Corte di Cassazione, sezione VI tributaria, ordinanza 18 aprile 2017, n. 9755

Nella fase amministrativa e, soprattutto, contenziosa, incombe sul contribuente l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale gli studi di settorefanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI tributaria

ordinanza 18 aprile 2017, n. 9755

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere

Dott. VELLA Paola – Consigliere

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6494/2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3716/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI PALERMO – SEZIONE DISTACCATA DI CATANIA, depositata il 07/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 02/03/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON;

disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del Presidente e del Relatore.

RILEVATO IN FATTO

che:

Con sentenza in data 15 luglio 2015 la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione distaccata di Catania, accoglieva l’appello proposto da (OMISSIS) avverso la sentenza n. 306/6/11 della Commissione tributaria provinciale di Catania che ne aveva parzialmente accolto il ricorso contro l’avviso di accertamento IRAP, IRPEF ed altro, IVA ed altro 2004. La CTR osservava in particolare che, trattandosi di accertamento basato sullo studio di settore e dunque su presunzioni semplici, l’Ente impositore non aveva adeguatamente giustificato ed asseverato la propria pretesa impositiva con la necessaria implementazione probatorio/indiziaria ulteriore rispetto allo scostamento dallo studio di settore applicato.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate deducendo due motivi.

Resiste con controricorso il contribuente.

La ricorrente ha presentato memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

Con il primo motivo – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – l’Agenzia fiscale ricorrente denuncia vizio motivazionale, mancando lo sviluppo argomentativo della affermazione di infondatezza della pretesa azionata con l’atto impositivo impugnato.

La censura e’ infondata.

La sentenza impugnata risulta infatti conforme allo standard del “minimo costituzionale” (Sez. U. 8053/2014), contenendo una risposta succinta, ma effettiva sulla questione di merito sottopostale con il gravame e costituente l’oggetto essenziale della lite ossia in particolare sul “coefficiente di ricarico” del costo del venduto e piu’ in generale sulla non adeguatezza delle prove presuntive fatte valere dall’Ente impositore.

Con il secondo motivo – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – vi e’ doglianza per violazione del Decreto Legge n. 332 del 1993, articolo 62 bis, poiche’ la CTR non ha adeguatamente valorizzato in malam partem l’omessa partecipazione del contribuente al contraddittorio endoprocedimentale quale obbligatoriamente attivato.

La censura e’ infondata.

Va infatti ribadito che “I parametri o studi di settore previsti dalla L. n. 549 del 1995, articolo 3, commi 181 e 187, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralita’ di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rilevano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ex articolo 39, comma 1, lettera d, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attivita’ dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, si’ da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilita’ dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento. (Principio affermato ai sensi dell’articolo 360 bis c.p.c., comma 1, n. 1)” (Sez. 5, Sentenza n. 14288 del 13/07/2016, Rv. 640541-01) e che “L’accertamento tributario standardizzato mediante applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravita’, precisione e concordanza non e’ ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in se’ considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditivita’ – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullita’ dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, questi ha l’onere di provare, senza limitazione di mezzi e contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realta’ dell’attivita’ economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non puo’ esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma va integrata con la dimostrazione dell’applicabilita’ in concreto dello standard prescelto e le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilita’ dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilita’ degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non e’ vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della piu’ ampia facolta’, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa. In tal caso, pero’, egli ne assume le conseguenze, in quando l’Ufficio puo’ motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilita’ di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice puo’ valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito” (Sez. 5, Sentenza n. 11633 del 15/05/2013, Rv. 626925-01).

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tali principi di diritto, valutando in concreto, pur con succinta motivazione, le allegazioni delle parti nonche’ il relativo supporto probatorio, quindi esprimendo un giudizio di merito che in questa sede non puo’ essere ulteriormente sindacato, in virtu’ del principio che “Con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non puo’ rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in se’ coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, e’ sottratto al sindacato di legittimita’, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non e’ conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilita’ e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Sez. 6-5, Ordinanza n. 7921 del 2011).

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13 comma 1 quater (Sez. 6-L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714 – 01).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia fiscale ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 4.100 oltre Euro 200 per esborsi, 15% per contributo spese generali ed accessori di legge.

Motivazione semplificata.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *