Domanda risarcitoria da lesione del possesso

Corte di Cassazione, sezione sesta (terza) civile, Ordinanza 5 marzo 2019, n. 6396.

La massima estrapolata:

La domanda risarcitoria da lesione del possesso puo’ essere proposta congiuntamente all’azione di reintegra o di manutenzione, senza, tuttavia, che trovi applicazione rispetto ad essa il termine annuale di decadenza di cui all’articolo 1168 c.c., poiche’ i danni arrecati al possesso dallo spoglio o dalle molestie integrano gli estremi dell’illecito extracontrattuale, e sono come tali soggetti alla prescrizione quinquennale di cui all’articolo 2947 c.c.
Per un diverso orientamento, invece, “il venir meno della ragion d’essere della tutela possessoria per intervenuta decadenza rende inammissibile anche il risarcimento del danno derivante da un comportamento lesivo che tragga origine dallo spoglio, che e’ in tal caso soltanto un profilo della tutela accordata dall’ordinamento al diritto soggetto del leso al fine di assicurarne la piena reintegrazione. Ne consegue che l’azione per il risarcimento del danno ha natura possessoria quando il danno consista nella sola lesione del possesso, e quindi soggiace alle regole dettate per quella tutela in ordine al termine di decadenza per proporla, mentre non ha natura possessoria, e rientra nella previsione generale dell’articolo 2043 c.c., sottraendosi quindi a quelle regole, quando si lamenti anche la lesione di altri diritti del possessore, sicche’ la privazione del possesso non esaurisca il danno, ma si presenti come causa di altre lesioni patrimoniali subite in via derivativa dallo spogliato” (Sez. 2, Sentenza n. 25899 del 05/12/2006, Rv. 594114 – 01).
E’ tuttavia superfluo, nella presente sede, prendere posizione in merito a tale contrasto, dal momento che anche l’orientamento piu’ risalente (Cass. 25899/06, cit.), ammette la proponibilita’ ultrannuale dell’azione risarcitoria nel solo caso in cui questa sia fondata sull’esistenza di danni non derivanti in modo immediato e diretto dalla turbativa o privazione del possesso.

Ordinanza 5 marzo 2019, n. 6396

Data udienza 15 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere

Dott. CIGNA Mario – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 11756-2017 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
contro
COMUNE DI NAPOLI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 3895/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 03/11/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 15/11/2018 dal Consigliere Dott. ROSSETTI MARCO.

FATTI DI CAUSA

1. Nel 1995 (OMISSIS) e (OMISSIS) proposero un ricorso possessorio dinanzi al Pretore di Napoli nei confronti del Comune della stessa citta’, esponendo che:
-) l’amministrazione comunale aveva colposamente tollerato l’occupazione abusiva di un immobile antistante quello di proprieta’ dei ricorrenti da parte di una moltitudine di persone;
-) gli occupanti abusivi avevano “aperto vani e finestre senza alcuna concessione”; avevano trasformato un cortile in parcheggio, con nocumento alla quiete; avevano esposto l’intero immobile occupato al rischio di crolli e cedimenti, che avrebbero potuto danneggiare i beni e le persone dei ricorrenti.
Dedussero che tale condotta aveva comportato il deprezzamento del loro immobile, e chiesero la condanna del Comune alla riduzione in pristino dei luoghi, riservandosi di domandare il risarcimento del danno nel giudizio di merito.
2. Si costitui’ la societa’ (OMISSIS) s.p.a., cui il Comune di Napoli aveva affidato la gestione del proprio patrimonio immobiliare, chiedendo il rigetto del ricorso.
3. Con ordinanza 20 aprile 1998 il Pretore di Napoli rigetto’ la richiesta di provvedimenti possessori, ritenendo non esservi prova ne’ del rispetto del termine annuale di cui all’articolo 1170 c.c., ne’ della sussistenza d’un pericolo grave ed irreparabile ai sensi dell’articolo 1172 c.c..
4. Introdotto il giudizio di merito, con sentenza 20 dicembre 2001 n. 15036 il Tribunale di Napoli accolse in parte la domanda attorea.
In particolare, il Tribunale condanno’ il Comune di Napoli e la societa’ (OMISSIS) s.p.a. (che in seguito mutera’ ragione sociale in (OMISSIS) s.p.a.) ad eliminare le aperture abusive realizzate dagli occupanti dell’immobile di proprieta’ comunale, ovvero, in mancanza, al pagamento a titolo di indennizzo in favore degli attori della somma di Lire 30.000.000.
La sentenza venne appellata dal Comune di Napoli e dalla (OMISSIS) s.p.a..
La Corte d’appello di Napoli, nella contumacia degli appellati, con sentenza 15.3.2006 accolse il gravame e rigetto’ la domanda attorea.
La Corte di cassazione, accogliendo il ricorso proposto da (OMISSIS) e (OMISSIS), con sentenza 8.4.2013 n. 8509 casso’ con rinvio la sentenza d’appello, rilevando un vizio nella notifica dell’atto di gravame.
5. Riassunto il giudizio, la Corte d’appello di Napoli con sentenza 3.11.2016 n. 3895, accolse nuovamente il gravame proposto dalla (OMISSIS) s.p.a. e rigetto’ la domanda proposta da (OMISSIS) e (OMISSIS).
A fondamento della propria decisione la Corte d’appello ritenne che: -) la domanda di risarcimento del danno era stata proposta dagli attori tardivamente, in quanto formulata solo all’udienza di precisazione delle conclusioni del giudizio di merito;
-) la domanda di manutenzione del possesso era infondata, perche’ proposta nei confronti dell’amministrazione comunale, che non era ne’ autore materiale, ne’ autore morale delle molestie;
-) in ogni caso l’azione possessoria era stata proposta tardivamente, ovvero oltre l’anno dall’inizio della molestia;
-) la domanda di riduzione in pristino dello stato dei luoghi non poteva accogliersi, dal momento che gli attori non avevano proposto alcuna azione petitoria;
-) la domanda di chiusura delle luci e vedute abusivamente aperte era comunque infondata perche’ non erano state violate le distanze legali minime.
6. La sentenza d’appello e’ stata impugnata per cassazione da (OMISSIS) e (OMISSIS), con ricorso fondato su due motivi. Hanno resistito con controricorso il Comune di Napoli e la (OMISSIS) s.p.a.. Il Comune di Napoli ha proposto altresi’ ricorso incidentale condizionato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo i ricorrenti lamentano (senza formalmente inquadrare la censura in alcuno dei vizi previsti dall’articolo 360 c.p.c.) la violazione, da parte del giudice di merito, dell’articolo 112 c.p.c..
Sostengono che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto “nuova”, e quindi inammissibile, la domanda di risarcimento del danno da essi proposta.
Premesso che la domanda di risarcimento del danno per equivalente costituisce un minus rispetto alla domanda di risarcimento del danno in forma specifica, osservano i ricorrenti che essi avevano domandato la condanna del Comune al risarcimento in forma specifica, ovvero all’eliminazione degli abusi.
Il Tribunale, accogliendo tale domanda, aveva condannato il Comune all’eliminazione degli abusi “o, in mancanza, al pagamento della somma di Lire 30.000.000”. Pertanto, concludono i ricorrenti, la loro domanda di risarcimento del danno per equivalente non poteva ritenersi nuova, perche’ necessariamente ricompresa in quella di riduzione in pristino dello stato dei luoghi.
1.2. Il motivo e’ inammissibile sotto piu’ d’un aspetto.
In primo luogo, esso e’ inammissibile ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., n. 6.
Denunciare, infatti, l’erroneita’ della sentenza con cui il giudice di merito abbia reputato “nuova”, e quindi inammissibile, una certa domanda, e’ un motivo di ricorso che, per usare le parole della legge, “si fonda” sull’atto processuale contenente la domanda reputata inammissibile dalla sentenza impugnata.
Quando il ricorso si fonda su atti processuali, il ricorrente ha l’onere di “indicarli in modo specifico” nel ricorso, a pena di inammissibilita’ (articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6).
“Indicarli in modo specifico” vuol dire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte:
(a) trascriverne il contenuto, oppure riassumerlo in modo esaustivo;
(b) indicare in quale fase processuale siano stati prodotti;
(c) indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione (in tal senso, ex multis, Sez. 6 – 3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 del 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011).
Di questi tre oneri, gli odierni ricorrenti non ne hanno assolto alcuno. Il ricorso, infatti, non riassume ne’ trascrive il contenuto della domanda originaria; ne’ indica in quale atto sia contenuta ed in quale fase processuale quell’atto sia stato prodotto, ne’ a quale fascicolo quell’atto sia allegato, e con quale numero di indice.
Cio’ impedisce di valutare la rilevanza e la correttezza della censura.
1.3. Ad abundantiam, questa Corte rileva che il motivo sarebbe comunque inammissibile anche sotto un diverso profilo.
Come gia’ accennato, il giudice di merito, qualificata come possessoria l’azione proposta dagli attori (cosi’ la sentenza d’appello, p. 8, secondo capoverso), la ritenne inammissibile perche’ tardiva, ex articolo 1172 c.c.; dopodiche’, con autonoma ratio decidendi, aggiunse che in ogni caso la pretesa attorea era infondata nei confronti del Comune, reputato estraneo alla lamentata molestia; era infondata nella parte in cui chiedeva la chiusura delle luci e vedute prospicienti la loro abitazione, sul presupposto che esse non violavano le distanze legali; era inammissibile nella parte in cui in cui invocava la riduzione in pristino dei luoghi ed il risarcimento del danno da deprezzamento dell’immobile, perche’ tali domande si sarebbero dovute proporre ai sensi – rispettivamente – degli articoli 872 e 2043 c.c., e non con una azione possessoria.
1.4. Nella giurisprudenza di questa Corte parrebbe esistere un contrasto circa la possibilita’ di introdurre la domanda di risarcimento da lesione del possesso anche oltre il termine di cui all’articolo 1172 c.c..
Secondo un primo e piu’ recente orientamento, infatti, la domanda risarcitoria da lesione del possesso puo’ essere proposta congiuntamente all’azione di reintegra o di manutenzione, senza, tuttavia, che trovi applicazione rispetto ad essa il termine annuale di decadenza di cui all’articolo 1168 c.c., poiche’ i danni arrecati al possesso dallo spoglio o dalle molestie integrano gli estremi dell’illecito extracontrattuale, e sono come tali soggetti alla prescrizione quinquennale di cui all’articolo 2947 c.c. (Sez. 2, Sentenza n. 26985 del 02/12/2013, Rv. 629311 – 01; nello stesso senso, Sez. 2, Sentenza n. 20875 del 27/10/2005, Rv. 584188 – 01).
Per un diverso orientamento, invece, “il venir meno della ragion d’essere della tutela possessoria per intervenuta decadenza rende inammissibile anche il risarcimento del danno derivante da un comportamento lesivo che tragga origine dallo spoglio, che e’ in tal caso soltanto un profilo della tutela accordata dall’ordinamento al diritto soggetto del leso al fine di assicurarne la piena reintegrazione. Ne consegue che l’azione per il risarcimento del danno ha natura possessoria quando il danno consista nella sola lesione del possesso, e quindi soggiace alle regole dettate per quella tutela in ordine al termine di decadenza per proporla, mentre non ha natura possessoria, e rientra nella previsione generale dell’articolo 2043 c.c., sottraendosi quindi a quelle regole, quando si lamenti anche la lesione di altri diritti del possessore, sicche’ la privazione del possesso non esaurisca il danno, ma si presenti come causa di altre lesioni patrimoniali subite in via derivativa dallo spogliato” (Sez. 2, Sentenza n. 25899 del 05/12/2006, Rv. 594114 – 01). E’ tuttavia superfluo, nella presente sede, prendere posizione in merito a tale contrasto, dal momento che anche l’orientamento piu’ risalente (Cass. 25899/06, cit.), ammette la proponibilita’ ultrannuale dell’azione risarcitoria nel solo caso in cui questa sia fondata sull’esistenza di danni non derivanti in modo immediato e diretto dalla turbativa o privazione del possesso. Nel caso di specie, per contro, tutti i pregiudizi lamentati dagli originari ricorrenti, nella loro prospettazione, costituivano altrettante conseguenze dirette della turbativa del possesso.
Sicche’, una volta dichiarata dal giudice di merito la tardivita’ dell’azione possessoria, ne seguiva di per se’ l’inammissibilita’ della tutela risarcitoria, a meno che non si fosse impugnata anche la statuizione di inammissibilita’ della domanda possessoria: il che, tuttavia, come si dira’ nello scrutinare il secondo motivo di ricorso, non e’ avvenuto in modo efficace.
2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo i ricorrenti lamentano (anche in questo caso senza inquadrare la censura in alcuno dei vizi di quell’articolo 360 c.p.c.) la violazione, da parte della Corte d’appello, dell’articolo 1367 c.c..
Sostengono che la Corte d’appello avrebbe malamente interpretato il tenore letterale del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, e di conseguenza sarebbe giunta all’erronea conclusione che gli attori avessero proposto una domanda possessoria, senza formulare alcuna richiesta di risarcimento del danno conseguente agli abusi realizzati dagli occupanti dell’immobile di proprieta’ comunale.
Deducono che, al contrario, se la Corte d’appello fosse andata oltre “il tenore letterale” del ricorso introduttivo, avrebbe dovuto concludere che essi ricorrenti avevano formulato sin ab initio una ordinaria domanda di risarcimento del danno.
2.2. Il motivo e’ inammissibile per le medesime ragioni per le quali e’ inammissibile il primo, ovvero la violazione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6.
In ogni caso esso sarebbe anche infondato, dal momento che il contenuto del ricorso introduttivo e’ trascritto nei passaggi salienti al foglio sette, quinto capoverso, della sentenza impugnata, e da esso non risulta affatto che gli attori avessero domandato la condanna dell’amministrazione comunale al risarcimento del danno.
3. Il ricorso incidentale condizionato proposto dal Comune di Napoli resta assorbito.
4. Le spese.
4.1. Le spese del presente giudizio di legittimita’ vanno a poste a carico dei ricorrenti, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo.
4.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si da’ atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17).

P.Q.M.

(-) dichiara inammissibile il ricorso principale l’assorbito l’incidentali;
(-) condanna (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido, alla rifusione in favore di Comune di Napoli delle spese del presente giudizio di legittimita’, che si liquidano nella somma di Euro 1.900, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, ex articolo 2, comma 2;
(-) condanna (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido, alla rifusione in favore del Comune di Napoli delle spese del presente giudizio di legittimita’, che si liquidano nella somma di Euro 1.900, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, ex articolo 2, comma 2;
(-) da’ atto che sussistono i presupposti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

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