Corte di Cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezion unite

sentenza  24 ottobre 2014, n. 22611

Svolgimento del processo

1. – Il magistrato dr. N.M. , con ricorso dell’8 aprile 2014, ha impugnato per cassazione – deducendo sette motivi di censura -, nei confronti del Ministro della giustizia e del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, la sentenza della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura n. 32/2014 del 13 dicembre 2013-20 febbraio 2014, con la quale la Sezione disciplinare, pronunciando sull’azione disciplinare promossa dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione nei confronti del dr. Niro, incolpato dell’illecito disciplinare di cui agli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, lettera q), del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, sulle conclusioni del Procuratore generale – il quale aveva chiesto la condanna dell’incolpato, con sospensione dalle funzioni per 12 mesi – e del difensore dell’incolpato – il quale aveva chiesto l’assoluzione dello stesso incolpato, perché il fatto non costituisce illecito disciplinare, o, in subordine, per l’irrogazione di una sanzione adeguata all’effettivo disvalore disciplinare -, ha così provveduto: “Dichiara il dr. N.M. responsabile dell’incolpazione ascrittagli e gli infligge la sanzione disciplinare della sospensione dalle funzioni per anni uno con il conseguente collocamento fuori del ruolo organico della magistratura”.
1.1. – Il Ministro della giustizia, benché ritualmente intimato, non si è costituito né ha svolto attività difensiva.
1.2. – Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
2. – Il capo di incolpazione che è stato contestato al dr. N. , di cui alla citata sentenza n. 32/2014 della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, è così testualmente formulato:
“[….] incolpato della violazione di cui agli artt. 1 e 2, comma 1, lettere q), D. lvo. n. 109/2006 perché, nell’esercizio delle funzioni monocratiche di giudice del Tribunale di sorveglianza di Firenze, nel periodo ricompreso tra il 12.11.2010 e il 3.9.2012, nonostante fosse stato già condannato più volte in precedenza per fatti analoghi, depositava in ritardo 1110 provvedimenti (su di un totale di 3948; v. elenchi allegati), così violando i doveri di diligenza e di operosità.
I ritardi – come risulta dagli elenchi allegati – riguardano pressoché l’intera tipologia di provvedimenti propri della funzione esercitata dall’incolpato; in particolare il Dott. N. ha depositato in ritardo, e cioè oltre i 5 giorni previsti in via generale dall’art. 128 c.p.p. per i provvedimenti adottati in camera di consiglio, n. 112 provvedimenti in materia di liberazione anticipata, con ritardo massimo di gg. 427 (all. 1/6); n. 16 provvedimenti in materia di esecuzione della pena presso il domicilio, con ritardo massimo di gg. 285 (all. 1/7); n, 26 provvedimenti in materia di espulsione, con ritardo massimo di gg. 351 (all. 1/3); n. 26 provvedimenti in materia di permessi, con ritardo massimo di gg. 455 (all. 1/8); n. 175 provvedimenti in materia di trasferimento in ospedale, con ritardo massimo di gg. 121 (ali. 1/9); ha inoltre depositato in ritardo 148 provvedimenti in materia varia (già pendenti alia data del 12.11.2010 e per i quali sono stati computati solo i ritardi maturati successivamente, all. 2), con ritardi massimi di gg. 670 in materia di ammissioni al gratuito patrocinio, gg. 582 in materia di istanza per la concessione di grazia, gg. 657 in materia di liberazione anticipata e gg. 362 in materia di espulsione.
Con le sopradescritte condotte il dr. N. è incorso in gravi, reiterati ed ingiustificati ritardi nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle sue funzioni che oltrepassano i limiti della ragionevolezza, ponendo in essere un vero e proprio diniego di giustizia, compromettendo così la credibilità ed il prestigio suoi personali e dell’ordine giudiziario.
Fatti emersi nel corso dell’attività di accertamento svolta dal Presidente del Tribunale di sorveglianza di Firenze alle date del 12.11.2010 e 23.6.2011”.
2.1. – In particolare – e per quanto in questa sede ancora rileva -, la Sezione disciplinare:
A) Dopo aver premesso alcuni principi sull’illecito disciplinare di cui all’art. 2, comma 1, lettera q), del d. lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, ha affermato: “Nel caso in esame l’entità dei ritardi che hanno superato qualsiasi limite di ragionevolezza appare del tutto ingiustificabile ed il loro susseguirsi in un arco di tempo circoscritto esclude sia la occasionante che l’attribuibilità ad una situazione contingente e temporanea. Se circostanze di tipo soggettivo e dipendenti dalla particolare situazione di lavoro, dal particolare carico del ruolo, da carenze organizzative, dalla necessità di sovrapporre attività di diversa natura potrebbero, in astratta ipotesi, giustificare l’accumulo di ritardi nel deposito dei provvedimenti, deve tuttavia rilevarsi che quando essi, per quantità e per durata, superano ogni limite di comprensibile ragionevolezza, deve essere addebitata al magistrato la responsabilità per aver causato una situazione di diniego di giustizia che di per se stessa costituisce elemento dell’illecito disciplinare. Invero nel lungo periodo esaminato si è verificata una situazione di ritardi che hanno superato i limiti sopra indicati. Va premesso che, ovviamente, il legislatore ha fissato nell’articolo 128 c.p.p. il termine di cinque giorni per il deposito delle ordinanze, termine ordinatorio che ovviamente deve esser modulato con le esigenze del caso concreto da valutarsi in relazione alla natura del provvedimento ed ai tempi necessari per l’emanazione”.
B) Quanto all’accertamento dei ritardi nel deposito dei provvedimenti relativi ai diversi procedimenti di cui è stato investito l’incolpato, alla luce degli elenchi allegati al capo di incolpazione e delle specifiche eccezioni sollevate dallo stesso incolpato, ha osservato: “Dai dati di cancelleria, e anche tenendo conto degli ovvi e necessari tempi di istruttoria, è possibile accertare il tempo intercorso tra il momento in cui l’istanza era pronta per la definizione e il momento in cui il magistrato ha depositato il provvedimento. Esatte risultano, allo stesso modo, le indicazioni riportate negli elenchi di cancelleria che evidenziano il tempo impiegato dal magistrato per la decisione. Da tali elenchi è agevole verificare quanto si è detto. Né appaiono risolutive le indicazioni del Dott. N. . Restano infatti salde le contestazioni sui tempi di deposito anche al netto delle indicazioni dello stesso, che ha svolto deduzioni generiche sull’onerosità dei propri compiti istituzionali, di fatto riconoscendo che per 108 procedimenti in tema di liberazione anticipata il ritardo contestato è stato effettivo. Dagli allegati è dato di ricavare infatti come, dal momento in cui il procedimento, dopo il visto del p.m., e dunque il compimento dell’istruttoria, al momento della decisione, siano decorsi termini ampiamente superiori a quelli prescritti. Restano fermi allora, sulla base degli elenchi di cancelleria, i dati relativi al tempo intercorso tra il momento in cui le istanze erano pronte per la decisione e il momento in cui sono state depositate le relative decisioni. A nulla vale il rilievo che parecchi, non meglio precisati detenuti (a tale fine si indicano solo otto nominativi) sarebbero stati gravati da un fine pena fungo, che avrebbe reso irrilevante la tempestività del deposito. Ai di là del fatto che il dato numerico indicato non corrisponde al numero delle contestazioni, è noto che parecchie posizioni giuridiche si modificano rendendo ammissibili altri benefici, in ragione della riduzione del fine pena e che comunque ogni definizione deve essere assunta tempestivamente, per il rispetto del sottostante diritto dell’istante”.
C) Quanto alla disciplina applicabile per l’individuazione dei termine di deposito dei provvedimenti del giudice di sorveglianza, ha tra l’altro affermato: “[….] non può accogliersi la tesi difensiva secondo cui il Legislatore non avrebbe potuto specificare termini per i procedimenti di cui ai ritardi in esame. Invero la regola generale prevista dall’art. 128 c.p.p. che prevede il termine generale di cinque giorni per il deposito di ogni provvedimento per cui non sia diversamente disposto ben può applicarsi anche agli atti del Magistrato di Sorveglianza, portando ogni diversa interpretazione a conseguenze illogiche e fuori dalle regole generali del sistema”.
D) Quanto alle altre eccezioni sollevate dall’incolpato riguardo al deposito dei provvedimenti relativi ai procedimenti diversi da quello della liberazione anticipata, ha osservato: “Le altrettanto generiche indicazioni sui restanti benefici, al di là della data di accertamento, anche ove si ritengano esatte le indicazioni dei Dott. N. , non portano a diverse considerazioni. La sostanziale ammissione nella originaria memoria istruttoria che anche questi procedimenti sono stati definiti infatti nei termini risultanti dagli elenchi di cancelleria comporta il riconoscimento della fondatezza di quanto emerge dal capo di incolpazione. Quanto alle ulteriori critiche contenute nella memoria depositata in udienza delle statistiche in particolare indicando carenza di indicazioni in alcuni campi, segnatamente in quelli delle note, di talché non appariva, a suo dire, possibile ritenere affidabile il dato relativo al decorso del termine iniziale, pur accogliendo gli specifici rilievi contenuti nel detto atto, permane una situazione sostanzialmente riconosciuta dalla memoria e dallo stesso incolpato che permette di confermare, condividendola, la ossatura dell’accusa proposta dal Procuratore Generale. E ciò perché, se pur sussiste una confusione su alcuni dati, la puntuale e certamente difficoltosa disamina degli elenchi allegati alla contestazione ha evidenziato in modo incontrovertibile una pluralità certa di ritardi seri individuabile in specifico campo ove si riportano i giorni di definizione di procedimenti dopo il visto del PM ed a istruttoria conclusa”.
E) Ha, infine, individuato la sanzione, “in considerazione della entità e del numero dei ritardi e dei precedenti disciplinari dell’incolpato, nella sospensione dalle funzioni per un anno con il conseguente collocamento fuori del ruolo organico della Magistratura”.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo (con cui deduce: “Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione – art. 606, comma 1, lettera e, c.p.p.”), il ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1., lettere B e D), sostenendo che la radicale contestazione, fin dall’inizio del procedimento disciplinare, di tutte le incolpazioni formulate nei suoi confronti ed il riconoscimento, da parte della stessa Sezione disciplinare, della “confusione” dei dati risultanti dagli elenchi allegati al capo di incolpazione non avrebbero consentito ai Giudici a quibus di affermare, in modo palesemente insufficiente e contraddittorio, il sostanziale riconoscimento degli addebiti da parte dell’incolpato, e che comunque tale vizio si traduce anche in una vera e propria mancanza di motivazione.
Con il secondo motivo (con cui deduce: “Omessa pronuncia sulle numerose eccezioni di nullità e, comunque, di erroneità ed inutilizzabilità degli elenchi allegati all’atto di incolpazione, nonché omessa emanazione di un ordine di svolgimento di una ulteriore istruttoria in relazione ai dati contenuti negli elenchi – art. 606, primo comma, lettere b, c, d, ed e, c.p.p. -. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione – art. 606, primo comma, lettera e, c.p.p. -. Inosservanza e/o erronea applicazione di legge in relazione agli artt. 18, comma 3, lettera a, e 19 comma 2, d. lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, nonché all’art. 6 CEDU – art. 606, primo comma, lettere b e c, c.p.p.”), il ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1., lettera D), anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus, nonostante l’espresso riconoscimento dell’inattendibilità dei dati contenute negli elenchi allegati al capo di incolpazione, e nonostante le puntuali e specifiche eccezioni formulate dallo stesso ricorrente, hanno omesso di esaminare specificamente tali eccezioni, nonché di disporre una nuova istruttoria che tenesse conto delle eccezioni medesime.
Con il terzo motivo (con cui deduce: “Inosservanza e/o erronea applicazione di legge in relazione all’art. 128 c.p.p. ed agli artt. 1 e 2, comma 1, lettera q, d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, nonché dell’art. 8 CEDU – art. 606, primo comma, lettera b, c.p.p. -. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione – art. 606, primo comma, lettera e, c.p.p.”), il ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1., lettere A e C), anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus: a) hanno erroneamente ritenuto applicabile ai procedimenti di competenza del magistrato di sorveglianza l’art. 128 cod. proc. pen. e, in ogni caso, il termine di quindici giorni considerato parametro applicabile ed applicato negli elenchi allegati al capo di incolpazione; b) hanno omesso di tener conto che, invece, la laboriosità del magistrato di sorveglianza deve essere valutata attraverso una indagine comparativa all’interno di un gruppo di magistrati confrontabili ed attraverso ulteriori indici di valutazione della produttività dello stesso magistrato sottoposto ad indagine disciplinare; c) hanno altresì omesso di considerare che, secondo la giurisprudenza della Corte EDU (viene richiamata la sentenza 9 gennaio 2013, Volkov contro Ucraina), l’art. 8 della CEDU, applicabile anche in relazione ai procedimenti disciplinari ivi compresi quelli nei confronti dei magistrati, prevede che l’interferenza dei pubblici poteri nella vita privata esige il rispetto dei requisiti della legittimità, della accessibilità e della prevedibilità, mentre nel caso di specie difetta proprio il requisito della base legale dell’illecito, nel senso che difetta il parametro cui rapportare il ritardo.
Con il quarto motivo (con cui deduce: “Inosservanza e/o erronea applicazione di legge in relazione agli artt. 1 e 2, comma 1, lettera q, nonché 18, comma 3, lettera a, e 19, comma 2, d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, nonché dell’art. 8 CEDU – art. 606, primo comma, lettera b, c.p.p. -. Omesso esame ovvero travisamento degli atti del procedimento – art. 606, primo comma, lettera e, c.p.p. -. Mancata assunzione di prove decisive – art. 606, primo comma, lettera d, c.p.p. -. Mancanza assoluta di motivazione – art. 606, primo comma, lettera e, c.p.p.”), ti ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1., lettere A e C), anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus hanno completamente omesso di accertare e, quindi, di valutare il carico di lavoro dello stesso ricorrente, in assoluto ed in confronto al carico di lavoro ed alla laboriosità di altri magistrati di sorveglianza, tenendo conto delle varie vicende all’esito delle quali al ricorrente medesimo era stata assegnata la gestione dei procedimenti di tutti i detenuti (nel numero di circa 700 persone) della Casa circondariale di Prato.
Con il quinto motivo (con cui deduce: “Mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta anche nel corso dell’istruzione – art. 606, primo comma, lettera d, c.p.p. -. Inosservanza di legge, in relazione agli artt. 1 e 2, comma 1, lettera q, nonché 18, comma 3, lettera a, e 19, comma 2, d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, nonché dell’art. 6 CEDU – art. 606, primo comma, lettera b, c.p.p. -. Omesso esame ovvero travisamento degli atti del procedimento – art. 606, primo comma, lettera e, c.p.p. -. Mancata assunzione di prove decisive – art. 606, primo comma, lettera d, c.p.p. -. Mancanza della motivazione – art. 606, primo comma, lettera e, c.p.p.”), il ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1.), anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus hanno completamente ignorato, senza alcuna motivazione al riguardo, la richiesta di sentire a testimoni due magistrati parimenti assegnati allo stesso Tribunale di sorveglianza di Firenze sulle decisive circostanze concernenti i criteri di ripartizione del lavoro tra tali magistrati, la complessiva situazione organizzativa dell’ufficio e le conseguenze della variazione tabellare, assunta dal Presidente nella primavera del 2011, circa l’assegnazione al solo ricorrente della gestione dei procedimenti relativi alla Casa circondariale di Prato.
Con il sesto motivo (con cui deduce: “-Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione – art. 606, primo comma, lettera e, c.p.p. -. Inosservanza e/o erronea applicazione di legge, in relazione agli artt. 1 e 2, comma 1, lettera q, nonché 18, comma 3, lettera a, e 19, comma 2, d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 – art. 606, primo comma, lettere b e c, c.p.p. -.”), il ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1.), anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus hanno del tutto omesso di considerare in modo specifico, ai fini della sussistenza dell’illecito disciplinare contestato, il carico di lavoro dello stesso ricorrente.
Con il settimo motivo (con cui deduce: “-Mancanza della motivazione – art. 606, primo comma, lettera e, c.p.p. -. Inosservanza e/o erronea applicazione di legge, in relazione agli artt. 1 e 2, comma 1, lettera q, 5 e 12 d. lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 – art. 606, primo comma, lettera b c.p.p. –“), il ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1.), anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus hanno scelto la grave sanzione comminata in violazione del criterio per il quale tale scelta deve essere effettuata con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto ed implica un vero e proprio giudizio di proporzionalità tra il fatto addebitato e la sanzione da irrogare.
2. – Il ricorso merita accoglimento, nei termini di seguito precisati.
2.1. – Con riferimento al terzo motivo, da prendere immediatamente in considerazione per la sua priorità logico-giuridica – premesso che l’art. 2, comma 1, lettera q), del d. lgs. n. 109 del 2006 prevede che “Costituiscono illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni: [….] q) il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni; si presume non grave, salvo che non sia diversamente dimostrato, il ritardo che non eccede il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell’atto” -, deve rilevarsi che è preliminare, quanto ai termini per il compimento degli atti del magistrato di sorveglianza, l’individuazione della “legge” alla quale rapportare gli eventuali ritardi contestati a tale magistrato, senza di che risulterebbe addirittura inapplicabile allo stesso la predetta fattispecie disciplinare tipica.
I Giudici disciplinari hanno individuato tale “legge” nell’art. 128, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen. (che reca la rubrica “Deposito dei provvedimenti del giudice”) – secondo il quale, “Salvo quanto disposto per i provvedimenti emessi nell’udienza preliminare e nel dibattimento, gli originali dei provvedimenti del giudice sono depositati in cancelleria entro cinque giorni dalla deliberazione” -, osservando al riguardo: a) che, “[….] ovviamente, il legislatore ha fissato nell’articolo 128 c.p.p. il termine di cinque giorni per il deposito delle ordinanze, termine ordinatorio che ovviamente deve esser modulato con le esigenze del caso concreto da valutarsi in relazione alla natura del provvedimento ed ai tempi necessari per l’emanazione” (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1., lettera A); b) che “[….] non può accogliersi la tesi difensiva secondo cui il Legislatore non avrebbe potuto specificare termini per i procedimenti di cui ai ritardi in esame. Invero la regola generale prevista dall’art. 128 c.p.p. che prevede il termine generale di cinque giorni per il deposito di ogni provvedimento per cui non sia diversamente disposto ben può applicarsi anche agli atti del Magistrato di Sorveglianza, portando ogni diversa interpretazione a conseguenze illogiche e fuori dalle regole generali del Sistema” (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1., lettera C).
Ne consegue, secondo i Giudici disciplinari, che combinando la menzionata disposizione di cui all’ari:. 128 cod. proc. pen. con l’art. 2, comma 1, lettera q), secondo periodo, del d.lgs. n. 109 del 2006, il ritardo disciplinarmente rilevante del magistrato di sorveglianza per il compimento dell’atto, perché “grave” (oltre che “reiterato e ingiustificato”), è quello che eccede “il triplo dei termini previsti dalla legge”, vale a dire quindici giorni (da notare che i Giudici disciplinari menzionano le sole “ordinanze” del magistrato di sorveglianza).
I Giudici a quibus – nell’affermare che detto termine di cinque giorni è “termine ordinatorio”, e che lo stesso “ovviamente deve esser modulato con le esigenze del caso concreto da valutarsi in relazione alla natura del provvedimento ed ai tempi necessari per l’emanazione” – hanno evidentemente ritenuto che tale termine, calcolato anche nel triplo, è “comparativamente” così breve, da meritare la qualifica di “ordinatorio” e da esigere perciò, di necessità (“ovviamente”) ancorché praeter legem, una sua “modulazione” caso per caso e secondo i criteri della “natura del provvedimento”, delle “esigenze del caso concreto” e dei “tempi necessari per l’emanazione”, con la conseguenza di attribuire in tal modo al giudice disciplinare un potere discrezionale di individuazione del termine “congruo” nei singoli casi e, quindi, di valutazione positiva o negativa circa la “gravità” del ritardo nel compimento degli atti del magistrato di sorveglianza, da esercitarsi perciò singulatim e secondo i predetti criteri.
2.2. – Può certamente convenirsi con la Sezione disciplinare del C.S.M. sulla necessità di individuare un parametro legislativo al quale rapportare eventuali ritardi disciplinarmente rilevanti nel compimento degli atti da parte del magistrato di sorveglianza perché, altrimenti opinando, si perverrebbe a conseguenze palesemente illegittime: o, paradossalmente, all’inapplicabilità tout court ai soli magistrati di sorveglianza, rispetto a tutti gli altri, della fattispecie disciplinare di cui all’art. 2, comma 1, lettera q), del d.lgs. n. 109 del 2006, per l’indeterminabilità del requisito della “gravità” del ritardo; ovvero, con esiti parimenti illegittimi, all’assoggettabilità degli stessi a procedimento disciplinare per tale fattispecie nonostante la non compiuta previstone della legge quanto al parametro tipico (“il triplo dei termini previsti dalla legge”) di valutazione della “gravità” del ritardo.
Al riguardo, deve preliminarmente osservarsi che in effetti, per il magistrato di sorveglianza, tali “termini” non sono espressamente e specificamente “previsti” né dalla legge di ordinamento giudiziario (art. 45 del R.d. 30 gennaio 1941, n. 12), né dalla legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), e successive modificazioni (artt. da 68 a 71-sexies e gli altri articoli ivi richiamati), né dal codice di procedura penale o dalle sue norme di attuazione (rispettivamente, artt. da 677 a 684 e da 189 a 193, nonché gli altri articoli ivi richiamati).
Ed allora – nell’accettata assenza di termini specifici per il compimento degli atti del magistrato di sorveglianza -, può parimenti convenirsi con la Sezione disciplinare che, in applicazione del canone ermeneutico di cui all’art. 12, secondo comma, delle disposizioni sulla legge in generale, tale lacuna può essere colmata con la menzionata disposizione generale del codice di rito penale, di cui all’art. 128, comma 1, primo periodo, da coordinarsi con l’obbligo di osservanza delle norme processuali, che è
imposto (pure) ai magistrati “anche ai fini della responsabilità disciplinare” dall’art. 124, comma 2, dello stesso codice. Del resto – e ciò è decisivo -, “l’integrazione” della fattispecie disciplinare, di cui all’art. 2, comma 1, lettera q), del d.lgs. n. 109 del 2006, è espressamente autorizzata proprio da tale disposizione, laddove rinvia appunto ai “termini previsti dalla legge”.
La piana interpretazione dell’art. 128, comma 1, primo periodo – laddove dispone che “gli originali dei provvedimenti del giudice sono depositati in cancelleria entro cinque giorni dalla deliberazione” -, mostra chiaramente che il termine di cinque giorni non può decorrere che dal momento in cui il procedimento attribuito alla competenza del magistrato di sorveglianza è suscettibile, secondo lo specifico schema tipico prefigurato di volta in volta dalla legge, di essere concluso con una “deliberazione”, cioè definito con un provvedimento formale (sentenza, ordinanza, decreto), dovendosi così intendere l’espressione “dalla deliberazione”, nel suo comune significato tecnico-giuridico: è perciò da tale momento che decorre il termine di cinque-quindici giorni per il deposito del provvedimento dei magistrato di sorveglianza. Naturalmente, come ora accennato, l’individuazione di detto dies a quo comporta la previa, corretta individuazione dello schema tipico di ogni specifico procedimento, quale prefigurato dal legislatore, e, quindi, del momento in cui questo può essere definito con una “deliberazione”, non rileva se di merito o meramente interlocutoria (cfr., ad esempio, gli art. 275, quarto comma, cod. proc. civ., 524 e 525, primo comma, cod. proc. pen.). Ed è del tutto evidente che una diversa interpretazione – che lasciasse cioè “scoperto” il periodo intercorrente tra il momento in cui il procedimento è pronto per la definizione e quello della corrispondente, formale deliberazione – comporterebbe la vanificazione del detto termine di cinque-quindici giorni (deliberazione sine die) e, nel contempo, la stessa possibilità di verificare, ai sensi dell’art. 128, comma 1, primo periodo, ogni relativo, eventuale ritardo nel deposito del provvedimento formale rilevante sul piano disciplinare.
Deve aggiungersi, quanto alla “gravità” del ritardo, che la stessa formulazione del secondo periodo dell’art. 2, comma 1, lettera q), del d.lgs. n. 109 del 2006 – “si presume non grave, salvo che non sta diversamente dimostrato, il ritardo che non eccede il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell’atto” – comporta l’attribuzione al giudice disciplinare di un potere discrezionale di valutazione di detta “gravità” nel caso concreto: infatti, la presunzione relativa di “non gravità” ivi prevista, superabile quindi dalla prova contraria eventualmente data dall’organo promotore dell’azione disciplinare per l’ipotesi che il ritardo non ecceda detto “triplo dei termini”, implica necessariamente la valutazione discrezionale circa la “gravità” del ritardo medesimo nel caso concreto, dovendo il giudice disciplinare tener conto, al di là del mero schema aritmetico prefigurato dal legislatore, da un iato, del non superamento del termine previsto dalla legge, dall’altro, della prova contraria data. È evidente – a contrario e a maggior ragione, tenendo presente la formulazione completa dell’articolo – che “si presume grave, salvo che non sia diversamente dimostrato, il ritardo che eccede il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell’atto”: in tal caso cioè, il superamento del triplo dei termini “si presume” grave, a meno che questa volta l’incolpato deduca e dimostri la “giustificatezza” del ritardo (l’”inesigibilità” del rispetto del termine). Ma anche in tal caso il giudice disciplinare deve tener conto, al di là del mero schema aritmetico prefigurato dal legislatore, da un lato, del superamento del termine previsto dalla legge, dall’altro, della prova contraria data dall’incolpato.
Queste specifiche osservazioni si inseriscono appieno nel solco del consolidato orientamento di queste Sezioni unite, secondo il quale la fattispecie prevista dall’art. 2, comma 1, lettera q), del d.lgs. n. 109 del 2006 richiede, quale presupposto per la sanzionabilità dei ritardi, la necessaria concorrenza della reiterazione, della gravità e della ingiustificatezza degli stessi, conformemente alla chiara formulazione letterale della disposizione, con la conseguenza che tali elementi debbono essere contestualizzati alla luce del complessivo carico di lavoro, in riferimento a quello mediamente sostenibile dal magistrato a parità di condizioni, della laboriosità e dell’operosità, desumibili dall’attività svolta sotto il profilo quantitativo e qualitativo, e di tutte le altre circostanze utili che, per loro natura, implicano un tipico apprezzamento di fatto e che, quindi, sono essenzialmente devolute alla valutazione di merito della Sezione disciplinare del C.S.M., non censurabile in sede di legittimità ove assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 5761 del 2012 e 7000 del 2010).
2.3. – Le considerazioni che precedono richiedono ulteriori specificazioni con particolare riferimento ai provvedimenti del magistrato di sorveglianza che sono – diversamente da quanto esplicitamente considerato dai Giudici disciplinari – non soltanto “ordinanze” ma anche “decreti” e “pareri” (cfr. gli artt. 69 e 69 bis della citata legge n. 354 del 1975) nei molteplici procedimenti attribuiti alla sua cognizione, nonché “ordinanze” redatte quale componente del tribunale di sorveglianza, designato relatore ed estensore (cfr. gli artt. 70 e 70 bis della stessa legge n. 354 del 1975).
Inoltre, le ordinanze, i decreti ed i pareri di competenza del magistrato di sorveglianza sono da questo pronunciati all’esito di singoli, specifici procedimenti il cui atto d’impulso, il cui iter processuale e la cui conclusione sono disciplinati, più o meno dettagliatamente, da norme della legge sull’ordinamento penitenziario n. 354 del 1975 o del codice di procedura penale. È quindi evidente che, al fine di stabilire se il magistrato di sorveglianza sia incorso in ritardi disciplinarmente rilevanti, è indispensabile non soltanto distinguere tra i vari procedimenti, ma anche individuare lo schema tipico prefigurato dal legislatore per ciascuno di essi (a mero titolo esemplificativo: promozione ad impulso del pubblico ministero, di parte, o d’ufficio; effettuazione di una istruttoria necessaria per legge o, comunque, disposta dallo stesso magistrato; necessità di acquisire il parere del pubblico ministero o di altri organi pubblici, etc.), al fine di determinare con sufficiente precisione, sulla base di detto schema tipico legislativamente previsto, il momento in cui il procedimento è in grado di esser concluso, cioè il momento della “deliberazione” di cui all’art. 128, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen. più volte richiamato e come dianzi interpretato (cfr., supra, n. 2.2.), quale dies a quo del termine di cinque-quindici giorni rispetto al quale computare l’eventuale ritardo nel compimento degli atti del magistrato di sorveglianza.
2.4. – Sulla base di tutte le considerazioni che precedono, i motivi del ricorso meritano parziale accoglimento, nei termini di séguito indicati, sia per violazione di legge sia per vizi di motivazione, nella misura in cui i Giudici a quibus, pur ritenendo correttamente applicabile alla fattispecie il combinato disposto degli artt. 2, comma 1, lettera q), del d.lgs. n. 109 del 2006 e 128, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen., hanno tuttavia:
a) omesso completamente di motivare, sul piano dell’interpretazione e dell’applicazione del combinato disposto degli artt. 2, comma 1, lettera q), del d.lgs. n. 109 del 2006 e 128, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen., in ordine alle ragioni della qualificazione come “-ordinatorio” del termine di cinque-quindici giorni ivi stabilito e della necessità giuridica della sua “modulazione” nei singoli casi, nonché circa il fondamento normativo dei criteri di “modulazione” (“natura del provvedimento”, “esigenze del caso concreto”, “tempi necessari per l’emanazione”) prescelti per valutare in tali casi la “gravità” del ritardo nel compimento degli atti del magistrato di sorveglianza incolpato (cfr., supra, n. 2.1.- 2.3.);
b) omesso del tutto di individuare previamente lo schema tipico di ogni specifico procedimento di competenza del magistrato incolpato – quale prefigurato dal legislatore – cui si riferiscono i contestati ritardi, e, conseguentemente, il momento in cui ciascuno di essi avrebbe potuto essere definito con la “deliberazione” di cui all’art. 128, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen., quale dies a quo del computo dei ritardi medesimi – omissione che si risolve nella carenza di previi criteri sulla base dei quali valutare la correttezza e la complessiva attendibilità degli elenchi allegati al capo di incolpazione (cfr., supra, n. 2.2. e 2.3.) -, limitandosi invece a richiamare genericamente, acriticamente e complessivamente i dati risultanti dagli stessi elenchi allegati, dei quali si afferma tuttavia, in modo contraddittorio, la sia pur parziale inattendibilità;
c) motivato in modo estremamente generico in ordine alle affermate “ammissioni” dello stesso incolpato circa i ritardi nel deposito delle ordinanze in materia di liberazione anticipata (“[….] di fatto riconoscendo che per 108 procedimenti in tema di liberazione anticipata il ritardo contestato è stato effettivo [….]”: cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1., lettera B), nonché circa i ritardi nel deposito di altri provvedimenti diversi da quelli di liberazione anticipata (“[….] La sostanziale ammissione nella originaria memoria istruttoria che anche questi procedimenti sono stati definiti infatti nei termini risultanti dagli elenchi di cancelleria comporta il riconoscimento della fondatezza di quanto emerge dal capo di incolpazione […]”: cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1., lettera D), senza cioè precisare in base a quali specifici elementi probatori e/o dichiarazioni dell’incolpato e/o scritti difensivi essi sono pervenuti a ritenere “sostanzialmente ammessi” i contestati ritardi, e senza sostanzialmente distinguere tra i vari provvedimenti;
d) motivato in modo parimenti generico in ordine alle eccezioni ed alle istanze istruttorie della difesa dell’incolpato concernenti l’inattendibilità degli elenchi e dei dati allegati al capo di incolpazione, ciò nonostante l’espresso riconoscimento che “sussiste una confusione su alcuni dati” degli elenchi medesimi (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1., lettera D);
e) omesso sostanzialmente di considerare e di valutare gli eventuali ritardi nel contesto del complessivo carico di lavoro, in riferimento a quello mediamente sostenibile dal magistrato a parità di condizioni, della laboriosità e dell’operosità, desumibili dall’attività svolta sotto il profilo quantitativo e qualitativo, e di ogni altra circostanza, in conformità a quanto più volte affermato da queste Sezioni Unite (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 5761 del 2012 e 7000 del 2010 citt.).
Tutti gli altri motivi e profili di censura devono ritenersi assorbiti.
3. – La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata per i tutti vizi ora rilevati, con la conseguenza che il relativo procedimento deve essere rinviato per un nuovo giudizio alla stessa Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura che, in diversa composizione, provvederà ad eliminare i vizi medesimi, uniformandosi ai principi ed ai criteri dianzi enunciati sub 2.2. e 2.3.
4. – Nessuna pronuncia va emessa in ordine alle spese del giudizio, in quanto il Ministro della giustizia non si è costituito né ha svolto difese.
5. – Risultando dagli atti che il procedimento in esame è esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui all’art. 13, comma 1-quater, del testo unico approvato con il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013).

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, in diversa composizione.

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