di fronte a questa Corte i provvedimenti in materia di sequestro cautelare relativamente al solo vizio di violazione di legge), ma la sua conformità al dettato legislativo, quale esso è interpretato in base al diritto vivente; il ricorso è, pertanto, sotto il profilo dianzi esaminato perfettamente ammissibile.

Osserva, a questo punto, la Corte che la questione sottoposta al suo esame attiene alla possibilità di sottoporre, nel corso delle indagini preliminari, a misure cautelari reali, nella specie si tratta di sequestro preventivo strumentale ad una successiva confisca per equivalente, beni in relazione ai quali l’indagato ha attuato meccanismi di segregazione patrimoniale, tali da condurre ad una diversificazione fra il suo patrimonio personale, pacificamente aggredibile, e quello segregato, che viceversa potrebbe essere inteso in linea di principio escluso dall’ambito della pretesa ablatoria, e quindi anche cautelare, del giudice penale.

Al riguardo questa Corte è giunta ad approdi ermeneutici che, come fra breve si esporrà, appaiono essersi fermamente consolidati e che sono del tutto condivisi da questo Collegio.

Come, infatti, è stato di recente rilevato, ai fini della dimostrazione della assoggettabilità a sequestro del bene formalmente attribuito a soggetti terzi rispetto all’indagato, grave sull’organo della pubblica accusa l’onere di provare l’esistenza di una situazione che avalli concretamente la prospettata ipotesi di scarto fra la realtà apparente – in contemplazione della quale il bene in questione in quanto nelle disponibilità di soggetti terzi rispetto all’indagato dovrebbe andare esente dalla possibilità di essere confiscato – e la pretesa realtà effettuale – in forza della quale, invece, a dispetto dell’apparenza, la permanenza del bene nella materiale disponibilità dell’indagato, renderebbe possibile la ablazione di esso da parte dello Stato quale conseguenza della eventuale condanna subita dallo stesso indagato -; per converso spetta al giudice della cautela valutare, previa loro stringente controllo, la concludenza dimostrativa degli elementi addotti dalla pubblica accusa onde verificare se i dati probatori, anche meramente indiziari o frutto della applicazione di massime di esperienza, forniti dalla pubblica accusa portano a deporre nel senso della strumentalità, anche tramite modalità simulatorie, della intestazione del bene al terzo esclusivamente, o quantomeno principalmente, finalizzata allo scopo di sottrarre il compendio patrimoniale all’interesse dello Stato alla confisca del profitto e del prodotto del reato.

Analoghi principi valgono laddove alla azione ablatoria dello Stato sia stata opposta – non dall’indagato che in ipotesi non sarebbe legittimato a far valere un suo interesse in tal senso – dal terzo l’esistenza di istituti di segregazione patrimoniale, espressamente disciplinati dal legislatore civile al fine di consentire all’individuo, onde conseguire scopi ritenuti socialmente meritevoli di tutela, l’attivazione di strumenti di preservazione patrimoniale idonei a salvaguardare un compendio di beni a lui pertinenti dalla azione esecutiva dei creditori.

La prassi giurisprudenziale ha, a tal proposito, posto in discussione la compatibilità fra la azione ablatoria del giudice penale ed il conferimento da parte dell’indagato di beni in un fondo patrimoniale familiare ovvero la costituzione di un trust destinato alla amministrazione degli stessi.

Per quanto attiene al fondo patrimoniale – istituto di diritto civile previsto e disciplinato dagli artt. 167 e ss cod. civ. allo scopo (ritenuto meritevole di tutela dal legislatore, in quanto volto a assicurare il sostentamento della famiglia, società naturale fondata sul matrimonio, avente nel nostro ordinamento primaria rilevanza costituzionale) di rendere un compendio di beni, destinati da uno o da ambedue i coniugi “a far fronte ai bisogni della famiglia”, impermeabile, per come risulta chiaramente dalla previsione contenuta nell’art. 170 cod. civ., alle azioni esecutive intentate dai creditori particolari dei coniugi, laddove costoro siano consapevoli, ovvero lo debbano ragionevolmente essere, che le obbligazioni azionate erano state contratte per scopi estranei ai bisogni della famiglia – la soluzione in ordine alla confiscabilità dei beni in tal modo segregati è agevole sotto il duplice profilo; infatti, per un verso la titolarità del bene destinato ad alimentare il fondo non cessa in capo al disponente, al massimo essa, se non è diversamente previsto dal titolo costitutivo, si trasmette anche all’altro coniuge ai sensi dell’art. 168 cod. civ., sicché non vi è alcun ostacolo formale alla piena applicazione degli artt. 321 cod. proc. pen. e 323-ter cod. pen., i quali impongono che il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente ricada su beni in relazione ai quali il reo abbia almeno un legame di disponibilità; per altro verso la finalità del fondo patrimoniale, tutta rivolta alla salvaguardia dei beni necessari per il sostentamento della famiglia dalla azioni esecutive che traggono origine da obbligazioni assunte per scopi estranei a tale specifico tema, rende irrilevante la sua istituzione laddove si discuta non di attuazione coattiva di obbligazioni civili ma di strumenti, ancorché riguardanti beni ed interessi di rilevanza patrimoniale, aventi tuttavia valenza sanzionatoria (sulla natura sanzionatoria della confisca per equivalente si veda, da ultimo, Corte di cassazione, Sezione II penale, 27 marzo 2015, n. 13017; mentre sulla irrilevanza, ai fini della sua soggezione a sequestro preventivo, del fatto che il bene sia stato destinato ad un fondo patrimoniale: Corte di cassazione, Sezione III penale, 15 ottobre 2012, n. 40364).

Più articolata la questione per ciò che attiene al trust.

Come è stato di recente puntualizzato da questa Corte con la sentenza n. 15804 del 2015, caratteristica fondamentale del suddetto istituto giuridico, è il trasferimento di beni ad un soggetto terzo, il trustee, per effetto del quale la posizione segregata diviene indifferente alle vicende attinenti sia al soggetto disponente (settlor) sia al soggetto trasferitario.

I beni trasferiti, pur appartenendo al trasferitario (trustee), non sono suoi: il diritto trasferito, non limitato nel suo contenuto, lo è invece nel suo esercizio, essendo finalizzato alla realizzazione degli interessi dei beneficiari. Questo meccanismo comporta che i creditori del settlor non possono soddisfarsi sui beni conferiti in trust perché essi sono nella proprietà del trustee; che i creditori del trustee a loro volta non possono del pari soddisfarsi perché i beni sono oggetto di segregazione; che i creditori dei beneficiari possono soddisfarsi soltanto sulle attribuzioni che in pendenza di trust sono loro effettuate.

Soltanto allo scioglimento del trust i creditori dei beneficiari potranno soddisfarsi su quanto è loro attribuito. Infine, è importante rilevare che il trust è costituito dal disponente (nella specie l’indagato) con un atto unilaterale non recettizio (cfr. art. 2 Convenzione de L’Aia ratificata con legge n. 364 del 1989) che, nel caso di specie (trust familiare) ha natura gratuita.

Si ponga anche attenzione alla circostanza che il trust può essere costituito anche a fini meramente simulatori: infatti, in tale ipotesi, la giurisprudenza di questa Corte, ha chiarito che presupposto coessenziale alla stessa natura dell’istituto è che il detto disponente perda la disponibilità di quanto abbia conferito in trust, al di là di determinati poteri che possano competergli in base alle norme costitutive. Tale condizione è ineludibile al punto che, ove risulti che la perdita del controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo (sham trust) e non produce l’effetto segregativo che gli è proprio (Corte di cassazione, Sezione V penale, 30 marzo 2011, n. 13276).

In tali ipotesi, è ovvio che l’onere probatorio gravante sul Pubblico Ministero è quello proprio dei negozi simulati.

A tal proposito, va rammentato che la giurisprudenza di questa Corte, proprio al fine di evitare che il trust, in considerazione dei più svariati motivi per cui può essere costituito, possa diventare un facile strumento di elusione di norme imperative, ha chiarito che il programma di segregazione corrisponde solo allo schema astrattamente previsto dalla Convenzione, laddove il programma concreto non può che risultare sulla base del singolo regolamento d’interessi attuato, rappresentando esso la causa concreta del negozio, secondo la nozione da tempo recepita, nell’ambito del diritto dei contratti, da questa Corte. Quale strumento negoziale astratto, il trust può essere piegato, invero, al raggiungimento dei più vari scopi pratici; occorre perciò esaminare, al fine di valutarne la liceità, le circostanze del caso di specie, da cui desumere la causa concreta dell’operazione: indagine questa particolarmente rilevante nei riguardi di uno strumento giuridico estraneo alla nostra tradizione civilistica e che si affianca, in modo particolarmente efficace, ad altri esempi di intestazione fiduciaria volti, con finalità frequentemente frodatorie, all’elusione di norme imperative (in questi termini: Corte di cassazione, Sezione I civile, 9 maggio 2014, n. 10105).

Ed è proprio a questa conclusione che questa Corte è pervenuta in un caso in cui confermò il sequestro conservativo di un trust ritenendo sufficiente la prova della semplice volontà di distrarre i beni, nell’occasione desunta dall’immediato reimpiego delle ingentissime somme ricavate dalla vendita degli immobili della persona offesa attraverso il sofisticato strumento della costituzione di un trust, dovendosi ritenere che questo fosse un chiaro indice della volontà degli imputati di distrarre i beni dalla azione esecutiva dello Stato (Corte di cassazione, Sezione II penale, 28 giugno 2012, n. 25520).

È irrilevante, quindi, che l’indagato abbia costituito un trust, se quello strumento sia stato utilizzato al fine di sottrarre i beni alla confisca.

Non si può, infatti, né consentire né ammettere che il semplice utilizzo di un lecito istituto giuridico sia sufficiente ad eludere la rigida normativa prevista nel diritto penale a presidio di norme inderogabili di diritto pubblico.

Come è stato, perciò, compendiato dalla recente giurisprudenza di questa Corte, gli elementi che si devono ben focalizzare, al di là del conseguito risultato del programma di segregazione, onde evidenziarne le reali finalità, sono i seguenti:

– la struttura giuridica: il trust familiare, come si è detto, è costituito dall’indagato con un semplice atto unilaterale non recettizio di natura gratuita a favore di stretti familiari, senza pertanto, una reale uscita del patrimonio dall’orbita di interesse del soggetto disponente;

– l’effetto giuridico: il trust rientra fra i negozi fiduciari, così come l’interposizione reale in cui l’interposto – e cioè una terza persona – a seguito di un accordo fiduciario, amministra e gestisce i beni dell’indagato: l’analogia, mutatis mutandis, fra l’interposizione reale, per la quale è pacifica l’ammissibilità del sequestro dei beni amministrati dall’interposto, con l’effetto segregativo del trust, è evidente;

– le conseguenza pratiche e fattuali: a seguito della costituzione del trust familiare, i beni dell’indagato restano comunque in ambito familiare, sicché, come già sopra segnalato, essi continuano a rimanere nella sua disponibilità da intendersi in senso lato, non potendo su di essa far velo l’effetto giuridico creato dallo stesso indagato, che si limita a spogliarsi del potere dispositivo sui beni. Si rammenti, infatti, che, da sempre (sia nei processi civili che nei procedimenti di sequestro penali), l’atto gratuito a favore dei congiunti – tanto più se effettuato in tempi sospetti – è considerato l’elemento indiziario più significativo e di per sé sufficiente a fare ritenere la simulazione dell’atto, così come, nessuno mette in dubbio che anche l’interposizione reale (ossia un negozio fiduciario così come lo è il trust), una volta provata, rientri fra i casi in cui è ammessa la confisca (Corte di cassazione, Sezione II penale, 18 aprile 2015, n. 15804).

Vi è, d’altra parte, da segnalare – a riprova della natura atipica del rapporto che lega il trustee ai beni conferito nel trust, tale da escludere che la sua sia, rispetto ad essi, una posizione dominicale piena tale da esautorare completamente la posizione del disponente, ma dovendosi, per converso, riconoscere che sui beni permanga, quanto meno sotto il profilo della loro destinazione, un vincolo riconducibile alla volontà dell’originario disponente, che pertanto conserva, pur dopo la costituzione del trust, una forma di dominio sui beni ad esso conferiti – che si è ritenuto integrare il reato di appropriazione indebita la condotta del trustee che destini i beni conferiti in trust a finalità proprie o comunque diverse da quelle per la realizzazione delle quali il negozio fiduciario è stato istituito, in quanto l’intestazione formale del diritto di proprietà al trustee ha solo la valenza di una proprietà temporanea e funzionalizzata, che non consente di disporre dei beni in misura piena ed esclusiva (Corte di cassazione, Sezione II penale, 3 dicembre 2014, 50672).

Non resta, ora, che verificare se il Tribunale si sia o meno attenuto ai suddetti principi di diritto.

Come si è detto, il Tribunale di Cremona ha revocato il sequestro disposto dal giudice per le indagini preliminari, adducendo, a sostegno della effettività del trasferimento dei beni il fatto che la loro materiale gestione fosse stata attribuita dal G. ad una società fiduciaria, appunto la ricorrente MPO.

Tale elemento non è, di per sé, ad avviso del Collegio idoneo a sostenere la estraneità dell’indagato rispetto alla disponibilità dei beni stessi.

Infatti il Tribunale di Cremona ha del tutto trascurato di verificare quale fosse la compagine sociale della MPO, cioè se in essa fosse presente una qualche cointeressenza del G. , e quale fosse il contenuto nel negozio, anche con riferimento alla sua natura gratuita od onerosa, attraverso il quale il G. ha trasferito l’incarico di trustee de (…) dalla sua persona a quella della MPO: ha, altresì, omesso di considerare l’ampiezza dei residui poteri ancora rimasti al G. nella sua perdurante qualità di “Guardiano”, come puntualmente richiamati dal ricorrente Pm; ha, ancora, omesso di valutare, sotto il profilo della sua attuale validità, la circostanza che ab origine il negozio costitutivo del trust fosse verosimilmente viziato, considerata la sostanziale permanenza in capo al disponente dei poteri di gestione dei beni conferiti, stante la sua investitura, contestuale alla costituzione del trust, come trustee, di tal ché la novazione soggettiva consistente nella sostituzione del soggetto avente la qualifica di trustee potrebbe essere affetta da nullità derivata; ha trascurato di valutare, sotto il profilo della rilevanza causale concreta del negozio (cioè se lo stesso fosse in concreto destinato a svolgere una funzione elusiva di norme imperative), il fatto che il trasferimento dei poteri connessi alla qualifica di trustee dal G. alla MPO sia intervenuto in data 3 febbraio 2014, quando cioè le indagini a suo carico già erano iniziate e quindi in periodo sospetto; ha, infine, omesso di considerare che i beneficiari del trust nonché dei redditi da esso percepiti sono le figlie del G. , quindi persone a questo verosimilmente legate che da vincoli di solidarietà familiare che potrebbero essere indice della natura essenzialmente simulatoria del negozio stesso.

Di tutti questi indici sintomatici della perdurante assoggettabilità a sequestro preventivo, strumentale ad una eventuale confisca per equivalente, dei beni conferito dal G. nel trust (…), il Tribunale di Cremona non ha affatto e comunque, non ha in maniera convincente, tenuto conto, in tale modo facendo cattivo governo delle disposizioni normative in materia di sequestro preventivo, così come le stesse sono state oggetto di interpretazione, in fattispecie analoga alla presente, da questo organo nomofilattico.

Il provvedimento impugnato deve, pertanto, essere annullato con rinvio al Tribunale di Cremona, che, in diversa composizione personale, provvederà nuovamente ad esaminare, facendo applicazione dei principi dianzi esposti, la richiesta di riesame del provvedimento di sequestro conservativo emesso in data 15 dicembre 2014 dal Gip del Tribunale di Cremona ed avente ad oggetto i beni nella apparente proprietà del trust (…) puntualmente indicati come tali nel provvedimento ora annullato.

P.Q.M.

Annulla la ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Cremona.

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