Esercizio della facoltà di ogni condomino di servirsi della cosa comune

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|29 dicembre 2022| n. 38087.

Esercizio della facoltà di ogni condomino di servirsi della cosa comune

In tema di condominio negli edifici, l’esercizio della facoltà di ogni condomino di servirsi della cosa comune, nei limiti indicati dall’art. 1102 cod. civ., deve esaurirsi nella sfera giuridica e patrimoniale del diritto di comproprietà sulla cosa medesima e non può essere esteso, quindi, per il vantaggio di altre e diverse proprietà del medesimo condomino, venendosi altrimenti ad imporre una servitù sulla cosa comune, per la cui costituzione è necessario il consenso di tutti i condomini (Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto incensurabile la sentenza impugnata laddove la stessa aveva confermato anche in sede di gravame l’illegittima costituzione di una servitù posta a carico del Condominio per avere alcuni condomini installato, sul muro condominiale, contatori di acqua, luce e gas destinati a servire non già l’appartamento ubicato nel fabbricato condominiale bensì quello attiguo di proprietà esclusiva dei medesimi condomini senza che fosse intervenuto il necessario consenso scritto da parte di tutti i partecipanti al condominio).

Sentenza|29 dicembre 2022| n. 38087. Esercizio della facoltà di ogni condomino di servirsi della cosa comune

Data udienza 10 novembre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Condominio negli edifici – Parti comuni – Uso della cosa comune – Limiti – Utilizzo del bene comune da parte di un condomino a vantaggio di altre proprietà del medesimo – Divieto – Fondamento – Fattispecie concernente imposizione illegittima di servitù tramite apposizione di contatori sul muro condominiale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere

Dott. ROLFI Federico – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

Dott. AMATO Cristina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 3600/2017) proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentati e difesi, in virtu’ di procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avv. (OMISSIS), ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), in (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), rappresentato e difeso, in virtu’ di procura speciale rilasciata in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore del 5 novembre 2019, dall’Avv. (OMISSIS), ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro – prima sezione civile n. 2211/2016 (pubblicata il 30 dicembre 2016);
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10 novembre 2022 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto procuratore Generale Dott. MUCCI Roberto, con le quali ha chiesto l’accoglimento del quarto e quinto motivo del ricorso, rigettati i restanti;
lette le memorie depositate ai sensi dell’articolo 378 c.p.c., dalle difese di entrambe le parti.

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RITENUTO IN FATTO

1. Con atto di citazione notificato il 25 maggio 2000, la sig.ra (OMISSIS) conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Castrovillari, i sigg. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), esponendo che: – era proprietaria di gran parte di un fabbricato sito in (OMISSIS), comprendente un appartamento di proprieta’ del citati convenuti, i quali erano altresi’ proprietari esclusivi di un altro appartamento adiacente; – che, da qualche tempo addietro, gli stessi convenuti avevano installato sul muro comune condominiale, in corrispondenza dei magazzini di essa attrice, dei contatori di acqua, luce e gas nonche’ una vaschetta in bronzo, destinati a servire non gia’ l’appartamento ubicato nel condominio bensi’ quello attiguo di proprieta’ esclusiva dei medesimi convenuti; – che, pertanto, questi ultimi avevano illegittimamente imposto una servitu’ a carico del condominio ed a favore dell’immobile attiguo di proprieta’ esclusiva degli stessi senza che fosse intervenuto il necessario consenso scritto di tutti i partecipanti al condominio; – tanto premesso, chiedeva di accertare l’inesistenza di vincoli reali a carico del condominio in questione, con la conseguente condanna dei convenuti alla rimozione delle suddette opere, da considerarsi illegittimamente realizzate.
Si costituivano in giudizio i citati convenuti, i quali, oltre ad instare per il rigetto della domanda dell’attrice, proponevano, a loro volta, domanda riconvenzionale per sentir dichiarare l’illegittimita’ del consenso all’uso del muro comune che la (OMISSIS) aveva concesso a terzi con riferimento alla collocazione – in corrispondenza del magazzino di sua proprieta’ – di un macchinario voluminoso alimentato con impianto di raffreddamento del locale, il quale risultava pregiudizievole per il decoro architettonico del locale.
All’esito dell’esperita istruzione probatoria, l’adito Tribunale, con sentenza n. 1161/2009, accoglieva la domanda dell’attrice e respingeva quella riconvenzionale formulata dai convenuti, che condannava anche al pagamento delle spese giudiziali.
2. Decidendo sull’appello formulato dai soccombenti convenuti e nella costituzione dell’appellata (OMISSIS) (cui subentrava in corso di giudizio, a seguito del suo sopravvenuto decesso, l’erede (OMISSIS)), la Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n. 2211/2016 (pubblicata il 30 dicembre 2016), in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava gli appellanti alla rimozione immediata delle sole opere costituite dai contatori dell’acqua e della luce elettrica realizzate a carico del fabbricato condominiale, con esclusione della vaschetta in bronzo, confermando nel resto l’impugnata decisione di prime cure e condannando gli appellanti alla rifusione delle spese del grado.
A fondamento dell’adottata pronuncia, la Corte territoriale – sulla premessa che con l’esercitata azione era stata introdotta una causa di “negatoria servitutis” e che, nella fattispecie, erano applicabili gli articoli 1102 e 1122 c.c. – rilevava che il primo giudice aveva correttamente ritenuto illegittime le suddette opere poiche’ gravanti sul muro condominiale ma serventi l’immobile adiacente di proprieta’ esclusiva degli appellanti, senza che fosse stato espresso alcun idoneo consenso al riguardo. Escludeva, invece, che l’apposizione della vaschetta in bronzo arrecasse nocumento all’estetica del fabbricato, siccome – essendo di dimensioni ridotte – avente funzione soltanto ornamentale.
3. Contro la menzionata sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, gli appellanti (OMISSIS), resistito con controricorso dall’intimato (OMISSIS).
Le difese di entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

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CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno denunciato – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la falsa applicazione degli articoli 949 e 1027 c.c., nonche’ dei principi generali in materia di servitu’, unitamente alla violazione e falsa applicazione degli articoli 1102 e 1120 c.c., oltre che dei principi generali in materia di condominio negli edifici, congiuntamente alla violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., e dei principi generali in materia di qualificazione della domanda. In particolare, essi hanno dedotto l’erroneita’ dell’impugnata sentenza nella parte in cui aveva qualificato l’azione esercitata dall’attrice come “negatoria servitutis”, senza considerare la circostanza dell’identita’ di proprietari dell’asserito fondo servente e dell’assunto fondo dominante, trascurando, percio’, che non si era venuto a configurare un rapporto diretto ed immediato tra i due immobili, venendo cosi’ a mancare anche il requisito della “predialita’”.
2. Con la seconda censura i ricorrenti hanno prospettato – in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 949, 1002 e 1120 c.c., denunciando l’erroneita’ della sentenza di appello laddove aveva dichiarato che con l’apposizione dei contatori (dell’energia elettrica e dell’acqua) posti sul muro condominiale comune era stata costituita un’illegittima servitu’ in quanto alimentanti l’abitazione (OMISSIS), che si componevano di un vano compreso nel condominio e di altri vani estranei allo stesso.
3. Con il terzo mezzo i ricorrenti hanno lamentato – in ordine all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1102 c.c., per aver la Corte catanzarese dichiarato che l’apposizione dei citati contatori costituivano un’illegittima servitu’ anche a carico del vano cucina compreso nel condominio, disponendone la rimozione.
4. Con la quarta doglianza i ricorrenti hanno dedotto – con riguardo all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione dell’articolo 112 c.p.c., e, quindi, la nullita’ dell’impugnata sentenza per non essersi pronunciata sul motivo attinente al rigetto della su richiamata domanda riconvenzionale statuito con la sentenza di primo grado.
5. Con il quinto motivo i ricorrenti hanno denunciato – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – la violazione e falsa applicazione dell’articolo 111 Cost., comma 6, articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e articolo 118 disp. att. c.p.c., prospettando il difetto assoluto di motivazione sul citato motivo attinente alla formulata domanda riconvenzionale.
6. Con la sesta censura i ricorrenti hanno dedotto – avuto riguardo all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli articoli 91 e 336 c.p.c., per non aver il giudice di appello, pur riformando la sentenza di primo grado accogliendo un motivo e rigettando un capo dell’originaria domanda attrice, rideterminato le spese del primo giudizio, non tenendo, altresi’, conto della soccombenza parziale nel giudizio di secondo grado dell’appellato.
7. Con il settimo ed ultimo motivo i ricorrenti hanno denunciato – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la nullita’ della sentenza e del processo in relazione all’asserito difetto di legittimazione passiva di essi ricorrenti (quali originari convenuti), poiche’ tale legittimazione avrebbe dovuto essere riconosciuta in capo all'(OMISSIS) e al Comune di Lungro, enti erogatori delle forniture, non citati in giudizio.

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8. Rileva il collegio che – disattesa l’eccezione di asserita inammissibilita’ sollevata dal controricorrente, siccome del tutto infondata – assume carattere preliminare l’esame del settimo ed ultimo motivo, con il quale i ricorrenti hanno dedotto il difetto di legittimazione passiva con riferimento all’azione reale esperita nei loro confronti, poiche’ ad avviso degli stessi – risolvendosi la stessa in una richiesta di condanna alla rimozione dei contatori apposti sul muro condominiale comune – avrebbe dovuto essere intentata nei riguardi degli enti erogatori dei relativi servizi (ovvero, rispettivamente, l'(OMISSIS), per il contatore della luce elettrica, e il Comune di Lungro, per quello dell’approvvigionamento idrico), tuttavia non evocati in giudizio dalla (OMISSIS) (a cui era poi succeduto il (OMISSIS)).
Il motivo e’ infondato e va, percio’, respinto.
Si osserva, infatti, che – diversamente da quanto prospettano i ricorrenti – l’actio negatoria servitutis e’ stata intentata non per la rimozione delle tubature o degli impianti relativi ai servizi elettrici e di erogazione idrica (nel qual caso sarebbe sussistito l’eccepito difetto di legittimazione passiva: cfr. Cass. n. 11785/2006 e Cass. n. 22050/2018), ma solo con riferimento all’illegittima apposizione dei relativi contatori, che, evidentemente, sono stati messi su indicazione e nell’interesse degli utenti o, comunque, avendone gli stessi consentito l’installazione sul muro condominiale, siccome destinati alla contabilizzazione dei relativi consumi; inoltre, la richiesta della loro rimozione – e, quindi, l’esercizio dell’azione ai sensi dell’articolo 949 c.c. – e’ stata finalizzata all’eliminazione di tali contatori dal muro comune in quanto serventi altro immobile non ricadente nella proprieta’ condominiale, ancorche’ contiguo a quest’ultima.
9. Riprendendo l’ordine di proposizione dei motivi, ritiene il collegio che i primi tre possono essere esaminati congiuntamente, in quanto all’evidenza connessi.
Anche essi sono destituiti di fondamento e devono essere rigettati.
Occorre, invero, rilevare che – oltre ad essere pacifico che il potere di qualificazione dell’azione compete al giudice di merito (e che entrambi, adeguatamente motivando, l’hanno correttamente ricondotta ad un’actio negatoria servitutis) – la stessa fosse univocamente da riferire (come, del resto, dedotto con l’atto di citazione introduttivo del giudizio) all’illegittima apposizione sul muro comune dei due indicati contatori da parte dei (OMISSIS), i quali – tramite tale condotta – avevano creato un’illegittima servitu’ a carico di una proprieta’ condominiale ma in favore di una proprieta’ esclusiva attigua appartenente agli stessi ricorrenti, ragion per cui – per questa essenziale ragione – sussiste una diversita’ di “predialita’” (e non si applica, quindi, il principio “nemini res sua servit”), indipendentemente dal fatto che sussistesse un’identita’ formale (nominale) tra i (OMISSIS), quali comproprietari di alcuni immobili facenti parte del condominio (a cui ineriva il muro comune) e proprietari esclusivi di un immobile attiguo a cui servizio erano stati installati i contatori di cui e’ stata invocata la rimozione, perche’ – per l’appunto – apposti su proprieta’ aliena appartenente anche alla (OMISSIS) (quale condomina-comproprietaria), la quale non aveva inteso rilasciare alcun consenso per autorizzare un aggravio sulla struttura condominiale con la realizzazione di tale servitu’.
A tal proposito, il giudice di appello – al di la’ dell’inconferente richiamo ai principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte sull’illegittimita’ dell’apertura di un varco praticata da un condomino sul muro comune – ha, tuttavia, applicato alla fattispecie il corretto principio secondo cui l’esercizio della facolta’ di ogni condomino di servirsi della cosa comune, nei limiti indicati dall’articolo 1102 c.c., deve esaurirsi nella sfera giuridica e patrimoniale del diritto di comproprieta’ sulla cosa medesima e non puo’ essere esteso, quindi, per il vantaggio di altre e diverse proprieta’ del medesimo condomino (e nell’impugnata sentenza non si fa alcun riferimento al vano cucina, non essendo influente tale accertamento, risultando invece determinante il peso imposto sul muro comune a favore di una proprieta’ esclusiva dei (OMISSIS)), perche’ in tal caso si verrebbe ad imporre una servitu’ sulla cosa comune, per la cui costituzione e’ necessario il consenso di tutti i condomini, nella specie non intervenuto (cfr. Cass. n. 944/2013 e Cass. n. 5132/2019).

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10. E’, invece, da ritenersi fondato il quarto motivo del ricorso.
Infatti, per quanto documentalmente evincibile dall’esame degli atti (consentito anche nella presente sede di legittimita’, trattandosi della denuncia di un vizio processuale), i (OMISSIS) avevano, in primo grado, proposto una domanda riconvenzionale diretta ad ottenere la rimozione del macchinario-compressore di aria condizionata (siccome asseritamente idoneo ad arrecare pregiudizio alla stabilita’ e alla sicurezza del fabbricato) posto all’angolo del muro comune prospiciente (OMISSIS), la quale fu rigettata con la sentenza di prime cure, che – sullo specifico punto – fu impugnata con l’atto di appello, come attesta la stessa sentenza di secondo grado (v. pagg. 5, in fondo, e pag. 6, all’inizio), contestandosi, per l’appunto, la reiezione disposta all’esito del giudizio di primo grado.
Tuttavia, malgrado la proposizione di questo specifico motivo di gravame, dalla motivazione dell’impugnata sentenza non si evince alcun esame dello stesso, essendosi la stessa incentrata esclusivamente sui motivi principali attinenti all’imposizione illegittima della servitu’ tramite l’apposizione dei contatori sul muro comune, escludendosi, peraltro, il nocumento prospettato come arrecato sotto il profilo estetico solo con riguardo alla vaschetta (contrariamente a quanto rilevato dal primo giudice).
Pertanto, si e’ venuto a configurare il vizio di omessa pronuncia denunciato con il quarto motivo (non avendo alcun rilievo al riguardo – in difetto di apposito svolgimento in motivazione della risposta al suddetto motivo – il solo riferimento riportato nel dispositivo rivolto ad una generica conferma “nel resto”).
11. Il quinto motivo e’, di conseguenza, inammissibile, non vertendosi – diversamente da quello esattamente dedotto con il precedente, in quanto riconducibile alla violazione dell’articolo 112 c.p.c. – in un caso di vizio di omessa motivazione, il quale riguarda il mancato esame di un fatto potenzialmente decisivo ai fini della soluzione della causa e non di una domanda, di un’eccezione o di un motivo di impugnazione (v., tra le tante, Cass. n. 25761/2014 e Cass. n. 1539/2018).
12. Il sesto motivo e’ assorbito, perche’ investe un aspetto attinente alla regolazione delle spese del doppio grado di giudizio, che dovranno essere ridisciplinate all’esito del giudizio di rinvio.
13. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, va accolto il quarto motivo del ricorso, devono essere rigettati i primi tre, unitamente al settimo, e dichiarato inammissibile il quinto, con il derivante assorbimento del sesto.
Da cio’ consegue la cassazione dell’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto, con il rinvio della causa alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, che, oltre a statuire sulla censura in ordine alla quale la decisione qui impugnata non ha pronunciato, provvedera’ anche a regolamentare le spese del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso, rigetta i primi tre ed il Cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione.

 

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