I regolamenti e gli atti amministrativi generali

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 27 gennaio 2020, n. 661.

La massima estrapolata:

I regolamenti e gli atti amministrativi generali sono impugnabili in via diretta solo ove contengano disposizioni in grado di ledere in via diretta ed immediata le posizioni giuridiche soggettive dei destinatari; negli altri casi, divengono impugnabili solo quando sorge l’interesse a ricorrere, ovvero assieme all’atto applicativo che produca una lesione effettiva, e non solo ipotetica o futura.

Sentenza 27 gennaio 2020, n. 661

Data udienza 19 dicembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1483 del 2019, proposto dalla società Ve. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato St. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, piazza (…);
contro
la Regione Puglia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato An. Bu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso la Delegazione della Regione Puglia in Roma, via (…);
nei confronti
del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, del Ministero della salute e del Ministero dello sviluppo economico, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
dell’Agenzia regionale per la prevenzione e la protezione dell’ambiente per la Puglia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato La. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;
dell’Azienda sanitaria locale- ASL Brindisi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Nu. Ce. Fr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;
dell’Agenzia regionale sanitaria della Regione Puglia, della Provincia di Brindisi, del Sindaco pro tempore del Comune di Brindisi e delle società Ed. S.p.a. e A2. S.p.a. già Ed. S.p.a., non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del TAR Puglia, sede di Bari, sezione I, 5 luglio 2018 n. 995, che ha dichiarato inammissibile il ricorso n. 1770/2012 R.G. integrato da motivi aggiunti proposto per l’annullamento:
(ricorso principale e I motivi aggiunti, depositati il giorno 26 novembre 2013)
a) del regolamento della Regione Puglia 3 ottobre 2012 n. 24, pubblicato sul Bollettino ufficiale -B.U. Puglia 5 ottobre 2012, n. 145, che ha fissato le linee guida per l’attuazione della l.r. 24 luglio 2012 n. 21 recante “Norme a tutela della salute, dell’ambiente e del territorio sulle emissioni industriali inquinanti per le aree pugliesi già dichiarate ad elevato rischio ambientale”;
e di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali;
(secondi motivi aggiunti, depositati il giorno 18 giugno 2015)
b) del Rapporto di valutazione speditiva del danno sanitario nell’area di Brindisi, redatto a cura dell’Agenzia regionale protezione dell’ambiente-ARPA Puglia, dell’Azienda sanitaria regionale – ARES Puglia e dell’Azienda sanitaria locale- ASL di Brindisi del dicembre 2014, conosciuto dalla ricorrente tramite la nota di trasmissione del Coordinatore del Tavolo inter-istituzionale ARPA/ARES/ASL prot. ARPA Unica A00 0019466 del 3 aprile 2015;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni suindicate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2019 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti gli avvocati St. Gr., An. Bu. e La. Ma. e l’avvocato dello Stato Ve. Fe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

L’appellante è un’industria petrolchimica, la quale gestisce per quanto qui interessa un impianto di produzione di materie plastiche, che si trova a Brindisi, è soggetto a valutazione di impatto ambientale – VIA e ad autorizzazione integrata ambientale – AIA, ed è compreso nel relativo sito di interesse nazionale, dichiarato area ad elevato rischio di crisi ambientale con deliberazione del Consiglio dei Ministri 30 novembre 1990 (v. sentenza di I grado pp. 2-3).
La società ha impugnato in questa sede gli atti meglio indicati in epigrafe, ritenendosi pregiudicata dagli adempimenti da essi programmati in tema di valutazione del danno sanitario-VDS, nei termini che seguono.
2. Gli adempimenti in questione derivano dalla normativa e dagli atti che ora si espongono.
2.1 In primo luogo, la Regione Puglia ha approvato la l.r. 24 luglio 2012 n. 21, recante “Norme a tutela della salute, dell’ambiente e del territorio sulle emissioni industriali inquinanti per le aree pugliesi già dichiarate a elevato rischio ambientale”, al dichiarato scopo – come afferma il comma 1 dell’art. 1 di essa- di “prevenire ed evitare un pericolo grave, immediato o differito, per la salute degli esseri viventi e per il territorio regionale”; la legge in questione, come previsto dal successivo comma 2 dell’art. 1, interessa poi le “aree di Brindisi e Taranto, già dichiarate aree a elevato rischio di crisi ambientale” e all’interno di esse gli stabilimenti i quali “presentano almeno una delle seguenti caratteristiche: a) sono fonte di emissioni di idrocarburi policiclici aromatici (IPA); b) scaricano in mare o nei corpi idrici del bacino regionale reflui di processo e acque di raffreddamento e di trattamento rivenienti da attività lavorative; c) impiegano per le loro attività materiali e composti polverulenti” con date caratteristiche ivi indicate; fra essi, vi è anche quello della ricorrente appellante, che appunto si assume emettere IPA.
2.2 La legge regionale prevede all’art. 2 che per tali aree e stabilimenti l’autorità sanitaria e l’autorità ambientale regionali debbano redigere ogni anno un rapporto di valutazione del danno sanitario – VDS, ovvero in parole semplici una stima, basata ovviamente su criteri scientifici, della specifica incidenza dell’attività degli stabilimenti in questione su determinate malattie e determinate cause di morte che si riscontrano nella Regione; prevede poi ai successivi artt. 3, 4 e 5 che ove il rapporto VDS evidenzi criticità le aziende interessate debbano attivarsi per ridurre le emissioni reputate dannose, con possibilità, in caso di inadempimento, di vedere sospesa la propria attività .
2.3 In attuazione della legge, la Regione ha emanato anche il primo degli atti impugnati, ovvero il regolamento 3 ottobre 2012 n. 24, che prevede la metodologia di valutazione da impiegare e, all’allegato C, indica espressamente la ricorrente appellante come azienda alla quale si applica la normativa.
2.4 Successivamente, le autorità sanitaria ed ambientale della Regione hanno incominciato a redigere una serie di rapporti preliminari in attuazione della legge e del regolamento, ed hanno in particolare ritenuto di redigere una “valutazione del rischio speditiva” per le aziende nell’area di Brindisi, valutazione che hanno concretato nel Rapporto dicembre 2014 di cui in epigrafe, secondo degli atti impugnati (all. al II ricorso per motivi aggiunti in I grado).
3. Con la sentenza indicata in epigrafe, il TAR ha dichiarato inammissibile per difetto di interesse il ricorso proposto dall’azienda contro tali atti, previo rituale rilievo d’ufficio della questione. In motivazione, il TAR ha richiamato anzitutto il consolidato indirizzo giurisprudenziale per cui i regolamenti e gli atti generali non sono di regola immediatamente impugnabili, ma vanno impugnati congiuntamente all’atto che ne faccia concreta applicazione; ciò posto, la sentenza ha evidenziato che nella disciplina della l. r. 21/2014 di cui si è detto, le conseguenze sfavorevoli di una VDS a carico delle aziende non sono immediate, perché richiedono che il relativo rapporto di cui all’art. 2, che evidenzi il danno, sia dapprima inviato ai sensi del successivo art. 6 alle aziende interessate per le loro osservazioni, e poi sia sottoposto alla Giunta regionale per la presa d’atto.
La sentenza ha ancora evidenziato che nella specie nulla di tutto ciò è successo, dato che da un lato il rapporto di valutazione speditiva di cui si è detto, come pure possibile ai sensi dell’art. 6 del regolamento, ha ritenuto necessari ulteriori approfondimenti istruttori, e dall’altro lato non ne sono conseguite né prescrizioni di ridurre le emissioni, né sospensioni dell’attività .
La sentenza dà infatti atto che in sede di discussione finale la difesa della ricorrente appellante, in risposta ad un’espressa richiesta di chiarimenti sul punto, ha dichiarato che l’attività del proprio stabilimento prosegue senza prescrizioni o limitazioni di sorta dipendenti dalla l.r. 21/2012.
4. Contro questa sentenza, la ricorrente ha proposto impugnazione, con appello che contiene due complesse censure, di critica alla sentenza impugnata e di riproposizione dei motivi di merito dedotti e non esaminati in I grado, il tutto corrispondente, secondo logica, ai tredici motivi che seguono:
– con il primo di essi, corrispondente alla I censura, alle pp. 9-12 dell’atto di appello, deduce violazione ovvero falsa applicazione dell’art. 34 comma 2 c.p.a. e sostiene in proposito che la sentenza di I grado avrebbe in realtà travisato il petitum. La ricorrente appellante contesta infatti il mero fatto per cui la normativa impugnata la assoggetta al procedimento di VDS, ovvero (p. 9 ultimo rigo dell’atto) “la decisione della p.a. di assoggettarla espressamente a tali regole”. A suo avviso, il regolamento impugnato sarebbe quindi un regolamento provvedimento, che la pregiudicherebbe sotto il profilo economico, imponendole oneri per costi, studi e consulenze (appello, p. 10 decimo rigo dal basso) e sotto il profilo dell’immagine (appello, p. 10 quinto rigo dal basso). Aggiunge infine che il regolamento sarebbe lesivo anche a considerarlo regolamento volizione preliminare, per la sua “scontata attuazione” (appello, p. 11 quindicesimo rigo dal basso);
– con il secondo motivo, corrispondente alla II censura nella parte in cui essa richiama il motivo I a del ricorso principale, a p. 13 § § 17 a) e 18 dell’atto di appello, deduce violazione ovvero falsa applicazione degli artt. 4 comma 1 lettera b) e 5 comma 1 lettera i ter) del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152. Sostiene in proposito che la VDS introdotta dalla legge regionale e per essa dal regolamento impugnato si sovrapporrebbe alla VIA e all’AIA di competenza statale, oltretutto in modo inadeguato agli scopi;
– con il terzo motivo, corrispondente alla II censura nella parte in cui essa richiama il motivo I b del ricorso principale, a p. 13 § § 17 b) e 19-21 dell’atto di appello, deduce eccesso di potere per irrazionalità : il regolamento impugnato sarebbe irrazionale anche quanto ai criteri adottati per valutare il danno sanitario. La ricorrente appellante contesta in particolare l’uso del modello cd dose- risposta: nell’allegato A, il regolamento prevede l’uso del modello basato sulla funzione “concentrazione/risposta specifica per inquinante” senza spiegare esattamente in cosa esso consista, né prevede criteri di indagine aggiuntivi;
– con il quarto motivo, corrispondente alla II censura nella parte in cui essa richiama il motivo I c prima parte del ricorso principale, a p. 13 § § 17 c) e 22-23 dell’atto di appello, deduce violazione del principio di proporzionalità . Il regolamento introdurrebbe una responsabilità delle imprese eccedente quanto previsto dagli artt. 299 e ss. del d.lgs. 152/2006, ovvero genererebbe a carico delle imprese conseguenze sfavorevoli derivanti dal danno sanitario in base ad un nesso causale non dimostrato fra la loro attività e il quadro che emerge dalle indagini epidemiologiche;
– con il quinto motivo, corrispondente alla II censura nella parte in cui essa richiama il motivo I c seconda parte del ricorso principale, a p. 13 § § 17 c) e 24 primo capoverso dell’atto di appello, deduce violazione della l. r. 21/2014 da parte del regolamento, nella parte in cui esso assoggetta a VDS anche gli stabilimenti assoggettati a VIA e ad AIA statale ovvero non solo regionale;
– con il sesto motivo, corrispondente alla II censura nella parte in cui essa richiama il motivo I c terza parte del ricorso principale, a p. 13 § § 17 c) e 24 secondo capoverso dell’atto di appello, deduce violazione dei principi generali in tema di partecipazione, sostenendo che il regolamento si sarebbe dovuto adottare con la partecipazione al relativo procedimento dei gestori degli impianti interessati;
– con il settimo motivo, corrispondente alla II censura nella parte in cui essa richiama il motivo II prima parte del ricorso principale, a p. 16 § § 25-26 dell’atto di appello, deduce ulteriore violazione della l.r. 21/2014, in quanto lo stabilimento non sarebbe fonte di IPA, e quindi non dovrebbe essere assoggettato alla disciplina in esame;
– con l’ottavo motivo, corrispondente alla II censura nella parte in cui essa richiama il motivo II seconda parte del ricorso principale, a p. 16 § § 27-29 dell’atto di appello, deduce illegittimità del regolamento per incostituzionalità della l.r. 21/2014 stessa che lo prevede. La legge regionale in questione sarebbe in contrasto con l’art. 117 comma 2 lettera s) della Costituzione in tema di competenza statale sull’ambiente, perché surrettizia rispetto alle norme sull’AIA di cui al d.lgs. 152/2006, che prevede il riesame dell’AIA su richiesta del Sindaco, in caso di criticità sopravvenute, e non come nella legge in esame un intervento della Regione e della relativa autorità sanitaria, con potere di disporre la sospensione dell’attività . La legge regionale contrasterebbe poi anche con gli artt. 3 e 41 Cost, perché prevedrebbe un danno sanitario non definito come fonte di responsabilità, e con l’art. 117 comma 2 lettera l) perché invasiva della competenza statale in tema di ordinamento civile;
– con il nono motivo, corrispondente alla II censura nella parte in cui essa richiama il I motivo dei I motivi aggiunti, a p. 20 § § 30-33 dell’atto di appello, deduce illegittimità sopravvenuta del regolamento impugnato per contrasto con il successivo regolamento statale D.M. 24 aprile 2013, che disciplina il medesimo oggetto;
– con il decimo motivo, corrispondente alla II censura nella parte in cui essa richiama il II motivo dei I motivi aggiunti, a p. 20 § § 34-36 dell’atto di appello, deduce ancora eccesso di potere per irrazionalità : la VDS prevista dal regolamento statale si paleserebbe irrazionale anche per confronto con l’ana istituto previsto dal regolamento statale, sotto una serie di aspetti che elenca;
– con l’undicesimo motivo, corrispondente alla II censura nella parte in cui essa richiama il I motivo dei II motivi aggiunti, a p. 23 § § 37-40 dell’atto di appello, deduce eccesso di potere per mancanza di istruttoria quanto al rapporto di valutazione speditiva, che confermerebbe l’irrazionalità dei criteri adottati dal regolamento regionale. In sintesi, il rapporto utilizzerebbe i dati senza indicare se e in qual misura le criticità rilevate dipendono dall’inquinamento industriale o da altri fattori (p. 20 prime cinque righe dell’atto);
– con il dodicesimo motivo, corrispondente alla II censura nella parte in cui essa richiama il II motivo dei II motivi aggiunti, a p. 26 § § 41-44 dell’atto di appello, deduce, sempre quanto al rapporto di valutazione speditiva, ulteriore eccesso di potere per mancanza di istruttoria: il rapporto sarebbe intrinsecamente errato, perché deciderebbe di passare alla fase ulteriore della VDS in base ad un criterio a sua volta errato, ovvero in base al confronto fra i dati ricavati con un metodo predittivo, cd risk assesment, e i dati epidemiologici reali della popolazione;
– con il tredicesimo motivo, corrispondente alla II censura nella parte in cui essa richiama il III motivo dei II motivi aggiunti, a p. 27 § § 45-49 dell’atto di appello, deduce infine, sempre quanto al rapporto di valutazione speditiva, ulteriore eccesso di potere per carenza dei presupposti, nel senso che il rapporto stesso seguirebbe una metodologia non affidabile, che non consentirebbe di stimare il danno sanitario reale.
5. Hanno resistito le amministrazioni statali, con atti 27 febbraio e 6 marzo 2019, la Regione, con atto 16 aprile 2019, l’ARPA Puglia, con memoria 29 aprile 2019, e l’Azienda sanitaria di Brindisi, con memoria 28 giugno 2019, ed hanno tutte chiesto che l’appello sia respinto.
6. Con memorie e repliche rispettivamente 16 novembre e 27 novembre 2019 per la Regione e 18 novembre e 28 novembre 2019 per l’azienda, le parti hanno ribadito le rispettive asserite ragioni.
7. All’udienza del 19 dicembre 2019, la Sezione ha quindi trattenuto il ricorso in decisione.
8. L’appello è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito esposte.
9. È infondato il primo motivo di appello, che critica la sentenza impugnata per avere ritenuto inammissibile, come si è visto per originario difetto di interesse, il ricorso di I grado.
9.1 Condividendo sul punto quanto già affermato dal Giudice di I grado, il Collegio ricorda il costante e risalente orientamento giurisprudenziale secondo il quale i regolamenti e gli atti amministrativi generali sono impugnabili in via diretta solo ove contengano disposizioni in grado di ledere in via diretta ed immediata le posizioni giuridiche soggettive dei destinatari; negli altri casi, divengono impugnabili solo quando sorge l’interesse a ricorrere, ovvero assieme all’atto applicativo che produca una lesione effettiva, e non solo ipotetica o futura: in tali termini, per tutte C.d.S. sez. V 7 ottobre 2016 n. 4130 e 6 maggio 2015 n. 2260, nonché sez. VI 29 marzo 1996 n. 512.
9.2 Ciò posto, applicando il principio delineato al caso di specie, il Collegio osserva, anche qui condividendo quanto affermato dal Giudice di I grado, che nel regolamento impugnato disposizioni immediatamente lesive non ve ne sono. Il regolamento stesso dà applicazione all’art. 2 della l.r. 21/2014, che prevede che le autorità sanitaria ed ambientale regionali debbano almeno ogni anno redigere un “rapporto di valutazione del danno sanitario (VDS) anche sulla base del registro tumori regionale e mappe epidemiologiche sulle principali malattie a carattere ambientale”, senza peraltro che, per il solo fatto di questa redazione, vengano imposti a qualunque privato oneri particolari. Gli esiti possibili sono poi dettagliati nell’art. 6 del regolamento stesso, per cui le autorità competenti “provvedono a verificare preliminarmente la presenza di eventuali criticità sotto il profilo sanitario associate ai dati ambientali come sopra definiti, attraverso opportuni indicatori disponibili della descrizione dello stato di salute della popolazione”. All’esito, vi sono tre possibilità : in primo luogo, “ove da tale esame non emergano criticità, il rapporto conclude per la non sussistenza di danno sanitario”, e quindi non impone alcuna prescrizione ad alcuno; può poi accadere che le criticità invece emergano, e in tal caso “In caso contrario, si procede con le successive attività, di cui al… diagramma di flusso” contenuto nell’allegato A del regolamento. Il diagramma in questione è in sostanza un riassunto, nelle forme dello schema a blocchi, della procedura nel suo complesso, e prevede, nel caso in esame in cui le criticità vi siano, si debba procedere ad un confronto con i dati sanitari ed epidemiologici, ovvero in sostanza ad un approfondimento istruttorio; all’esito di tale approfondimento, in sintesi estrema, si potrà concludere o non concludere per la sussistenza del danno sanitario.
9.3 Tanto premesso, si debbono fare due osservazioni. In primo luogo, la procedura di valutazione delineata dal regolamento, che si è appena illustrata per sommi capi, si svolge per così dire d’ufficio, nel senso che non impone alle aziende ad essa sottoposte alcun immediato specifico onere di collaborazione, ad esempio nel senso di un obbligo di formare una documentazione ovvero di raccogliere e mettere a disposizione determinati dati. In secondo luogo, anche quando, a norma del regolamento, un danno sanitario venga ritenuto sussistente, non vi sono conseguenze dirette ed automatiche a carico delle imprese, perché per imporre loro le citate riduzioni di emissioni di cui agli artt. 3 e ss. della legge, è necessario che il relativo rapporto, ai sensi dell’art. 6 della legge stessa, sia sottoposto, come si è detto sopra, alle interessate per le loro osservazioni e validato dalla Giunta regionale tramite una presa d’atto. Si deve quindi concordare con il Giudice di I grado nel senso che il regolamento impugnato non contiene alcuna disposizione immediatamente lesiva.
9.4 Ana discorso, sempre in accordo con quanto ritenuto dal Giudice di I grado, va svolto per il Rapporto di valutazione speditiva impugnato con i motivi aggiunti, rapporto che a semplice lettura si qualifica come atto istruttorio, non autonomamente impugnabile perché non direttamente lesivo, come ritenuto anche in questo caso da pacifica e risalente giurisprudenza, per tutte già C.d.S. sez. VI 17 marzo 2000 n. 1440. Il Rapporto stesso infatti (cfr. il § 11 “Considerazioni finali” a p. 146 del documento) dichiara che le conclusioni raggiunte hanno un carattere preliminare, e ritiene in sintesi necessario un approfondimento istruttorio: sulla base di tali contenuti, non ritiene in positivo sussistente allo stato alcun danno sanitario, né tantomeno impone ad alcun soggetto prescrizioni di sorta.
10. La difesa della ricorrente appellante ha contestato la pronuncia di inammissibilità sulla base degli argomenti di cui subito, riferiti tanto al regolamento quanto, secondo logica all’atto applicativo, argomenti che peraltro il Collegio ritiene non condivisibili.
10.1 In primo luogo, come si è accennato, la difesa della ricorrente appellante sostiene (appello, p. 9 § 10) che il Giudice di I grado avrebbe giudicato su un petitum errato, che ella non avrebbe mai inteso formulare, dato che in realtà contesta la decisione dell’amministrazione in quanto tale di assoggettarla alla procedura in esame. Si risponde che in linea di fatto il petitum contenuto nel ricorso e nei motivi aggiunti di I grado si identifica con la domanda di annullamento degli atti ivi indicati: ciò posto, anche nei processi che, come pacificamente accade per il processo amministrativo di impugnazione, sono governati dal principio dispositivo, la volontà della parte attrice può senz’altro conformare la domanda secondo i propri intenti, ma deve farlo entro i limiti consentiti dalla legge processuale, e in particolare può ottenere una pronuncia di merito solo quando sussistano i relativi presupposti di trattabilità definiti dalla legge processuale stessa. Ripetendo allora quanto già detto, nel processo amministrativo una pronuncia di merito è possibile solo a fronte di un atto amministrativo che causi un concreto pregiudizio al destinatario, e non nel caso di una lesione futura ed eventuale, che potrebbe essere prodotta da successivi atti che del primo facciano applicazione.
10.2 Sul punto, la difesa della ricorrente appellante ha sostenuto (appello, p. 10 § 11) che il regolamento impugnato sarebbe immediatamente lesivo, in quanto sarebbe un regolamento provvedimento che identifica già i propri destinatari, e in quanto il proprio assoggettamento alla valutazione annuale sarebbe già attuale, non ipotetico o futuro, e produrrebbe “ricadute negative” in termini, come si è detto, di oneri e costi per studi e consulenze da effettuare per rispondere ai rilievi dell’amministrazione e di immagine, come rischio di veder danneggiata la propria reputazione nel caso in cui fossero resi noti gli esiti sfavorevoli della procedura, che si assume viziata sin dai presupposti, e quindi per definizione produttiva di risultati erronei.
10.3 Si risponde sul primo punto che l’identificazione dei destinatari di un regolamento non comporta ancora che a loro carico sussistano conseguenze sfavorevoli che ne legittimano l’immediata impugnazione: se ciò fosse vero, ad esempio i regolamenti che si rivolgono alla generalità dei cittadini, ad esempio di un Comune, dovrebbero essere immediatamente impugnabili da ciascuno di loro.
Entrambe le sentenze che la difesa della ricorrente appellante cita a sostegno della propria tesi (ovvero C.d.S. sez. IV 18 novembre 2013 n. 5451 e 16 febbraio 2012 n. 812) tengono per fermo il principio che per impugnare immediatamente un regolamento deve sussistere l’interesse attuale ad agire nei termini sin qui esposti, a prescindere dall’individuazione dei destinatari.
Sul secondo punto, si risponde che, come già detto, dall’assoggettamento dell’azienda alla procedura di VDS non deriva alcun immediato onere, neanche nelle forme di una necessaria collaborazione al procedimento.
La tesi per cui l’azienda sarebbe obbligata ad effettuare studi particolari quindi non risponde al vero, mentre il paventato danno all’immagine che deriverebbe dalla diffusione di notizie false è configurato dalla stessa parte come “rischio”, e quindi ancora una volta come solo futuro ed eventuale, e comunque non riconducibile come effetto tipico agli atti impugnati.
10.4 La difesa della ricorrente appellante ha infine sostenuto (appello, pp. 11-12 § § 12-14) che il regolamento in questione sarebbe immediatamente impugnabile anche se lo si qualificasse non come regolamento provvedimento, ma come regolamento volizione preliminare, ovvero che necessita di atti applicativi.
Essa sostiene infatti in sintesi che si tratterebbe di un regolamento di scontata attuazione, di carattere sostanzialmente sanzionatorio, e quindi ancora una volta immediatamente lesivo.
Si risponde che la “scontata attuazione” del regolamento in parola è innanzi tutto una supposizione della parte, che non è suffragata da alcun indizio contenuto nella legge o nel regolamento, e nemmeno dai fatti, dato che, come affermato dalla sentenza di primo grado, ad alcuni anni di distanza dall’approvazione della legge, nulla di concretamente incidente sull’attività delle imprese è seguito.
Inoltre, quand’anche il regolamento contenga previsioni attributive di poteri di natura vincolata o caratterizzati dalla discrezionalità tecnica, in ogni caso la loro lesività diventerà attuale solo nel caso di emanazione degli atti applicativi, che abbiano riscontrato la sussistenza delle relative circostanze di fatto giustificative.
In altri termini, la ‘regola della doppia impugnazionè – della disposizione regolamentare e dell’atto applicativo, quando questo sia emanato – si applica anche quando la disposizione regolamentare imponga di emanare un provvedimento avente un contenuto predeterminato, a seguito del riscontro di specifiche circostanze di fatto.
10.5 L’appellante ha dedotto che i regolamenti che prevedono sanzioni, intese in senso sostanziale, sarebbero immediatamente impugnabili, senza bisogno di attendere l’atto applicativo.
Tuttavia, dato e non concesso che i provvedimenti applicativi della l.r. 21/2014 in esame possano essere qualificati come sanzionatori, rileva il principio enunciato da questo Consiglio con la sentenza della sez. VI 26 marzo 2015, n. 1595 (che ha riformato la sentenza di primo grado citata dall’appellante), per il caso di impugnazione del regolamento sulle sanzioni emesse dalla CONSOB (ovvero per un caso in cui i provvedimenti applicativi sono impugnabili avanti il Giudice ordinario).
In tale ipotesi (così come per i casi in cui i regolamenti impongano o vietino comportamenti, con regole la cui violazione comporti l’irrogazione di sanzioni contestabili innanzi al giudice civile), l’impugnazione immediata del regolamento che li disciplina è necessitata, perché è l’unico mezzo per conseguirne l’annullamento avanti il Giudice amministrativo, potendo il Giudice ordinario soltanto procedere alla disapplicazione nel caso singolo: in questo caso, l’interesse attuale a rimuovere la disposizione regolamentare sussiste, al fine di far considerare lecita la condotta dalla norma qualificata ex se come illecita.
Si tratta però di una fattispecie evidentemente diversa da quella per cui è causa.
11. L’infondatezza del primo motivo comporta l’improcedibilità di tutti i restanti, che come si ricava a semplice lettura, presuppongono la sussistenza delle condizioni di trattabilità nel merito del ricorso originario.
12. In definitiva, l’appello va respinto e rimane ferma la dichiarazione di inammissibilità per difetto di interesse del ricorso di primo grado.
13. La particolarità del caso deciso, sul quale non constano precedenti editi negli esatti termini, è giusto motivo per compensare le spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 1483/2019), lo respinge.
Spese del secondo grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Daniela Di Carlo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere, Estensore
Alessandro Verrico – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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