Il principio di tipicità legale necessaria dei diritti reali

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|17 dicembre 2020| n. 28972.

Il principio di tipicità legale necessaria dei diritti reali si traduce nella regola secondo cui i privati non possono creare figure di diritti reali al di fuori di quelle previste dalla legge, né possono modificarne il regime. Ciò comporta che i poteri che scaturiscono dal singolo diritto reale in favore del suo titolare sono quelli determinati dalla legge e non possono essere validamente modificati dagli interessati. Con l’effetto che la clausola negoziale attributiva del cd. “diritto di uso esclusivo” condominiale deve ritenersi vietata perché funzionale alla creazione di un atipico di diritto reale limitato, idoneo a incidere sulla struttura della situazione giuridica di comproprietà condominiale ex articolo 1102 del Cc. Si tratterà, pertanto, di interpretare la predetta clausola nel tentativo di recuperarla all’efficacia (esclusivamente) tra le parti, anche mediante il ricorso ai commi 1 e 2 dell’articolo 1419 del Cc.

Sentenza|17 dicembre 2020| n. 28972

Data udienza 15 settembre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Condominio – Parti comuni dell’edificio – Pattuizione avente ad oggetto la creazione del c.d. diritto reale di uso esclusivo – Su porzione di cortile condominiale – Ammissibilità – Esclusione – Fondamento

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente di Sez.

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez.

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 26105/2015 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), nella qualita’ di eredi di (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1339/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 23/07/2015.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/09/2020 dal Consigliere Dott. MAURO DI MARZIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per l’estinzione del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. – Tre sorelle, comproprietarie in regime di comunione di un edificio situato in (OMISSIS), costituito, nell’arco temporale che qui rileva, da tre unita’ immobiliari ad uso commerciale al piano terra ed altre tre unita’ ad uso residenziale al primo piano, oltre che da parti comuni, in particolare un cortile retrostante ed un’area antistante i locali commerciali, procedettero nel (OMISSIS) allo scioglimento della comunione, all’esito del quale una delle tre condividenti, (OMISSIS), divenne proprietaria esclusiva di un appartamento al primo piano nonche’ del “negozio posto al piano terra con l’uso esclusivo della porzione di corte antistante distinti al N.C.E.U. alla pagina (OMISSIS) – foglio (OMISSIS) particella (OMISSIS)”.
Determinatasi per effetto dello scioglimento della comunione una situazione di condominio dell’edificio, (OMISSIS) alieno’ a (OMISSIS) e (OMISSIS), nel (OMISSIS), il proprio appartamento al primo piano ed il “negozio posto al piano terra con l’uso esclusivo della porzione di corte antistante, distinto al N.C.E.U. di detto Comune alla partita (OMISSIS) foglio (OMISSIS) particella (OMISSIS)”. Nel cortile retrostante il fabbricato, cortile costituente parte comune ai soli appartamenti ad uso residenziale al primo piano, le tre originarie comproprietarie avevano inoltre realizzato un vano destinato a servizio igienico.
2. – (OMISSIS) e (OMISSIS), divenuti proprietari per acquisto fattone, all’esito di una procedura espropriativa, degli altri due appartamenti ad uso residenziale al primo piano, convennero in giudizio (OMISSIS) e (OMISSIS), nel 2002, dinanzi al Tribunale di Rimini chiedendo accertarsi:
a) che i convenuti avevano realizzato, ed utilizzavano in via esclusiva, una cantina ubicata nel cortile comune ai tre appartamenti al primo piano;
b) che i convenuti si erano appropriati dell’area comune condominiale antistante il loro negozio, lungo la (OMISSIS), mediante l’installazione di una tettoia e di una chiusura a pannelli, essendo viceversa essi privi, al riguardo, di un valido titolo giustificativo;
c) che il vano destinato a servizio igienico esistente nel cortile era abusivo.
Il tutto con richiesta di autorizzazione ad essi attori alla eliminazione del servizio igienico nonche’ condanna dei convenuti alla rimozione delle opere abusive, ai danni ed alle spese.
3. – (OMISSIS) e (OMISSIS) si costituirono e resistettero alla domanda.
Quanto al servizio igienico nel cortile retrostante essi si rimisero a giustizia, evidenziando pero’ la loro estraneita’ alla sua costruzione, effettuata gia’ dalle originarie comproprietarie, ed utilizzazione.
Quanto alla cantina sostennero che nel cortile erano stati eretti tre manufatti, tra i quali appunto la cantina, da considerarsi tutti comuni, chiedendo ordinarsi agli attori di cessare l’uso esclusivo degli altri due.
Quanto all’area antistante il negozio, lungo la (OMISSIS), chiesero respingersi la domanda per aver diritto all’uso esclusivo in forza del titolo, ovvero per usucapione della relativa servitu’, ovvero in forza dell’articolo 1021 c.c..
4. – L’adito Tribunale rigetto’ integralmente le domande principali e riconvenzionali, con compensazione integrale di spese.
5. – (OMISSIS) e (OMISSIS) proposero appello al quale (OMISSIS) e (OMISSIS) resistettero, spiegando a loro volta appello incidentale.
6. – Con sentenza del 23 luglio 2015 la Corte d’appello di Bologna respinse l’appello principale e, in accoglimento dell’appello incidentale spiegato da (OMISSIS) e (OMISSIS), dichiaro’ che i manufatti esistenti nel cortile retrostante il fabbricato avevano natura condominiale ed ordino’ a (OMISSIS) e (OMISSIS) di cessare l’uso esclusivo, al fine di consentire a tutti i condomini il pari utilizzo, regolando le spese di lite in applicazione del principio della soccombenza.
Osservo’ la Corte territoriale che:
-) la consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado aveva dato indicazioni equivoche sulla natura condominiale dell’area antistante i locali commerciali, giacche’ l’ausiliare aveva per un verso evidenziato essere senz’altro condominiale il cortile retrostante, risultando invece, sulla base delle schede catastali, l’area verso (OMISSIS) e (OMISSIS) “a disposizione dei negozi al piano terra”, ma per altro verso aveva infine concluso che le verande realizzate sull’area antistante il negozio (OMISSIS) – (OMISSIS) “insistono anche loro totalmente su area condominiale”, affermazione, questa, che non trovava pero’ alcun riscontro ne’ nei documenti acquisiti dal tecnico e neppure nella descrizione degli accertamenti catastali da lui compiuti;
-) la locuzione “uso esclusivo della corte antistante”, contenuta sia nell’atto di divisione del 1980 che in quello di compravendita del 1983, non era dirimente, potendo essa rivelare l’intento dei contraenti di riconoscere, con l’uso esclusivo, la natura pertinenziale delle corti antistanti i singoli negozi, in quanto destinate in modo permanente al servizio di quei locali;
-) all’atto della costituzione del Condominio, prodottasi per effetto della divisione del 1980, le condividenti avevano indicato come incluso nelle parti comuni il terreno sottostante e circostante il fabbricato, “salvo gli usi esclusivi delle porzioni di corte antistanti i negozi”, manifestando cosi’ l’unanime volonta’ di escludere tali corti dalle parti comuni, esclusione contro la quale gli attori-appellanti nulla avevano comprovato;
-) in ogni caso l’uso esclusivo menzionato nella divisione e nella successiva compravendita andava ricondotto “all’uso delle parti condominiali ex articoli 1102 e 1122 c.c., proprio in considerazione del contesto nel quale l’uso venne costituito”;
-) l’uso esclusivo delle parti comuni, difatti, non sarebbe vietato da alcuna norma di legge e, al contrario, sarebbe espressamente contemplato dall’articolo 1122 c.c.; al fine, poi, di determinare la portata e l’estensione del godimento spettante a ciascun partecipante sui beni comuni, nonche’ di accertare l’esistenza, in favore del singolo condominio, di particolari diritti di utilizzazione, contrastanti con la normale destinazione dei beni medesimi, occorrerebbe tener presente la situazione al momento della nascita del condominio, in relazione alle disposizioni del suo atto costitutivo e del regolamento se esistente;
-) nella specie l’uso esclusivo delle corti antistanti il negozio era stato attribuito alla condividente (OMISSIS) concordemente da tutti i condomini con l’atto di costituzione del condominio in data 3 luglio 1980, regolarmente trascritto nei registri immobiliari, ed era stato poi trasferito agli odierni appellati dalla stessa condomina con la compravendita del 1983;
-) l’utilizzo delle corti, a voler ammettere la loro natura condominiale, anche se preclusivo di analoga possibilita’ di godimento da parte degli altri comproprietari, era comunque legittimo perche’ voluto in origine da tutti i condomini.
7. – Per la cassazione della sentenza (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per sei mezzi.
8. – (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito con controricorso.
9. – Con ordinanza del 2 dicembre 2019, n. 31420, la seconda sezione civile di questa Corte ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, tanto per esigenza di composizione di contrasto, quanto per la particolare importanza della questione, sulla natura dell’uso esclusivo in ambito condominiale.
Il Primo Presidente ha disposto l’assegnazione alle Sezioni Unite. E’ stata fissata l’udienza del 21 aprile 2020.
10. – Sono state depositate memorie.
11. – Disposto il rinvio del ricorso a nuovo ruolo, e’ intervenuta rinuncia accettata.

 

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso contiene sei motivi.
1.1. – Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1362, 1117 e 950 c.c., nonche’ nullita’ della sentenza in relazione all’articolo 112 c.p.c..
Le tre sorelle (OMISSIS), secondo i ricorrenti, con l’atto di divisione di cui si e’ detto sarebbero divenute ciascuna proprietaria esclusiva dei singoli appartamenti e negozi di cui si componeva l’edificio, lasciando tra le “parti ed enti comuni” il “terreno sottostante e circostante il fabbricato”, fatti salvi gli “usi esclusivi” delle porzioni di corte antistanti i negozi: il che – si sostiene – non comportava l’attribuzione alle condividenti della piena ed esclusiva proprieta’ delle corti antistanti i negozi, come poteva anche desumersi dallo stato dei locali al piano terra all’epoca della divisione.
1.2. – Il secondo motivo di ricorso censura la violazione e falsa applicazione dell’articolo 11 disp. gen. e dell’articolo 1122 c.c., come riformulato dalla L. n. 220 del 2012, avendo la Corte d’appello errato nel motivare la propria sentenza anche sulla scorta del disposto di tale disposizione come novellata, non applicabile ratione temporis.
1.3. – Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 1102 c.c., avendo errato la Corte di appello nel fare applicazione dei principi in tema di uso della cosa comune, pur dopo aver negato la configurabilita’ di un diritto reale d’uso ex articolo 1021 c.c..
1.4. – Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1021 e 1024 c.c. e articolo 112 c.p.c., avendo errato la Corte d’appello nell’escludere che con l’atto di divisione le sorelle (OMISSIS) avessero costituito in favore di (OMISSIS) un diritto reale di uso, in conformita’ alla previsione dell’articolo 1021 c.c., concernente la porzione antistante il negozio poi venduto ai convenuti.
Venuto ad esistenza il condominio con l’atto di divisione, difatti, l’intera corte circostante il fabbricato – secondo i ricorrenti – aveva acquisito la natura di parte comune, con attribuzione a (OMISSIS) dell’uso esclusivo della porzione antistante il negozio assegnatole allo scioglimento della comunione, ai sensi del citato articolo 1021 c.c.: ma, non essendo stata pattuita l’alienabilita’ di siffatto diritto d’uso, la cessione di esso, nel 1983, dalla (OMISSIS) a (OMISSIS) e (OMISSIS) doveva reputarsi nulla in forza del disposto dell’articolo 1024 c.c..
1.5. – Il quinto motivo denuncia nullita’ della sentenza in relazione all’articolo 112 c.p.c., nonche’ la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. e dell’articolo 11 disp. gen., in relazione all’accoglimento dell’appello incidentale.
Si sostiene che non era affatto controversa tra le parti la natura condominiale della corte posteriore al fabbricato e dei relativi manufatti ivi realizzati, cosi’ come non era controverso che i convenuti avessero l’uso esclusivo di una delle cantine poste sul retro dell’edificio, avendo piuttosto costoro replicato che gli attori avessero a loro volta l’uso esclusivo di altre due cantine.
Tale ultima circostanza era stata reputata dalla Corte d’appello non contestata da (OMISSIS) – (OMISSIS), quantunque essi non fossero esposti ad un onere di contestazione specifica dei fatti di causa, in quanto nel processo non trovava applicazione ratione temporis l’articolo 115 c.p.c., come novellato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, articolo 45, comma 14.
1.6. – Il sesto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c., avendo la Corte di appello erroneamente pronunciato la condanna alle spese, senza tener conto della condotta processuale dei convenuti.
1.7. – Il ricorso, nelle pagine da 42 a 46, contiene poi richiami ad alcuni temi di lite, in previsione dell’eventuale giudizio di rinvio e delle difese eventuali degli intimati, senza svolgere, peraltro, ulteriori specifici motivi di censura riconducibili ad alcuna delle categorie previste dall’articolo 360 c.p.c., comma 1.
2. – La rinuncia al ricorso accettata comporta dichiarazione di estinzione del processo, senza spese.
3. – Ritengono tuttavia queste Sezioni Unite che occorra pronunciare nell’interesse della legge il principio di cui si dira’, in risposta al quesito posto dall’ordinanza di rimessione (per l’affermazione del principio di diritto in caso di rinuncia v. Cass., Sez. Un., 6 settembre 2010, n. 19051).
4. – I primi quattro motivi di ricorso, e’ difatti osservato dall’ordinanza di questa Corte del 2 dicembre 2019, n. 31420, impongono di esaminare una questione di diritto decisa in senso difforme dalle sezioni semplici, e comunque investono una questione di massima di particolare importanza: quella della natura del c.d. “diritto reale di uso esclusivo” di parti comuni dell’edificio in ambito condominiale.
Si osserva nell’ordinanza di rimessione:
-) a partire da Cass. 16 ottobre 2017, n. 24301 (seguita da Cass. 10 ottobre 2018, n. 24958; Cass. 31 maggio 2019, n. 15021; Cass. 4 luglio 2019, n. 18024; Cass. 3 settembre 2019, n. 22059) e’ stato affermato che non puo’ ricondursi al diritto di uso previsto dall’articolo 1021 c.c., il vincolo reale di “uso esclusivo” su parti comuni dell’edificio, riconosciuto, al momento della costituzione di un condominio, in favore di una unita’ immobiliare di proprieta’ individuale, in maniera da incidere sulla disciplina del godimento della cosa comune, nel senso di precluderne l’uso collettivo mediante attribuzione a taluno dei partecipanti di una facolta’ integrale di servirsi della res e di trarne tutte le utilita’ compatibili con la sua destinazione economica;
-) la capostipite di tale orientamento, facendo leva sulle nozioni di “uso esclusivo”, contenuta nell’articolo 1126 c.c. e di “uso individuale”, prevista dal novellato articolo 1122 c.c., ha ritenuto che tali previsioni pattizie di “uso esclusivo”, senza escludere del tutto la fruizione “di una qualche utilita’ sul bene” in favore degli altri comproprietari, costituiscono deroghe all’articolo 1102 c.c., espressione dell’autonomia privata, con effetto di conformazione dei rispettivi godimenti; entro tale inquadramento, l’uso esclusivo si’ trasmetterebbe, al pari degli ordinari poteri dominicali sulle parti comuni, anche ai successivi aventi causa dell’unita’ cui l’uso stesso accede; l’uso esclusivo in ambito condominiale, cosi’ come prospettato, sarebbe, quindi, “tendenzialmente perpetuo e trasferibile”, e non riconducibile al diritto reale d’uso di cui agli articoli 1021 c.c. e segg., sicche’ non condividerebbe con quest’ultimo istituto ne’ i limiti di durata, ne’ i limiti di trasferibilita’, e nemmeno le modalita’ di estinzione; neppure vi sarebbe alcun contrasto con il numerus clausus dei diritti reali, in quanto l’uso esclusivo condominiale sarebbe, piuttosto, una “manifestazione del diritto del condomino sulle parti comuni”;
-) questa configurazione appaga le diffuse esigenze avvertite dalla pratica notarile di dare al cosiddetto “uso esclusivo” di parti condominiali il rango di un diritto perpetuo e trasmissibile, a contenuto, dunque, non strettamente personale, e cioe’ stabilito a favore del solo usuario, collegando la facolta’ di usare il bene non ad un soggetto, ma ad una porzione in proprieta’ individuale senza limiti temporali;
-) per converso, la qualificazione del diritto di uso esclusivo quale diritto “”quasi” uti dominus”, ma pur sempre con il limite di cui all’articolo 1102 c.c., non risolve il problema della trascrivibilita’, e quindi dell’opponibilita’, dell’uso esclusivo sulla cosa comune, avuto riguardo al rilievo che di modificazioni del diritto di proprieta’, di comunione o di condominio non si parla in alcuno dei primi tredici numeri dell’articolo 2643 c.c., ne’ nell’articolo 2645 c.c., che prevede la trascrizione di “ogni altro atto o provvedimento che produce… taluni degli effetti dei contratti menzionati nell’articolo 2643”, mentre solo il n. 14 dell’articolo 2643 c.c., parla di sentenze (Le. non di atti negoziali) che operano “la modificazione” di uno dei diritti menzionati nei numeri precedenti;
-) il diritto di uso esclusivo di un bene condominiale, riservato soltanto al proprietario di una delle unita’ immobiliari, che non puo’ assimilarsi ad una servitu’ prediale, ne’ puo’ essere ricostruito in termini di obbligazione propter rem, deve d’altronde confrontarsi con la diffusa considerazione che il godimento concreta una facolta’ intrinseca del diritto di comunione, sicche’ la modifica del contenuto essenziale della comproprieta’, consistente nella negazione della facolta’ di uso del bene comune ad alcuni condomini, puo’ discendere soltanto dalla costituzione di un diritto reale in favore dell’usuario, il che pero’ appare precluso dall’osservazione che il nostro ordinamento tuttora non consente all’autonomia privata di scavalcare il principio del numero chiuso dei diritti reali.
Invero – osserva tra l’altro l’ordinanza di rimessione – “la questione, cui occorre dare soluzione per decidere i primi quattro motivi di ricorso, circa la natura, i limiti e la opponibilita’ del diritto di uso esclusivo su beni comuni, involge evidentemente il piu’ classico problema della utilizzabilita’ delle obbligazioni come espressioni di autonomia privata volte a regolare le modalita’ di esercizio dei diritti reali, opponendosi dai teorici che la liberta’ negoziale possa conformare unicamente i rapporti di debito, e non anche le situazioni reali: tale severa conclusione trova il suo fondamento sempre nel tradizionale principio del numerus clausus dei diritti reali, il quale si reputa ispirato da una esigenza di ordine pubblico, restando riservata al legislatore la facolta’ di dar vita a nuove figure che arricchiscano i “tipi” reali normativi”.
Dopodiche’, nell’ordinanza che ha rimesso gli atti al Primo Presidente e’ segnalata sia la non uniformita’ dei responsi concernenti la natura del diritto di uso esclusivo, sia il suo rilievo di questione di massima di particolare importanza.
Ed in effetti, come si vedra’, Cass. 16 ottobre 2017, n. 24301, piu’ che porsi in diretto contrasto con un formato indirizzo giurisprudenziale precedente, ha prospettato una ricostruzione nuova. Tuttavia, se, come osservato, il principio affermato da tale decisione e’ stato successivamente ribadito, e’ altrettanto vero che, ancor piu’ di recente, la seconda sezione si e’ pronunciata in senso opposto, affermando che non puo’ ipotizzarsi la costituzione di un uso reale atipico, esclusivo e perpetuo, che priverebbe del tutto di utilita’ la proprieta’ e darebbe vita a un diritto reale incompatibile con l’ordinamento (Cass. 9 gennaio 2020, n. 193).
Sicche’ anche il contrasto e’ comunque allo stato effettivamente sussistente.
5. – La questione si pone in generale nei termini seguenti.
5.1. – Quanto all’origine del c.d. “diritto reale di uso esclusivo”, in ambito condominiale, si trova affermato, in dottrina, che esso sarebbe il frutto di una creazione giurisprudenziale, pur se relativamente tralaticia, di dubbia validita’.
In effetti, pero’, la clausola mediante la quale si concede ad una singola unita’ immobiliare l’uso esclusivo di un’area, nel nostro caso (e di solito) adibita come si vedra’ a cortile, non nasce – come e’ del resto ovvio – dalla giurisprudenza, ma si e’ diffusa attraverso la prassi negoziale, in particolare notarile: e si e’ in particolare ipotizzato che tale diffusione possa aver trovato la sua ragion d’essere, almeno in taluni casi, quale escamotage per risolvere, tramite la qualificazione surrettizia, problemi catastali, ad esempio – e’ stato detto – per il mancato frazionamento dell’area comune.
Nondimeno, e’ vero che nella giurisprudenza di questa Corte non e’ raro imbattersi in decisioni rese nell’ambito di liti in cui si controverteva della pretesa titolarita’ in capo ad un condomino (o ad alcuni condomini) di un diritto di uso esclusivo su una porzione, perlopiu’ cortilizia, dunque di una parte comune, ai sensi dell’articolo 1117 c.c..
A mero titolo di esempio possono rammentarsi pronunce concernenti: la compatibilita’ della funzione naturale di un cortile condominiale con la destinazione di esso all’uso esclusivo di uno o piu’ condomini (Cass. 20 febbraio 1984, n. 1209); il diritto di godere in via esclusiva di un giardino comune conferito in uso al proprietario del piano terreno (Cass. 27 luglio 1984, n. 4451); la legittimita’ dell’installazione di una tenda su di uno spazio di proprieta’ comune, da parte del condomino del piano terreno che lo abbia in uso esclusivo e destinato a ristorante (Cass. 25 ottobre 1991, n. 11392); la possibilita’ di inserimento in un regolamento condominiale contrattuale della previsione dell’uso esclusivo di una parte dell’edificio definita comune a favore di una frazione di proprieta’ esclusiva (Cass. 4 giugno 1992, n. 6892; e v. al riguardo, ancora senza alcuna pretesa di completezza, Cass. 27 giugno 1978, n. 3169; Cass. 10 luglio 1975, n. 2727; Cass. 24 aprile 1975, n. 1600; Cass. 14 marzo 1975, n. 970); la destinazione di un bene, dall’originario proprietario dell’intero immobile, ad un uso esclusivo (Cass. 28 aprile 2004, n. 8119); l’uso esclusivo di un’area esterna al fabbricato, altrimenti idonea a soddisfare le esigenze di accesso all’edificio di tutti i partecipanti (Cass. 4 settembre 2017, n. 20712).
5.2. – Nonostante la diffusione del fenomeno, tuttavia, non risulta che, prima di Cass. 16 ottobre 2017, n. 24301, sulla quale tra breve si tornera’, questa Corte abbia mai chiaramente preso posizione sul fondamento della configurabilita’ di un c.d. “diritto reale di uso esclusivo” di una parte comune – formula, varra’ subito osservare, dalla forte caratterizzazione di ossimoro, laddove coniuga l’esclusivita’ dell’uso con l’appartenenza della porzione a piu’ condomini – e sulla sua natura: se, cioe’, l’attribuzione ad un condomino di un diritto di uso esclusivo altro non sia, almeno in taluni casi, che una formula da intendersi come equivalente dell’attribuzione a lui della proprieta’ solitaria sulla porzione in discorso; se e come il diritto di uso esclusivo di una parte comune possa armonizzarsi con la regola basilare dettata dall’articolo 1102 c.c., senz’altro applicabile al condominio per il rinvio dell’articolo 1139 c.c., secondo cui ciascun comunista puo’ servirsi della cosa comune; se il diritto di uso esclusivo abbia natura di diritto reale atipico o sia riconducibile ad una delle figure tipiche di diritto reale di godimento, ovvero se abbia natura non di diritto reale, bensi’ di diritto di credito.
5.3. – In particolare, non sembra potersi isolare un indirizzo giurisprudenziale che riconduca il c.d. “diritto reale di uso esclusivo” alle servitu’ prediali.
Si rinviene, difatti, una ormai non recente decisione nella quale si afferma, in generale, in relazione alle formule impiegate nei regolamenti condominiali contrattuali i quali stabiliscano “pesi sulle cose comuni a vantaggio dei piani o delle porzioni di piano”, che le soluzioni oscillerebbero tra le obbligazioni propter rem, gli oneri reali e le servitu’ reciproche, e che quest’ultima soluzione sarebbe quella preferibile, dal momento che “detti vincoli possono essere trascritti nei registri immobiliari” (Cass. 15 aprile 1999, n. 3749): ma tale pronuncia non si misura con le specifiche caratteristiche del c.d. “diritto reale di uso esclusivo”, il quale consiste non gia’ nella semplice creazione di pesi sulle cose comuni a vantaggio di una o piu’ proprieta’ solitarie, ma, come si avra’ modo di dire, in un sostanziale svuotamento del diritto di proprieta’ sul fondo servente.
5.4. – Con la pronuncia del 2017 poc’anzi richiamata si e’ affermato, come ha gia’ rammentato l’ordinanza di rimessione, che l'”uso esclusivo” su parti comuni dell’edificio, riconosciuto, al momento della costituzione di un condominio, in favore di unita’ immobiliari in proprieta’ esclusiva, al fine di garantirne il migliore godimento, incide non sull’appartenenza delle dette parti comuni alla collettivita’, ma sul riparto delle correlate facolta’ di godimento fra i condomini, che avviene secondo modalita’ non paritarie determinate dal titolo, in deroga a quello altrimenti presunto ex articoli 1102 e 1117 c.c.. Tale diritto non e’ riconducibile al diritto reale d’uso previsto dall’articolo 1021 c.c. e, pertanto, oltre a non mutuarne le modalita’ di estinzione, e’ tendenzialmente perpetuo e trasferibile ai successivi aventi causa dell’unita’ immobiliare cui accede (Cass. 16 ottobre 2017, n. 24301, che ha confermato la decisione di merito, che aveva respinto la domanda del condominio attore, tesa ad accertare che il diritto d’uso esclusivo su due porzioni del cortile, concesso con il primo atto di vendita dall’originario unico proprietario dell’intero edificio in favore di un’unita’ immobiliare e menzionato anche nell’allegato regolamento, non era cedibile, ne’ poteva eccedere i trent’anni).
Il ragionamento posto a base del principio di diritto cosi’ massimato si snoda come segue:
-) l’articolo 1117 c.c., nell’indicare le parti comuni di un edificio in condominio, “se non risulta il contrario dal titolo”, consente che, al momento di costituzione del condominio, alcune delle parti altrimenti comuni possono essere sottratte alla presunzione di comunione;
-) se cio’ e’ possibile, a fortiori e’ possibile, nella medesima sede costitutiva del condominio, che le parti convengano l’uso esclusivo di una parte comune in favore di uno o piu’ condomini;
-) sotto la dizione sintetica di “uso esclusivo”, impiegata dall’articolo 1126 c.c., contrapposta a quella di “uso comune”, contenuta nell’articolo 1122 c.c., nella formulazione risultante dalla L. n. 220 del 2012, ove e’ precisata una nozione gia’ desumibile dal sistema, si cela la coesistenza, su parti comuni, di facolta’ individuali dell’usuario e facolta’ degli altri partecipanti (mai in effetti realmente del tutto esclusi dalla fruizione di una qualche utilita’ sul bene c.d. in uso esclusivo altrui), secondo modalita’ non paritarie, in funzione del migliore godimento di porzioni di piano in proprieta’ esclusiva cui detti godimenti individuali accedano;
-) deve riconoscersi nella parte comune, anche se sottoposta ad uso esclusivo, il permanere della sua qualita’, appunto, comune, giacche’ l’attribuzione dell’uso esclusivo costituisce soltanto deroga da parte dell’autonomia privata al disposto dell’articolo 1102 c.c., altrimenti applicabile anche al condominio, che consente ai partecipanti di fare uso della cosa comune “secondo il loro diritto”;
-) i partecipanti diversi dall’usuario esclusivo vedono diversamente conformati dal titolo i rispettivi godimenti, con maggiori utilita’ per l’usuario e minori utilita’ per gli altri condomini;
-) dalla qualifica della cosa in uso esclusivo nell’ambito del condominio quale parte comune di spettanza di tutti i partecipanti, tutti comproprietari, ma secondo un rapporto di riparto delle facolta’ di godimento diverso, in quanto fissato dal titolo, da quello altrimenti presunto ex articoli 1117 e 1102 c.c., derivano i corollari dell’inerenza di tale rapporto a tutte le unita’ in condominio, con la conseguenza che l’uso esclusivo si trasmette, al pari degli ordinari poteri dominicali sulle parti comuni, anche ai successivi aventi causa sia dell’unita’ cui l’uso stesso accede che delle altre correlativamente fruenti di minori utilita’;
-) l’uso esclusivo, quale connotazione del diritto di proprieta’ ex articolo 832 c.c., o dell’altro diritto eventualmente spettante sull’unita’ immobiliare esclusiva cui accede, tendenzialmente perpetuo e trasferibile (nei limiti di trasferibilita’ delle parti comuni del condominio), non e’ riconducibile al diritto reale d’uso di cui all’articolo 1021 c.c., di cui l’uso esclusivo di parte comune nel condominio non mutua i limiti di durata, trasferibilita’ e modalita’ di estinzione;
-) il riconoscimento dell’uso esclusivo non si pone in contrasto con il numerus clausus dei diritti reali.
5.4. – Sulla configurabilita’ del c.d. “diritto reale di uso esclusivo” in ambito condominiale la dottrina non sembra aver fornito indicazioni univoche.
5.4.1. – Si suggerisce anzitutto da alcuni di tener distinti i casi in cui la formula “uso esclusivo” sia impiegata al fine di identificare un diritto di contenuto diverso dalla proprieta’ ed i casi in cui, invece, la formula, ad esempio attraverso la previsione della perpetuita’ e trasmissibilita’ del diritto, miri proprio all’attribuzione del diritto di proprieta’, con la finalita’, come si accennava, di rimediare a problemi catastali.
5.4.2. – Quanto al “diritto reale di uso esclusivo”, inteso in senso proprio, si afferma essere dubbia la validita’ di un accordo interno fra i comunisti che, in deroga all’articolo 1102 c.c., assegni l’uso esclusivo, anche se di una parte del bene comune, solo ad uno o piu’ comunisti. Difatti – si sottolinea – l’articolo 1102 c.c., pone in evidenza un aspetto strutturale della comunione, il godimento, aspetto che, secondo un’opinione ampiamente accolta, non sarebbe suscettibile di subire modificazioni, beninteso sostanziali.
5.4.3. – Nel tentativo di supportare sia il dato giurisprudenziale, formatosi anteriormente a Cass. 16 ottobre 2017, n. 24301, sia la prassi, si indica ancora in dottrina, come piu’ rilevante appiglio, pur senza tacere le controindicazioni, l’articolo 1126 c.c..
5.4.4. – E’ stato affermato, inoltre, che un riconoscimento legislativo degli usi esclusivi, tali da determinare una modificazione del diritto di comproprieta’, suscettibile quindi di trascrizione, potrebbe rinvenirsi nel Decreto Legislativo 20 maggio 2005, n. 122, articolo 6, comma 2, lettera b), che impone al costruttore di indicare nel contratto relativo ad una futura costruzione le parti condominiali e le “pertinenze esclusive”.
5.4.5. – Secondo altri, dopo alcune perplessita’ sull’utilizzazione del termine “uso”, tale da evocare il diritto reale di cui all’articolo 1021 c.c., sarebbe stata superata ogni esitazione definendo tali diritti con l’espressione “uso esclusivo”, senza alcuna altra precisazione, ma nella consapevolezza che esso discenderebbe da un rapporto di servitu’.
Il fondo servente sarebbe costituito dal cortile, nella parte asservita; il fondo dominante sarebbe l’unita’ immobiliare a cui favore l’area e’ asservita; il peso imposto consisterebbe nella facolta’ esclusiva per il condomino a cui favore e’ costituita la servitu’ di godere del cortile.
Non osterebbe alla configurabilita’ di una servitu’ a favore del bene di proprieta’ esclusiva di un condomino ed a carico del condominio (o viceversa) il principio nemini res sua servit in quanto l’intersoggettivita’ del rapporto sarebbe garantita dal concorso di altri titolari sul bene comune.
5.4.6. – L'”uso esclusivo” di cui si discute, in ogni caso, non potrebbe essere ricondotto alla previsione dell’articolo 1021 c.c..
Difatti, l'”uso” ivi previsto e’ manifestazione del diritto, per il titolare, di servirsi di una cosa (e, se fruttifera, di raccoglierne i frutti) per quanto occorra ai bisogni suoi e della sua famiglia. Inoltre, secondo l’articolo 1024 c.c., il diritto d’uso non si puo’ cedere o dare in locazione, e la durata dello stesso, secondo l’articolo 979 c.c., richiamato dall’articolo 1026 c.c., non puo’ eccedere la vita del titolare, se persona fisica, o trenta anni, se persona giuridica.
Ne deriva che, per lo piu’, la locuzione “uso esclusivo” attiene alla destinazione del bene, e non alla qualificazione del diritto, sussumibile entro l’ambito di applicazione dell’articolo 1021 c.c..
5.4.7. – Vi e’ infine da rammentare, piu’ in generale, che parte della dottrina ammette la creazione per contratto di diritti reali atipici, il che, se fosse vero, farebbe cadere ogni ostacolo al sorgere del c.d. “diritto reale di uso esclusivo”.
6. – Ritengono le Sezioni Unite che il tema del c.d. “diritto reale di uso esclusivo” di parti comuni dell’edificio in ambito condominiale debba essere inquadrato nei termini che seguono.
6.1. – Nell’articolo 1102 c.c., rubricato “uso della cosa comune”, dettato per la comunione ma applicabile al condominio per il tramite dell’articolo 1139 c.c., il vocabolo “uso” si traduce nel significato del “servirsi della cosa comune”. Nell’articolo 1117 c.c., che apre il capo dedicato al condominio, ricorre per tre volte, in ciascuno dei numeri in cui la norma si suddivide, l’espressione “uso comune”, che ripete e sintetizza la previsione dell’articolo 1102 c.c..
Nella locuzione “servirsi della cosa comune” si riassumono le facolta’ ed i poteri attraverso i quali il partecipante alla comunione, ovvero il condomino, ritrae dalla cosa le utilita’ di cui essa e’ capace, entro i limiti oggettivi della sua “destinazione”, cui pure si riferisce l’articolo 1102 c.c..
L'”uso”, quale sintesi di facolta’ e poteri, costituisce allora parte essenziale del contenuto intrinseco, caratterizzante, del diritto di comproprieta’, come, ovviamente, di quello di proprieta’, a tenore del dettato dell’articolo 832 c.c.. L’uso e’ cioe’ (non diritto, bensi’) uno dei modi attraverso i quali puo’ esercitarsi il diritto, e forma parte intrinseca e caratterizzante, nucleo essenziale, del suo contenuto.
L’articolo 1102 c.c., ribadisce ulteriormente il carattere intrinseco e caratterizzante dell'”uso della cosa comune” laddove istituisce l’obbligo del partecipante di non impedire agli altri “di farne parimenti uso secondo il loro diritto”.
6.2. – Nella formula “parimenti uso” si riassumono i connotati, per cosi’ dire normali, dell’uso della cosa comune nell’ambito della comunione e del condominio, uso in linea di principio, ed almeno in potenza, per l’appunto indistintamente paritario, promiscuo e simultaneo.
Cio’ non esclude la possibilita’ di un “uso” piu’ intenso da parte di un condomino rispetto agli altri (Cass. 30 maggio 2003, n. 8808; Cass. 27 febbraio 2007, n. 4617; Cass. 21 ottobre 2009, n. 22341; Cass. 16 aprile 2018, n. 9278), tanto piu’ che l’articolo 1123 c.c., comma 2, contempla espressamente la possibile esistenza di cose destinate a servire i condomini “in misura diversa”, regolando il riparto delle spese in proporzione dell’uso, previsione che trova ulteriore specificazione nel successivo articolo 1124 c.c., con riguardo alla manutenzione e sostituzione di scale e ascensori.
L’uso della cosa comune puo’ assumere inoltre caratteri differenziati rispetto alla regola della indistinta paritarieta’, tuttavia pur sempre mantenuta ferma mediante un congegno di reciprocita’: cosi’, entro limiti che qui non occorre approfondire, per l’uso frazionato (Cass. 14 luglio 2015, n. 14694; Cass. 11 aprile 2006, n. 8429; Cass. 14 ottobre 1998, n. 10175; Cass. 28 gennaio 1985, n. 434; Cass. 6 dicembre 1979, n. 6338) e per l’uso turnario (Cass. 12 dicembre 2017, n. 29747; Cass. 19 luglio 2012, n. 12485; Cass. 3 dicembre 2010, n. 24647; Cass. 4 dicembre 1991, n. 13036), ipotesi, quest’ultima, ricorrente nel caso della destinazione di cortili a posti auto in numero insufficiente a soddisfare simultaneamente le esigenze di tutti i condomini.
E’ inoltre ben vero che l’articolo 1102 c.c., nel prescrivere che ciascun partecipante puo’ servirsi della cosa comune purche’ non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, non pone una norma inderogabile, i cui limiti non possano essere resi piu’ severi dal regolamento condominiale (Cass. 20 luglio 1971, n. 2369). Se, pero’, i suddetti limiti possono essere resi piu’ rigorosi dal regolamento condominiale, resta fermo che non e’ consentita l’introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni (Cass. 29 gennaio 2018, n. 2114; Cass. 4 dicembre 2013, n. 27233).
6.3. – Questo essendo il quadro, il c.d. “diritto reale di uso esclusivo” va evidentemente a collocarsi al di la’ dell’osservanza della regola del “farne parimenti uso”, pur declinata nelle forme particolari di cui si e’ detto: uso frazionato e uso turnario.
Nel caso dell'”uso esclusivo”, proprio perche’ esclusivo, cioe’, si elide – rimanendo da verificare se ed in che limiti cio’ sia giuridicamente fattibile – il collegamento tra il diritto ed il suo contenuto, concentrandosi l’uso in capo ad uno o alcuni condomini soltanto: tant’e’ che si e’ parlato in proposito, come gia’ accennato, di uso “”quasi”uti dominus”.
6.4. – Qualora l’esegesi dell’atto induca a ritenere che l’attribuzione abbia effettivamente riguardato, secondo la volonta’ delle parti, non la proprieta’, sia pure in veste “mascherata”, ma il c.d. “diritto reale di uso esclusivo” su una parte comune, ferma la titolarita’ della proprieta’ di essa in capo al condominio, e’ da escludere che un simile diritto, con connotazione di realita’, possa trovare fondamento sull’articolo 1126 c.c..
La norma stabilisce che, quando l’uso dei lastrici solari o di una parte di essi non e’ comune a tutti i condomini, quelli che ne hanno l’uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico: gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno.
Nella giurisprudenza di questa Corte sembra rinvenirsi un unico precedente in cui l’uso esclusivo ivi menzionato e’ espressamente qualificato come diritto reale di godimento, come tale usucapibile.
Si afferma cioe’ essere esatto che i lastrici solari, necessari all’uso comune dell’edificio, del quale svolgono la funzione di copertura, non possono in generale essere usucapiti, mentre possono essere ceduti in proprieta’ ad un solo condomino. Si rammenta, difatti, che l’usucapione non puo’ aver luogo in ordine ai lastrici solari, per i quali sono concettualmente insopprimibili le utilita’ tratte dagli altri partecipi della comunione, per effetto della connaturata destinazione di tali cose alla copertura ed alla protezione del fabbricato. Ma si aggiunge che l’articolo 1126 c.c., prevede espressamente che uno dei condomini possa avere l’uso esclusivo del calpestio del lastrico e dunque possa usucapire il diritto di calpestio esclusivo. E si ricorda che la dottrina definisce tale uso esclusivo di calpestio come diritto reale equivalente ad una servitu’, perfettamente usucapibile. Sicche’ nulla esclude l’acquisto per usucapione non della proprieta’ del lastrico solare, ma, appunto, del diritto esclusivo di calpestio, che si presenta oggettivamente come autonomo dal diritto di proprieta’ (cosi’ Cass. 17 aprile 1973, n. 1103).
Cio’ detto, la previsione dettata dall’articolo 1126 c.c., e’ riferita ad una situazione del tutto peculiare, quale quella dei lastrici solari, che, pur svolgendo una funzione necessaria di copertura dell’edificio, e costituendo come tali parti comuni, possono pero’ essere oggetto di calpestio, per la loro conformazione ed ubicazione, soltanto da uno o alcuni condomini, sicche’ l’uso esclusivo nel senso sopra descritto non priva gli altri condomini di alcunche’, perche’ essi non vi potrebbero comunque di fatto accedere.
Dalla previsione dell’articolo 1126 c.c., allora, puo’ semmai desumersi a contrario che non sono configurabili ulteriori ipotesi di uso esclusivo, le quali, in violazione della regola generale stabilita dal gia’ richiamato articolo 1102 c.c., nonche’ dei principi, di cui si parlera’ piu’ avanti, del numerus clausus e di quello di tipicita’ dei diritti reali (principi secondo cui i privati non possono creare figure di diritti reali nuovi rispetto a quelli riconosciuti dalla legge, ne’ mutarne il contenuto essenziale), sottraggano a taluni condomini il diritto di godimento della cosa comune loro spettante.
L’articolo 1126 c.c., avuto riguardo ai menzionati principi, non si presta dunque a fungere da punto d’appoggio per la costruzione di un piu’ ampio “diritto reale di uso esclusivo” delle parti comuni, ma, tutt’al piu’, ove ne ricorrano i presupposti, ad una cauta applicazione estensiva, come per le terrazze che fungano da copertura di un edificio, le quali rispetto al lastrico offrono utilita’ ulteriori, ovverosia il comodo accesso e la possibilita’ di trattenersi (la distinzione e’ evidenziata p. es. da Cass. 22 novembre 1996, n. 10323).
6.5. – Neppure rileva che la riforma del condominio del 2012 abbia introdotto talune ipotesi di concessione a singoli condomini di un godimento apparentemente non paritario, giacche’, pur volendo tralasciare che tali previsioni, per la loro eccezionalita’, non possono concorrere alla costruzione di un principio generale, e’ da escludere che esse comportino modificazioni strutturali alla comproprieta’ delle parti comuni in favore del titolare dell’uso.
L’articolo 1122 c.c., comma 1, prevede che nelle parti normalmente destinate all’uso comune che sono state destinate all'”uso individuale” il condomino non puo’ eseguire opere che determinino pregiudizio alla stabilita’, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio.
Al riguardo, e’ agevole osservare che la norma neppure fa riferimento univoco ad un ipotetico “diritto reale di uso esclusivo”, mentre essa ben puo’ essere riferita al caso, gia’ ricordato, dell’uso frazionato delle parti comuni.
L’articolo 1120 c.c., comma 2, n. 2, poi, consente, tra l’altro, che i condomini, con una maggioranza meno rigorosa di quella prevista per le innovazione in genere, possono disporre opere ed interventi per la realizzazione di parcheggi destinati a servizio delle unita’ immobiliari. E tuttavia la norma non chiarisce se i posti auto realizzati debbano essere attribuiti in proprieta’ esclusiva, costituendo in tal caso pertinenze delle singole unita’ immobiliari, o in godimento frazionato in favore dei proprietari di tali unita’ immobiliari:
-) nel primo caso si tratterebbe di attribuzione in proprieta’ (la qual cosa si e’ gia’ accennato essere pienamente compatibile con la regola generale dettata dall’articolo 1117 c.c., che, riferendosi al “titolo diverso”, consente di assegnare in proprieta’ esclusiva porzioni dell’edificio che altrimenti ricadrebbero nelle parti comuni) e non del c.d. “diritto reale di uso esclusivo”;
-) nel secondo caso si rientrerebbe nell’ipotesi di uso frazionato gia’ considerata.
L’articolo 1122 bis c.c., comma 2, ancora, consente la installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unita’ immobiliari del condominio sul lastrico solare e su ogni altra idonea superficie comune. In base al comma 3 l’assemblea provvede, su richiesta degli interessati, a ripartire l’uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o comunque in atto.
Anche qui non emerge la configurabilita’ di un “diritto reale di uso esclusivo”. Ed anzi, il fatto che il godimento venga concesso a maggioranza dall’assemblea esclude che possa ricorrere una ipotesi di modificazione del contenuto del diritto di comproprieta’.
6.6. – E’ parimenti priva di fondamento la tesi, talora affermata, secondo cui un riconoscimento legislativo degli usi esclusivi, tali da determinare una modificazione del diritto di comproprieta’, potrebbe desumersi dal Decreto Legislativo 20 maggio 2005, n. 122, articolo 6, comma 2, lettera b), che obbliga il costruttore a indicare nel contratto relativo a futura costruzione le parti condominiali e le “pertinenze esclusive”.
E’ gia’ risolutivo osservare che si tratta di una norma eccezionale, dalla quale non potrebbe in ogni caso desumersi l’istituzione di un generale “diritto reale di uso esclusivo”. Ma, al di la’ di questo, la norma parla di pertinenze, e dunque ancora una volta di attribuzione in proprieta’, secondo quanto si e’ gia’ visto compatibile con l’assetto condominiale.
6.7.- Posto che l’articolo 1102 c.c., come si diceva applicabile al condominio, stabilisce che ciascun partecipante puo’ servirsi della cosa comune, purche’ non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, e’ da escludere che, cosi’ come talune parti altrimenti comuni, alla stregua dell’articolo 1117 c.c., possono essere attribuite in proprieta’ esclusiva ad un singolo condomino, a maggior ragione esse possano essere attribuite, con caratteri di realita’, ad un singolo condomino, in uso esclusivo.
L’impiego dell’argomento a fortiori e’ difatti in tal caso un artificio retorico volto a dare per dimostrato cio’ che doveva invece dimostrarsi: ossia che possa configurarsi una sostanzialmente totale compressione del godimento spettante ai condomini sulla cosa comune, con la speculare creazione di un atipico diritto reale di godimento, il diritto di uso esclusivo, in favore di uno o alcuni, di essi. Ed e’ parimenti un artificio retorico quello insito nell’affermazione secondo cui il c.d. “diritto di uso esclusivo” non sarebbe in realta’ davvero esclusivo, poiche’ agli altri condomini rimarrebbe (nient’altro che) la possibilita’ di prendere aria e luce, nonche’ di esercitare la veduta in appiombo.
Un diritto reale di godimento di uso esclusivo, in capo ad un condomino, di una parte comune dell’edificio, privando gli altri condomini del relativo godimento, e cioe’ riservando ad essi un diritto di comproprieta’ svuotato del suo nucleo fondamentale, determinerebbe, invece, un radicale, strutturale snaturamento di tale diritto, non potendosi dubitare che il godimento sia un aspetto intrinseco della proprieta’, come della comproprieta’: salvo, naturalmente, che la separazione del godimento dalla proprieta’ non sia il frutto della creazione di un diritto reale di godimento normativamente previsto.
6.8. – Siffatto c.d. “diritto reale di uso esclusivo” non e’ inquadrabile tra le servitu’ prediali.
Si e’ gia’ visto che non esiste un orientamento giurisprudenziale in tal senso.
All’inquadramento non osta il principio nemini res sua servit, il quale trova applicazione soltanto quando un unico soggetto e’ titolare del fondo servente e di quello dominante e non anche quando il proprietario di uno di essi sia anche comproprietario dell’altro, giacche’ in tal caso l’intersoggettivita’ del rapporto e’ data dal concorso di altri titolari del bene comune (Cass. 6 agosto 2019, n. 21020, e gia’ Cass. 27 luglio 1984, n. 4457; Cass. 24 giugno 1967, n. 1560; Cass. 22 luglio 1966, n. 2003).
Vi osta la conformazione della servitu’, che puo’ si’ essere modellata in funzione delle piu’ svariate utilizzazioni, pur riguardate dall’angolo visuale dell’obbiettivo rapporto di servizio tra i fondi e non dell’utilita’ del proprietario del fondo dominante, ma non puo’ mai tradursi in un diritto di godimento generale del fondo servente, il che determinerebbe lo svuotamento della proprieta’ di esso, ancora una volta, nel suo nucleo fondamentale.
Ed e’ percio’ che questa Corte ha da lungo tempo affermato, ad esempio, che, essendo requisiti essenziali della nozione di servitu’ il carattere di peso e l’utilita’ del rapporto di dipendenza tra i due fondi, deve ritenersi contraria all’ordine pubblico, ove non rientri negli schemi dell’uso, dell’usufrutto o dell’abitazione, la convenzione, con la quale il proprietario del c.d. fondo servente si riserva la sola utilizzazione del legname per uso di carbonizzazione e la facolta’ di compiere soltanto lavori attinenti alla sua industria di produzione di energia elettrica, e concede al proprietario del c.d. fondo dominante il diritto di far proprio ogni altro prodotto (Cass. 31 maggio 1950, n. 1343); ed ha ribadito che la costituzione della servitu’, concretandosi in un rapporto di assoggettamento tra due fondi, importa una restrizione delle facolta’ di godimento del fondo servente, ma tale restrizione, se pur commisurata al contenuto ed al tipo della servitu’, non puo’, tuttavia, risolversi nella totale elisione delle facolta’ di godimento del fondo servente. Al proprietario, pertanto, del fondo gravato da una servitu’ di passaggio, non puo’ essere inibito di chiudere il fondo, purche’ lasci libero e comodo l’ingresso a chi esercita la servitu’ di passaggio o lasci, comunque, al di fuori della recinzione la zona del fondo, sulla quale, a tenore del titolo, la servitu’ deve esercitarsi (Cass. 22 aprile 1966, n. 1037).
Ora, e’ del tutto evidente che, se ad un condomino spettasse a titolo di servitu’ l'”uso esclusivo” di una porzione di parte comune, agli altri condomini non rimarrebbe nulla, se non un vuoto simulacro.
6.9. – Resta da chiedersi se la creazione di un atipico “diritto reale di uso esclusivo”, tale da svuotare di contenuto il diritto di comproprieta’, possa essere il prodotto dell’autonomia negoziale.
Il che e’ da escludere, essendovi di ostacolo il principio, o i principi, sovente in dottrina tenuti distinti, sebbene in gran parte sovrapponibili, del numerus clausus dei diritti reali e della tipicita’ di essi: in forza del primo solo la legge puo’ istituire figure di diritti reali; per effetto del secondo i privati non possono incidere sul contenuto, snaturandolo, dei diritti reali che la legge ha istituito.
Parte della dottrina, certo minoritaria, predica, non solo in Italia, il vanificarsi del dogma – cosi’ talora definito, in alternativa ad altre qualificazioni in termini di mistero od enigma – del numerus clausus e della tipicita’ dei diritti reali.
Contro di esso si invoca, in breve, una sorta di pari dignita’ dei diritti reali e dei diritti di credito, riguardati nella prospettiva dell’autonomia privata, che, dall’uno e dall’altro versante, non incontrerebbe altro limite, se non quello derivante dalla contrarieta’ all’ordine pubblico, dall’illiceita’ del contratto e dalla meritevolezza dell’interesse perseguito. Di guisa che i privati potrebbero cosi’ dar vita per contratto ad ogni genere di diritto, di natura reale od obbligatoria, purche’ nel rispetto dei principi inderogabili dell’ordinamento giuridico. Si e’ osservato, sotto altro aspetto, che nessuno meglio delle parti stesse potrebbe rispondere, tempestivamente, alle sempre nuove esigenze che il traffico giuridico pone, mentre il legislatore non riuscirebbe a garantire eguale tempestivita’, ne’ completezza di strumenti. Dall’angolo visuale dell’analisi economica del diritto si e’ detto che i principi in discorso determinerebbero diseconomie, sulle quali non e’ per vero il caso qui di soffermarsi. E puo’ aggiungersi che l’atteggiamento di disfavore verso i menzionati principi ha avuto qualche riscontro in giurisprudenza, a partire dal 2012, con l’arret Maison de poesie, proprio laddove essi si sono riaffermati con la codificazione ottocentesca, dopo una parentesi – come e’ stato detto – di oltre otto secoli.
Ora, ad evidenziare quanto fallace sia l’idea di diritti reali creati per contratto, dovrebbe essere sufficiente osservare che le situazioni reali si caratterizzano per la sequela, per l’opponibilita’ ai terzi: i diritti reali, cioe’, si impongono per forza propria ai successivi acquirenti della cosa alla quale essi sono inerenti, che tali acquirenti lo vogliano o non lo vogliano: creare diritti reali atipici per contratto vorrebbe dire percio’ incidere non solo sulle parti, ma, al di fuori dei casi in cui la legge lo consente, anche sugli acquirenti della cosa: ed in definitiva, paradossalmente, vincolare terzi estranei, in nome dell’autonomia contrattuale, ad un regolamento eteronimo.
Quando si afferma, allora, che i principi in discorso non sarebbero espressione di una norma positivamente codificata, ma tutt’al piu’ si radicherebbero semplicemente nella tradizione, in vista di un generico scopo di certezza dei traffici giuridici – scopo, occorre aggiungere, che peraltro basterebbe da solo a rendere ragione dei principi medesimi -, sicche’ nulla osterebbe a far sorgere dall’autonomia contrattuale diritti reali atipici, non si tiene nella necessaria considerazione che una espressa disposizione in tal senso sarebbe stata superflua, in un sistema che, dopo aver minuziosamente tipizzato e regolato gli iura in re aliena (cosa gia’ di per se’ scarsamente comprensibile, ove potessero crearsene di atipici in numero infinito), pone al centro della disciplina del contratto, come la dottrina ha da assai lungo tempo evidenziato, l’articolo 1372 c.c., che limita gli effetti di esso alle parti, con la precisazione che solo la legge puo’ contemplare la produzione di effetti rispetto ai terzi: escludendo cosi’ in radice che il contratto, se non sia la legge a stabilirlo, possa produrre effetti destinati a riflettersi nella sfera di soggetti estranei alla negoziazione.
Tale impianto del codice civile, di per se’ autosufficiente, si rafforza poi nel quadro costituzionale, in applicazione dell’articolo 42 Cost., laddove esso pone una riserva di legge in ordine ai modi di acquisto e, per l’appunto, di godimento, oltre che ai limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti, senza che la funzionalizzazione della proprieta’ offra alcun sensato argomento che spinga nel senso della configurabilita’ di diritti reali limitati creati per contratto. Il principio del numerus clausus e della tipicita’, infine, non incontra ostacoli nell’ordinamento Eurounitario, giacche’ l’articolo 345 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea lascia “del tutto impregiudicato il regime di proprieta’ esistente negli Stati membri”.
A rincalzo delle raggiunte conclusioni, puo’ ulteriormente osservarsi:
-) che l’articolo 1322 c.c., colloca nel comparto contrattuale il principio dell’autonomia;
-) che l’ordinamento mostra di guardare sotto ogni aspetto con sfavore a limitazioni particolarmente incisive del diritto di proprieta’, in particolare connotate da perpetuita’, finanche tra le stesse parti, come si desume dalla disposizione dell’articolo 1379 c.c., con riguardo alle condizioni di validita’ del divieto convenzionale di alienare (v. per la portata generale della regola Cass. 17 novembre 1999, n. 12769; Cass. 11 aprile 1990, n. 3082; e da ult. Cass. 20 giugno 2017, n. 15240, in relazione al vincolo perpetuo di destinazione imposto dal testatore con clausola modale);
-) che l’articolo 2643 c.c., contiene un’elencazione tassativa dei diritti reali soggetti a trascrizione, il che ineluttabilmente conferma trattarsi di numerus clausus.
Quanto all’adempimento della formalita’ della trascrizione, del resto, essa vale a risolvere i conflitti tra successivi acquirenti a titolo derivativo (sugli acquisti a titolo originario, in relazione al rilievo della trascrizione, v. ex multis Cass. 3 febbraio 2005, n. 2161; Cass. 10 luglio 2008, n. 18888, con riguardo alla servitu’ acquistata per usucapione), ma, essendo dotata di efficacia meramente dichiarativa (Cass. 19 agosto 2002, n. 12236), non incide sulla validita’ ed efficacia di essi, ed e’ quindi priva di efficacia sanante dei vizi di cui sia affetto l’atto negoziale, ed inidonea ad attribuirgli la validita’ di cui esso sia altrimenti privo (Cass. 14 novembre 2016, n. 23127).
E dunque, ammesso e non concesso che una simile trascrizione sia oggi tecnicamente possibile, non ha cittadinanza nel diritto vigente una regola generale che faccia discendere dalla trascrizione – se non sia il legislatore, ovviamente, a stabilirlo – l’efficacia erga omnes di un diritto che non abbia gia’ in se’ il carattere della realita’. Cio’ – sia detto per inciso – a tacere del rilievo, rimanendo alla trascrizione, che il c.d. “diritto reale di uso esclusivo”, ove inteso come prodotto della atipica modificazione negoziale del diritto di comproprieta’, non sarebbe comunque trascrivibile, dal momento che l’articolo 2643 c.c., contempla al numero 14 la trascrizione delle sentenze, non degli atti negoziali, che operano la modificazione di uno dei diritti precedentemente elencati dalla norma.
6.10. – Ecco, dunque, che nella giurisprudenza di questa Corte il principio della tipicita’ del diritti reali, con quello sovrapponibile del numerus clausus, e’ fermo.
E cioe’, non e’ configurabile la costituzione di diritti reali al di fuori dei tipi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 26 marzo 1968, n. 944). Difatti, “la proprieta’ non deve essere asservita per ragioni privatistiche in modo tale da rendersi quasi illusoria e priva di contenuto, inetta quindi a realizzare i propri fini essenziali, convergenti da un lato alla integrazione e allo sviluppo della personalita’ individuale e dall’altro al benessere e al progresso della comunita’ attraverso l’incremento della produzione e l’attivazione degli scambi. Di qui la necessita’ di non abbandonare all’autonomia privata la materia dei diritti reali (iura in re aliena) e di mantenere la loro creazione entro schemi inderogabili fissati da esigenze di ordine pubblico” (Cass. 31 maggio 1950, n. 1343).
E’ stata cosi’ rimarcata la differenza dal punto di vista sostanziale e contenutistico, del diritto reale d’uso e del diritto personale di godimento, che va colta proprio nella ampiezza ed illimitatezza del primo, conformemente al canone di tipicita’ dei diritti reali delineato dalla legge, rispetto alla multiforme atteggiabilita’ del secondo, che proprio in ragione della natura obbligatoria e non reale del rapporto giuridico prodotto, puo’ essere diversamente regolato dalle parti nei suoi aspetti di sostanza e di contenuto. Sicche’, e’ da tener fermo che “il principio di tipicita’ legale necessaria dei diritti reali… si traduce nella regola secondo cui i privati non possono creare figure di diritti reali al di fuori di quelle previste dalla legge, ne’ possono modificarne il regime. Cio’ comporta che i poteri che scaturiscono dal singolo diritto reale in favore del suo titolare sono quelli determinati dalla legge e non possono essere validamente modificati dagli interessati” (Cass. 26 febbraio 2008, n. 5034; richiamata da ultimo da Cass. 3 settembre 2019, n. 21965). Nello stesso senso si osservato che la potenziale estensione delle facolta’ dell’usuario a tutte le possibilita’ di uso diretto della cosa e’ connotato distintivo del diritto di uso, e se, quindi, puo’ ammettersi che il titolo costitutivo restringa il contenuto del diritto con l’esclusione di talune facolta’ in esso naturalmente comprese, deve, al contrario, ritenersi che l’attribuzione di una soltanto tra le facolta’ di uso consentite dalla natura del bene – tanto piu’ se trattisi di un’utilita’ del tutto speciale ed estranea alla destinazione fondamentale della cosa – possa dar vita ad un rapporto obbligatorio, ma non possa configurarsi come costitutiva di un diritto reale di uso, che sarebbe essenzialmente diverso da quello previsto dalla legge e come tale inammissibile nel nostro ordinamento nel quale e mantenuto il principio della tipicita’ dei diritti reali (Cass. 12 novembre 1966, n. 2755). In applicazione del principio di tipicita’ dei diritti reali di godimento e’ stato stabilito che non e’ configurabile un rapporto di cosi’ detto dominio utile, corrispondente a uno ius in re aliena, cioe’ un diritto di godere di un fondo altrui in perpetuo, non essendo consentiti, al di fuori dei casi previsti alla legge, rapporti di natura perpetua, in quanto contrari a interessi di natura pubblicistica (Cass. 26 settembre 2000, n. 12765).
E si e’ ripetuto che le obbligazioni propter rem, come pure gli oneri reali, sono caratterizzati dal requisito della tipicita’, con la conseguenza che possono sorgere per contratto solo nei casi e col contenuto espressamente previsti dalla legge (Cass. 4 dicembre 2007, n. 25289; Cass. 11 marzo 2010, n. 5888; Cass. 26 febbraio 2014, n. 4572; Cass. 15 ottobre 2018, n. 25673; Cass. 2 gennaio 1997, n. 8; Cass. 22 luglio 1966, n. 2003; contra isolatamente e senza specifici argomenti Cass. 6 marzo 2003, n. 3341, ove tuttavia si riconosce che “al principio di tipicita’ sono vincolati i diritti reali”). Cio’ sulla scia di Cass. 18 gennaio 1951, n. 141, secondo cui oneri reali e obbligazioni propter rem “non possono avere un’applicazione generale e illimitata, ma costituiscono figure ammissibili soltanto nei casi previsti dalla legge”. La qual cosa, a parte l’obbliettiva difficolta’ di guardare al c.d. “diritto di uso esclusivo” come ad una obbligazione propter rem, esclude anche la possiblita’ di tale ricostruzione.
Atteso il principio di tipicita’ dei diritti reali la trascrizione della donazione modale non fa acquisire all’onere carattere reale (Cass. 9 giugno 2014, n. 12959). Ne’, “stante il principio di tipicita’ dei diritti reali, e’ possibile rimettere tout court alla scelta dei privati la creazione di figure di proprieta’ che presentino uno sdoppiamento tra la titolarita’ formale e quella sostanziale dei beni o forme di dissociazione tra titolarita’ e legittimazione” (Cass. 10 febbraio 2020, n. 3128).
D’altronde, la tematica delle c.d. servitu’ irregolari muove proprio dal principio di tipicita’ dei diritti reali, potendo cosi’ esse dar vita esclusivamente a rapporti obbligatori, nel quadro di applicazione del principio dell’autonomia contrattuale di cui all’articolo 1322 c.c. (Cass. 11 marzo 1981, n. 1387; Cass. 4 febbraio 2010, n. 2651, e, da ult. Cass. 9 ottobre 2018, n. 24919).
6.11. – In definitiva, va affermato il principio che segue: “La pattuizione avente ad oggetto la creazione del c.d. “diritto reale di uso esclusivo” su una porzione di cortile condominiale, costituente come tale parte comune dell’edificio, mirando alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, tale da incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune, sancito dall’articolo 1102 c.c., e’ preclusa dal principio, insito nel sistema codicistico, del numerus clausus dei diritti reali e della tipicita’ di essi”. Restando ovviamente riservata al legislatore la facolta’ di dar vita a nuove figure che arricchiscano i tipi reali normativi.
7. – Esclusa la validita’ della la costituzione di un diritto reale di uso esclusivo di una parte comune dell’edificio, in ambito condominiale, sorge il problema della sorte del titolo negoziale che, invece, tale costituzione abbia contemplato.
7.1. – Una volta ricordato che l’articolo 1117 c.c., nel porre una presunzione di condominialita’, consente l’attribuzione ad un solo condomino della proprieta’ esclusiva di una parte altrimenti comune, occorre anzitutto approfonditamente verificare, nel rispetto dei criteri di ermeneutica applicabili, se le parti, al momento della costituzione del condominio, abbiano effettivamente inteso limitarsi alla attribuzione dell’uso esclusivo, riservando la proprieta’ all’alienante, e non abbiano invece voluto trasferire la proprieta’.
Vero e’ che l’articolo 1362 c.c., richiama al comma 1, il senso letterale delle parole, senso che, nel caso dell’impiego della formula “diritto di uso esclusivo”, depone senz’altro contro l’interpretazione dell’atto come diretto al trasferimento della proprieta’; ma anche vero e’ che il dato letterale, pur di fondamentale rilievo, non e’ mai, da solo, decisivo, atteso che il significato delle dichiarazioni negoziali puo’ ritenersi acquisito esclusivamente al termine del processo interpretativo che deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per se’ non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un’espressione prima facie chiara puo’ non apparire piu’ tale se collegata alle altre contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti (p. es. Cass. 1 dicembre 2016, n. 24560; Cass. 11 gennaio 2006, n. 261).
7.2. – In tale prospettiva puo’ leggersi, a esempio, la decisione di questa Corte in un caso in cui il regolamento condominiale richiamato in un preliminare di vendita contemplava “l’uso esclusivo dei balconcini esistenti nei ripiani intermedi a favore dei condomini proprietari di alloggi non aventi prospicenza diretta verso il cortile”: e’ stato in tal caso affermato che il regolamento condominiale contrattuale puo’ contenere la previsione dell’uso esclusivo di una parte dell’edificio altrimenti comune a favore di una frazione di proprieta’ esclusiva, ed in tal caso il rapporto ha natura pertinenziale, essendo stato posto in essere dall’originario unico proprietario dell’edificio, con l’ulteriore conseguenza che, attenendo siffatto rapporto alla consistenza della frazione di proprieta’ esclusiva, il richiamo puro e semplice del regolamento condominiale in un successivo atto di vendita (o promessa di vendita) da parte del titolare della frazione di proprieta’ esclusiva, a cui favore sia previsto l’uso esclusivo di una parte comune, puo’ essere considerato sufficiente ai fini dell’indicazione della consistenza della frazione stessa venduta o promessa in vendita (Cass. 4 giugno 1992, n. 6892, sulla scia di Cass. 29 marzo 1982, n. 1947; nella stessa linea piu’ di recente, Cass. 4 settembre 2017, n. 20712).
7.3. – Non e’ escluso che il diritto di uso esclusivo, sussistendone i presupposti normativamente previsti, possa altresi’ essere in realta’ da ricondurre nel diritto reale d’uso di cui all’articolo 1021 c.c., se del caso attraverso l’applicazione dell’articolo 1419 c.c., comma 1.
7.4. – Rimane poi aperta la verifica della sussistenza dei presupposti per la conversione del contratto volto alla creazione del diritto reale di uso esclusivo, in applicazione articolo 1424 c.c., in contratto avente ad oggetto la concessione di un uso esclusivo e perpetuo (perpetuo inter partes, ovviamente) di natura obbligatoria.
Cio’ sia dal versante della meritevolezza, sia quanto all’accertamento se, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, queste avrebbero voluto il diverso contratto.

P.Q.M.

dichiara estinto il processo ed enuncia nell’interesse della legge il principio di diritto di cui in motivazione.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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