Il delitto di ricettazione

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 27 maggio 2020, n. 15926.

Massima estrapolata:

Non è configurabile il dolo necessario ad integrare il delitto di ricettazione nel comportamento di chi riceve beni di provenienza delittuosa nell’ambito di un rapporto familiare o di rapporti obbligazionari (siano essi civili o naturali) da un congiunto, con la consapevolezza non dell’illecita provenienza degli stessi, ma solo della qualità criminale del congiunto medesimo. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva affermato la responsabilità di una donna che, in costanza di rapporto di coniugio, durante la detenzione del marito aveva ricevuto settimanalmente, dalla famiglia di questo, modeste somme, provento dell’attività di cessione di stupefacenti).

Sentenza 27 maggio 2020, n. 15926

Data udienza 8 gennaio 2020

Tag – parola chiave: sostanze stupefacenti – Ricettazione – Elemento soggettivo – Dolo – Beni ricevuti nell’ambito di un rapporto familiare o obbligazionario – Consapevolezza della qualità criminale del dante causa – Sufficienza – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SARNO Giulio – Presidente

Dott. ROSI Elisabet – rel. Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 08/11/2018 della CORTE APPELLO di BARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. CUOMO Luigi, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell’8 novembre 2018, la Corte di Appello di Bari, in parziale riforma della sentenza emessa all’esito di rito abbreviato il 22 marzo 2013 dal G.U.P. del Tribunale di Bari, nei confronti degli odierni ricorrenti e di altri imputati rimasti estranei al presente giudizio, confermata la condanna nei confronti di (OMISSIS), aveva ridotto la pena inflitta a (OMISSIS) ad anni quattro e mesi otto di reclusione e a (OMISSIS) ad un anno di reclusione ed Euro 500 di multa, e aveva ridotto la pena inflitta anche a (OMISSIS), ricorrente avverso la sentenza, la cui posizione viene stralciata in data odierna atteso il legittimo impedimento a comparire del suo difensore. Agli imputati erano ascritti i seguenti reati:
(OMISSIS), capo A) delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, per avere partecipato ad un’associazione a delinquere al fine di commettere delitti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73; capo B) delitto di cui all’articolo 81 cpv., articolo 110 c.p. e articolo 73, commi 1 e 1-bis, perche’ con piu’ azioni esecutive del medesimo disegno criminoso ed in concorso con altri, trasportava, vendeva, o comunque deteneva illecitamente sostanze stupefacenti di cui alla tab. I, dell’articolo 14, prevista dal medesimo D.P.R., in particolare cocaina ed eroina; fatti commessi in (OMISSIS) e comuni limitrofi dal (OMISSIS).
(OMISSIS), capo F) delitto di cui all’articolo 81 cpv. e articolo 648 c.p., perche’, con piu’ azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, al fine di trarne profitto, riceveva settimanalmente la somma di Euro 150,00 proveniente dal reato di vendita di sostanze stupefacenti; in (OMISSIS).
(OMISSIS), capo H) delitto di cui all’articolo 81 cpv c.p. e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 1 e 1-bis, perche’, con piu’ azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, deteneva illecitamente e vendeva, in piu’ occasioni, sostanze stupefacenti di cui alla tabella I dell’articolo 14, per una quantita’ complessiva di gr. 520,5 di cocaina e gr. 538,5 di eroina. In (OMISSIS).
2. Avverso la sentenza, i difensori degli imputati hanno chiesto l’annullamento della decisione presentando distinti ricorsi, cosi’ sintetizzati ai fini della presente decisione:
2.1. (OMISSIS), tramite il proprio difensore di fiducia, Avv. (OMISSIS), ha dedotto violazioni ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 7 e/o all’articolo 73, comma 7 stesso D.P.R., mancata motivazione, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della stessa in riferimento al mancato riconoscimento della attenuante citata. La Corte di appello con motivazione apodittica l’ha esclusa, mentre ha argomentato sugli elementi costitutivi del sodalizio, nonostante su tale punto della sentenza vi fosse stata rinuncia allo specifico motivo di gravame. La condotta collaborativa era emersa sin dall’interrogatorio svoltosi innanzi al P.M. in data 24 novembre 2011, nel corso del quale il (OMISSIS), oltre ad ammettere le proprie responsabilita’, forni’ indicazione dell’ubicazione dell’abitazione del (OMISSIS), che riconosceva nell’album fotografico; il ricorrente ebbe a confermare quanto riferito anche nell’esame richiesto dal difensore del (OMISSIS) nel corso del giudizio abbreviato, oltre alle dichiarazioni rese in udienza. Tale dichiarazioni avevano consentito il ripristino della custodia cautelare del (OMISSIS), promotore dell’associazione, che era stato scarcerato in precedenza per carenza indiziaria. Pertanto doveva essergli riconosciuta quanto meno la circostanza attenunante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 7, secondo l’interpretazione data ad esso dalla giurisprudenza di legittimita’.
2.2. (OMISSIS), tramite il proprio difensore di fiducia Avv. (OMISSIS), ha dedotto violazioni ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in riferimento all’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e per contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione con riferimento all’articolo 648 c.p., mancando gli elementi di prova per ritenere sussistente il dolo specifico, avendo la sentenza valorizzato in maniera apodittica elementi indiziari. Le circostanze di fatto addebitate alla (OMISSIS) la mostrano intenta a richiedere una somma di denaro (150 Euro) per fronteggiare le esigenze alimentari sue e del bimbo, nel periodo di carcerazione del marito, come emerge anche dalla telefonata intercorsa con la suocera. Secondo quanto affermato dalla giurisprudenza si tratta di una situazione che esclude il dolo del delitto di ricettazione.
2.3. (OMISSIS), tramite il proprio difensore di fiducia, Avv. (OMISSIS), ha dedotto la violazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b), per inosservanza delle norme di cui agli articoli 133, 62 bis e 163 c.p., non avendo i giudici valutato in maniera equa e logica l’intensita’ del dolo e la violazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b), per inosservanza delle norme di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, per la mancata riqualificazione del reato ascritto nella fattispecie di cui al comma 5 del medesimo articolo, dovendosi considerare il dato quantitativo delle cessioni per stabilire il grado di offensivita’, non potendo la pluralita’ di sostanze escludere, per cio’ solo, il riconoscimento dell’ipotesi di lieve entita’ come stabilito dalle SSUU della Corte di Cassazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Deve essere innanzitutto accolto il ricorso di (OMISSIS) con conseguente annullamento della sentenza emessa a suo carico. Infatti e’ stato chiarito dalla giurisprudenza che non integra il dolo del delitto di ricettazione il comportamento di chi riceve beni di provenienza delittuosa nell’ambito di un rapporto familiare o di rapporti obbligazionari (siano essi civili o naturali) da un congiunto, con la consapevolezza non dell’illecita provenienza degli stessi, ma solo della qualita’ criminale del congiunto medesimo (cfr. Sez.6, n. 33131 del 20/06/2013, Vitrano e altri, Rv. 255981, in fattispecie nella quale una donna, in costanza di una stabile relazione sentimentale, aveva ricevuto dal compagno denaro e titoli di credito). Infatti non e’ qui in discussione l’ingiustizia del profitto, che la prevalente giurisprudenza ritiene requisito non necessario ad integrare il reato (cfr. Sez.2, n. 21596 del 18/02/2016, P.G., P.C. e altro in proc. Tronchetti Provera, Rv. 267165 – 01), ma l’incompatibilita’ del dolo eventuale con il delitto di ricettazione (in tal senso Sez. 2, Sentenza n. 9271 del 14/05/1991, Castelli ed altro, Rv. 187933). Questo Collegio intende ribadire il principio che l’elemento psicologico del delitto di ricettazione esige la piena consapevolezza della provenienza delittuosa della res – nel caso di specie del denaro richiesto – non essendo sufficiente la rappresentazione dell’eventualita’ della provenienza di tale res da delitto.
1.1. Orbene, nel caso di specie, la modesta entita’ della somma di denaro ottenuta e le ragioni sottese alla richiesta di essa devono essere nuovamente considerate dai giudici di merito in sede di rinvio, nell’ambito delle complessive emergenze processuali ed alla luce dei menzionati principi di diritto, al fine di verificare la sussistenza o meno in capo alla ricorrente della componente psicologica dolosa.
2. Quanto al ricorso di (OMISSIS), va premesso, in via generale, che quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Cosi’, tra le altre, Sez. 3, n. 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv. 257595; Sez. 4, n. 15227 dell’11/4/2008, Baretti, Rv. 239735; Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez 1, n. 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145).
2.1. A tale proposito va ricordato l’orientamento costante e consolidato di questa Corte (ex plurimis, Sez. Un. 47289 del 24/09/2003, Rv. 226074, Petrella; Sez. 6, n. 18491 del 24/02/2010, Nuzzo Piscitelli e altri, Rv. 246916; Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata e altro), secondo il quale il sindacato sulla motivazione della sentenza del giudice di merito demandato alla Corte di cassazione non puo’ concernere ne’ la ricostruzione del fatto, ne’ il relativo apprezzamento probatorio, ma deve limitarsi al riscontro dell’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilita’ di una rinnovata verifica della sua rispondenza alle acquisizioni processuali, in quanto la funzione del controllo di legittimita’ sulla motivazione della sentenza non e’ quella di sindacare l’intrinseca attendibilita’ dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, ma soltanto di verificare che gli elementi posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate che rendano giustificate sul piano della consequenzialita’ le conclusioni tratte.
2.2. Il ricorso del (OMISSIS), anche laddove censura il vizio di violazione di legge, nella sostanza censura la motivazione, dolendosi per il mancato riconoscimento della l’invocata attenuante di cui del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 7 o, in subordine articolo 73, comma 7. La prima doglianza risulta manifestamente infondata essendo evidente che la circostanza attenuante pertinente il reato associativo, secondo la consolidata interpretazione, richiede una condotta che contribuisca all’interruzione del sodalizio, assente nel caso di specie, come del resto affermato con chiarezza nella sentenza impugnata.
2.3. Per quanto attiene alla circostanza attenuante della collaborazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 7, e’ ben vero che e’ stato affermato in giurisprudenza che non e’ necessario, quando si e’ in presenza di traffici di modesta rilevanza, che il risultato conseguito dalla collaborazione consista nella sottrazione al mercato di rilevanti risorse per la commissione dei delitti, ma e’ sufficiente che l’imputato abbia offerto tutto il suo patrimonio di conoscenze e la sua possibilita’ di collaborazione per evitare che l’attivita’ delittuosa sia portata ad ulteriori conseguenze, attraverso l’individuazione e la neutralizzazione dei responsabili da lui conosciuti, o sui quali e’ in grado di fornire utili elementi per l’identificazione (cfr. Sez. 6, n. 19082 del 16/03/2010, Khezami, Rv. 247082), ma certamente non e’ sufficiente la mera comunicazione alle autorita’ delle informazioni possedute, essendo necessario che dette informazioni siano in grado di consentire il perseguimento di un risultato utile di indagine che, senza la collaborazione stessa, non si sarebbe potuto perseguire (in tal senso, Sez. 6, n. 9069 del 14/01/2013, Squillace e altro, Rv. 256002). Infatti ammissioni o comportamenti non conducenti all’interruzione del circuito di distribuzione degli stupefacenti, ma limitati al rafforzamento del quadro probatorio o al raggiungimento anticipato di positivi risultati di attivita’ di indagine gia’ in corso in quella direzione non possono costituire presupposto idoneo per il riconoscimento dell’attenuante della collaborazione prevista del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 7 (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 23942/15 del 01/10/2014, Paternoster e altri, Rv. 263642-01).
2.4. Pertanto, nel caso di specie, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto menzionati (pagg. 11 e 12 della sentenza) ed ha motivato adeguatamente, seppure sinteticamente, quanto alla genericita’ delle affermazioni rese dal (OMISSIS), esprimendo una valutazione in fatto, non censurabile nella presente sede.
3. Quanto al primo motivo presentato da (OMISSIS), con il quale lamenta violazione di legge per il mancato riconoscimento delle circostanze generiche e per la dosimetria sanzionatoria, va rilevato che la Corte di appello ha fornito una motivazione piu’ che congrua (pagg. 18 e 19 della sentenza), anche richiamando la intensa attivita’ di spaccio svolto dal ricorrente, motivazione pertanto non censurabile nella presente sede in assenza di elementi specifici indicati dalla ricorrente come posti all’attenzione dei giudici di appello, i quali hanno escluso l’applicabilita’ delle circostanze di cui all’articolo 62 bis c.p., proprio rilevando la mancanza di elementi favorevoli a tale riconoscimento (cosi’, in termini: Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986) con una motivazione ampiamente adeguata ed immune da smagliature logiche.
3.1. Per quanto attiene al motivo relativo al trattamento sanzionatorio, lo stesso e’ del pari manifestamente infondato: i giudici di appello hanno motivato quanto alla dosimetria della pena base facendo riferimento alla pluralita’ degli episodi di cessione, non solo richiamando l’esistenza di precedenti penali, adempiendo all’obbligo di specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall’articolo 133 c.p. nel caso di pena base superiore al minimo edittale (cfr. Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, Monterosso, Rv. 255153).
3.2. Quanto poi al secondo motivo di ricorso che censura la violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento della fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, va ricordato che nei reati in materia di sostanze stupefacenti, ai fini della concedibilita’ o del diniego dell’applicazione della fattispecie del fatto di lieve entita’, il giudice e’ tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalita’ e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantita’ e qualita’ delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo escludere il riconoscimento di un fatto di lieve entita’ anche quando uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia qualificabile come di minore entita’ (in tal senso, ex multiis, Sez. 4, n. 43399 del 12/11/2010, Serrapede, Rv. 248947).
3.3. La censura mira nella sostanza ad indurre questo Collegio ad una rivisitazione nel merito delle condotte ascritte al ricorrente, mentre in sentenza i giudici di appello hanno sottolineato gli indicatori fattuali incompatibili con il riconoscimento della ipotesi lieve, a ragione della continuita’ delle condotte e delle plurime dazioni di dosi molteplici di sostanze stupefacenti di differente tipologia. Si tratta di motivazione piu’ che congrua, occorre infatti richiamare il principio che la menzionata fattispecie del fatto di lieve entita’, anche dopo la formulazione normativa introdotta dal Decreto Legge n. 146 del 2013, articolo 2 (conv. in L. n. 10 del 2014) puo’ essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensivita’ penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalita’ e circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (cfr., tra le molte, Sez. 3, n. 23945 del 29/04/2015, Xhihani, Rv. 263651; Sez. 3, n. 6871/17 del 08/07/2016 Bandera e altri, Rv. 269149, in particolare pag. 24 della parte motiva).
4. Tutte le censure proposte dai ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), risultano percio’ inammissibili, in quanto si risolvono in mere repliche delle richieste gia’ avanzate in secondo grado, non confrontandosi, nella sostanza, con la sentenza impugnata e non individuando specifici elementi concreti di prova trascurati dai giudici di merito, in base ai quali potesse essere disarticolata la ricostruzione dei fatti operata nel corso dei due gradi di giudizio.
5. Come detto, invece, la sentenza emessa nei confronti di (OMISSIS) deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Bari per nuovo giudizio, mentre, a seguito della declaratoria di inammissibilita’ dei loro ricorsi, i ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), ex articolo 616 c.p.p., devono essere condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Bari. Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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