Giudizio di rinvio ad istruzione sostanzialmente “chiusa”

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|22 settembre 2022| n. 27736.

Giudizio di rinvio ad istruzione sostanzialmente “chiusa”

Nel giudizio di rinvio, configurato dall’art. 394 c.p.c. quale giudizio ad istruzione sostanzialmente “chiusa”, é preclusa l’acquisizione di nuove prove e segnatamente la produzione di nuovi documenti, salvo che la stessa sia giustificata da fatti sopravvenuti riguardanti la controversia in decisione, da esigenze istruttorie derivanti dalla sentenza di annullamento della Corte di cassazione o dall’impossibilità di produrli in precedenza per causa di forza maggiore. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, nell’ambito di un giudizio di risarcimento del danno da emotrasfusioni, aveva dichiarato inammissibile la produzione, in seno al giudizio di rinvio, della documentazione relativa alla liquidazione dell’indennizzo ex l. n. 210 del 1992, non avendo la parte neppure allegato la ricorrenza di ragioni idonee a giustificare la deroga al suddetto divieto).

Ordinanza|22 settembre 2022| n. 27736. Giudizio di rinvio ad istruzione sostanzialmente “chiusa”

Data udienza 21 aprile 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Responsabilità sanitaria – Danni da emotrasfusioni – Epatite C cronica – Indennizzo ex l. 210/1992 – Risarcimento – Compensatio lucri cum damno

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente
Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 24529/2021 proposto da:
MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 908/2021 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 12/08/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 21/04/2022 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Giudizio di rinvio ad istruzione sostanzialmente “chiusa”

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Lecce, il Ministero della Sanita’, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni patiti per aver contratto il virus dell’HCV a seguito della somministrazione di alcune emotrasfusioni nel giugno del 1973 e nel novembre 1976, presso l’ospedale di (OMISSIS). Preciso’ l’attrice di aver avuto contezza di essere affetta da “Epatite cronica C” solo a seguito di specifici esami di laboratorio.
Si costitui’ il convenuto eccependo la prescrizione del diritto fatto valere dall’attrice, l’inammissibilita’ della domanda – per aver la (OMISSIS) percepito l’indennizzo ex L. n. 210 del 1992 – e la sua infondatezza, tenuto conto della data delle trasfusioni.
Il Tribunale adito, con sentenza non definitiva n. 475 del 2006, depositata il 13.02.2006, rigetto’ l’eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero della Salute convenuto e, con sentenza definitiva n. 872 del 2011, depositata il 29.04.11, rigetto’ la domanda sul rilievo che le trasfusioni in seguito alle quali l’attrice aveva contratto il virus erano state eseguite anteriormente al 1978 e, quindi, in un’epoca in cui la scienza medica non aveva raggiunto le necessarie conoscenze sull’infezione da epatite B, in base alle quali non poteva farsi risalire la conoscenza del virus dell’HCV ai fini preventivi.
Avverso la sentenza di primo grado (OMISSIS) propose gravame cui si oppose il Ministero deducendo di aver corrisposto l’indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992.
Con sentenza n. 51 del 19 dicembre 2015, la Corte di appello di Lecce, ritenendo sussistente una responsabilita’ omissiva colpevole del Ministero e disponendo lo scomputo delle somme gia’ erogate a titolo di indennizzo – sulla base della considerazione che tali somme fossero facilmente determinabili – dalle somme liquidate a titolo risarcitorio, accolse parzialmente l’impugnazione, condanno’ il Ministero appellato al risarcimento in favore dell’appellante del danno non patrimoniale, liquidato complessivamente in Euro 88.804,00, da cui doveva detrarsi l’indennizzo ex L. n. 210 del 1992, alla stessa gia’ corrisposto, oltre accessori, dispose la parziale compensazione delle spese di quel grado di giudizio nella misura di un terzo, ponendo a carico del Ministero i residui due terzi, nonche’ le spese per la c.t.u. effettuata in primo grado.

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Avverso la decisione di secondo grado la (OMISSIS) propose ricorso per cassazione, cui resistette con controricorso il Ministero della Salute.
Questa Corte, con ordinanza n. 21967 del 3 settembre 2019, accolse il ricorso per quanto di ragione, con riguardo al secondo e al quinto motivo, e lo rigetto’ in relazione ai motivi primo, terzo, quarto e sesto (quest’ultimo relativo alla mancata liquidazione del danno morale), con assorbimento del settimo motivo; casso’ la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.
In particolare questa Corte con l’ordinanza appena richiamata nel rigettare la censura proposta al riguardo -. preciso’ che “l’eccezione di compensatio lucri cum damno si dimostra correttamente proposta anche per la prima volta in sede di appello. Per le ragioni connesse all’entita’ del danno da risarcire, essa si pone come eccezione in senso lato, vale a dire non in termini di adduzione di un fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto azionato, ma di mera difesa in ordine all’esatta entita’ globale del pregiudizio effettivamente patito dal danneggiato ed e’, come tale, rilevabile dal giudice, il quale, per determinarne l’esatta misura del danno risarcibile, puo’ fare riferimento, per il principio dell’acquisizione della prova, a tutte le risultanze del giudizio, e cosi’ anche a quelle successivamente intervenute in corso di causa (v. Sez. 6 – 3, Sentenza n. 20111 del 24/09/2014)”. E in relazione ai motivi accolti “attinenti alla compensabilita’ delle due poste risarcitorie, di cui una rimasta incerta nel suo esatto ammontare”, osservo’ che “Detta compensazione (mediante scomputo dall’importo residuale dovuto) non potrebbe certamente operare qualora l’indennizzo indicato dalla legge non sia stato corrisposto, ovvero non sia quanto meno determinato o determinabile nel suo preciso ammontare. Difatti, l’astratta spettanza di una somma suscettibile di essere compresa tra un minimo e un massimo, a seconda della patologia riconosciuta, non equivale alla sua corresponsione e non fornisce elementi per individuarne l’esatto ammontare. Ne’ potrebbe soccorrere, a tal fine, il carattere predeterminato delle tabelle indicate nella legge di riferimento per individuare, in mancanza di dati specifici della cui prova e’ onerato chi eccepisce il lucrum, il preciso importo da portare in decurtazione dal risarcimento (Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 20909 del 22/08/2018). Pertanto, la censura inerente all’erronea applicazione della norma di cui all’articolo 1242 c.c., per avere il giudice operato la compensazione tra due poste, di cui una rimasta incerta, e’ fondata”.

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La (OMISSIS) riassunse il giudizio dinanzi alla Corte di appello di Lecce, chiedendo di applicare il principio di diritto affermato nell’ordinanza suindicata, con condanna del predetto Ministero al pagamento, in suo favore, della somma di Euro 88.804,00, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria sino al soddisfo, con vittoria di spese di tutti i gradi da liquidarsi in favore del procuratore anticipatario.
Il Ministero della Salute si costitui’ rappresentando che questa Corte, con la gia’ piu’ volte richiamata ordinanza, aveva evidenziato che l’unico ostacolo alla concreta operativita’ del meccanismo di compensazione tra indennita’ conseguita e risarcimento del danno riconosciuto giudizialmente fosse costituito dall’assoluta incertezza ed indeterminabilita’ dell’indennizzo, il che non sussisteva nella specie, atteso che la (OMISSIS) aveva dichiarato di aver conseguito l’indennita’ ex L. n. 210 del 1992, e che, con verbale della CMO di Taranto del 3.05.2003, la patologia contratta era stata giudicata ascrivibile alla categoria della Tabella A del Decreto del Presidente della Repubblica n. 834 del 1981, dalla domanda amministrativa. Il Ministero produsse, comunque, in quella sede di rinvio, documentazione attestante la quantificazione e la liquidazione dell’indennizzo ex L. n. 210 del 1992, e chiese il rigetto dell’appello.
La Corte di appello di Lecce, con sentenza n. 908/2021, depositata il 12.08.2021, ritenuta inammissibile tale produzione documentale, vertendosi in un giudizio di rinvio nel quale erano maturate le preclusioni processuali, accolse la domanda per quanto di ragione e condanno’ il Ministero della Salute al risarcimento del danno in favore di (OMISSIS), liquidato in Euro 88.804,00, oltre interessi legali da computarsi sulla somma devalutata alla data della domanda e annualmente rivalutata in base agli indici ISTAT, sino alla pubblicazione di quella sentenza e per il periodo successivo, sino al saldo sulla somma complessiva; compenso’ al 30% le spese di tutti i gradi del giudizio e condanno’ il Ministero al pagamento del restante 70% di tali spese, con distrazione al procuratore anticipatario.
Avverso tale decisione della Corte di merito il Ministero della Salute ha proposto ricorso per cassazione, basato su due motivi, cui ha resistito (OMISSIS) con controricorso illustrato da memoria.
La proposta del relatore e’ stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c..

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, l’Amministrazione ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 384 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Violazione del principio di diritto affermato dal Giudice di legittimita’”. Sostiene il ricorrente che questa Corte, con ordinanza n. 21967/2019, dopo aver ribadito la natura di eccezione in senso lato dell’istanza di compensatio lucri cum damno ed averne definito i criteri applicativi, avrebbe consentito al giudice di merito di fare riferimento, per l’esatta determinazione del danno risarcibile, a tutte le risultanze del giudizio, anche a quelle successivamente intervenute in corso di causa.
Ad avviso del ricorrente, dichiarando inammissibile la produzione documentale volta a provare la corresponsione e la quantificazione dell’indennizzo ex L. n. 210 del 1992 nei confronti della (OMISSIS), la Corte di merito avrebbe, quindi, violato il principio di diritto affermato da questa Corte.
2. Con il secondo motivo di ricorso, il Ministero della Salute denuncia la “Violazione dei principi in materia di compensatio lucri cum damno; violazione dell’articolo 2043 c.c., nonche’ degli articoli 1223 e 2056 c.c., in tema di determinazione del quantum dovuto per risarcimento dei danni; violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., violazione della L. n. 210 del 1992, articoli 1 – 3, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3″. Secondo la tesi del ricorrente, la decisione della Corte territoriale si porrebbe in contrasto con la natura di eccezione in senso lato della domanda di compensatio lucri cum damno e con l’esigenza, cui la stessa sarebbe preordinata, di delimitare l’ambito del pregiudizio risarcibile, nonche’ di impedire che un medesimo evento possa determinare, nei confronti dello stesso soggetto, una duplicazione dell’obbligazione di pagamento. Assume, altresi’, il ricorrente che la compensatio in parola, rientrando nell’attivita’ difensiva, sarebbe proponibile anche in grado di appello ed anche in sede di giudizio di rinvio” ovvero sarebbe rilevabile d’ufficio, in quanto con essa non verrebbe prospettato un ampliamento dell’iniziale oggetto della controversia, pur sempre circoscritto alla valutazione globale delle conseguenze nella sfera economica del danneggiato; unico ostacolo alla concreta operativita’ del meccanismo della compensazione in parola, starebbe nell’assoluta incertezza ed indeterminabilita’ dell’indennizzo, non ricorrenti nella specie, nemmeno alla luce degli elementi gia’ acquisiti al giudizio (e prima della fase di rinvio), avendo la Corte di merito, gia’ nella decisione annullata da questa Corte, ritenuto incontestato il fatto storico che la (OMISSIS) avesse ricevuto l’indennizzo.
3. I due motivi di ricorso ben possono essere esaminati congiuntamente, attenendo entrambi, sostanzialmente, alla corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte con l’ordinanza n. 21967 del 2019 in tema di compensatio lucri CUM damno con riferimento alla specifica fattispecie all’esame e alla questione della natura dell’eccezione della compensatio in parola, alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di legittimita’ al riguardo.

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3.1. Questa Corte, con l’ordinanza di rinvio n. 21967/2019, ha preso le mosse dalle pronunce delle Sezioni Unite nn. 12564, 12565 e 12566 del 22/05/2018, che hanno chiarito che in tutti i casi in cui sia una norma legislativa ad attribuire un vantaggio collaterale il giudice della responsabilita’ civile non potrebbe procedere, tout court, ad effettuare l’operazione compensativa o di defalco, perche’ in tal modo egli vanificherebbe il senso piu’ profondo della previsione normativa costituente il titolo dell’attribuzione, che risiede nell’assunzione da parte della generalita’ dei consociati del carico di determinati svantaggi subiti dal o dai soggetti danneggiati, non essendo tollerabile per il sistema premiare indirettamente chi si e’ comportato in modo negligente si’ da alleggerirne la posizione debitoria e che, in questa materia, e’ il criterio del nesso causale a fungere da reale
argine all’operare dello scomputo da compensatio.
Conseguentemente, il criterio causale da applicare e’ orientato a far si’ che il risarcimento copra tutto il danno cagionato, ma eviti in pari modo che lo si oltrepassi, non potendo esso costituire ne’ un vantaggio per il danneggiante, ne’ una fonte di arricchimento per il danneggiato, il quale deve invece essere collocato nella stessa curva di indifferenza in cui si sarebbe trovato se non avesse subito l’illecito: come l’ammontare del risarcimento non puo’ superare quello del danno effettivamente prodotto, cosi’ anche occorre tener conto degli eventuali effetti “vantaggiosi” ex lege che il fatto dannoso ha provocato a favore del danneggiato, calcolando le poste positive in diminuzione del risarcimento. Per delineare tale criterio di selezione, occorre muoversi guardando alla funzione di cui il beneficio collaterale si rivela essere espressione, per accertare se esso sia compatibile o meno con una imputazione al risarcimento, sicche’ la prospettiva non e’, quindi, quella della coincidenza formale dei titoli, ma quella del collegamento funzionale tra la causa dell’attribuzione patrimoniale e l’obbligazione risarcitoria; pertanto, il beneficio non e’ computabile in detrazione con l’applicazione della compensatio solo allorche’ trovi la sua fonte altrove e nell’illecito solo un coefficiente causale.
L’ordinanza di rinvio ha pure osservato che, proprio ragionando negli stessi termini indicati dalle Sezioni Unite con le richiamate pronunce, la giurisprudenza di legittimita’ ha da tempo affermato che, pur avendo il diritto al risarcimento del danno natura diversa rispetto all’attribuzione indennitaria erogata ex lege al soggetto infettato, nell’ambito del giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della Salute per omessa adozione delle dovute cautele in materia di emoderivati infetti, l’indennizzo eventualmente gia’ corrisposto puo’ essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno stabilito in via giudiziale, venendo altrimenti la vittima del sinistro a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo, dove la prima elargizione prescinde dall’accertamento di un fattore di colpa nella condotta, mentre la seconda richiede l’accertamento di tale ultimo elemento (Cass. 14/03/2013, n. 6573, Cass., 24/9/2014, n. 20111; Cass. 20/1/2014, n. 991; Cass. 22/08/2018, n. 20909). Ed infatti l’indennizzo previsto dalla legge speciale di riferimento non ha una natura propriamente previdenziale, rimanendo strettamente collegato alla causa del danno, e non e’ esclusivamente connesso ad un peculiare fondamento solidaristico, ma e’ essenzialmente connotato dalla finalita’ di rimuovere le conseguenze prodottesi nel danneggiato per effetto dell’illecito, e cio’ a prescindere dalla prova della negligenza della struttura sanitaria in cui ha ricevuto il trattamento di emodialisi. A tal fine l’indennizzo viene calcolato sulla base di un accertamento del nesso causale tra danno epatico e trasfusione, nonche’ della relativa percentuale di invalidita’.

Giudizio di rinvio ad istruzione sostanzialmente “chiusa”

Con l’ordinanza n. 21967/19 rilevato che, qualora non si ammettesse lo scomputo di tale somma dall’ammontare dell’intero risarcimento dovuto, la vittima si troverebbe a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico del medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo, questa Corte, con riferimento al caso anche ora in esame, come gia’ riportato testualmente nella parte relativa ai fatti di causa, ha osservato che l’eccezione di compensatio lucri cum damno e’ stata correttamente proposta per la prima volta in appello, trattandosi di mera difesa in ordine all’esatta entita’ globale del pregiudizio ed e’, quindi, rilevabile dal giudice che, per determinare l’esatta misura del danno risarcibile, puo’ far riferimento, per il principio di acquisizione della prova, a tutte le risultanze del giudizio, anche a quelle intervenute successivamente in corso di causa e a tale riguardo ha espressamente richiamato Cass. 24/09/2014, n. 20111.
Da tale affermazione non puo’ pero’ desumersi, come sostiene il Ministero ricorrente, che la prova al riguardo possa essere fornita in sede di rinvio.
Cio’ anzitutto per ragioni testuali, non avendo in alcun modo l’ordinanza di rinvio fatto riferimento ad eventuali acquisizioni in sede di rinvio ma anzi, richiamando espressamente la decisione n. 20111/2014, ha ribadito, sia pure per relationem, che deve trattarsi di elementi istruttori ritualmente acquisiti (v. in motivazione la decisione appena richiamata, che non si riferisce a giudizio di rinvio e in cui si afferma, per quanto qui rileva e con riguardo allo specifico riferimento operato da Cass. 21967/2019, che: “A stretto rigore, peraltro, nella determinazione del danno il giudice potrebbe, nell’individuazione dell’esatta entita’, fare riferimento a tutte le risultanze del giudizio, in virtu’ sia del principio in forza del quale ogni elemento istruttorio ritualmente acquisito concorre alla decisione a prescindere dalla parte che lo abbia addotto… “).
A quanto precede va pure aggiunto che questa Corte con la gia’ piu’ volte richiamata ordinanza n. 21967/2019 ha espressamente ritenuto fondata la censura inerente all’erronea applicazione della norma di cui all’articolo 1242 c.c. “per aver 11 giudice di merito operato la compensazione tra due poste di cui una rimasta incerta”, rilevando che la compensazione in questione non puo’ operare qualora l’indennizzo indicato dalla legge non sia stato corrisposto, ovvero non sia quanto meno determinato o determinabile, con la precisazione che l’astratta spettanza di una somma suscettibile di essere compresa tra un minimo e un massimo, non equivale alla sua corresponsione e non fornisce elementi per individuarne l’esatto ammontare, e che non soccorre, a tal fine, il carattere predeterminato delle tabelle indicate nella legge di riferimento per individuare, in mancanza di dati specifici della cui prova e’ onerato chi eccepisce il lucrum, il preciso importo da portare in decurtazione dal risarcimento.
Non sussiste, quindi, la lamentata violazione del principio di diritto affermato da questa Corte con l’ordinanza che, in accoglimento parziale del ricorso, ha rinviato la causa.
Peraltro la Corte di merito, decidendo nel senso gia’ ricordato, sul rilievo dell’inammissibilita’ della produzione depositata dalla parte appellata in riassunzione, “vertendosi in un giudizio di rinvio nel quale sono maturate le preclusioni processuali”, ha correttamente statuito. Ed invero, fermo restando quanto ribadito anche con l’ordinanza 21967/2019 in relazione alla natura dell’eccezione di compensazione, va ribadito il principio che e’ onere di chi la invoca dimostrarne il fondamento e che, in caso di insufficienza di prova, le conseguenze ricadranno sulla parte onerata che restera’ tenuta al risarcimento integrale (Cass. 24/09/2014, n. 20111 e Cass., ord., 10/05/2016, n. 9434, entrambe richiamate da Cass., 0.I., 22/06/2017, n. 15534 al cpv 5.5.; v. anche Cass., ord., 10/09/2019, n. 22528).
Con l’ordinanza n. 21967 del 2019, questa Cori:e, censurando l’iter argomentativo svolto dalla Corte d’appello di Lecce nella sentenza n. 51 del 2015 – come gia’ evidenziato -, ha ritenuto fondata la censura inerente all’erronea applicazione della norma di cui all’articolo 1242 c.c., per aver il giudice operato la compensazione tra due poste di cui una (quella inerente alla somma per indennizzo ex L. n. 210 del 1992) rimasta incerta nel suo preciso ammontare, sicche’ non rileva in questa sede la deduzione del ricorrente (v. ricorso p. 16) secondo cui “nella decisione poi annullata in parte dalla Corte di legittimita’, con la ordinanza dalla quale promana il giudizio di rinvio aveva… ritenuto incontestato il fatto storico che la (OMISSIS) avesse ricevuto l’indennizzo”).
Si rileva che questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare, sia pure con un obiter (v. Cass., ord., 10/09/2019, n. 22528, non massimata), che, nonostante la natura di eccezione in senso lato della compensatio lucri cum damno, la mancata dimostrazione del fondamento di tale pretesa non puo’ essere colmata con il giudizio di rinvio che prevede “un’istruzione chiusa” e che, pertanto, non consente l’introduzione di elementi di fatto nuovi e diversi da quelli gia’ prospettati nei precedenti gradi del giudizio.
Al riguardo si osserva che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’, nel giudizio di rinvio, configurato dall’articolo 394 c.p.c., quale giudizio ad istruzione sostanzialmente “chiusa”, e’, infatti, preclusa la produzione di nuovi documenti, salvo che la loro produzione non sia giustificata da fatti sopravvenuti riguardanti la controversia in decisione, da esigenze istruttorie derivanti dalla sentenza di annullamento della Corte di cassazione o dall’impossibilita’ di produrli in precedenza per causa di forza maggiore (Cass. 12/10/2009, n. 21587; Cass. 30/09/2015, n. 19424; Cass., ord., 18/10/2018, n. 26108).
Nel caso di specie, il Ministero ricorrente ben avrebbe potuto produrre la documentazione a fondamento dell’eccezione di compensatio lucri cum damno sino al grado di appello mentre la ricorrenza dei presupposti per poter derogare al divieto di nuove attivita’ probatorie nel giudizio di rinvio non risulta essere stata neppure allegata.
Alla luce di quanto precede, risulta che il Giudice di rinvio ha fatto buon governo dei principi di diritto affermati da questa Corte nella sua consolidata giurisprudenza e nell’ordinanza che ha disposto il rinvio, e, quindi, entrambi i motivi proposti sono infondati.
4. Il ricorso, pertanto, va rigettato.
5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, disponendosene la chiesta attribuzione in favore dell’avv. (OMISSIS), dichiaratosi antistatario.
6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, con attribuzione in favore dell’avv. (OMISSIS), antistatario; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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