Il reato di lottizzazione abusiva

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 23 luglio 2019, n. 5204.

La massima estrapolata:

Il reato di lottizzazione abusiva è integrato non solo dalla trasformazione effettiva del territorio, ma da qualsiasi attività che oggettivamente comporti anche solo il pericolo di una urbanizzazione non prevista o diversa da quella programmata.

Sentenza 23 luglio 2019, n. 5204

Data udienza 11 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7663 del 2016, proposto da
Gi. Ru. e Fr. Pa. Ru., rappresentati e difesi dagli avvocati Si. Sc. ed An. Pa., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Si. Sc. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Seconda, n. 1273/2016, resa tra le parti, concernente l’impugnativa:
a) dell’ordinanza dirigenziale del Comune di (omissis) n. 39 dell’8 ottobre 2014, avente ad oggetto la repressione della lottizzazione abusiva nel territorio comunale;
b) del rapporto informativo del Comando di Polizia Municipale del Comune di San Giugliano in Campania prot. N. 2564/P.G. del 13 agosto 2013;
c) dell’ordinanza di demolizione del Comune di (omissis) n. 60/2010, emessa a carico della Ed. Pi. S.r.l.;
d) di ogni atto presupposto, conseguente e connesso per quanto lesivo degli interessi dei ricorrenti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 luglio 2019 il Consigliere Oswald Leitner e udito, per le parti, l’avvocato Antonio Palma;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. per la Campania, i sig.ri Gi. Ru. e Fr. Pa. Ru., in qualità di proprietari di due unità immobiliari unifamiliari (villette a schiera) site nel territorio del Comune di (omissis) in Viale (omissis) n. (omissis), l’una (di proprietà del primo) distinta in catasto al foglio (omissis), p.lla (omissis), sub (omissis), e l’altra (di proprietà del secondo) distinta in catasto al foglio (omissis), p.lla (omissis), sub (omissis), impugnavano l’ordinanza dirigenziale n. 39 dell’8 ottobre 2014, con cui la menzionata amministrazione comunale, sul presupposto che il frazionamento realizzato sulla porzione di territorio individuato dalla particella (omissis) configurasse una lottizzazione abusiva, ordinava l’immediata sospensione di ogni attività edilizia e vietava di disporre dei suoli e delle opere già realizzate, nonché di stipulare atti tra vivi sia in forma pubblica che in forma privata (in riferimento anche agli immobili dei ricorrenti), con conseguente acquisizione dei manufatti al patrimonio disponibile comunale trascorsi novanta giorni se non intervenuta revoca.
I medesimi impugnavano, oltre al prodromico rapporto informativo della Polizia Municipale, anche l’ordinanza comunale n. 60/2010, con cui erano stati ingiunti alla società costruttrice (Ed. Pi. S.r.l.) la demolizione delle opere ed il ripristino dello stato dei luoghi in relazione al riscontrato cambio di destinazione d’uso di 31 villette a schiera e la trasformazione dei sottotetti non abitabili in mansarde abitabili (talora suddivise in più vani) con annesso bagno.
I ricorrenti, individuati nell’elenco dei destinatari del provvedimento repressivo della lottizzazione, formulavano avverso gli atti impugnati le seguenti censure:
1) l’amministrazione comunale ha omesso di considerare che il complesso edilizio di cui fanno parte le villette “risulta oramai da tempo ultimato e rispetta sia i parametri urbanistici previsti dalla vigente strumentazione urbanistica comunale, che la normativa regionale in materia di strutture ricettive extralberghiere”, e che è possibile sanare il mutamento di destinazione d’uso attraverso il comune riutilizzo dello stesso come residence turistico, previo “riassetto catastale” mediante la fusione delle attuali particelle in un’unica particella che abbia la destinazione d’uso conforme al permesso di costruire originario;
2) l’ordinanza di repressione della lottizzazione non è assistita da adeguata motivazione circa la normativa urbanistico-edilizia di cui si è accertata la violazione ed in ordine ai manufatti reputati irregolari;
3) manca nella motivazione degli atti impugnati ogni riferimento all’interesse pubblico ritenuto prevalente in relazione ai contrapposti interessi privati, anche tenuto conto del lungo lasso di tempo intercorso dalla ultimazione delle opere;
4) considerata l’esiguità dell’abuso, consistente in un mutamento di destinazione d’uso, sarebbe risultata più appropriata l’applicazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 37 del D.P.R. n. 380/2001 e, comunque, l’acquisizione al patrimonio comunale avrebbe potuto essere legittimamente disposta una volta comunicata l’ordinanza di demolizione degli abusi nei confronti dei ricorrenti, passaggio, questo, nella specie pretermesso, in violazione della procedura prevista dall’art. 31 del citato D.P.R.;
5) i provvedimenti repressivi degli abusi non sono stati preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento, in violazione delle garanzie partecipative assicurate dalla L. n. 241/1990;
6) l’ordinanza di repressione della lottizzazione è stata indebitamente emanata nei confronti dei ricorrenti, i quali sono del tutto estranei alla vicenda abusiva, “avendo in buona fede e legittimo affidamento, acquistato detti beni dalla società Ed. Pi. S.r.l.” con l’assistenza di un notaio.
Il Comune di (omissis) si costituiva in giudizio, eccependo l’infondatezza del ricorso.
Con sentenza n. 1273/2016, il T.A.R. respingeva il ricorso, ritenendo, in estrema sintesi, che è la trasformazione dei residence in abitazioni private ad integrare, di per sé, la fattispecie lottizzatoria abusiva, e che, nel caso in esame, il mutamento di destinazione d’uso impresso al complesso immobiliare turistico-ricettivo ha senz’altro determinato l’alterazione del complessivo assetto del territorio messo a punto con lo strumento urbanistico, indipendentemente dal preteso rispetto dei parametri urbanistici di zona. Il T.A.R., poi, non ha nemmeno ritenuto applicabile la mera sanzione pecuniaria (art. 37 o art. 31 del D.P.R. n. 380/20019); ha reputato i provvedimenti impugnati sufficientemente motivati; ha escluso la necessità dell’invio della comunicazione d’avvio del procedimento ed, infine, neppure ha ritenuto configurarsi in favore degli acquirenti l’ipotesi di buona fede, in relazione all’estraneità alla fattispecie di abusiva lottizzazione di cui si controverte, in quanto la destinazione di zona G3, incompatibile con la destinazione d’uso impressa abusivamente agli immobili in questione, era facilmente riscontrabile in base alla certificazione urbanistica e avrebbe dovuto condurre ad una condotta negoziale improntata a ben maggiore cautela.
Avverso tale sentenza interponevano gravame gli odierni appellanti, formulando tre motivi di appello.
Il Comune di (omissis) non si costitutiva in giudizio.
All’udienza dell’11/07/2019, la causa passava in decisione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di gravame, intitolato “Error in procedendo et in iudicando – Violazione e falsa applicazione degli artt. 12, 27, 29 co. 1, 30 commi 7-8-9, e degli artt. 31, 36 del DPR 380/2001 s.m.i.; della legge 28.2.1985, n. 47, art. 18; del d.l. 23.4.1985, n. 146, artt. 1 co. 3 bis e 7 bis; del d.lgs. 18.8.2000, n. 267, artt. 107 e 109; della legge regione Campania n. 16 del 22.12.2004, artt. 1 e ss. 7 e ss.; della Legge Regione Campania n. 17 del 24/11/2001, artt. 1 e ss. e Allegato B – Violazione degli artt. 3, co. 4, 7, 8, 10, 1.241/1990 e s. m. e i. – Eccesso di potere rilevabile attraverso la ricorrenza delle figure sintomatiche del difetto di istruttoria, motivazione apparente, travisamento ed erroneità dei presupposti di fatto e di diritto – Illogicità manifesta – Inesistenza di concrete ragioni di interesse pubblico – Violazione del principio del legittimo affidamento e del buon andamento della p.a. (artt. 3 e 97 Cost) – Omessa ponderazione della situazione contemplata – Omessa pronuncia e/o omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione di censure rilevanti e decisive del giudizio – Ingiustizia manifesta”, gli appellanti deducono che, contrariamente a quanto erroneamente asserito nella gravata decisione, l’illegittimità dei gravati provvedimenti sarebbe dimostrata, oltre che dalla ricostruzione in fatto, dall’esame della provenienza e dalla legittimità urbanistica delle unità abitative.
Quanto alla legittimità urbanistica delle unità immobiliari di cui si discute, questa discenderebbe dalle seguenti oggettive circostanze, alle quali la gravata decisione, in difetto di motivazione, non sembra aver dato adeguata considerazione.
La legittimità urbanistica del complesso immobiliare denominato “Re. Pa. Ro.” ubicato nel Comune di (omissis) (NA), al viale dei (omissis), n. (omissis), all’interno del quale sono ubicate le suddette unità immobiliari, deriverebbe dalle seguenti circostanze.
L’intero complesso immobiliare sarebbe stato realizzato per mezzo dei seguenti titoli abilitativi: 1) Concessione Edilizia n. 34 del 1995; 2) Permesso di Costruire n. 49 del 17/11/2003 per la costruzione di un residence in variante alla C. E. n. 34/1995.
I lavori di costruzione del residence sarebbero iniziati nell’anno 2003. In data 09/11/2006 il Comune di (omissis) avrebbe rilasciato la proroga di un anno del temine di ultimazione dei lavori, con decorrenza dal 20/11/2006. In data 14/05/2009 sarebbe stata presentata al Comune la “Dichiarazione di ultimazione dei lavori”.
Come indicato, le unità immobiliari oggetto di causa sarebbero state acquistate rispettivamente dal sig. Gi. Ru. e dal sig. Fr. Pa. Ru. con l’atto di compravendita per Notaio Dr. Pa. Pi., Notaio in Roma, stipulato in data 24/06/2009, Repertorio n. 27’197 – Raccolta n. 6’684, registrato in Roma il 25/06/2009 al n. 21612 serie 1T. In tale atto la società “Ed. Pi. S.r.l.” dichiarerebbe di vendere “appartamenti” già accatastati con categoria catastale A/7. All’art. 5 la parte venditrice dichiarerebbe inoltre che “il complesso immobiliare di cui gli immobili in oggetto sono parte è stato costruito in forza della Concessione Edilizia n° 34/1995 e del Permesso di Costruire n° 49/2003 del 17/11/2003”.
Non sembrerebbe, quindi, potersi seriamente porre in dubbio la obiettiva estraneità dei ricorrenti a qualsivoglia presunta violazione di legge contestata ingiustamente ad essi nei gravati provvedimenti (unico soggetto responsabile dovendo, se del caso, essere considerata la società costruttrice “Ed. Pi. S.r.l.”), emergendo, altresì, che erroneamente l’amministrazione avrebbe considerato il complesso immobiliare di che trattasi urbanisticamente illegittimo, essendo, al contrario, conforme alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia, quindi, a tutto voler concedere perfettamente sanabile, ove necessario.
Il complesso edilizio risulterebbe oramai da tempo ultimato e rispetterebbe sia i parametri urbanistici previsti dalla vigente strumentazione urbanistica comunale, che la normativa regionale in materia di strutture ricettive extralberghiere (Legge Regionale n° 17 del 24/11/2001, artt. 1 e ss.). Infatti, per la zona “(omissis)” il vigente P.R.G. prevedrebbe le seguenti destinazioni d’uso: alberghi, ristoranti ed impianti complementari, pensioni, motels, residences. In tali zone lo strumento urbanistico si attuerebbe con “intervento diretto” (permesso di Costruire) nel rispetto dei seguenti indici: Indice di fabbricabilità fondiaria: 1,00 mc/mq, elevato a 2,00 mc/mq per gli alberghi; Rapporto di copertura: < 0,20 della superficie disponibile; Numero di piani: 2, elevabile a tre per gli alberghi, compreso il piano terra. Andrebbe precisato, ancora, che le unità immobiliari dei ricorrenti sarebbero dotate di tutti i servizi e che le strade di accesso sarebbero anch’esse dotate di tutti i sottoservizi (fogne, acqua, luce etc.).
Pertanto, essendo il complesso immobiliare conforme ai parametri urbanistici dettati dal P.R.G. ed avendo i requisiti minimi previsti dall’ALLEGATO B della Legge Regionale n° 17 del 24/11/2001, si riterrebbe possibile il suo utilizzo come residence turistico, conformemente a quanto previsto dal Permesso di Costruire n° 49/2003, attraverso una gestione unitaria del complesso, ed attraverso il semplice riassetto catastale attraverso la fusione di tutte le attuali particelle (scaturite dalle alienazioni e conseguente frazionamento della particella originaria) in un’unica particella con destinazione d’uso conforme al Permesso di Costruire n. 49/2003 e con intestatari tutti gli attuali proprietari delle singole unità immobiliari secondo la loro legittima quota percentuale. Ne discenderebbe, dunque, la piena sanabilità delle opere di cui si controverte.
Anche su questo profilo sarebbe da rilevare il difetto di motivazione della gravata decisione.
Da tutto quanto esposto ne deriverebbe che sia la decisione del Comune sia la impugnata decisione sarebbero evidentemente viziate sotto molteplici aspetti.
In primo luogo, apparirebbe evidente il vizio di eccesso di potere rilevabile attraverso la carenza di istruttoria del provvedimento comunale e l’errato presupposto in fatto e diritto atteso che nessuna difformità o variazione essenziale così come prevista ai sensi degli artt. 30 e art. 31 del D.P.R. 380/2001 sarebbe stata commessa.
Le opere di urbanizzazione primaria sarebbero esistite e sussisterebbero tuttora ed i manufatti sarebbero conformi alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia. Le opere realizzate sarebbero pienamente conformi al PRG ed alle NTA, nonché alla disciplina urbanistica generale (Testo Unico dell’edilizia) e regionale citata.
I provvedimenti impugnati sarebbero stati adottati palesemente in violazione al principio del “giusto procedimento”, in considerazione anche del lungo lasso di tempo intercorso dalla ultimazione delle opere e l’adozione del gravato provvedimento. Occorrerebbe osservare, difatti, che il permesso di costruire risalirebbe al 2003. Ed, in ogni caso, le opere ultimate ed in questione sarebbero assolutamente conformi alle prescrizioni di legge, tant’è che gli organi comunali addetti alla vigilanza non avrebbero mai effettuato alcuna contestazione.
Al riguardo, l’Amministrazione, infatti, sulla base delle citate disposizioni del TUE (artt. 30 ss.) sarebbe, difatti, obbligata – soprattutto in casi quali quelli in esame di provvedimenti di acquisizione al patrimonio comunale – a procurarsi tutta la documentazione necessaria per valutare la sussistenza delle condizioni necessarie per affermare a non conformità urbanistica delle opere contestate, prima di adottare provvedimenti gravemente lesivi degli interessi dei ricorrenti, privati della loro legittima abitazione.
Da quanto affermato discenderebbe evidente il difetto di istruttoria in cui è caduta l’amministrazione. Lo svolgimento di una puntuale e completa istruttoria sarebbe elemento fondamentale per garantire la legittimità del procedimento amministrativo; tramite l’acquisizione degli elementi di fatto e diritto caratterizzanti la fattispecie concreta oggetto di esame da parte dell’amministrazione sarebbe possibile eseguire correttamente la comparazione degli interessi pubblici e privati in gioco. L’Amministrazione, infatti, non potrebbe prescindere dall’esame degli interessi coinvolti; solo in seguito all’esame di tutti gli elementi predetti l’amministrazione potrebbe adottare i provvedimenti più opportuni a regolare il caso concreto. Nella specie, se la p.a. avesse provveduto a raccogliere tutte le necessarie informazioni avrebbe verificato la piena conformità alle vigenti norme urbanistiche ed edilizie e comunque la sanabilità dell’opera in contestazione. Il comportamento della p.a. violerebbe le norme sul procedimento amministrativo oltre che i principi di imparzialità e buona amministrazione ex. art. 97 Cost. Il principio di imparzialità che caratterizzerebbe l’azione amministrativa imporrebbe che l’adozione di qualsiasi provvedimento amministrativo sia logicamente preceduta da un puntuale accertamento dei fatti e dalla valutazione di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti, ai fini dell’individuazione del prevalente interesse pubblico concretamente perseguito. (cfr. T.A.R. Lazio, sez. I, 13 aprile 2014, n. 3567). Pertanto, una situazione così avrebbe dovuto indurre l’Amministrazione a compiere una propria valutazione discrezionale al proposito, individuando e soppesando le ragioni di interesse pubblico che possono indurre a non affrontare il rischio del paventato pregiudizio. In giurisprudenza sarebbe stato ribadito come l’Amministrazione sia tenuta a valutare tutte le possibili conseguenze a suo carico, connesse all’assunzione degli obblighi (e relativi oneri) dell’eventuale ripristino del bene danneggiato e/o della sua piena funzionalità : obblighi ineludibili, potendo disporre – per l’espressa previsione dell’art. 12, L. n. 47 del 1985 – in luogo della demolizione, l’applicazione della sanzione pecuniaria per le opere abusivamente eseguite (v. tra le tante, T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 2 marzo 2012, n. 2326).
Diversamente dalle conclusioni della gravata decisione, dunque, ben avrebbe dovuto l’Amministrazione, in caso di eventuali e tutte da accertare parziali irregolarità dell’opera nella fattispecie concreta (stante la conformità e sanabilità delle opere), con i provvedimenti impugnati, considerare, se del caso e a tutto voler concedere, data l’esiguità dell’abuso, l’applicazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 37 del DPR 380/01. L’Amministrazione avrebbe, quindi, gravemente travisato gli elementi di fatto e diritto relativi al caso in esame, emanando un provvedimento del tutto illogico ed irrazionale che viola i principi di cui all’art. 3 e 97 Cost.
2. Con il secondo motivo di gravame, intitolato “Error in procedendo et in iudicando – Violazione e falsa applicazione degli artt. 12, 27, 29 co. 1, 30 commi 7-8-9, e degli artt. 31, 36 del DPR 380/2001 s.m.i.; della legge 28.2.1985, n. 47, art. 18; del d.l. 23.4.1985, n. 146, artt. 1 co. 3 bis e 7 bis; del d.lgs. 18.8.2000, n. 267, artt. 107 e 109; della legge regione Campania n. 16 del 22.12.2004, artt. 1 e ss. 7 e ss.; della Legge Regione Campania n. 17 del 24/11/2001, artt. 1 e ss. e Allegato B – Violazione degli artt. 3, co. 4, 7, 8, 10, I. 241/1990 e s. m. e i. – Eccesso di potere rilevabile attraverso la ricorrenza delle figure sintomatiche del difetto di istruttoria, motivazione apparente, travisamento ed erroneità dei presupposti di fatto e di diritto – Illogicità manifesta – Inesistenza di concrete ragioni di interesse pubblico – Violazione del principio del legittimo affidamento e del buon andamento della p.a. (artt. 3 e 97 Cost) – Omessa pronuncia e/o omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione di censure rilevanti e decisive del giudizio – Ingiustizia manifesta”, gli appellanti deducono che apparirebbe altrettanto evidente che il provvedimento di rigetto dell’istanza di trasferimento definitivo è affetto da eccesso di potere per difetto di motivazione. L’art. 3 della L. n. 241 del 1990 dispone che tutti i provvedimenti amministrativi devono essere adeguatamente motivati. Con la motivazione l’amministrazione deve specificare i presupposti di fatto e di diritto che hanno determinato la decisione, anche con riferimento alle risultanze dell’istruttoria. La motivazione degli atti amministrativi costituisce uno strumento di verifica del rispetto dei limiti della discrezionalità allo scopo di far conoscere agli interessati le ragioni che impongono la restrizione delle rispettive sfere giuridiche o che ne impediscono l’ampliamento e di consentire il sindacato di legittimità sia da parte del giudice amministrativo che eventualmente degli organi di controllo, atteso il disposto di cui all’art. 3 L. n. 241 del 1990, secondo cui ogni provvedimento amministrativo deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che determinano la decisione dell’Amministrazione.
Secondo gli appellanti, è evidente che provvedimenti quali quelli gravati non possano non essere adeguatamente motivati in ordine all’esistenza dell’interesse pubblico, specifico e concreto, che giustifica il ricorso all’acquisizione al patrimonio comunale del bene che, nel caso di specie si presume soltanto abusivo ma non lo sarebbe; e, quindi, in ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello antagonista del privato. L’esercizio di un simile potere sarebbe espressione della discrezionalità della p.a. e costituirebbe un adempimento indefettibile l’adozione di un provvedimento espresso che richiederebbe la valutazione di elementi ulteriori rispetto alla mera illegittimità dell’atto da eliminare. Infatti, in ossequio ai principi di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa sarebbe necessario che la verifica di legittimità dell’atto si basi su un apprezzamento concreto, condotto sulla base della effettiva e specifica situazione creatasi a seguito del rilascio dell’atto permissivo e alla situazione creatasi a seguito dello stesso, anche in applicazione di sentiti principi di legittimo affidamento. Di conseguenza, dovrebbe essere espressione di una congrua valutazione comparativa degli interessi in conflitto di cui si dovrebbe dare atto nel proprio corredo motivazionale. Mancherebbe, nel caso di specie, il riferimento all’interesse pubblico da perseguirsi (del tutto carente) che dovrebbe essere individuato nell’attualità dell’interesse dell’Amministrazione a procedere all’acquisizione al patrimonio comunale, peraltro, senza una valutazione sulla conformità urbanistica degli immobili, in applicazione dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità . In tal senso, anche la ragionevolezza del termine e del tempo trascorso.
Negli atti impugnati non si riuscirebbe in effetti a comprendere a pieno quali siano i superiori interessi dell’Amministrazione che risultino essere contrastanti con quelli dei ricorrenti o comunque quale sia l’effettiva irregolarità posta in essere nell’esecuzione dei lavori da parte degli stessi, in ultimo destinatari, senza alcuna colpa o responsabilità, dei gravati atti. Mancherebbe il riferimento all’interesse pubblico, “attualizzato” dell’Amministrazione, onde renderlo effettivamente corrispondente all’esercizio del potere repressivo secondo i canoni di ragionevolezza, proporzionalità e legittimo affidamento.
Anche da quanto sarebbe emerso risulterebbe evidente l’illegittimità del provvedimento censurato soprattutto sotto il profilo motivazionale. L’Amministrazione non avrebbe, difatti, provveduto a mettere in correlazione le opere che si presumono abusive con le norme urbanistiche che si ritengono violate; neppure avrebbe chiarito se le strutture realizzate siano in contrasto con le previsioni urbanistiche contenute nelle citate disposizioni nazionali, regionali e locali; e non avrebbe neppure consentito ai ricorrenti di comprendere quali siano le prescrizioni che la realizzazione delle opere contestate avrebbe violato. L’indicazione delle difformità riportate nel provvedimento impugnato, infatti, non indicherebbe le disposizioni di legge che determinerebbero l’illegittimità e la non sanabilità, mediante le apposite procedure, delle opere realizzate. L’oggetto del provvedimento apparirebbe, altresì, indeterminato, non avendo l’Amministrazione provveduto a chiarire quali impianti siano da considerarsi irregolari sulla base della normativa vigente anch’essa del tutto omessa.
In tal senso, si sarebbe espressa anche la giurisprudenza, per la quale sono da ritenersi illegittimi, anche “per indeterminatezza dell’oggetto e per mancanza di uno specifico contenuto precettivo” provvedimenti particolarmente incidenti sulla sfera privata quali quelli qui impugnati (sospensione, demolizione, acquisizione) che non consentano “al destinatario di individuare la normativa applicata” (tra le tante, cfr. T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 6.6.2011, n. 1075). Affinché gli obblighi nascenti dall’art. 3 L. 7 agosto 1990 n. 241, siano effettivamente (e non solo formalmente) adempiuti, occorrerebbe che la motivazione sia specifica e puntuale, in modo da consentire al destinatario dell’atto di conoscere con sufficiente chiarezza le ragioni della decisione assunta dall’Amministrazione ed eventualmente di agire contro di essa attraverso gli strumenti apprestati dall’ordinamento; ciò in osservanza dei precetti costituzionali di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione di cui all’art. 97 e del diritto di difesa in giudizio di cui all’art. 24 Cost. (cfr. T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. I, 7 febbraio 2011, n. 206).
In altri termini, l’inesistenza di una formale e coerente motivazione negherebbe ai ricorrenti la possibilità di verificare effettivamente se l’Amministrazione abbia o meno effettuato la dovuta valutazione dello stato dei luoghi e, quindi, abbia, quantomeno, preso in considerazione la possibilità di ricorrere ad una sanzione meno dirompente, quale quella pecuniaria ad esempio, anch’essa prevista dalla legge come misura amministrativa riparatoria dell’ordine giuridico violato da abusi, ove effettivi, come quelli di specie, ai quali, peraltro, i ricorrenti sarebbero del tutto estranei, avendo in buona fede e legittimo affidamento, acquistato detti beni dalla società Ed. Pi. S.r.l.. Difatti, le opere di cui si controverte sarebbero conformi alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia e perfettamente sanabili. Anche per queste ulteriori ragioni la gravata decisione sarebbe, dunque, da annullare e/o riformare integralmente.
3. Con il terzo motivo di gravame, intitolato “Error in procedendo et in indicando – Violazione del giusto procedimento – Viola-zione e falsa applicazione 1. 241/90 – Violazione artt. 3 e 97 Cost.- Violazione di legge, violazione e mancata applicazione degli artt. 7, 8 e 10L. 241/90, mancata comunicazione di avvio del procedimento, violazione del giusto procedimento – Omessa pronuncia e/o omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione di censure rilevanti e decisive del giudizio – Ingiustizia manifesta”, gli appellanti deducono che l’atto impugnato avrebbe dovuto essere assistito dalle garanzie partecipative, che nella specie non sarebbero state rispettate, per cui sarebbe evidente la violazione del giusto procedimento. Espongono gli appellanti che, come evidenziato nel provvedimento gravato, l’Amministrazione nel 2010 avrebbe comunicato un’ordinanza di demolizione a carico della società Ed. Pi. S.r.l. con cui si contestavano gli abusi riportati nel provvedimento di acquisizione. Detto provvedimento di demolizione non sarebbe stato mai comunicato agli attuali ricorrenti che sono, proprietari dal 2009 delle due unità abitative riportate nel provvedimento come facenti parte di una lottizzazione abusiva. Pertanto, giammai alcuna possibilità sarebbe stata data agli stessi di poter contestare la presunta violazione dell’art. 30 del D.P.R. 380/2001 nonché in ordine alla volontà di poter procedere ad una richiesta di sanatoria delle opere contestate. La giurisprudenza amministrativa sarebbe unanime nel ritenere l’illegittimità, per difetto di presupposto, di un provvedimento di acquisizione del bene al patrimonio comunale, quando l’ordinanza di demolizione, relativa a immobile per civile abitazione, realizzato abusivamente, non sia stata ritualmente comunicata nei confronti del titolare dell’abuso e proprietario del bene.
In assenza della notifica dell’ordine di demolizione al titolare dell’abuso e proprietario del bene, dovrebbe ritenersi che il termine per ridurre in pristino l’opera non possa cominciare a decorrere. Al riguardo, sarebbe, difatti, affermata la illegittimità, per difetto di presupposto, il provvedimento di acquisizione del bene al patrimonio comunale, nei casi in cui non sia comunicata preventivamente l’ordinanza di demolizione.
4. Il primo motivo di gravame è infondato sotto i profili di seguito esposti, per quanto riguarda la sussistenza della fattispecie lottizzatoria abusiva.
L’alienazione come villini per civile abitazione, in inosservanza delle previsioni del piano regolatore, delle unità originariamente assentite come residence nel rispetto della destinazione dell’area a zona G3 turistico-alberghiera, rileva per la sussistenza della lottizzatoria abusiva.
Non può essere condiviso l’assunto che, dal momento che il complesso edilizio a cui appartengono le villette rispetterebbe i parametri urbanistici della zona G3 turistico-alberghiera e la normativa regionale in materia di strutture ricettive, non potrebbe sussistere nel caso in esame una lottizzazione abusiva, ma semmai una difformità non essenziale rispetto al permesso di costruire, sanabile in via postuma.
Né tanto meno il fatto che si possa provvedere a ri-accatastare unitariamente gli immobili come residence turistico potrebbe eludere i provvedimenti impugnati, giacché il nuovo accatastamento nella originale categoria catastale sarebbe meramente fittizio rispetto ad una situazione tuttora costituita da singole unità immobiliari, che non equivalgono alla caratteristica tipologica della residenza turistico-alberghiera.
La trasformazione dei residence in abitazioni private comporta, in sé e per sé, la fattispecie della lottizzazione abusiva.
Come giustamente osservato dal primo giudice, “la verifica dell’attività edilizia realizzata nel suo complesso può condurre a riscontrare un illegittimo mutamento della destinazione all’uso del territorio autoritativamente impressa anche nei casi in cui le variazioni apportate incidano esclusivamente sulla destinazione d’uso dei manufatti realizzati (…). Ciò perché è proprio la formulazione dell’art. 30 del D.P.R. n. 380/01 che impone di affermare che integra un’ipotesi di lottizzazione abusiva qualsiasi tipo di opere in concreto idonee a stravolgere l’assetto del territorio preesistente, a realizzare un nuovo insediamento abitativo e, quindi, in ultima analisi, a determinare sia un concreto ostacolo alla futura attività di programmazione (che viene posta di fronte al fatto compiuto), sia un carico urbanistico che necessita adeguamento degli standards”; né appare significativa l’esistenza di titoli edilizi, poiché “la verifica circa la conformità della trasformazione realizzata e la sua rispondenza o meno alle previsioni delle norme urbanistiche vigenti deve essere effettuata con riferimento non già alle singole opere in cui si è compendiata la lottizzazione, eventualmente anche regolarmente assentite (giacché tale difformità è specificamente sanzionata dagli artt. 31 e ss. D.P.R. n. 380/2001), bensì alla complessiva trasformazione edilizia che di quelle opere costituisce il frutto, sicché essa conformità ben può mancare anche nei casi in cui per le singole opere facenti parte della lottizzazione sia stato rilasciato il permesso di costruire” (così Consiglio di Stato, Sez. IV, 9 giugno 2015 n. 2816).
Inoltre, come giustamente osservato dal primo giudice, in ordine al reato di lottizzazione abusiva, la giurisprudenza ha statuito che “Il reato di lottizzazione abusiva è integrato non solo dalla trasformazione effettiva del territorio, ma da qualsiasi attività che oggettivamente comporti anche solo il pericolo di una urbanizzazione non prevista o diversa da quella programmata. (Fattispecie di lavori interni di redistribuzione degli spazi, finalizzati alla trasformazione in appartamenti di un complesso immobiliare con precedente destinazione d’uso alberghiera)” (così Cass. Pen., Sez. III, 12 settembre 2013, n. 37383).
Nel caso di specie, la modifica della destinazione d’uso propria del complesso immobiliare turistico-ricettivo ha senz’altro comportato il mutamento dell’assetto del territorio giusta strumento urbanistico, a prescindere dall’affermato rispetto dei parametri urbanistici dell’area.
Le NTA del piano regolatore generale statuiscono, invero, che la zona (omissis) è riservata ad alberghi, ristoranti ed impianti complementari, pensioni, motel e residence.
In merito al concetto di “residence” non è contestabile, come giustamente osservato dal primo giudice, che il PRG considera “residence” una struttura ricettiva rientrante nella tipologia delle “residenze turistico-alberghiere”, nell’ambito della tipizzazione delle strutture ricettive che, all’epoca, era prevista dall’art. 6, co. 5 della L. n. 217/1983 (“Le residenze turistico-alberghiere sono esercizi ricettivi aperti al pubblico, a gestione unitaria, che forniscono alloggio e servizi accessori in unità abitative arredate costituite da uno o più locali, dotate di servizio autonomo di cucina”) e che oggi è data dall’art. 9, co. 5 dell’Allegato 1 del D.L.vo n. 79/2011: “le residenze turistico alberghiere, o alberghi residenziali, sono esercizi ricettivi aperti al pubblico, a gestione unitaria, ubicate in uno o più stabili o parti di stabili, che offrono alloggio e servizi accessori in unità abitative arredate, costituite da uno o più locali, dotate di servizio autonomo di cucina”.
Nello stesso senso si pone la legislazione campana (art. 2, ultimo comma, legge regionale n. 15/1984), per cui le residenze turistico-alberghiere sono “le aziende alberghiere che offrono alloggio in almeno sette unità abitative arredate costituite da uno o più locali forniti di servizio autonomo di cucina e che posseggono i requisiti di cui alla tabella B dell’allegato”.
Quindi, nel caso dei “residence”, si è in presenza di strutture aperte al pubblico di gestione unitaria e, quindi, di situazioni differenti da una serie di villette a schiera destinate all’uso abitativo.
Il mutamento della destinazione d’uso da una funzione turistico-ricettiva ad un utilizzo di tipo residenziale comporta una modifica d’uso urbanisticamente rilevante, ai sensi dell’art. 23-ter, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001, dal momento che consegue l’attribuzione ad una categoria funzionale diversa da quella preesistente: “1. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale”.
Nel caso in esame, poi, nemmeno può essere applicata la sanzione pecuniaria di cui all’art. 37 o la procedura di cui all’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, poiché nella specie si è in presenza di lottizzazione abusiva, ovvero della condotta punita dall’art. 30 dello stesso D.P.R., non riconducibile alle meno gravi ipotesi della edificazione costruita in assenza della SCIA (art. 37) o del permesso di costruire (art. 31).
Nella specie, poi, non si deve ritenere necessario alcun obbligo motivazionale in riferimento alle ragioni di interesse pubblico, da citare solo nel caso di un lungo lasso di tempo trascorso dalla conoscenza dell’abuso edilizio e del protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza, tali da evidenziare la sussistenza di una posizione di legittimo affidamento del privato. Tale lungo lasso di tempo, invero, non ricorre nella specie, essendo incontestato il completamento delle opere nel maggio 2009.
La dedotta questione dell’estraneità degli appellanti, conseguente alla provenienza degli immobili giusta contratto di compravendita del 24/06/2009 stipulato dagli appellanti con la società costruttrice Ed. Pi. S.r.l., alla lottizzazione abusiva è, invece, assorbita dalle statuizioni che seguono.
5. E’, invero, fondato il secondo motivo di gravame.
Nel caso in esame, infatti, è incontestato che l’abuso è stato realizzato dalla società costruttrice Ed. Pi. S.r.l., non parte in questo processo, la quale ha realizzato il complesso immobiliare. Gli appellanti si sono limitati ad acquistare due delle abitazioni per il proprio uso. Si consideri, altresì, che l’ordinanza di demolizione n. 60 del 2010 è successiva all’acquisto degli immobili da parte degli appellanti e non risulta nemmeno essere stata notificata, con il corollario, da un lato, della sua inopponibilità agli aventi causa dei singoli cespiti immobiliari e, dall’altro lato, della sua inutilizzabilità per desumerne elementi indiziari a riprova della colpa degli odierni appellanti.
Le ordinanze impugnate, non contenendo alcuna motivazione sulla responsabilità dei destinatari, devono, pertanto, essere annullate, limitatamente alla posizione degli odierni appellanti (in tal senso, si veda anche il precedente della Sezione n. 4400 del 2017).
6. E’, altresì, fondato il terzo motivo di gravame, con il quale si censura la mancata notificazione dell’ordinanza di demolizione e, quindi, l’omesso invio della comunicazione dell’avvio del procedimento (cfr. la rubrica del motivo di gravame). Invero, “l’avviso di inizio del procedimento, attivando un contraddittorio con gli interessati, avrebbe consentito a costoro di interloquire con il Comune sul punto rilevante, ovvero sulle concrete circostanze dell’acquisto, da cui avrebbe potuto desumersi o escludersi la loro mala fede” (sentenza, Sez VI, n. 3.750 del 2017 e la citata n. 4400 del 2017). Il mancato invio degli atti sopraccitati ha, quindi, comportato la violazione del principio di partecipazione al procedimento amministrativo.
7. Conclusivamente, vanno accolti il secondo ed il terzo motivo di gravame, per cui, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, con conseguente annullamento delle ordinanze impugnate in primo grado, limitatamente alla posizione degli appellanti, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
8. Sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese del doppio grado di giudizio tra le parti.
9. Il Comune di (omissis) è tenuto a rifondere agli appellanti il contributo unificato corrisposto per la proposizione dei ricorsi in primo grado ed in appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sopra indicati sensi e limiti e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie ai sensi e limiti di cui in motivazione il ricorso in primo grado, annullando le ordinanze impugnate in primo grado, limitatamente alla posizione degli appellanti, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
Compensa integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Il Comune di (omissis) è tenuto a rifondere agli appellanti il contributo unificato corrisposto per la proposizione dei ricorsi in primo grado ed in appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2019, con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Oswald Leitner – Consigliere, Estensore

Per aprire la mia pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *