Diritto del figlio adottivo di avere notizie circa i genitori biologici

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|9 settembre 2022| n. 26616.

Diritto del figlio adottivo di avere notizie circa i genitori biologici

Per quanto attiene al diritto al figlio adottivo di avere notizie circa i genitori biologici, in caso di parto in anonimato della madre, la riservatezza circa le informazioni sui dati della madre persiste anche in caso di morte della predetta al fine di tutela la dignità e la sua scelta. Di talchè al fine di commisurare la tutela del figlio di conoscere le proprie origini e il diritto della donna che abbia partorito in anonimato non cambiando la propria posizione nel corso della vita sino alla morte, il figlio ha diritto alla documentazione di assistenza al parto, alla cartella clinica del parto e certificato di morte, ma non a tutti gli altri documenti del fascicolo.

Ordinanza|9 settembre 2022| n. 26616. Diritto del figlio adottivo di avere notizie circa i genitori biologici

Data udienza 1 luglio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Filiazione di minori – Adozione – Legge 183 del 1984 – Identità della madre biologica – Secretazione dei dati – Legge 176 del 1991 – Accesso alle notizie – Legge 149 del 2001 – Grave turbamento dell’equilibrio psicofisico – Valutazione del giudice di merito – Dpr 396 del 2000 – Certificato di assistenza al parto – Decreto legislativo 196 del 2003 – Protezione dei dati personali – Decreto legislativo 101 del 2018 – Dichiarazione della madre di non voler essere nominata – Regolamento UE 679 del 2016 – Criteri – Legge 127 del 1997 – Diritto di interpello – Sentenza della corte costituzionale 278 del 2013 – Parto anonimo – Sentenza della corte di cassazione a sezioni unite 1946 del 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 29228/2021 proposto da:
PROCURATORE GENERALE presso la Corte d’appello di MILANO;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la CANCELLERIA civile della Corte di Cassazione, e rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso decreto non definitivo n. cronol. 1725/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, del 22/4/2021, pubblicato il 9/8/2021;
E sul ricorso 1398/2022 proposto da:
PROCURATORE GENERALE presso la Corte d’appello di MILANO;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS),
– intimata –
avverso decreto definitivo n. cronol. 2463/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, pubblicato il 10/11/2021;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 01/07/2022 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

Diritto del figlio adottivo di avere notizie circa i genitori biologici

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Milano, con decreto n. cronol.1725/21, deliberato il 22/4/2021 e depositato il 9/8/21, non definitivamente pronunciando, in accoglimento del reclamo proposto da (OMISSIS), ha riformato il decreto del Tribunale per i minorenni del settembre 2020, che aveva respinto il ricorso della (OMISSIS), L. n. 183 del 1984, ex articolo 28, al fine di ottenere l’interpello della di lei madre biologica da parte del giudice in ordine alla revoca della dichiarazione di anonimato resa al momento del parto, a fronte dell’intervenuto decesso della madre biologica, dichiarando il diritto della (OMISSIS) di accedere alle informazioni relative all’identita’ della madre biologica, riservando, con separato provvedimento, all’esito dell’acquisizione, al fine di mantenere la secretazione dei dati, del fascicolo L. n. 183 del 1984, ex articolo 28, nella sua versione integrale, fascicolo conservato presso il Tribunale per i minorenni, le modalita’ di accesso alle informazioni ivi contenute.
In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che il diritto all’anonimato della donna non assurge a un diritto fondamentale, quale e’ quello del figlio naturale di tracciare le proprie origini personali, per ricostruire la propria identita’, e parimenti recessivo era il diritto alla riservatezza e all’oblio, peraltro estintosi con la morte della donna.
Avverso la suddetta pronuncia (proc.to n. R.G. 29228/21), il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 3/11/21, affidato a unico motivo, nei confronti di (OMISSIS) (che resiste con controricorso, notificato il 7/12/2021). La controricorrente ha depositato memoria.
La Corte d’appello di Milano, con successivo decreto definitivo, depositato il 10/11/21, richiamato il provvedimento non definitivo del 22/4/21-9/8/21, con il quale in accoglimento del reclamo proposto da (OMISSIS), si era affermato il diritto della (OMISSIS) di accedere, L. n. 184 del 1983, ex articolo 28, alle informazioni relative all’identita’ della madre biologica, ha disposto che la Cancelleria provvedesse, a seguito del passaggio in giudicato del presente provvedimento, a consegnare alla parte istante “copia autentica del certificato di assistenza al parto, cartella clinica relativa al parto, certificato di morte della madre”.
Avverso la suddetta pronuncia (proc. n. R.G. 1398/22), il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 30/12/21 a mezzo del servizio postale, affidato a unico motivo, nei confronti di (OMISSIS) (che non svolge difese).

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il P.G. ricorrente lamenta, con unico motivo, nei due procedimenti, la violazione o falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 184 del 1983, articolo 28, per avere la Corte d’appello ritenuto recessivo il diritto all’anonimato della madre biologica defunta rispetto al diritto dell’adottato di ricerca delle proprie origini, non riconoscendo tutela al diritto della defunta all’immagine sociale, all’identita’ ed al trattamento dei dati personali.
2. Al prc.to n. R.G. 29228/21 va riunito quello n. R.G. 1398/22, stante la connessione soggettiva ed oggettiva.
3. Appare necessario premettere alcuni cenni sul quadro normativo e giurisprudenziale avente ad oggetto la questione centrale del giudizio, il bilanciamento tra diritti fondamentali, quello dell’adottato all’accesso alle proprie origini e il diritto all’anonimato esercitato dalla madre naturale al momento del parto.
Con la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (sottoscritta il 20 novembre 1989 e ratificata con L. 27 maggio 1991, n. 176), prima, e con la Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale (sottoscritta il 29 maggio 1993 e ratificata con L. 31 dicembre 1998, n. 476, poi, nella nostra legislazione ordinaria, e’ stato preso in considerazione il diritto di ciascuno di conoscere le proprie radici. L’impegno assunto in sede internazionale ha trovato attuazione con la modifica della L. n. 184 del 1983, articolo 28, ad opera della L. 28 marzo 2001, n. 149, articolo 24 (Modifiche alla L. 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, nonche’ al titolo VIII del libro primo del codice civile). Nel nuovo testo, infatti, pur essendo conservato il divieto di ogni riferimento all’adozione nelle attestazioni dello stato civile, e’ stato consentito all’adottato di accedere, seppur in presenza di specifiche condizioni, alle informazioni che riguardano la sua origine e l’identita’ dei genitori biologici.

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I commi 5 e 6 del menzionato articolo 28, cosi’ recitano: “5.L.’adottato, raggiunta l’eta’ di venticinque anni, puo’ accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l’identita’ dei propri genitori biologici. Puo’ farlo anche raggiunta la maggiore eta’, se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica. L’istanza deve essere presentata al tribunale per i minorenni del luogo di residenza. 6. Il tribunale per i minorenni procede all’audizione delle persone di cui ritenga opportuno l’ascolto; assume tutte le informazioni di carattere sociale e psicologico, al fine di valutare che l’accesso alle notizie di cui al comma 5, non comporti grave turbamento all’equilibrio psicofisico del richiedente. Definita l’istruttoria, il tribunale per i minorenni autorizza con decreto l’accesso alle notizie richieste”. Il successivo comma 7, come introdotto per effetto della L. 28 marzo 2001, n. 149 (Modifiche alla L. 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, nonche’ al titolo VIII del libro primo del codice civile), sanciva, tuttavia, che “L’accesso alle informazioni non e’ consentito se l’adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e qualora anche uno solo dei genitori biologici abbia dichiarato di non voler essere nominato, o abbia manifestato il consenso all’adozione a condizione di rimanere anonimo”.
Nel nuovo testo della disposizione in esame, quindi, pur essendo conservato il divieto di ogni riferimento all’adozione nelle attestazioni dello stato civile, si e’ consentito all’adottato di accedere, seppur in presenza di specifiche condizioni, alle informazioni che riguardano la sua origine e l’identita’ dei genitori biologici. Ed il comma 7, in particolare, aveva suscitato non pochi dubbi interpretativi, specialmente con riguardo alla parte della disposizione normativa che si riferiva al genitore di sangue che “abbia dichiarato di non voler essere nominato”: si obiettava, in riferimento al divieto di accesso alle informazioni la’ dove la madre non avesse riconosciuto il figlio alla nascita, che la soluzione adottata dal legislatore fosse eccessivamente rigida, non essendo mitigata dalla possibilita’ di un ripensamento rispetto ad una volonta’ di anonimato.

Diritto del figlio adottivo di avere notizie circa i genitori biologici

Il diritto all’anonimato, dopo il richiamo nella L. 4 maggio 1983, n. 184, articolo 28, in tema di adozioni, e’ stato ulteriormente ribadito, sia del Decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, articolo 30 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile), in cui testualmente si riconosce, in relazione alla dichiarazione di nascita, “l’eventuale volonta’ della madre di non essere nominata”), sia del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 93, commi 2 e 3 (Codice in materia di protezione dei dati personali, in cui si afferma la validita’ della dichiarazione della madre di non voler essere nominata e si consente l’accesso “al certificato di assistenza del parto ed alla cartella clinica”, ove comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata solo dopo un secolo dalla loro formazione, ovvero prima, durante il periodo di cento anni, solo osservando le opportune cautele per evitare che l’identificazione della madre).
Il comma 7 del piu’ volte menzionato articolo 28, e’ stato quindi modificato dalla L. n. 196 del 2003, articolo 177, comma 2 (“7. L’accesso alle informazioni non e’ consentito nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, articolo 30, comma 1”). La norma richiamata dispone, a sua volta: “La dichiarazione di nascita e’ resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l’eventuale volonta’ della madre di non essere nominata”.
Il nostro legislatore, quindi, ha scelto di tutelare senza limitazioni il diritto all’anonimato della madre, in quanto veniva precluso a chiunque e, quindi, anche al figlio, di accedere alle informazioni riguardanti la propria origine, e stabilita, altresi’, l’impossibilita’ di chiedere il rilascio del certificato di assistenza al parto o la cartella clinica, comprensivi dei dati personali della madre, se non trascorsi cento anni dalla formazione dello stesso documento.
L’articolo 93, comma 3, (“certificato di assistenza al parto”), del codice in materia di protezione dei dati personali, prevede infatti che, prima dei cento anni dalla formazione del documento (termine da cui l’accesso al testo integrale e’ consentito a chiunque vi abbia interesse), “la richiesta di accesso al certificato o alla cartella puo’ essere accolta relativamente ai dati relativi alla madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata, osservando le opportune cautele per evitare che quest’ultima sia identificabile”.

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Il Decreto Legislativo n. 101 del 2018 (Disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento UE/2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonche’ alla libera circolazione di tali dati) ha, con l’articolo 27, abrogato del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 177, non incidendo invece sul dettato dell’articolo 93 citato.
Tuttavia, tale abrogazione non spiega alcun rilievo nel presente giudizio, in quanto dell’articolo 28, comma 7, nella stesura successiva alla L. n. 196 del 2003 (Nuovo Codice della Privacy) – il cui articolo 177, e’ ora abrogato per effetto del Decreto Legislativo n. 101 del 2018 – con il quale si segnava il limite assoluto all’accesso alle origini in caso di parto anonimo era stato gia’ caducato dall’intervento della Consulta del 2013, che, come si esporra’ nel successivo paragrafo, con pronuncia di declaratoria di illegittimita’ costituzionale cd. additiva di principio, ha altresi’ introdotto il principio secondo il quale il figlio possa chiedere al giudice di interpellare la madre ai fini della revoca della dichiarazione di anonimato, a suo tempo fatta.
Il legislatore non e’ ancora intervenuto per assicurare piena attuazione al riconoscimento del diritto alle origini del figlio adottivo, attraverso la regolamentazione della procedura di accesso alle origini da parte dell’adottato nato da madre che abbia scelto l’anonimato.
3.1. Con la sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013 e’ stata dichiarata “l’illegittimita’ costituzionale della L. 4 maggio 1983, n. 184, articolo 28, comma 7 (Diritto del minore ad una famiglia), come sostituito del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 177, comma 2 (Codice in materia di protezione dei dati personali), nella parte in cui non prevede – attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza – la possibilita’ per il giudice di interpellare la madre – che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, articolo 30, comma 1 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma della L. 15 maggio 1997, n. 127, articolo 2, comma 12) – su richiesta del figlio, ai tini di una eventuale revoca di tale dichiarazione”, evidenziandosi l’irragionevolezza dell’irreversibilita’ del segreto conseguente alla scelta di anonimato operata dalla madre partoriente, in contrasto con gli articoli 2 e 3 Cost..

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Le Sezioni Unite (Cass. 1946/2017), intervenute su questione di primaria importanza, hanno enunciato il seguente principio di diritto, nell’interesse della legge: “In tema di parto anonimo, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013, ancorche’ il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativi, sussiste la possibilita’ per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione, e cio’ con modalita’ procedimentali, tratte dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte costituzionale, idonee ad assicurare la massima riservatezza e il massimo rispetto della dignita’ della donna; fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorche’ la dichiarazione iniziale per l’anonimato non sia rimossa in seguito all’interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identita’”.
Secondo le Sezioni Unite, il procedimento utilizzabile, al fine di rendere l’additiva di principio suscettibile di seguito giurisdizionale conforme e’ quello di volontaria giurisdizione, previsto della L. n. 184 del 1983, articolo 28, commi 5 e 6; un procedimento in Camera di consiglio, che “- previ i necessari adattamenti, necessari ad assicurare in termini rigorosi la riservatezza della madre, che si impongono in virtu’ delle indicazioni contenute nel principio esplicitato dalla sentenza di illegittimita’ costituzionale – ben puo’ adattarsi al caso del figlio che richiede al giudice di autorizzare le ricerche e il successivo interpello della madre biologica circa la sua volonta’ di mantenere ancora fermo l’anonimato, e cosi’ rappresentare il “contenitore neutro” (cfr. Cass., Sez. U., 19 giugno 1996, n. 5629) di un’interrogazione riservata, esperibile una sola volta, con modalita’ pratiche nel concreto individuate dal giudice nel rispetto dei limiti imposti dalla natura dei diritti in gioco, reciprocamente implicati nei loro modi di realizzazione”.
In conformita’ alle menzionate linee operative, questa Corte (Cass. 6963/2018) ha successivamente ribadito il principio secondo cui “l’adottato ha diritto, nei casi di cui della L. n. 184 del 1983, articolo 28, comma 5, di conoscere e proprie origini accedendo alle informazioni concernenti non solo l’identita’ dei propri genitori biologici, ma anche quelle delle sorelle e dei fratelli biologici adulti, previo interpello di questi ultimi mediante procedimento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignita’ dei soggetti da interpellare, al fine di acquisirne il consenso all’accesso alle informazioni richieste o di constatarne il diniego, da ritenersi impeditivo dell’esercizio del diritto”. Sempre questa Corte (Cass. 22497/2021; conf. Cass. 7093/2022) ha chiarito che “il figlio nato da parto anonimo ha diritto di conoscere le proprie origini, ma il suo diritto deve essere bilanciato con il diritto della madre a conservare l’anonimato, e deve pertanto consentirsi al figlio di interpellare la madre biologica al fine di sapere se intenda revocare la propria scelta, occorrendo pero’ tutelare anche l’equilibrio psicofisico della genitrice; pertanto il diritto all’interpello non puo’ essere attivato qualora la madre versi in stato di incapacita’, anche non dichiarata, e non sia pertanto in grado di revocare validamente la propria scelta di anonimato, e non rileva, ai fini dell’applicazione di queste regole, l’abrogazione del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 177, comma 2, che aveva sostituito della L. n. 183 del 1984, articolo 28, il comma 7, che inibiva il diritto alla conoscenza delle origini del nato da parto anonimo, sia perche’ il limite alla conoscenza di cui all’articolo 28, comma 7, era gia’ stato introdotto con la L. n. 149 del 2001, sia perche’ deve tenersi conto dell’intervento additivo di principio, cui ha provveduto la Corte costituzionale con sentenza n. 278 del 2013”.

Diritto del figlio adottivo di avere notizie circa i genitori biologici

Con la sentenza n. 15024/2016, si e’ poi affermato che sussiste il diritto del figlio, dopo la morte della madre, di conoscere le proprie origini biologiche mediante accesso alle informazioni relative all’identita’ personale della stessa, non potendosi considerare operativo, oltre il limite della vita della madre che ha partorito in anonimo, il termine di cento anni, dalla formazione del documento, per il rilascio della copia integrale del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica, comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre, sul rilievo che cio’ determinerebbe la cristallizzazione di tale scelta, anche dopo la sua morte, e la definitiva perdita del diritto fondamentale del figlio, in evidente contrasto con la reversibilita’ del segreto e l’affievolimento, se non la scomparsa, di quelle ragioni di protezione che l’ordinamento ha ritenuto meritevoli di tutela per tutto il corso della vita della madre, proprio in ragione della revocabilita’ di tale scelta (in sintesi, secondo questa pronuncia, se il diritto della madre a non essere nominata in occasione del parto ha la funzione principale di contrastare l’opzione abortiva, questo diritto e’ pieno solo al momento della nascita del bambino, “dopo la nascita (…) il diritto all’anonimato diventa strumentale a proteggere la scelta compiuta dalle conseguenze sociali e in generale dalle conseguenze negative che verrebbero a ripercuotersi (…) sulla persona della madre. Non e’ il diritto in se’ della madre che viene garantito ma la scelta che le ha consentito di portare a termine la gravidanza”).
Nel senso sopra richiamato, altra pronuncia (Cass. 22838/2016) ha precisato che il diritto ad accedere ad informazioni identificative in caso di morte della madre naturale non possa essere esercitato indiscriminatamente, in quanto, se alla morte della donna consegue l’estinzione del diritto personalissimo alla riservatezza, la procedura di accesso alle origini dovra’ pur sempre essere informata al rispetto dei canoni di liceita’ e correttezza senza pregiudizio di “terzi eventualmente coinvolti”, i quali possono legittimamente vantare un diritto a essere lasciati soli, ovvero all’oblio, e, diversamente, a reclamare che l’accesso a dati avvenga senza cagione di pregiudizio (cfr. Cass. 3004/2018). Si e’ quindi chiarito che, in mancanza della possibilita’ d’interpello della madre, il bilanciamento degli interessi deve essere desunto dal sistema di protezione dei dati personali relativi all’identita’ della donna che ha esercitato il diritto all’anonimato, tenendo conto della rilevanza di tali dati anche per i discendenti familiari: l’accesso alle informazioni dopo la morte della madre deve essere circondato “da analoghe cautele” e l’utilizzo dell’informazione non puo’ “eccedere la finalita’, ancorche’ di primario rilievo costituzionale e convenzionale, per la quale il diritto e’ stato riconosciuto”, in quanto non ogni profilo di tutela dell’anonimato si esaurisce alla morte della madre naturale, in quanto da collegarsi soltanto alla tutela del diritto alla salute psicofisica della madre e del figlio al momento della nascita, e “il diritto all’identita’ personale del figlio, da garantirsi con la conoscenza delle proprie origini, anche dopo la morte della madre biologica, non esclude la protezione dell’identita’ “sociale” costruita in vita da quest’ultima, in relazione al nucleo familiare e/o relazionale eventualmente costituito dopo aver esercitato il diritto all’anonimato”. Il trattamento delle informazioni relativo alle proprie origini deve, in conclusione, essere eseguito in modo corretto e lecito (Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 11, lettera a)), senza cagionare danno anche non patrimoniale all’immagine, alla reputazione, ed ad altri beni di primario rilievo costituzionale di eventuali terzi interessati (discendenti e/o familiari).

Diritto del figlio adottivo di avere notizie circa i genitori biologici

Va infine menzionata Cass. n. 6963/2018, secondo cui l’adottato ha diritto, nei casi di cui della L. n. 184 del 1983, articolo 28, comma 5, di conoscere le proprie origini accedendo alle informazioni concernenti non solo l’identita’ dei propri genitori biologici, ma anche quelle delle sorelle e dei fratelli biologici adulti, previo interpello di questi ultimi mediante procedimento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignita’ dei soggetti da interpellare, al fine di acquisirne il consenso all’accesso alle informazioni richieste o di constatarne il diniego, da ritenersi impeditivo dell’esercizio del diritto.
Questione diversa e’ poi quella dell’accesso alle informazioni sanitarie sulla salute della madre per la tutela della vita o della salute del figlio o di un suo discendente, essendo necessario consentire l’accesso alle informazioni sanitarie, con modalita’ tali, pero’, da tutelare l’anonimato della donna erga omnes, anche verso il figlio. La Corte Costituzionale nella sentenza n. 278/2013 ha dichiarato “che debba, inoltre, essere assicurata la tutela del diritto alla salute del figlio, anche in relazione alle piu’ moderne tecniche diagnostiche basate su ricerche di tipo genetico”. Le modalita’ procedimentali vanno, in tale ipotesi, desunte dal Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 93, Codice in materia di protezione dei dati personali, secondo cui, ai sensi del comma 3, prima del decorso dei cento anni, la richiesta di accesso al certificato di assistenza al parto (ora “attestazione di avvenuta nascita”) o alla cartella clinica della partoriente puo’ essere accolta relativamente ai dati relativi alla madre, che abbia dichiarato di non voler essere nominata, “osservando le opportune cautele per evitare che quest’ultima sia identificabile”; si tratta di informazioni, non identificative, riguardanti le anamnesi familiari, fisiologiche e patologiche, con particolare riferimento all’eventuale presenza di malattie ereditarie trasmissibili.
4. Tanto premesso, venendo all’esame dei ricorsi, le doglianze sono infondate.
Con il motivo (riprodotto nei due ricorsi riuniti), il ricorrente deduce, dei tutto genericamente, la violazione di legge con il richiamo alla “necessita’ prioritaria di tutelare l’anonimato della madre perche’ rivelarne l’identita’ equivarrebbe ad annullarne l’identita’” e alla necessita’ di tutelare, anche dopo a morte, l’immagine sociale e l’identita’ della donna, la cui dichiarazione di anonimato non sia stata mai revocata in vita, anche dopo la morte.
Orbene, la necessita’ di un bilanciamento tra il diritto alla riservatezza della madre in caso di parto anonimo ed il diritto di conoscere le proprie origini, vale a dire tra il segreto materno successivo al parto anonimo ed il diritto del figlio biologico ad accedere alle informazioni sulla madre e sulla famiglia biologica, tali da permettere una ridefinizione del proprio paradigma identitario, permane, malgrado l’abrogazione del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 177, in quanto il parto anonimo riceve ancora tutela nel nostro ordinamento e il disposto del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 93, sia pure come interpretato da questa Corte, non e’ stato modificato dal Decreto Legislativo n. 101 del 2018.

Diritto del figlio adottivo di avere notizie circa i genitori biologici

Tuttavia, va ribadita la diversita’ di trattamento, tra l’ipotesi in cui la madre naturale che aveva scelto l’anonimato ai momento del parto sia ancora in vita e quella in cui la stessa sia deceduta, al momento dell’istanza di accesso alle origini del figlio, poiche’ la distinzione e’ coerente con quanto ha affermato questa Corte in ordine alla conoscenza delle proprie origini da parte del figlio adottivo, in caso di parto anonimo. Solo la madre vivente puo’ manifestare il proprio dissenso alla richiesta del figlio, nell’esercizio di propri personalissimi diritti soggettivi; in caso di decesso, invece, il figlio puo’ essere autorizzato dal Tribunale minorile ad accedere alle informazioni riservate sull’identita’ della propria madre, senza particolari ostacoli (Cass. civ., 21 luglio 2016, n. 15024; Cass. civ., 9 novembre 2016, n. 22838; Cass. civ., S.U., 25 gennaio 2017, n. 1946).
Vero che questa Corte, con la sentenza n. 22838/2016, sopra citata, ha espressamente affermato che ogni profilo di tute a dell’anonimato non si esaurisce pero’ con la morte della madre, non dovendosi escludere la protezione dell’identita’ “sociale” costruita in vita da quest’ultima, in relazione al nucleo familiare e/o relazionale eventualmente costituito dopo aver esercitato il diritto all’anonimato.
Proprio in relazione a tale esigenza e’ stato statuito che il trattamento delle informazioni relative alle origine del figlio deve essere circondato da analoghe cautele e in modo corretto e lecito, senza cagionare danno – soprattutto non patrimoniale – all’immagine, alla reputazione, e ad altri beni di primari rilievo costituzionale di eventuali terzi interessati, come discendenti e/o familiari. E a tali principi, in questa sede ribaditi, va data piena continuita’.
Ma, stante l’ampiezza che va riconosciuta al diritto all’accertamento dello status di figlio naturale, nel bilanciamento dei valori di rango costituzionale che si impone all’interprete per il periodo successivo alla morte della madre, “l’esigenza di tutela dei diritti degli eredi e discendenti della donna che ha optato per l’anonimato non puo’ che essere recessiva rispetto a quella del figlio che rivendica il proprio status” e, venendo meno per effetto della morte della madre, l’esigenza di tutela dei diritti alla vita ed alla salute, che era stata fondamentale nella scelta dell’anonimato, non vi sono piu’ elementi ostativi non soltanto per la conoscenza del rapporto di filiazione (come affermato da Cass. 15024/2016 e Cass. 22838/2016), ma anche per la proposizione dell’azione volta all’accertamento dello status di figlio naturale, ex articolo 269 c.c. (Cass. 19824/2020).
La Corte d’appello con le due statuizioni, non definitiva e definitiva, ha deciso in modo del tutto conforme ai principi di diritto sopra esposti; in particolare, la Corte territoriale, con il provvedimento definitivo, ha disposto, da un lato, che la Cancelleria provvedesse, a seguito de passaggio in giudicato del presente provvedimento, a consegnare alla parte istante “copia autentica del certificato di assistenza al parto, cartella clinica relativa al parto, certificato di morte della madre”, e, dall’altro iato, che venisse mantenuta la segretezza, “con conservazione presso la Cassaforte ” della Sezione interessata della Corte,” tutti gli altri atti e documenti del fascicolo”.

Diritto del figlio adottivo di avere notizie circa i genitori biologici

5. Per tutto quanto sopra esposto, vanno respinti i riuniti ricorsi.
Non v’e’ luogo a provvedere sulle spese, in ragione della proposizione del ricorso da parte della parte pubblica in epigrafe (“Con riguardo ai procedimenti in cui e’ parte, l’ufficio del P.M. non puo’ essere condannato al pagamento delle spese del giudizio nell’ipotesi di soccombenza, trattandosi di un organo propulsore dell’attivita’ giurisdizionale, che ha la funzione di garantire la corretta applicazione della legge, con poteri meramente processuali, diversi da quelli svolti dalle parti, esercitati per dovere di ufficio e nell’interesse pubblico”, Cass., 1 sez. civ., sentt. nn. 2123/1965, 8585/1990, 3824/2010, 20652/2011, 19711/2015).

P.Q.M.

La Corte respinge i ricorsi riuniti (n. R.G. 29228/2021 e n. R.G. 1398/2022).
Dispone che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 198 del 2003, articolo 52, siano omessi le generalita’ e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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