Il decreto di omologa della separazione è annullato dalla riconciliazione precedente. Per questo non risponde del reato di appropriazione indebita la moglie che, nel corso della separazione, aveva impedito al marito di prendersi le sue cose nell’abitazione

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 7 giugno 2018, n. 26020.

La massima estrapolata:

Il decreto di omologa della separazione è annullato dalla riconciliazione precedente. Per questo non risponde del reato di appropriazione indebita la moglie che, nel corso della separazione, aveva impedito al marito di prendersi le sue cose nell’abitazione e gli aveva buttato il cellulare mentre tentava di fotografare la scena.

Sentenza 25 giugno 2018, n. 3907

Data udienza 24 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUMO Maurizio – Presidente

Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere

Dott. SCARLINI Enrico V.S. – Consigliere

Dott. MICHELI Paolo – Consigliere

Dott. MOROSINI Elisabetta – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 29/09/2017 della CORTE APPELLO di PALERMO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Elisabetta Maria Morosini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. GAETA Pietro, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Palermo ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna di (OMISSIS) per i reati di violenza privata e appropriazione indebita commessi in un periodo compreso tra i mesi di agosto e ottobre 2010, in danno del marito separato (OMISSIS).
Secondo la ricostruzione dei giudici di merito l’imputata si e’ indebitamente appropriata delle chiavi dell’abitazione estiva, impedendo al marito di recuperare beni di sua proprieta’ (capo B) e, in occasione di un litigio relativo alla medesima vicenda, ha aggredito il marito, gettando via il telefono cellulare con cui la vittima stava tentando di fotografare la scena (capo A).
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputata, per il tramite del difensore, articolando due motivi.
2.1 Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine alla ritenuta attendibilita’ della persona offesa, nonche’ al mancato riconoscimento della causa di non punibilita’ di cui all’articolo 649 c.p., in relazione al reato di appropriazione indebita.
Sotto questo secondo profilo la ricorrente sostiene che, alla data dei fatti, i coniugi non erano piu’ separati come risulterebbe dalla sentenza della Corte di appello di Palermo in data 17 dicembre 2014 che ha dichiarato cessati gli effetti della separazione consensuale per effetto della riconciliazione intervenuta tra i coniugi.
2.2 Con il secondo motivo lamenta i medesimi vizi in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio, ritenuto immotivatamente eccessivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ fondato nei limiti di seguito precisati, mentre e’ inammissibile nel resto.
1. Il primo motivo e’ fondato nei termini che seguono.
1.1 A mente dell’articolo 649 c.p., non e’ punibile chi ha commesso un reato contro il patrimonio in danno del coniuge non legalmente separato.
Nella specie la sentenza impugnata ha negato l’applicabilita’ della norma, rilevando che:
– i coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS) si erano consensualmente separati il 14 novembre 2007 dinanzi al Tribunale di Palermo che omologava la separazione con decreto del 25 febbraio 2008;
– in seguito il (OMISSIS) promuoveva azione civile per il riconoscimento della riconciliazione tra coniugi e la Corte di appello di Palermo dichiarava l’intervenuta riconciliazione;
– la sentenza di riconciliazione era del 2014, mentre i fatti oggetto del giudizio risalivano al 2010, sicche’ la causa di non punibilita’ era inoperante in ragione della natura non retroattiva della pronuncia civile.
1.2 La decisione e’ errata.
Secondo quanto stabilito dall’articolo 157 c.c., i coniugi possono di comune accordo far cessare gli effetti della sentenza di separazione, senza che sia necessario l’intervento del giudice, con una espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione.
La sentenza ricognitiva della intervenuta riconciliazione determina la cessazione degli effetti della precedente separazione, con caducazione del provvedimento di omologazione, non con effetto ex nunc, come erroneamente ritenuto dai giudici di merito, ma a far data dal ripristino della convivenza spirituale e materiale propria della vita coniugale (Sez. 3 civ., 26 agosto 2013 n. 19541).
Nella specie, dalla sentenza impugnata e da quella di riconciliazione prodotta nei giudizi di merito e in allegato al ricorso, risulta che:
– la riconciliazione tra i coniugi, dichiarata dalla Corte di Appello di Palermo con sentenza del 17 dicembre 2014, e’ avvenuta gia’ dal 2008;
– a partire da quel momento sono cessati gli effetti della separazione (Sez. 3 civ., 26 agosto 2013 n. 19541 sopra cit.);
– la condotta di cui all’articolo 646 c.p., risale al 2010; nella qual data i coniugi non erano piu’ separati proprio in ragione della precedente riconciliazione.
La ricorrente non e’ punibile per il reato di cui all’articolo 646 c.p., poiche’ ha commesso il fatto in danno del coniuge che, in quel momento, non era piu’ legalmente separato, in quanto il decreto di omologa della separazione era stato posto nel nulla dalla riconciliazione avvenuta in precedenza.
2. E’ inammissibile la residua doglianza, espressa con il primo motivo, sotto il profilo della attendibilita’ della persona offesa.
Si tratta di censura reiterativa del motivo di appello, che ha ricevuto congrua risposta da parte della sentenza di appello (pagine 3 e 4) con le cui argomentazioni la ricorrente non si confronta.
3. Per ragioni analoghe e’ inammissibile il secondo motivo di ricorso, che sottopone alla Corte di legittimita’ la questione sul diniego delle attenuanti generiche e l’eccessivita’ della pena nei medesimi termini gia’ scrutinati in secondo grado (pagine 4 – 6 della sentenza impugnata), senza precisare le ragioni di censura mosse al giudice di appello.
4. Discende l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla imputazione di cui al capo B). Deve essere eliminata la relativa pena, che i giudici di merito hanno determinato in mesi tre di reclusione (cfr. pagina 7 sentenza di primo grado).
Il ricorso va dichiarato inammissibile nel resto.
5. L’inerenza della vicenda a rapporti familiari impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l’omissione delle generalita’ e degli altri dati identificativi.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla imputazione di cui al capo B) per essere l’imputata non punibile ai sensi dell’articolo 649 c.p., ed elimina la relativa pena calcolata in continuazione di mesi tre di reclusione; dichiara nel resto inammissibile il ricorso.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *