Il provvedimento di rescissione della stazione appaltante non impedisce all’appaltatore di agire per la risoluzione del contratto

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 27 settembre 2018, n. 23323.

La massima estrapolata:

Il provvedimento di rescissione della stazione appaltante non impedisce all’appaltatore di agire per la risoluzione del contratto in base alle regole generali relative all’inadempimento contrattuale di non scarsa importanza.

Ordinanza 27 settembre 2018, n. 23326

Data udienza 13 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 10319/2014 proposto da:
(OMISSIS) S.p.a. in liquidazione e in concordato preventivo con cessione dei beni, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Azienda Ospedaliera di Cosenza, in persona del direttore generale pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1799/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09/05/2018 dal Cons. Dott. MARULLI MARCO.

FATTI DI CAUSA

1.1. Con il ricorso in atti la (OMISSIS) s.p.a. in liquidazione e in concordato preventivo impugna, sulla base di due motivi di ricorso, illustrati pure con memoria, a cui resiste con controricorso l’intimata Azienda Ospedaliera di Cosenza, l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Roma, su gravame dell’Azienda, ha annullato il lodo arbitrale di condanna della medesima al pagamento in favore dell’impresa della somma di Euro 1501519,89 riconosciuta in accoglimento delle pretese dispiegate dalla ricorrente in calce al contratto di appalto avente ad oggetto la costruzione per conto dell’Aziende di tre edifici all’interno del polo ospedaliero cosentino.
1.2. Il decidente si e’ indotto all’accoglimento del proposto gravame in ragione della rilevata rescissione del predetto contratto, a cui la stazione appaltante aveva proceduto in applicazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, articolo 341, all. F, a causa degli inadempimenti imputati all’esecutrice, ritraendo da cio’ – e, segnatamente, dal fatto che il contratto non fosse percio’ piu’ esistente – la conclusione che la proposta domanda di risoluzione dell’impresa fosse inammissibile, che gli arbitri non potessero decidere la questione della legittimita’ della rescissione e che fosse altresi’ loro preclusa ogni determinazione in ordine alle pretese patrimoniali accampate dall’impresa relativamente all’esecuzione del contratto, a nulla rilevando in contrario che l’adottato provvedimento di rescissione fosse stato comunicato all’impresa dopo la notifica da parte sua della domanda di arbitrato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Il ricorso – alla cui disamina non fa scudo l’inammissibilita’ eccepita da controparte in relazione ad un preteso difetto di sommarieta’, giacche’, sebbene non si possa tacere che l’atto risulti effettivamente prolisso, cio’, nondimeno, non preclude che i fatti di causa siano debitamente illustrati e si rendano comprensibili senza eccessi defatigatori – con il primo motivo – parimenti non previamente paralizzato dalla duplice obiezione che, sempre in via pregiudiziale, vi muove la controparte in ragione dell’oggettivo rilievo giuridico della questione che vi e’ sollevata e della notoria non vincolativita’ della rubrica – deduce la violazione nella specie degli articoli 1453 e 1455 c.c., in relazione alla L. n. 2248 del 1865, articoli 340 e 341, all. F e all’articolo 112 c.p.c., poiche’, contrariamente all’avviso del decidente, sotto un primo aspetto, la determinazione adottata dall’ente di procedere alla rescissione del contratto “e’ opponibile alla controparte solo all’esito dell’intervenuta, piena e legale conoscenza del provvedimento”, anche con riferimento agli effetti correlati agli atti ed ai comportamenti dell’impresa; sotto un secondo aspetto, l’ammissibilita’ e la proponibilita’ della dispiegata azione di risoluzione pur in pendenza del provvedimento di rescissione e’ attestata dalla “ferma giurisprudenza della Corte regolatrice”; sotto un terzo aspetto, la rescissione “lascia impregiudicato il diritto dell’appaltatore al pagamento dei lavori eseguiti regolarmente ed il conseguente diritto al compenso”.
2.2. Il motivo e’ fondato ed il suo accoglimento, comportando la cassazione della sentenza impugnata ed il riesame della controversia da parte del giudice a quo alla luce dei principi di diritto che si affermeranno, assorbe e rende percio’ superflua la disamina del secondo motivo di ricorso, inteso a denunciare un vizio motivazionale in ordine all’impugnazione incidentale condizionata spiegata in quella sede dall’impresa.
2.3. Nel merito del motivo accolto, ancorche’ vada ribadito, in riferimento alla prima obiezione, che la notificazione quale forma di comunicazione intesa ad assicurare al destinatario piena e legale conoscenza del provvedimento adottato nei suoi confronti non costituisce, in base al combinato disposto della L. n. 2248 del 1865, articolo 340, all F. e Regio Decreto 25 maggio 1895, n. 350, articoli 27, 28 e 29, adempimento necessario ai fini di rendere efficace ed opponibile la volonta’ dell’Amministrazione di rescindere il contratto, essendo all’uopo sufficiente che tanto la dichiarazione effettuata in tal senso dalla P.A. che il susseguente provvedimento rescissorio siano portati a conoscenza dell’interessato con qualunque mezzo idoneo (Cass., Sez. 1, 30/07/1996, n. 6908), mette conto osservare, piu’ in generale, che l’esercizio della potesta’ che l’ordinamento conferiva a suo tempo all’Amministrazione di rescindere il contratto al ricorrere delle condizioni indicate dalla L. n. 2248 del 1865, articoli 340 e 341, all. F, pur potendo convenirsi che esso costituisse manifestazione del potere di autotutela c.d. dichiarativa della P.A. e producesse, percio’, unilateralmente ipso iure la risoluzione del contratto (Cass., Sez. 1, 23/07/1997, n. 6904), non preclude tuttavia l’azione per la sua risoluzione che l’impresa intenda promuovere a fronte degli inadempimenti ascritti all’appaltante, sicche’, in disparte dalla questione sollevata con la prima obiezione, il convincimento espresso dalla sentenza impugnata, dell’avviso, come visto, che la rescissione, determinando lo scioglimento del vincolo contrattuale, rende inammissibile l’azione di risoluzione dell’impresa, in quanto non puo’ risolversi un contratto “non piu’ esistente”, e’ frutto di manifesto errore.
2.4. A conforto di cio’ giova premettere che, secondo quel che si insegna abitualmente, il contratto di appalto di opere pubbliche e’ un contratto di diritto privato, dal quale, una volta esaurita la procedura di affidamento dei lavori, sorgono diritti ed obblighi a carico di entrambi i contraenti (Cass., Sez. U, 7/03/2001, n. 95). Cio’, se da una lato e’ presupposto per affermare, sul piano del riparto di giurisdizione, che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo le controversie derivanti dalle procedure di affidamento dei lavori, mentre per quelle che traggono origine dall’esecuzione del contratto permane la giurisdizione del giudice ordinario (Cass., Sez. U, 25/05/2018, n. 13191), e’ pretesto pure per sostenere, con piu’ diretto riferimento al tema che ne occupa, che, poiche’ nell’ambito di un negozio concluso dalla P.A. iure privatorum non si configura alcun potere discrezionale dell’amministrazione (Cass., Sez. U, 27/11/1996, n. 10525), le controversie nascenti dall’esecuzione di contratti di appalto di opere pubbliche hanno ad oggetto posizioni di diritto soggettivo inerenti a rapporti contrattuali di natura privatistica, nelle quali non hanno incidenza i poteri discrezionali ed autoritativi della pubblica amministrazione, anche quando questa si avvalga della facolta’, conferitale dalla legge, di recedere dal rapporto (Cass., Sez. U, 19/11/2001, n. 14539). In particolare, eppur vero che la rescissione del contratto di appalto di opere pubbliche si distingue dalla rescissione del contratto in generale per le sue connotazioni pubblicistiche, che ne fanno un mezzo di natura autoritativa che si sostanzia in un atto amministrativo, comunemente ritenuto espressione di autotutela della p.a. (Cass., Sez. 1, 23/06/2000, n. 8534), ma questo non impedisce di vedere, al fondo del delineato quadro di principio, insieme ai riflessi di ordine giurisdizionale, il fatto che il potere autoritativo di cui si rende espressione il provvedimento di rescissione adottato dalla P.A. ai sensi della L. n. 2248 del 1865, articolo 340, all. F, non fa venire meno il potere della parte di far valere i propri diritti avanti al giudice ordinario, stante invero “l’inidoneita’ di tale “actus rescindens” ad incidere sulle posizioni soggettive nascenti dal rapporto contrattuale ed aventi, percio’ stesso, consistenza di diritti soggettivi” (Cass., Sez. U, 19/05/2004, n. 9534).
2.5. In questi termini si giustifica percio’ il principio, della cui violazione si duole la ricorrente e che va qui ribadito, in guisa del quale “in tema di appalto di opere pubbliche, il provvedimento di rescissione adottato dalla stazione appaltante ai sensi della L. n. 2248 del 1865, articolo 340, all. F, non impedisce all’appaltatore di agire per la risoluzione del contratto in base alle regole generali dettate per l’inadempimento contrattuale di non scarsa importanza ai sensi degli articoli 1453 e 1455 c.c.”.
3. Cassandosi pertanto l’impugnata decisione, la causa va rinviata ai senti dell’articolo 383 c.p.c., comma 1 e articolo 384 c.p.c., comma 2, avanti al giudice a quo per un nuovo giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo motivo, cassa l’impugnata sentenza nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa avanti alla Corte d’Appello di Roma che, in altra composizione, provvedera’ pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

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