Il ricorso giurisdizionale collettivo

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 23 marzo 2020, n. 2030.

La massima estrapolata:

Il ricorso giurisdizionale collettivo, presentato da una pluralità di soggetti con un unico atto, è ammissibile nel caso in cui sussistano, cumulativamente, i requisiti dell’identità di situazioni sostanziali e processuali, ossia, alla condizione che le domande giudiziali siano identiche nell’oggetto e gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e vengano censurati per gli stessi motivi, e l’assenza di un conflitto di interessi tra le parti.

Sentenza 23 marzo 2020, n. 2030

Data udienza 13 febbraio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9336 del 2018, proposto dai signori
Se. Pe. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Or. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), rappresentato e difeso dall’avvocato Do. So., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Vibo Valentia, via (…);
ed altri, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Seconda n. 01200/2018, resa tra le parti.
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria n. 1200/2018.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2020 il Cons. Giovanni Orsini e uditi per le parti gli avvocati Or. Mo. e Do. So.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con l’appello in esame si richiede l’annullamento della sentenza del Tar per la Calabria che ha dichiarato inammissibile ed irricevibile il ricorso proposto dagli odierni appellanti, eredi del signor Pa. Cu., contro l’ordinanza di demolizione e riduzione in pristino dei luoghi n. 16 del 4 luglio 2016 adottata dal Comune di (omissis).
Con l’ordinanza impugnata il Comune ha ordinato la demolizione di due sili orizzontali per la conservazione del foraggio posizionati in modo difforme rispetto al progetto approvato con la concessione edilizia risalente al 1996 e di un altro silo realizzato in assenza di titolo abilitativo. Successivamente, in data 7 marzo 2018, è stato emanato l’atto di accertamento della inottemperanza della demolizione con preavviso di acquisizione gratuita dell’area di sedime al patrimonio comunale.
1.2. Il Tar ha ritenuto inammissibile il ricorso collettivo proposto dagli eredi del signor Pa. Cu. dato che la loro posizione processuale non sarebbe stata omogenea, avendo alcuni ricorrenti avuto materiale conoscenza dell’atto impugnato e altri no. Il ricorso è stato inoltre dichiarato irricevibile per tardività essendo stato notificato il 7 maggio 2018 a fronte della notificazione nei confronti della signora Se. Pe. e di Gi. Cu. in sede di successione (e quindi da considerarsi estendibile a tutti i coeredi) in data 6 luglio 2016. Le censure contro il provvedimento di constatazione dell’inottemperanza alla demolizione non sarebbero poi proponibili in quanto lo stesso costituisce un atto vincolato i cui vizi di carattere formale non potrebbero in ogni caso, ai sensi dell’articolo 21 octies della legge n. 241 del 1990, renderlo annullabile.
2. Con ordinanza n. 162 del 2019 questa Sezione ha accolto l’istanza di sospensione cautelare.
3. Con l’appello oggi in esame vengono dedotti tre motivi di erroneità della sentenza di primo grado e riproposti i motivi già dedotti davanti al Tar contro i provvedimenti adottati dall’Amministrazione.
4. È costituito il Comune intimato, che insiste per il rigetto dell’appello.
5. All’udienza pubblica del 13 febbraio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.
6. L’appello è parzialmente fondato.
6.1. Con il primo motivo si contesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo asserendo che la diversità di situazione tra gli appellanti in ordine alla materiale conoscenza degli atti impugnati non costituisce un motivo di inammissibilità del ricorso collettivo che, viceversa, deve considerarsi ammissibile quando siano identiche le domande giudiziali e gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e vengano censurati per gli stessi motivi.
La doglianza è fondata.
Non può non osservarsi che gli appellanti nell’esercizio dell’azione giudiziaria si sono chiaramente dimostrati portatori della medesima esigenza, dandone dimostrazione mediante la proposizione dello stesso ricorso diretto ad ottenere l’annullamento dei provvedimenti impugnati. Invero, come costantemente affermato in giurisprudenza, “il ricorso giurisdizionale collettivo, presentato da una pluralità di soggetti con un unico atto, è ammissibile nel caso in cui sussistano, cumulativamente, i requisiti dell’identità di situazioni sostanziali e processuali – ossia, alla condizione che le domande giudiziali siano identiche nell’oggetto e gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e vengano censurati per gli stessi motivi – e l’assenza di un conflitto di interessi tra le parti” (Cons. St., sez. III, n. 3990/2017; id., sez. V, n. 3725/2017; id., sez. IV, n. 3638/2017). La circostanza messa in rilievo dal primo giudice secondo cui la conoscenza materiale degli atti impugnati da parte di alcuni, e non di altri, non è idonea di per sé ad escludere tale identità di posizioni in giudizio.
In conclusione, il Collegio ritiene sussistano i requisiti per la proposizione del ricorso collettivo. Le parti, infatti, in relazione al requisito positivo, fanno valere gli stessi vizi nei confronti dei medesimi provvedimenti e, in relazione al requisito negativo, non sussiste conflitto di interessi in quanto l’eventuale accoglimento è finalizzato a soddisfare l’interesse di tutte le parti.
6.2. Con il secondo motivo viene censurata, invece, la declaratoria di irricevibilità . Non è condivisibile, per gli appellanti, la tesi del Tar secondo cui la notificazione in sede di apertura della successione deve essere considerata valida per tutti i coeredi, in quanto la notificazione era indirizzata soltanto alla signora Se. Pe. non in qualità di coerede, ma di proprietaria del bene in oggetto ed inoltre tale notificazione non è avvenuta impersonalmente e collettivamente e non è stato rispettato il termine di un anno dal decesso. La prova della materiale conoscenza dell’atto impugnato, inoltre, grava su chi eccepisce la tardività del ricorso e, nel caso di specie, il Comune appellato non avrebbe fornito tale prova. Conseguentemente, viene anche dedotta, con il terzo motivo, la contraddittorietà della sentenza che da un lato ritiene non omogenea la posizione processuale delle parti e dall’altro considera le stesse oggetto di una comune notificazione.
6.2.1. Le censure deve essere respinta con riferimento ai signori Se. Pe. ed altri. Seppur vero, come sostenuto da parte appellante, che l’ordinanza di demolizione n. 16 del 4 luglio 2016 è formalmente indirizzata alla sola signora Se. Pe., non può negarsi tuttavia che di tale provvedimento abbiano avuto la materiale e piena conoscenza anche i figli Gi. e Sa. Cu..
E ciò è comprovato, per quanto riguarda il primo, dalla relazione di notifica redatta dal messo comunale versata in atti, secondo cui egli ha ricevuto in mani proprie il provvedimento impugnato in data 6 luglio 2016; per quanto riguarda il secondo, lo stesso ha effettuato – su delega della madre – un accesso agli atti nel mese di agosto 2016 così come risulta dall’istanza n. 3226 del 3 agosto 2016, dal riscontro all’istanza di accesso agli atti n. 3319 del 11 agosto 2016 e, infine, dallo stesso atto di delega del 25 agosto 2016.
Orbene, è pacifico che nel processo amministrativo la “piena conoscenza” del provvedimento impugnabile – il cui verificarsi determina il dies a quo per il computo del termine decadenziale per presentare il ricorso giurisdizionale – non va intesa quale conoscenza piena e integrale del provvedimento stesso, ma come percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo, del suo contenuto dispositivo essenziale e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da configurare l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso, salva la facoltà di proporre motivi aggiunti al momento della conoscenza di ulteriori profili di illegittimità dell’atto impugnato (cfr., tra le molte, Cons. St., Sez. IV, n. 1532/2018).
Nel caso di specie, pertanto, le circostanze di fatto che hanno consentito agli appellanti di acquisire la materiale conoscenza dei provvedimenti impugnati consentono, al di là di ogni questione circa la loro posizione sostanziale e la conseguente determinazione in termini di efficacia della notifica, di concludere nel senso della non tempestiva impugnazione – intervenuta a ben vedere a quasi due anni di distanza.
6.2.2. Lo stesso non vale per la sig.ra Te. Cu., rispetto alla quale, ribadita la qualità di comproprietaria mortis causa, l’Amministrazione avrebbe dovuto notificare l’ordinanza demolitoria ovvero dimostrare, mediante elementi univoci e rigorosi, che la stessa ne fosse venuta a conoscenza. Come correttamente osservato dall’ente appellato, la mancata notifica dell’ordinanza di demolizione a uno dei comproprietari non ne inficia la legittimità . Tuttavia, deve essere precisato che, essendo il comproprietario un diretto interessato rispetto all’ingiunzione di demolizione ed incidendo tale atto direttamente anche nella sua sfera giudica soggettiva, esso deve essergli notificato nel rispetto delle formalità stabilite a pena d’inefficacia relativa, nei suoi confronti, ai fini della successiva acquisizione del bene al patrimonio pubblico.
In questi termini, deve pertanto essere accolto il secondo motivo di gravame.
6.3. Quanto al merito dei provvedimenti impugnati, gli appellanti ripropongono i motivi già dedotti in primo grado.
6.4. Con il primo si censura la violazione dell’articolo 31, comma 2 del d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto l’ingiunzione di demolizione è stata notificata alla sola signora Se. Pe. e non anche agli altri appellanti. Da ciò discenderebbe anche la illegittimità del conseguente provvedimento di acquisizione dei beni al patrimonio comunale.
La censura non può essere accolta in ragione di quanto già argomentato con riferimento alla materiale conoscenza del provvedimento impugnato da parte degli appellanti, salvo quanto statuito in ordine alla posizione della signora Te. Cu..
6.5. Con il secondo motivo si contesta la formulazione dell’ordinanza di demolizione che ha riguardato “le opere realizzate in assenza di titoli abilitativi”, ma che invece è stata estesa anche ai manufatti che sarebbero stati edificati in posizione difforme, ma per i quali vi era titolo. Tale estensione sarebbe peraltro in contrasto con quanto previsto dall’articolo 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 che prevede la demolizione solo per le opere realizzate in assenza di titolo abilitativo, in totale difformità dallo stesso o con variazioni essenziali rispetto a quanto progettato ed assentito.
La doglianza è fondata.
Invero, è evidente una contraddizione fra l’ordinanza di demolizione e il successivo provvedimento di accertamento dell’inottemperanza. Infatti, con il provvedimento del 4 luglio 2016 l’amministrazione comunale, accertato che solo uno dei tre sili oggetto di contestazione è stato realizzato in assenza di titolo abilitativo, ha ordinato che si provvedesse alla demolizione e rimozione delle opere realizzate in assenza di titoli abilitativi, mentre nel provvedimento del 7 marzo 2018 ha riferito l’ordinanza demolitoria a tutti e tre i sili disponendo conseguentemente l’acquisizione al patrimonio comunale dell’area di sedime e di quella pertinenziale.
Acclarata la scarsa chiarezza delle suddette statuizioni, i provvedimenti impugnati devono essere riformati nel senso che, ai sensi dell’articolo 31 del d.P.R. 380 del 2001, l’ordinanza di demolizione va riferita esclusivamente al silo costruito in assenza di titolo abilitativo (essendo gli altri due assentiti con concessione edilizia n. 946 del 1996) e conseguentemente riproporzionato il provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale.
6.6. Dall’accoglimento del secondo motivo consegue l’assorbimento del terzo e del quarto motivo del ricorso introduttivo con cui è stata dedotta la violazione sotto altro aspetto dell’articolo 31 dello stesso d.P.R. n. 380, non indicando con precisione l’ingiunzione di demolizione e il successivo atto di accertamento dell’inottemperanza “l’area che viene acquisita di diritto ai sensi del comma 3”, e si contesta la erroneità della sentenza del Tar nella parte in cui ha dichiarato la non impugnabilità dell’atto di accertamento dell’inottemperanza.
7. In conclusione, alla luce delle considerazioni esposte, l’appello deve essere parzialmente accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado è irricevibile per tardività con riferimento ai signori Se. Pe. ed al e parzialmente accolto con riferimento alla signora Te. Cu.; conseguemente, i provvedimenti adottati dal Comune e oggetto di impugnazione devono essere riformulati nei sensi di cui al punto 6.5.; nella rinnovazione degli atti amministrativi l’amministrazione avrà cura di portare tutti i comproprietari a conoscenza degli stessi.
La complessità della controversia giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente nei sensi di cui in motivazione.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Giovanni Orsini – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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