Immissioni:  quando superano la normale tollerabilità: le azioni

Immissioni quando superano la normale tollerabilità: le azioni

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Ultimo aggiornamento 10 ottobre 2021

 

 

A) Introduzione

Istituto rientrante tra i rapporti di vicinato, i quali sono rapporti che regolano il godimento di fondi in relazione ai fondi vicini.

Le regole di buon vicinato comprendono, oltre a quelle che si andranno ad analizzare,

  • le distanze tra costruzioni [1];
  • le luci e vedute [2] e
  • lo stillicidio [3].

I rapporti di vicinato sono quelli che intercorrono tra proprietari immobiliari e coloro che vantano un diritto reale di godimento confinanti ed hanno da sempre rappresentato la fonte di innumerevoli (a volte inutili e pretestuose) controversie – vicinitas est mater discordiarum.

Le norme di vicinato stabiliscono divieti, obblighi e soggezioni; i divieti e gli obblighi nei rapporti di vicinato non sono riconducibili alla nozione di obbligazione, dato che non sono stabiliti a favore di determinati soggetti, ma sono espressione del dovere legale di rispetto della proprietà.

Non è neanche possibile ricondurre i limiti di vicinato alla nozione di servitù, che è una specifica limitazione a carico di un determinato fondo e che richiede, pertanto, un apposito titolo costitutivo.

Accanto alle norme civilistiche, il fenomeno delle immissioni è disciplinato da una pletora di norme di settore di stampo comunitario, nazionale [4] e regionale a cui si affianca la normativa tecnica dettata dalle norme UNI e UNI-EN.

L’art. 844 c.c., nella sua originaria previsione, attecchiva nel contesto di un’economia prevalentemente agricola, mirando per lo effetto a risolvere i conflitti tra proprietari di fondi vicini; a causa, poi, del processo di industrializzazione e l’affermarsi della speculazione edilizia, sono sorti i conflitti tra immobili vicini, con la contrapposizione tra l’uso produttivo della proprietà e le esigenze del tranquillo godimento da parte del vicino; solo molto più tardi e a conclusione di un lungo percorso evolutivo in materia, si è giunti a una lettura della norma alla luce dell’art. 32 Cost., invocandosi la disposizione codicistica anche per la tutela di interessi correlati all’integrità dell’ambiente e alla salute umana.



Come da ultima pronuncia della S.C.[5] l’articolo 844 del codice civile disciplina le immissioni anche rumorose nei rapporti tra privati, esprimendo il principio di riferimento della normale tollerabilità, non vi sono ostacoli all’applicabilità del criterio comparativo differenziale per determinare la soglia dell’intollerabilità anche nei rapporti tra i privati ed i concessionari della pubblica amministrazione, che comunque sono tenuti ad osservare gli standards ambientali; che perciò l’articolo 844 del codice civile, quale norma che disciplina in generale le immissioni, detta un parametro di riferimento che può essere utilmente applicato analogicamente anche ai rapporti con il concessionario della pubblica amministrazione.

 

Orbene, in merito alle immissioni l’art. 844 c.c. prevede

art. 844 c.c.   immissioni

il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità (presupposto fondamentale), avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi (890, C.p. 674).

Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso.

Tradizionalmente, per immissioni, possono intendersi tutte quelle intrusioni di tipo immateriale (fumo, calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e consimili) che derivano direttamente o indirettamente dall’attività del proprietario di un fondo e che finiscono per interferire e confliggere in senso deteriore col diritto di proprietà del vicino limitando, se non addirittura impedendo, il legittimo e pieno godimento della proprietà.

B) Concetto di tollerabilità

Bisogna premettere che tale norma si pone e si è sempre posto il problema del coordinamento del diritto del proprietario con i principi di tutela della salute e dell’ambiente.

Al culmine di un lungo percorso evolutivo in materia, la Corte di Cassazione, ha sancito in via generale, che il contemperamento di interessi tra le esigenze della produzione e le ragioni della proprietà, previsto come già detto dalla norma sulle immissioni, deve tenere conto, in una lettura costituzionalmente[6] orientata della norma, della esigenza di privilegiare l’utilizzo dei fondi che sia maggiormente compatibile con il diritto costituzionalmente garantito alla salute (degli artt. 2, 32 e 42 della Costituzione).

Ebbene, con la pronuncia depositata il 17 gennaio 2011 la Cassazione [7] ha di sicuro accelerato, attraverso anche l’interpretazione costituzionale orientata, verso il secondo principio di tutela affermando che nei rapporti di vicinato le immissioni rumorose possono essere illecite  anche quando non è superato il limite di accettabilità stabilito dalla legge.

In materia di immissioni, mentre è senz’altro illecito il superamento dei limiti stabiliti dalle leggi e dai regolamenti che, disciplinando le attività produttive, fissano nell’interesse della collettività le modalità di rilevamento dei rumori e i limiti massimi di tollerabilità, l’eventuale rispetto degli stessi non può far considerare senz’altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi alla stregua dei principi previsti dall’articolo 844 del codice civile. Principio, quest’ultimo ripreso anche da successiva e più recente Cassazione (Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 1 ottobre 2018, n. 23754.)

Con tale sentenza, pertanto, è stato dato uno slancio interpretativo alla normale tollerabilità stabilito dalla legge.

Difatti il presupposto fondamentale, anche a parere di chi scrive, citato all’interno dell’art. 844 c.c., viene totalmente ridiscusso.

Ma già da altre precedenti pronunce della Cassazione il limite della normale tollerabilità in portata generale, non è mai stato contemplato in senso assolutistico in quanto la valutazione delle immissioni da parte del Giudice di merito deve avvenire anche dal punto di vista del fondo ricevente, a prescindere dall’eccezionalità delle condizioni soggettive e dell’attività della persona, e con riguardo alla condizione dei luoghi.



Il limite di tollerabilità delle immissioni non ha carattere assoluto ma é relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti; spetta, pertanto, al giudice di merito accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità e individuare gli accorgimenti idonei a ricondurre le immissioni nell’ambito della stessa [8].

La Cassazione [9] ha, poi, ricordato il principio da essa enunciato [10], secondo cui la normativa pubblicistica posta a tutela della salute e dell’ambiente è irrilevante e ininfluente nelle controversie tra privati relative alla intollerabilità (oppure alla illiceità) delle immissioni, dato che non è corretto utilizzare, nei rapporti tra privati, criteri ai quali si ispira la disciplina pubblicistica in tema di inquinamento acustico che riguardano l’ambiente esteso e che non possono essere strutturati per considerare le esigenze specifiche del singolo nei rapporti con il proprio vicino; con la conseguenza che, se il superamento degli standard pubblicistici di esposizione al rumore impone la scelta della tutela inibitoria, non si può escludere che nel caso singolo risulti intollerabile (o illecita) un’immissione che pure rientri nei limiti della normativa pubblicistica.

Con altra sentenza [11] è stato confermato che, intervenendo in tema di immissioni nocive, non è necessario dimostrare il superamento della soglia di normale tollerabilità quando sia indiscussa la nocività delle esalazioni.

Per l’accertamento, inoltre, secondo recente pronuncia della medesima Corte [12] i parametri fissati dalle norme speciali a protezione dell’ambiente e di esigenze della collettività, pur potendo essere considerati come criteri minimali di partenza, al fine di stabilire l’intollerabilità delle immissioni, non sono necessariamente vincolanti per il giudice civile, potendo questi pervenire al giudizio di intollerabilità, ex art. 844 c.c., delle immissioni, ancorchè contenute nei limiti di detti parametri, sulla scolta di un prudente apprezzamento che consideri la particolarità della situazione concreta e dei criteri fissati dalla norma civilistica, La relativa motivazione, ove adeguatamente motivata costituisce accertamento di merito insindacabile in sede di legittimità.

Dalla medesima sentenza si estrpaola anche un altro principio, già più volte espresso, secondo cui hanno finalità e campi di applicazione distinti l’art. 844 c.c., da un lato, e, dall’altro, le leggi ed i regolamenti che disciplinano le attività produttive e che fissano le modalità di rilevamento dei rumori ed i limiti massimi di tollerabilità in materia di immissioni rumorose (segnatamente il D.P.C.M. 1 marzo 1991 richiamato nella censura in esame).

Il primo è posto è posto a tutela del diritto di proprietà ed è volto a disciplinare i rapporti di natura patrimoniale tra i privati proprietari di fondi vicini, i secondi, invece, hanno carattere pubblicistico, perseguendo finalità di interesse pubblico ed operano nei rapporti tra i privati e la P.A.



Anche se in merito al D.P.C.M. 1 marzo 1991 la stessa Cassazione, sempre con una pronuncia recente [13] ha avuto modo di ribadire che  i criteri dallo stesso previsti per la determinazione dei limiti massimi di esposizione al rumore, ancorché dettati per la tutela generale del territorio, possono essere utilizzati come parametro di riferimento per stabilite l’intensità e – di riflesso – la soglia di tollerabilità delle immissioni rumorose nei rapporti tra privati purché, però, considerati come un limite minimo e non massimo, dato che i suddetti parametri sono meno rigorosi di quelli applicabili nei singoli casi ai sensi dell’art. 844 c.c., con la conseguenza che, in difetto di altri eventuali elementi, il loro superamento è idoneo a determinare la violazione di tale norma.

Nel caso trattato, il giudice di appello, si continua a leggere nel provvedimento – valorizzando le risultanze delle effettuate c.t.u. – ha accertato il superamento della normale tollerabilità delle emissioni provenienti dall’ascensore condominiale, apprezzabile in relazione all’art. 844 c.c., prendendo come parametro di riferimento il criterio comparativo tra il rumore con e senza la sorgente disturbante nella differenza massima di 3 db [14], evidenziandosi, inoltre, come lo stesso giudicante non si sia limitato, ai fini della valutazione di intollerabilità delle emissioni, a considerare solo questo criterio, ma ne ha rafforzato la sua rilevanza alla stregua della constatata emergenza di altri univoci criteri oggettivamente riscontrati, riconducibili al livello medio dei rumori della zona (a carattere residenziale e con scarsa presenza di attività commerciali e di servizi), alle rilevazioni ed agli accertamenti effettuati dall’ASL (oltre che, naturalmente, dagli ausiliari tecnici), nonché al riconoscimento della loro rumorosità (non fisiologica) da parte della medesima assemblea condominiale.

É stato chiarito nella giurisprudenza della stessa Corte [15], che i parametri fissati dalle norme speciali a tutela dell’ambiente (dirette alla protezione di esigenze della collettività, di rilevanza pubblicistica), pur potendo essere considerati come criteri minimali di partenza, al fine di stabilire l’intollerabilità delle emissioni che li eccedano, non sono necessariamente vincolanti per il giudice civile che, nello stabilire la tollerabilità o meno dei relativi effetti nell’ambito privatistico, può anche discostarsene, pervenendo al giudizio di intollerabilità, ex art. 844 c.c., delle emissioni, ancorché (in ipotesi) contenute in quei limiti, sulla scorta di un prudente apprezzamento che consideri la particolarità della situazione concreta e dei criteri fissati dalla norma civilistica (invero posta preminentemente a tutela di situazioni soggettive privatistiche, segnatamente della proprietà), la cui valutazione, ove adeguatamente motivata (come verificatosi nella specie), costituisce accertamento di merito insindacabile in sede di legittimità.

Sempre in relazione ai limiti altro recente arresto della Cassazione [16] ha così stabilito: premesso che i parametri minimali fissati dalle norme speciali a tutela dell’ambiente non sono necessariamente vincolanti per il giudice civile che, nello stabilire la tollerabilità o meno dei relativi effetti nell’ambito privatistico, può anche discostarsene ai fini dei giudizio di tollerabilità ex art. 844 c.c., per accertare il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose, limite che non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona, e che quindi non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante sulla quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi, sicché la valutazione ex art. 844 c.c., diretta a stabilire se i rumori restino compresi o meno nei limiti della norma, deve essere riferita da un lato alla sensibilità dell’uomo medio e, dall’altro, alla situazione locale [17].

Sotto ulteriore profilo è stato rilevato nella sentenza in commento che correttamente il giudice di appello ha affermato che il livello rumorosità presuntivamente determinato dal CTU, pur essendo inferiore ai limiti fissati dal D.P.C.M. del 14-11-1997, non poteva essere considerato modesto, avuto riguardo alle caratteristiche del luogo di percezione di tali immissioni acustiche; invero in tale materia, mentre è senz’altro illecito il superamento dei livelli di accettabilità stabiliti dalle leggi e dai regolamenti che, disciplinando le attività produttive, fissano nell’interesse della collettività le modalità di rilevamento dei rumori ed i limiti massimi di tollerabilità, l’eventuale rispetto degli stessi non può far considerare senz’altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi alla stregua dei principi di cui all’art. 844 c.c., tenendo presente, fra l’altro, la vicinanza dei luoghi ed i possibili effetti dannosi per la salute delle immissioni [18].



Sul punto è nuovamente tornata la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 29 ottobre 2015, n. 22105

affermando che il limite di tollerabilita’ delle immissioni, a norma dell’articolo 844 c.c., non ha carattere assoluto, ma relativo, nel senso che deve essere fissato con riguardo al caso concreto, tenendo conto delle condizioni naturali e sociali dei luoghi e delle abitudini della popolazione: il relativo apprezzamento, risolvendosi in un’indagine di fatto, e’ demandato al giudice del merito e si sottrae al sindacato di legittimita’, se correttamente motivato ed immune da vizi logici. I parametri fissati dalle norme speciali a tutela dell’ambiente (dirette alla protezione di esigenze della collettivita’, di rilevanza pubblicistica), pur potendo essere considerati come criteri minimali di partenza, al fine di stabilire l’intollerabilita’ delle emissioni che li eccedano, non sono necessariamente vincolanti per il giudice civile che, nello stabilire la tollerabilita’ o meno dei relativi effetti nell’ambito privatistico, puo’ anche discostarsene, pervenendo al giudizio di intollerabilita’, ex articolo 844 c.c., delle emissioni, ancorche’ contenute in quei limiti, sulla scorta di un prudente apprezzamento che consideri la particolarita’ della situazione concreta e dei criteri fissati dalla norma civilistica (posta preminentemente a tutela di situazioni soggettive privatistiche, segnatamente della proprieta’). La relativa valutazione, ove adeguatamente motivata, nell’ambito dei criteri direttivi indicati dal citato articolo 844 c.c., con particolare riguardo a quello del contemperamento delle esigenze della proprieta’ privata con quelle della produzione, costituisce accertamento di merito insindacabile in sede di legittimita’. Piu’ nello specifico, e’ stato evidenziato che il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 1 marzo 1991, il quale, nel determinare le modalita’ di rilevamento dei rumori ed i limiti di tollerabilita’ in materia di immissioni rumorose, al pari dei regolamenti comunali limitativi dell’attivita’ rumorosa, fissa, quale misura da non superare per le zone non industriali, una differenza rispetto al rumore ambientale pari a 3 db in periodo notturno e in 5 db in periodo diurno, persegue finalita’ di carattere pubblico ed opera nei rapporti fra i privati e la P.A. Le disposizioni in esso contenute, percio’, non escludono l’applicabilita’ dell’articolo 844 c.c., nei rapporti tra i privati proprietari di fondi vicini.

Sempre sull’inderogabilità dell’articolo 844 c.c. la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 12 luglio 2016, n. 14180

da ultimo ha precisato:

l’articolo 844 detta una regola concepita per risolvere i conflitti di interesse tra usi diversi di unita’ immobiliari contigue. Evoca le immissioni connesse all’espletamento di attivita’ produttive, dinanzi alle quali e’ consentita l’elevazione della soglia di tollerabilita’, sempre che non venga in gioco il fondamentale diritto alla salute, da considerarsi valore sempre prevalente in funzione del soddisfacimento del diritto a una normale qualita’ della vita. Ne consegue che, in tema di immissioni acustiche, la differenziazione tra tutela civilistica e tutela amministrativa mantiene la sua attualita’ anche a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legge n. 208 del 2008, articolo 6 ter, convertito con modificazioni in L. n. 13 del 2009, che ha introdotto misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell’ambiente.

In altre parole, neppure un tale impianto normativo possiede una portata derogatoria e limitativa dell’articolo 844 c.c.. Esso non esclude l’accertamento in concreto del superamento del limite della normale tollerabilita’, dovendo comunque ritenersi sempre prevalente, come detto, il soddisfacimento dell’interesse a una normale qualita’ della vita rispetto a qualsivoglia esigenza della produzione.

Nel caso specifico, si discorreva di inquinamento acustico derivante da sorgente mobile, quale il traffico veicolare dell’autostrada della cui costruzione e del cui esercizio la societa’ convenuta era concessionaria. La causa petendi – per quanto dalla sentenza si apprende era circoscritta all’articolo 32 Cost., e articolo 2043 c.c., dovendosi giudicare di immissioni recanti pregiudizio alla salute umana e all’ambiente. Pertanto la verifica del superamento della soglia di normale tollerabilita’ (finanche rapportata all’articolo 844 c.c.) comportava doversi escludere qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e/o di priorita’ dell’uso, venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l’illiceita’ del fatto generatore del danno, rientrante nello schema dell’azione generale di cui all’articolo 2043 c.c.

Ancora sul punto, nuovamente, la Cassazione



Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 20 gennaio 2017, n. 1606

è ritornata affermando che:

In tema, appunto, di immissioni sonore, le disposizioni dettate, con riguardo alle modalita’ di rilevamento o all’intensita’ dei rumori, da leggi speciali o regolamenti perseguono finalita’ di carattere pubblico, operando nei rapporti fra i privati e la P.A. sulla base di parametri meno rigorosi di quelli applicabili nei singoli casi ai sensi dell’articolo 844 c.c., e non regolano, quindi, direttamente i rapporti tra i privati proprietari di fondi vicini, per i quali vige la disciplina dell’articolo 844 c.c., disciplina che, nel fissare i criteri a cui il giudice di merito deve attenersi, rimette al suo prudente apprezzamento il giudizio sulla tollerabilita’ delle stesse

Il limite di tollerabilita’ delle immissioni rumorose non e’, invero, mai assoluto, ma relativo proprio alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non puo’ prescindere dalla rumorosita’ di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante, sulla quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (c.d. criterio comparativo), sicche’ la valutazione ex articolo 844 c.c., diretta a stabilire se i rumori restino compresi o meno nei limiti della norma, deve essere riferita, da un lato, alla sensibilita’ dell’uomo medio e, dall’altro, alla situazione locale. Spetta, pertanto, al giudice di merito accertare in concreto il superamento della normale tollerabilita’ e individuare gli accorgimenti idonei a ricondurre le immissioni nell’ambito della stessa, supponendo tale accertamento un’indagine di fatto, sicche’ nel giudizio di legittimita’ non puo’ chiedersi alla Corte di Cassazione di prendere direttamente in esame l’intensita’, la durata, o la frequenza dei suoni o delle emissioni per sollecitarne una diversa valutazione di sopportabilita’.

C) Presupposti e requisiti delle immissioni

In senso più ampio analizzando l’istituto in esame la Cassazione ritiene, quale requisito fondamentale delle immissioni la materialità del suo oggetto, la necessità, cioè, che essa cada sotto i sensi dell’uomo o influisca idealmente sul suo organismo, purchè ci sia un effettivo utilizzo del bene oggetto di immissioni intolleranti.

Difatti segue tale principio una sentenza di merito [19] secondo cui in materia di immissioni, l’azione prevista dall’art. 844 c.c può essere esperita solo se le emissioni rumorose investino locali usualmente utilizzati (nel caso di specie, è stata rigettata la domanda attorea volta ad ottenere l’immediata cessazione delle immissioni sonore causate da un impianto di raffreddamento posto che queste coinvolgevano soltanto una terrazza il cui costante uso non è stato provato).

La condizione dei luoghi dovrà essere presa in considerazione al fine di valutare se l’immissione sia o meno intollerabile, distinguendo tra aree a destinazione residenziale, agricola o industriale: si osserva, infatti, al riguardo come per stabilire se le immissioni che si propagano dall’immobile del vicino su quello altrui superano la normale tollerabilità, occorre avere riguardo alla destinazione della zona ove sono situati gli immobili, perché se è prevalentemente abitativa, il contemperamento delle ragioni della proprietà con quelle della produzione deve esser effettuato dando prevalenza alle esigenze personali di vita del proprietario dell’immobile adibito ad abitazione rispetto alle utilità economiche derivanti dall’esercizio di attività produttive o commerciali nell’immobile del vicino [20].

Inoltre, il riferimento alla vicinanza del fondo ha perso l’antico significato di prossimità dell’immobile; pertanto la norma va interpretata quale semplice riferimento spaziale che rende un fondo assoggettato alle immissioni provenienti da un altro.

Infatti, per ultima Cassazione [21] in caso di azione contro le immissioni illecite, occorre avere riguardo, non alla distanza in sè della installazione del vicino, ma se da questa provengano immissioni che superino i livelli di accettabilità stabiliti da leggi o da regolamenti o che siano intollerabili alla stregua dei criteri dettati dall’articolo 844 c.c.

Quali sono queste immissioni l’art. 844 c.c.

Anche se lo stesso articolo contiene un mero elenco esemplificativo delle immissioni passibili di divieto, in esso, dopo l’espressa menzione di alcune di tali immissioni (le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti) seguono le parole “e simili propagazioni”.

Pertanto, il carattere eccezionale dei limiti posti alla estrinsecazione del diritto di proprietà fa sì che la tassatività sussiste nel genus, se non nella species.

Alla stregua di ciò, la norma è passibile di applicazione estensiva ad ipotesi che presentino tutti i seguenti requisiti:

  • materialità dell’immissione, come supra già accennato, cioè che essa cada sotto i sensi dell’uomo ovvero influisca oggettivamente sul suo organismo o su oggetti/macchinari;
  • carattere indiretto o mediato dell’immissione, ovvero ripercussione di fatti compiuti, direttamente o indirettamente dall’uomo, nel fondo da cui si propagano;
  • attualità di una situazione di intollerabilità, non semplice pericolo di essa, derivante da una continuità, o almeno periodicità, anche se non a intervalli regolari, dell’immissione.



Per quanto riguarda, poi, la previsione di cui al II comma dell’art. 844 c.c., la S.C.[22], con ultima pronuncia, ha affermato che il predetto II comma prevede il giudizio di comparazione a fronte di accertate immissioni ai limiti della normale tollerabilità: in tal caso, il legislatore consente di imporre al proprietario l’obbligo di sopportare le immissioni, ove ciò sia funzionale alle esigenze della produzione, eventualmente previa corresponsione di indennizzo.

Si tratta di un tipico giudizio di bilanciamento, affidato al giudice del caso concreto, a partire da una situazione in cui nessuna delle contrapposte esigenze prevale sull’altra, azzerandola.

Viceversa, quando sia accertato il superamento della soglia di normale tollerabilità delle immissioni, si versa in una situazione di illiceità che, evidentemente, esclude il ricorso al giudizio di bilanciamento e quindi all’indennizzo, e introduce il diverso tema della inibitoria delle immissioni e dell’eventuale risarcimento del danno.

In altri termini, la priorità d’uso come criterio facoltativo e sussidiario.

Il comma II dell’art. 844 riconosce, infine, rilevanza al criterio della prevenzione, stabilendo che il giudice, nella sua valutazione, possa tener conto della priorità di un determinato uso.

Costante affermazione giurisprudenziale è che il criterio del preuso cui fa riferimento l’art. 844, comma II, c.c. ha carattere sussidiario e facoltativo, sicché il giudice del merito, nella valutazione della normale tollerabilità delle immissioni, non è tenuto a farvi ricorso quando, in base agli opportuni accertamenti di fatto, e secondo il suo apprezzamento, incensurabile se adeguatamente motivato, ritenga superata la soglia di tollerabilità [23]; o, ancora, la priorità dell’uso costituisce un criterio facoltativo e sussidiario che non esclude l’illegittimità delle immissioni eccedenti la tollerabilità normale[24].

Si è invero rilevato che detto criterio sia meramente residuale e limitato al giudizio di contemperamento di cui al comma II; così ridotto in questi spazi angusti, resterebbe di conseguenza schiacciato dalle ben più forti ragioni della produzione; al contrario, nell’ambito del giudizio sull’intollerabilità il parametro del preuso spiegherebbe i suoi effetti.

D) Le azioni a tutela

Le immissioni intollerabili si possono impedire mediante un’azione intesa ad ottenere una condanna dal contenuto inibitorio.

L’azione di cui all’articolo 844 c.c., é uno strumento di tutela che consente di ottenere la cessazione del comportamento lesivo, oltre, ovviamente, al risarcimento del danno patrimoniale conseguente alla lesione del diritto dominicale, nonché al risarcimento del danno non patrimoniale ove siano stati lesi i valori della persona, in particolare, della salute di chi ha il diritto di godere il bene é compromesso dall’immissione [25].

L’azione:

  • ha carattere reale, poiché è un’azione a tutela del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento e legittimati a proporla sono i titolari di questi diritti e si inquadra nell’archetipo dell’azione negatoria servitutis [26], predisposta a tutela della proprietà, regolata dall’art. 949 c.c., e rivolta ad eliminare le cause delle dette immissioni sia con la totale rimozione dell’attività svolta dal vicino, sia con l’attuazione degli accorgimenti tecnici idonei ad evitare la denunciata situazione dannosa;

Tale azione può essere esperita anche con tutela possessoria [27], qualora vengano rispettati i requsiti previsti ex artt. 703 c.p.c., e articoli 1168 e 1170 c.c.

Inoltre, come da ultimo arresto delle Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 30 giugno 2016, n. 13449

la facoltà di chiedere i provvedimenti di urgenza secondo la previsione degli artt. 700 ss. c.p.c. può essere riconosciuta al proprietario di un immobile ove si verta in tema di tutela interinale del diritto di possedere e godere del bene il cui pieno esercizio sia impedito o minacciato da immissioni provenienti dal fondo del vicino

  • Ha anche natura personale in quanto improntata a “respingere turbative e molestie di fatto”, ovvero volta ad ottenere l’attribuzione di un indennizzo commisurato alla capitalizzazione del minor reddito del fondo, dipendente dalle immissioni stesse, ovvero consentendo le immissioni contro pagamento di un’indennità a carico dell’immittente ed a favore del proprietario del fondo soggetto alle immissioni medesime. L’azione proposta tendente alla eliminazione delle immissioni nocive lamentate attiene ad un illecito extracontrattuale



Come  stabilito dalla S.C.[28] secondo la quale, appunto l’azione proposta attiene ad illecito extracontrattuale in quanto tendente alla eliminazione delle immissioni nocive lamentate sicchè legittimamente è  proposta nei confronti degli autori del danno ed utilizzatori del bene di provenienza delle immissioni.

In altri termini, secondo la Corte Capitolina [29] in materia di immissioni, le due azioni ex artt. 844 e 2043 c.c. presentano diversa natura ed ambito operativo. L’art. 844 c.c., invero, impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell’eventuale contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, l’obbligo della sopportazione delle propagazioni inevitabili determinate dall’uso della proprietà, nel contesto delle norme generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio. L’azione riconosciuta dalla norma al proprietario del fondo danneggiato, in ipotesi di superamento della normale tollerabilità, rientra tra quelle negatorie di natura reale a tutela della proprietà in quanto volta ad accertare in via definitiva la illegittimità delle immissioni e ad ottenere il compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per farle cessare. Tale azione può essere esperita cumulativamente con l’azione generale di risarcimento danni ex art. 2043 c.c., ove il soggetto predetto intenda ottenere il ristoro del pregiudizio di natura personale cagionato dalle immissioni illecite, nonché con la domanda di risarcimento del danno in forma specifica ex art. 2058 c.c., in rilievo ogni qualvolta l’istante intenda ottenere il divieto del comportamento illecito dell’autore materiale delle immissioni.

Principio ripreso da una massima delle sezioni unite [30], secondo la quale, appunto, in materia di rumori e immissioni che superano la normale tollerabilità, l’azione esperita dal proprietario del fondo danneggiato, per conseguire l’eliminazione delle cause di immissioni, rientra tra le azioni negatorie, di natura reale, poste a tutela della proprietà. Trattasi di un’azione volta a far accertare, in via definitiva, l’illegittimità delle immissioni ed ad ottenere il compimento delle modifiche strutturali del bene, indispensabili per farle cessare. L’azione inibitoria disciplinata dall’art. 844 c.c. può essere esperita dal proprietario del fondo per far cessare le immissioni nocive alla salute, unitamente all’azione risarcitoria, prevista dall’art. 2043 c.c. e all’azione di risarcimento in forma specifica, ai sensi dell’art. 2058 c.c. In sostanza, la lesione del diritto alla salute presuppone un’autonoma domanda ma con lo stesso atto possono proporsi anche le distinte domande dirette a ottenere la tutela dei differenti diritti soggettivi, proprietà e salute, che si assumano lesi.

In merito, poi, alla legittimazione passiva per recente Cassazione [31], l’azione di natura reale, esperita dal proprietario del fondo danneggiato per l’accertamento dell’illegittimità delle immissioni e per la realizzazione delle modifiche strutturali necessarie al fine di far cessare le stesse, deve essere proposta nei confronti del proprietario del fondo da cui tali immissioni provengono e può essere cumulata con la domanda verso altro convenuto, per responsabilità aquiliana ex articolo 2043 c.c., volta ad ottenere il risarcimento del pregiudizio di natura personale da quelle cagionato.

Quest’ultima domanda risarcitoria va proposta secondo i principi della responsabilità aquiliana e cioé nei confronti del soggetto individuato dal criterio di imputazione della responsabilità; quindi nei confronti dell’autore del fatto illecito (materiale o morale), allorché il criterio di imputazione é la colpa o il dolo (articolo 2043 c.c.) e nei confronti del custode della cosa (nella specie l’immobile) allorché il criterio di imputazione é il rapporto di custodia ex articolo 2051 c.c.

Nella fattispecie, pertanto, la domanda risarcitoria poteva essere proposta nei confronti dei proprietari solo se essi avessero concorso alla realizzazione del fatto dannoso, quale autori o coautori dello stesso, mentre il solo fatto di essere proprietari, ancorché consapevoli, ma senza alcun apporto causale al fatto dannoso, non é idoneo, neppure in astratto, a realizzare una loro responsabilità o corresponsabilità aquiliana.

Inoltre, secondo una sentenza di merito [32] l’azione diretta a far valere il divieto di immissioni eccedenti la normale tollerabilità ex art. 844 c.c. può essere esperita anche nei confronti dell’autore materiale delle immissioni, che non sia proprietario dell’immobile da cui derivano e, quindi, per esempio nei confronti del locatario di questo stesso immobile, quando soltanto a costui debba essere imposto un facere o un non facere, suscettibile di esecuzione forzata in caso di diniego; mentre deve essere proposta contro il proprietario del fondo dal quale le immissioni provengono quando sia volta al conseguimento di un effetto reale, all’accertamento cioè in via definitiva dell’illegittimità delle immissioni e al compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per far cessare le stesse.



In senso generale è opportuno, se non obbligatorio, riportare altra recente pronuncia delle S.C.[33] la quale ha riaffermato i seguenti principi di diritto:

  • L’azione ex art. 844 c.c.e quella di responsabilità aquiliana per la lesione del diritto alla salute sono azioni distinte ma, ciononostante, cumulabili tra loro. L’azione esperita dal proprietario del fondo danneggiato per conseguire l’eliminazione delle cause di immissioni rientra tra le azioni negatorie, di natura reale a tutela della proprietà. Essa è volta a far accertare in via definitiva l’illegittimità delle immissioni e ad ottenere il compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per farle cessare. Nondimeno l’azione inibitoria ex art. 844 c.c.può essere esperita dal soggetto leso per conseguire la cessazione delle esalazioni nocive alla salute, salvo il cumulo con l’azione per la responsabilità aquiliana prevista dall’art. 2043 c.c., nonché la domanda di risarcimento del danno informa specifica ex art. 2058 c.c.
  • Il limite di tollerabilità delle immissioni non ha carattere assoluto ma é relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti; spetta, pertanto, al giudice di merito accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità e individuare gli accorgimenti idonei a ricondurre le immissioni nell’ambito della stessa.
  • Le immissioni conseguenti a violazioni delle norme pubblicistiche determinano un’attività illegittima di fronte alla quale non ha ragion d’essere l’imposizione di un sacrificio, ancorché minimo, all’altrui diritto di proprietà o di godimento, sicché non essendo applicabili i criteri dettati dall’art. 844 c.c.viene in considerazione unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi secondo lo schema dell’azione generale di risarcimento danni di cui all’ari. 2043 c.c.; parimenti, il rispetto dei limiti imposti dalle norme pubblicistiche non ha rilievo nei rapporti tra proprietà, avendo invece rilievo solo con riguardo alla sfera pubblicistica. Tali disposizioni, infatti, non escludono l’applicabilità, né dell’art. 844 c.c., né degli altri principi che tutelano la salute nei rapporti interprivati, che richiedono l’accertamento caso per caso della tollerabilità o meno delle immissioni e della loro concreta lesività.

L’azione per quanto riguarda quella reale non si prescrive e, dunque, colui che ha il godimento del fondo può in ogni tempo impedire le immissioni intollerabili.

Mentre per quanto riguarda quella scaturente da responsabilità aquiliana anche secondo una sentenza di merito [34] nel caso di immissioni che superano la normale tollerabilità, sorgono a favore del proprietario due distinte azioni; in primis l’azione esperita dal proprietario del fondo danneggiato per conseguire l’eliminazione delle immissioni intollerabili; detta azione ha natura reale, rientra tra le azioni negatorie, è imprescrittibile ed è volta a far accertare in via definitiva l’illegittimità delle immissioni e ad ottenere il compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per farle cessare.

Per ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II civile, ordinanza 4 luglio 2017, n. 16407

allineata alle precedenti statuizioni l’azione di natura “reale”, esperita per l’accertamento dell’illegittimita’ delle immissioni e per la realizzazione delle modifiche strutturali necessarie al fine di far cessare le stesse nei confronti del proprietario del fondo da cui tali immissioni provengono e’ distinta e puo’ essere cumulata con la domanda verso altro convenuto, per responsabilita’ aquiliana ex articolo 2043 c.c., volta ad ottenere il risarcimento del pregiudizio di natura personale da quelle cagionato. Quest’ultima domanda risarcitoria va proposta secondo i principi della responsabilita’ aquiliana e cioe’ nei confronti del soggetto individuato dal criterio di imputazione della responsabilita’; quindi nei confronti dell’autore del fatto illecito (materiale o morale), allorche’ il criterio di imputazione e’ la colpa o il dolo (articolo 2043) e nei confronti del custode della cosa allorche’ il criterio di imputazione e’ il rapporto di custodia ex articolo 2051 c.c..

Allorche’ le immissioni intollerabili originino da un immobile condotto in locazione, dunque, la responsabilita’ ex articolo 2043 c.c., per i danni da esse derivanti puo’ essere affermata nei confronti del proprietario, locatore dell’immobile, solo se il medesimo abbia concorso alla realizzazione del fatto dannoso, e non gia’ per avere omesso di rivolgere al conduttore una formale diffida ad adottare gli interventi necessari ad impedire pregiudizi a carico di terzi.



Successiva e più recente Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 1 ottobre 2018, n. 23754.

ha affermato, sul medesimo punto, che l’azione di natura reale, esperita dal proprietario del fondo danneggiato per l’accertamento dell’illegittimita’ delle immissioni e per la realizzazione delle modifiche strutturali necessarie al fine di far cessare le stesse, deve essere proposta nei confronti del proprietario del fondo da cui tali immissioni provengono e puo’ essere cumulata con la domanda verso altro convenuto per responsabilita’ aquiliana ex articolo 2043 c.c., volta ad ottenere il risarcimento del pregiudizio di natura personale da quelle cagionato, sicche’ in relazione alla domanda risarcitoria egualmente proposta in questa sede, la deduzione della ricorrente non appare idonea ad incidere sulla sua legittimazione passiva.
In relazione invece alla richiesta volta ad ottenere la riduzione in pristino ovvero l’azione diretta a far valere il divieto di immissioni eccedenti la normale tollerabilita’ ex articolo 844 c.c., puo’ essere esperita anche nei confronti dell’autore materiale delle immissioni, che non sia proprietario dell’immobile da cui derivano e, quindi, anche nei confronti del locatario di questo stesso immobile, quando soltanto a costui debba essere imposto un “facere” o un “non facere”, suscettibile di esecuzione forzata in caso di diniego; mentre deve essere proposta contro il proprietario del fondo dal quale le immissioni provengono quando sia volta al conseguimento di un effetto reale, all’accertamento cioe’ in via definitiva dell’illegittimita’ delle immissioni e al compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per far cessare le stesse), va del pari esclusa la fondatezza della censura mossa dalla ricorrente.

Inoltre, spetta al proprietario del fondo l’azione per il risarcimento dei danni derivanti dalle immissioni, azione che deve essere inquadrata nello schema della responsabilità aquiliana prevista dall’art. 2043 c.c. e del risarcimento in forma specifica ex art. 2058 c.c. In ogni caso, l’inibitoria ex art. 844 c.c. e l’azione di responsabilità aquiliana conservano reciproca autonomia.

In merito, invece, alla misura dell’indennità, si determina con riferimento alla diminuzione del valore dell’immobile per causa delle immissioni che è totalmente diversa dalla domanda di risarcimento del danno.

Per il Tribunale Capitolino [35] la domanda di indennizzo per il diminuito valore di un fondo a causa delle immissioni eccedenti la normale tollerabilità è diversa da quella di risarcimento del danno derivante dalle stesse immissioni. Infatti, la prima fondata sull’art. 844 c.c., ha natura reale e mira al conseguimento di un indennizzo da attività lecita che compensi il pregiudizio subito dal fondo a causa delle immissioni. La seconda, invece, fondata sull’art. 2043 c.c., ha natura personale essendo volta a risarcire il proprietario del fondo vicino dai danni arrecati dalle immissioni, sotto tale aspetto considerato come fatto illecito.

Principio recepito da pronunce della Cassazione [36] secondo cui la domanda di indennizzo per il diminuito valore del fondo a causa delle immissioni eccedenti la normale tollerabilità è del tutto diversa da quella di risarcimento dei danni derivanti dalle stesse immissioni, poichè, mentre la prima, fondata sull’art. 844 c.c., ha natura reale e mira al conseguimento di un indennizzo da attività lecita, che compensi il pregiudizio subito dal fondo a causa delle immissioni, la seconda, fondata sull’art. 2043 c.c., ha natura personale, essendo volta a risarcire il proprietario del fondo vicino dei danni arrecatigli dalle immissioni, sotto tale profilo considerato come fatto illecito. Ne consegue che la statuizione, adottata dal giudice di primo grado, di rigetto della domanda risarcitoria e di accoglimento di quella indennitaria, ed appellata dal condannato, in difetto di appello incidentale in ordine al rigetto della prima, deve ritenersi passata in giudicato su tale punto, sul quale, pertanto, il giudice di appello non può più pronunciarsi.

Da ultimo sono intervenute anche le sezioni unite [37] stabilendo che l’azione ex art. 844 c.c. deve essere proposta nei confronti del proprietario del fondo, dal momento che tale norma regola un rapporto tra proprietari di fondi vicini e non tra autori materiali delle immissioni; al riguardo ha ritenuto che spetta al proprietario del fondo porre in essere tutte le cautele idonee ad evitare le immissioni dannose, anche se derivanti da attività in sé legittima e da chiunque esse siano provocate, specificando che anche un parco giochi può essere oggetto di alcune regolamentazioni e limitazioni di accesso tese al migliore utilizzo della cosa e ad evitare danni a terzi. L’azione esperita dal proprietario del fondo danneggiato per l’eliminazione delle cause delle immissioni – che rientra tra quelle negatorie, di natura reale, a tutela della proprietà – deve essere proposta nei confronti del proprietario del fondo dal quale le immissioni provengono quando sia volta ad accertare in via definitiva l’illegittimità delle immissioni e ad ottenere il compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per far cessare le stesse, e che cumulativamente ad essa può essere introdotta l’azione per la responsabilità aquiliana prevista dall’art. 2043 c.c. per ottenere il risarcimento del pregiudizio di natura personale che sia derivato dalle immissioni stesse, come appunto nella fattispecie, laddove gli attuali controricorrenti hanno chiesto nel giudizio di primo grado sia la cessazione delle immissioni acustiche in quanto illegittime sia la condanna del Comune convenuto al risarcimento danni conseguenti alle suddette immissioni.

Sulla stessa linea, ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 15 novembre 2016, n. 23245

secondo cui, per lo appunto, l’azione esperita dal proprietario del fondo danneggiato per l’eliminazione delle cause delle immissioni – che rientra tra quelle negatorie, natura reale, a tutela della proprieta’ – deve essere proposta nei confronti del proprietario del fondo dal quale le immissioni provengono quando sia volta ad accertare in via definitiva l’illegittimita’ delle immissioni e ad ottenere il compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per far cessare le stesse, e che cumulativamente ad essa puo’ essere introdotta l’azione per la responsabilita’ aquiliana prevista dall’articolo 2043 c.c., per ottenere il risarcimento del pregiudizio di natura personale che sia derivato dalle immissioni stesse.

Inoltre, si legge nella medesima sentenza, in materia di immissioni intollerabili, allorche’ stesse originino da un immobile condotto in locazione, la responsabilita’ ex articolo 2043 c.c. per i danni da esse derivanti puo’ essere affermata nei confronti del proprietario, locatore dell’immobile, solo se il medesimo abbia concorso alla realizzazione del fatto dannoso, e non gia’ per avere omesso di rivolgere al conduttore una formale diffida ad adottare gli interventi necessari ad impedire pregiudizi carico di terzi.

In merito al risarcimento é consolidato l’orientamento di legittimità [38] secondo il quale l’accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità di cui all’articolo 844 c.c., comporta nella liquidazione del danno da immissioni, sussistente in re ipsa, l’esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell’uso, in quanto venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell’azione generale di risarcimento danni di cui all’articolo 2043 del codice civile e specificamente, per quanto concerne il danno alla salute, nello schema del danno non patrimoniale, risarcibile ai sensi dell’articolo 2059 c.c.



Pertanto, secondo la sentenza richiamata, la Corte distrettuale ha errato nel ritenere che i danni conseguenti alle immissioni illecite andavano dimostrati perché, come si é appena detto, i danni, di cui si dice, sono in re ipsa e nel rispetto dei presupposti di legge, avrebbero potuto essere liquidati con il criterio equitativo ai sensi dell’articolo 1226 c.c., come l’interessato aveva richiesto.

Sempre in merito al risarcimento con altro provvedimento antecedente la S.C.[39] ha previsto che l’accertata esposizione ad immissioni sonore intollerabili non costituisce di per sè prova dell’esistenza di danno alla salute, la cui risarcibilità è subordinata all’accertamento dell’effettiva esistenza di una lesione fisica o psichica.

Per lo effetto, in tema di immissioni eccedenti il limite della normale tollerabilità, non può essere risarcito il danno non patrimoniale consistente nella modifica delle abitudini di vita del danneggiato, in difetto di specifica prospettazione di un danno attuale e concreto alla sua salute o di altri profili di responsabilità del proprietario del fondo da cui si originano le immissioni.

Con ultimo intervento la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 16 ottobre 2015, n. 20927

ha riaffermato i seguenti principi, ovvero:

  1. pur quando non risulti integrato un danno biologico, la lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria casa di abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane sono pregiudizi apprezzabili in termini di danno non patrimoniale (v. Cass. n.7875 del 2009);
  2. l’accertata esposizione ad immissioni sonore intollerabili puo’ determinare una lesione del diritto al riposo notturno e alla vivibilita’ della propria abitazione, la cui prova puo’ essere fornita dal danneggiato anche mediante presunzioni sulla base delle nozioni di comune esperienza. (Cass. n. 26899 del 2014. Nella specie, le immissioni sonore – costituite da musica ad alto volume e altri schiamazzi “clamorosamente eccedenti la normale tollerabilita’” in orario serale e notturno – avevano determinato una lesione, non futile, al diritto al riposo notturno per un periodo di almeno tre anni);
  3. il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare e’ uno dei diritti protetti dalla Convenzione Europea dei diritti umani (articolo 8). La Corte di Strasburgo ha fatto piu’ volte applicazione di tale principio anche a fondamento della tutela alla vivibilita’ dell’abitazione e alla qualita’ della vita all’interno di essa, riconoscendo alle parti assoggettate ad immissioni intollerabili un consistente risarcimento del danno morale, e tanto pur non sussistendo alcuno stato di malattia. La Corte ha piu’ volte condannato, per violazione dell’articolo 8, gli Stati che, in presenza di livelli di rumore significantemente superiori al livello massimo consentito dalla legge, non avessero adottato misure idonee a garantire una tutela effettiva del diritto al rispetto della vita privata e familiare (sentenza Dees v. Ungheria del 9.11.2010;sentenze Oluic v. Croazia, n. 61260 del 2008, (pp. da 48 a 66) e Moreno Gómez v. Spagna, n. 4143/02 (pp. da 57 a 63);
  4. a seguito della c.d. “comunitarizzazione” della Cedu, conseguente all’approvazione del trattato di Lisbona, il giudice interno che abbia a trattare casi di immissioni non puo’ non conformarsi anche ai criteri elaborati in seno al sistema giuridico della Convenzione. In ragione di tale nuova prospettiva giuridica di riferimento esce rafforzata dal fondamento normativo costituito dall’articolo 8 Cedu la risarcibilita’ del danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite anche a prescindere dalla sussistenza di un danno biologico documentato. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

 

La Cassazione,

Corte di Cassazione, sezione II civile, ordinanza 28 agosto 2017, n. 20445

nuovamente ha avuto modo di precisare, che il danno non patrimoniale conseguente a immissioni illecite e’ risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita personale e familiare all’interno di un’abitazione e comunque del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela e’ ulteriormente rafforzata dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, norma alla quale il giudice interno e’ tenuto ad uniformarsi. Ne consegue che la prova del pregiudizio subito puo’ essere fornita anche mediante presunzioni o sulla base delle nozioni di comune esperienza.



Successiva e più recente Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 1 ottobre 2018, n. 23754.

ha affermato, ancora sul risarcimento del danno non patrimoniale, che l’assenza di un danno biologico documentato non osta al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite, allorche’ siano stati lesi il diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione ed il diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, quali diritti costituzionalmente garantiti, nonche’ tutelati dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, la prova del cui pregiudizio puo’ essere fornita anche con presunzioni.

Ancora, da ultimo la Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|28 luglio 2021| n. 21649

pur quando non rimanga integrato un danno biologico, non risultando provato alcuno stato di malattia, la lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria casa di abitazione, tutelato anche dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani, nonché del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, integra una lesione che non costituisce un danno “in re ipsa”, bensì un danno conseguenza e comporta un pregiudizio ristorabile in termini di danno non patrimoniale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto dovuta la riparazione del pregiudizio del diritto al riposo, sofferto dalle parti lese in conseguenza delle immissioni sonore – in particolare notturne – dipendenti dall’installazione di un nuovo bagno in un appartamento contiguo, siccome ridondante sulla qualità della vita e, conseguentemente, sul diritto alla salute costituzionalmente garantito).

E’ importante, poi, sottolineare come ha avuto modo di affermare da ultimo la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 7 settembre 2016, n. 17685

che la cessazione delle attivita’ moleste non fa venir meno l’obbligatorieta’ dell’approfondimento istruttorio, che si impone al fine di verificare se sia possibile, mediante l’esame degli atti e adeguate indagini tecniche e anamnestiche, accertare la veridicita’ delle ipotesi di danno prospettate da chi agisce in giudizio, suffragate da riscontri presuntivi, descritti nel caso di specie dalle stesse sentenze di merito.

Sempre, ai fini processuali, poi assume un rilievo interessante quest’ultima sentenza della Cassazione, secondo la quale

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 23 ottobre 2018, n. 26756.

in tema di azione diretta alla cessazione delle immissioni, i fatti sopravvenuti nel corso del processo, incidendo sul livello di tollerabilità delle stesse e quindi su una condizione dell’azione, devono essere presi in considerazione dal giudice al momento della decisione e, qualora la consulenza tecnica di ufficio espletata non ne abbia tenuto conto, il giudice, a fronte di specifiche e circostanziate critiche mosse alla stessa, deve disporre una nuova consulenza, anche al fine di valutare l’idoneità dell’adozione di misure meno afflittive di quelle interdittive già disposte. (Nel caso di specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza della corte d’appello che, pur avendo disposto un supplemento di consulenza tecnica d’ufficio, aveva omesso di prendere in considerazione la cessazione di una parte delle attività produttive generatrici di immissioni rumorose, anche alla luce dei lavori eseguiti per la loro eliminazione o riduzione).n tema di azione diretta alla cessazione delle immissioni, i fatti sopravvenuti nel corso del processo, incidendo sul livello di tollerabilità delle stesse e quindi su una condizione dell’azione, devono essere presi in considerazione dal giudice al momento della decisione e, qualora la consulenza tecnica di ufficio espletata non ne abbia tenuto conto, il giudice, a fronte di specifiche e circostanziate critiche mosse alla stessa, deve disporre una nuova consulenza, anche al fine di valutare l’idoneità dell’adozione di misure meno afflittive di quelle interdittive già disposte. (Nel caso di specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza della corte d’appello che, pur avendo disposto un supplemento di consulenza tecnica d’ufficio, aveva omesso di prendere in considerazione la cessazione di una parte delle attività produttive generatrici di immissioni rumorose, anche alla luce dei lavori eseguiti per la loro eliminazione o riduzione).

Infine, in merito alla competenza, come da ultima pronuncia della Cassazione [40], l’art. 7, terzo comma, n. 3, c.p.c. attribuisce alla competenza per materia del giudice di pace tutte le controversie che attengono a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione nelle quali si lamentino immissioni che oltrepassino la soglia della normale tollerabilità e ciò non solo quando la domanda è diretta ad ottenere l’inibitoria di ui all’art. 844 c.c., ma anche ove l’azione sia proposta, in via accessoria o esclusiva, per conseguire il risarcimento del danno sofferto (nel caso di specie oltre 25.000 €) a causa delle immissioni.

L’articolo 7 c.p.c., comma 3, n. 3), attribuisce al giudice di pace, qualunque ne sia il valore, la competenza per le cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità.

La norma deve intendersi comprensiva di tutte le controversie che attengono a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione nelle quali si lamentino immissioni che oltrepassino la soglia della normale tollerabilità, sia quando la domanda é diretta ad ottenere l’inibitoria di cui all’articolo 844 c.c., sia quando l’azione é proposta per conseguire il risarcimento del danno sofferto a causa delle immissioni.

Pertanto, la competenza per materia del giudice di pace per le controversie in materia di immissioni, quando queste attengano a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione, sussiste non solo in caso di azione diretta a far cessare le immissioni ritenute eccedenti la normale tollerabilità, ma anche quando l’attore domandi, in via accessoria o esclusiva, la condanna del convenuto al risarcimento dei danni patiti a causa delle immissioni stesse.



E) Le fattispecie penali

Infine, il tema delle immissioni oltre che risolti civilistici, può rilevare ed estendersi anche in ambito penale come conseguenze del comportamento tenuto da chi commette immissioni a danno di altri soggetti.

Vi sono due previsioni di reato, ovvero l’art. 659, intotalto disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone e l’art. 674 c.p., getto pericolo di cose.

1) Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone

In particolare, il comportamento di chi commetta immissioni rumorose oltre il limite della normale tollerabilità o, di chi agisca contrariamente a quanto disposto da un regolamento condominiale, può integrare la fattispecie delittuosa di cui all’art 659 del C. P. “disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone”.

Sotto questo profilo occorre tenere sempre a mente che il concetto di disturbo è relativo; il reato non sussiste nell’ipotesi in cui i rumori siano avvertiti dagli occupanti di un solo appartamento e non (anche) da altri soggetti abitanti nel vicinato.

art. 659 c.p. disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone

chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a lire seicentomila (162 bis, 654, 657,

703).

Si applica l’ammenda da lire duecentomila a un milione a chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’autorità (162).

Per affermare la sussistenza della contravvenzione di cui all’art. 659 c.p. è necessario procedere all’accertamento della natura dei rumori prodotti dal soggetto agente e alla loro diffusività, che deve essere tale da far risultare gli stessi rumori idonei ad arrecare disturbo ad un numero rilevante di persone e non soltanto a chi ne lamenta il fastidio.

Inoltre, per la Cassazione [41] la rilevanza penale della condotta produttiva di rumori, censurati come fonte di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, richiede l’incidenza sulla tranquillità pubblica, in quanto l’interesse tutelato dal legislatore è la pubblica quiete, sicché i rumori devono avere una tale diffusività che l’evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se poi concretamente solo taluna se ne possa lamentare. Dalla motivazione della sentenza non risulta che, oltre ai denuncianti, altre persone almeno potenzialmente potessero essere disturbate dai latrati del cane degli imputati

Analizzando, infine, tale ultimo principio, ictu oculi, è chiaro che il presupposto della tollerabilità nell’ambito del diritto penale ha di sicuro una valenza maggiore rispetto al limite stabilito all’art. 844 c.c. non essendo prevista alcuna esimente come il “riguardo alla condizione dei luoghi”.

In merito alla fattispecie del II comma la Cassazione [42] ha stabilito che nell’ipotesi di esercizio di professione o mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’Autorità, la carica di lesività del bene giuridico protetto sia dall’art. 659, comma secondo, c.p., sia dall’art. 10, comma secondo, della legge 26 ottobre 1995 n. 447 (legge quadro sull’inquinamento acustico), consistente nella quiete e tranquillità pubblica, è presunta “ope legis” ed è racchiusa, per intero, nel precetto della disposizione codicistica, che tuttavia cede, di fronte alla configurazione dello speciale illecito amministrativo previsto dall’art. 10 citato, qualora l’inquinamento acustico si concretizzi nel mero superamento dei limiti massimi o differenziali di rumore fissati dalle leggi e dai decreti presidenziali in materia.



Sul punto è ritornata la Cassazione con ultima pronuncia [43].

Testualemente si legge: l’elemento che differenzia le due autonome fattispecie configurate rispettivamente dall’articolo 659 c.p., comma I e II, é rappresentato dalla fonte del rumore prodotto, giacché ove esso provenga dall’esercizio di una professione o di un mestiere rumorosi la condotta rientra nella previsione del secondo comma del citato articolo per il semplice fatto della esorbitanza rispetto alle disposizioni di legge o alle prescrizioni dell’autorità, presumendosi la turbativa della pubblica tranquillità. Qualora, invece, le vibrazioni sonore non siano causate dall’esercizio della attività lavorativa, ricorre l’ipotesi di cui all’articolo 659 c.p., comma I, per la quale occorre che i rumori superino la normale tollerabilità ed investano un numero indeterminato di persone, disturbando le loro occupazioni o il riposo [44].

La giurisprudenza più recente [45] ha peraltro precisato che l’inquinamento acustico conseguente all’esercizio di mestieri rumorosi, che si concretizza nel mero superamento dei limiti massimi o differenziali di rumore fissati dalle leggi e dai decreti presidenziali in materia, integra l’illecito amministrativo di cui alla Legge 26 ottobre 1995, n. 447, articolo 10, comma II, (legge quadro sull’inquinamento acustico) e non la contravvenzione di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone (articolo 659 c.p., comma II) ; e che in tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, la condotta costituita dal superamento dei limiti di accettabilità di emissioni sonore derivanti dall’esercizio di professioni o mestieri rumorosi non configura l’ipotesi di reato di cui all’articolo 659 c.p., comma II, ma l’illecito amministrativo di cui alla Legge 26 ottobre 1995, n. 447, articolo 10, comma II, (legge quadro sull’inquinamento acustico), in applicazione del principio di specialità contenuto nella Legge 24 novembre 1981, n. 689, articolo 9 [46].

Ancor più recentemente [47] si é precisato che in tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone nell’ambito di una attività legittimamente autorizzata, é configurabile:

  1. A) l’illecito amministrativo di cui alla Legge 26 ottobre 1995, n. 447, articolo 10, comma II, ove si verifichi solo il mero superamento dei limiti differenziali di rumore fissati dalle leggi e dai decreti presidenziali in materia;
  2. B) il reato di cui all’articolo 659 c.p., comma I, ove il fatto costituivo dell’illecito sia rappresentato da qualcosa di diverso dal mero superamento dei limiti di rumore, per effetto di un esercizio del mestiere che ecceda le sue normali modalità o ne costituisca un uso smodato;
  3. C) il reato di cui all’articolo 659 c.p., comma II, qualora la violazione riguardi altre prescrizioni legali o della Autorità, attinenti all’esercizio del mestiere rumoroso, diverse da quelle impositive di limiti di immissioni acustica”.

Nuovamente è tornata la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 6 ottobre 2016, n. 42063

riaffermando che è configurabile l’illecito amministrativo di cui all’art. 10, comma 2, della legge n. 447/1995 ove si verifichi soltanto il superamento dei limiti differenziali di rumore fissati dalle leggi e dai decreti presidenziali in materia; la contravvenzione di cui al comma 1 dell’art. 659, cod. pen., per le attività svolte eccedendo dalle normali modalità di esercizio, che si rivelano idonee a turbare la pubblica quiete, ove il fatto costituivo dell’illecito sia rappresentato da qualcosa di diverso dal mero superamento dei limiti di rumore, per effetto di un esercizio del mestiere che ecceda le sue normali modalità o ne costituisca un uso smodato; quella di cui al comma 2 dell’art. 659 cod. pen. qualora la violazione riguardi altre prescrizioni legali o della Autorità, attinenti all’esercizio del mestiere rumoroso, diverse da quelle impositive di limiti di immissioni acustiche. Una piena sovrapponibilità tra le due fattispecie dell’art. 659, comma 2 e dell’art. 10 citato, deve aversi soltanto nel caso in cui l’attività rumorosa si sia concretata nel mero superamento dei valori limite di emissione specificamente stabiliti in base ai criteri delineati dalla legge quadro, causato mediante l’esercizio o l’impiego delle sorgenti individuate dalla legge medesima. Ed in tali casi, il concorso tra disposizione penale incriminatrice e disposizione amministrativa sanzionatoria in riferimento allo stesso fatto, deve essere risolto a favore della disposizione speciale, costituita dalla fattispecie amministrativa. Viceversa, restano esclusi dall’ambito comune delle due ipotesi di illecito sia il superamento di soglie di rumore diversamente individuate o generate da altre fonti, sia l’insieme delle condotte che si estrinsecano nell’esercizio di attività rumorose svolte in violazione di altre disposizioni di legge o delle prescrizioni dell’autorità, trovando pacifica applicazione, in tali casi, l’art. 659, comma 2, cod. pen.

Con antecedente pronuncia [48] di pochi giorni alla sentenza del 23 febbraio 2015 la Cassazione già precisava che l’ambito di operatività dell’art. 659 c.p., con riferimento ad attività o mestieri rumorosi, deve essere individuato nel senso che, qualora si verifichi esclusivamente il mero superamento dei limiti di emissione fissati secondo i criteri di cui alla legge 447/95, mediante impiego o esercizio delle sorgenti individuate dalla legge medesima, si configura il solo illecito amministrativo di cui all’art. 10, comma II della legge quadro; quando, invece, la condotta si sia concretata nella violazione di disposizioni di legge o prescrizioni dell’autorità che regolano l’esercizio del mestiere o dell’attività, sarà applicabile la contravvenzione sanzionata dall’art. 659 comma II c.p., mentre, nel caso in cui l’attività ed il mestiere vengano svolti eccedendo dalle normali modalità di esercizio, ponendo così in essere una condotta idonea a turbare la pubblica quiete, sarà configurabile la violazione sanzionata dall’art. 659, comma 1 c.p.

 



Ritornando alla fattispecie del I comma, sempre per la sentenza del 23 febbraio 2015 [49] per integrare il reato di cui all’articolo 659, comma I, c.p. é necessario che il fastidio non sia limitato agli appartamenti attigui alla sorgente rumorosa [50], o agli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante alla fonte di propagazione[51], occorrendo, invece, che la propagazione delle onde sonore sia estesa quanto meno ad una consistente parte degli occupanti l’edificio, in modo da avere una diffusa attitudine offensiva ed una idoneità a turbare la pubblica quiete. Difatti, la rilevanza penale della condotta produttiva di rumori, censurati come fonte di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, richiede l’incidenza sulla tranquillità pubblica, in quanto l’interesse tutelato dal legislatore é la pubblica quiete, sicché i rumori devono avere una tale diffusività che l’evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se poi concretamente solo taluna se ne possa lamentare.

Secondo, poi, altra preecdente Cassazione penale [52] per poter configurare la contravvenzione di cui all’art. 659 c.p. è necessario che i rumori prodotti, oltre ad essere superiori alla normale tollerabilità, abbiano la attitudine a propagarsi, a diffondersi, in modo da essere idonei a disturbare una pluralità indeterminata di persone. Quando l’attività disturbante si verifichi in un edificio condominiale per ravvisare la responsabilità penale del soggetto agente non è sufficiente che i rumori, tenuto conto anche dell’ora notturna o diurna di produzione e della natura delle immissioni, arrechino disturbo o siano idonei a turbare la quiete e le occupazioni dei soli abitanti gli appartamenti inferiori o superiori rispetto alla fonte di propagazione, i quali, se lesi, potranno far valere le loro ragioni in sede civile, azionando i diritti derivanti dai rapporti di vicinato, ma deve ricorrere una situazione fattuale diversa di oggettiva e concreta idoneità dei rumori ad arrecare disturbo alla totalità degli occupanti del medesimo edificio, oppure a quelli degli stabili prossimi, insomma ad un numero considerevole di soggetti.

Altro caso di specie è stato affrontato dalla S.C.[53] secondo la quale è stato escluso il reato di disturbo della quiete pubblica se il rumore eccessivo del condizionatore viene arrecato ad una singola o un gruppo ristretto di persone

La Corte di cassazione con la sentenza in commento accoglieva il ricorso di un gioielliere che aveva installato all’interno del suo negozio un impianto di aereazione, molesto al punto da turbare il riposo e le normali attività quotidiane di una famiglie e dei suoi ospiti.

Secondo  la Cassazione in tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, i rumori e gli schiamazzi vietati, per essere penalmente sanzionabile la condotta di chi li produce, debbono incidere sulla tranquillità pubblica – essendo l’interesse specificamente tutelato del legislatore quello della pubblica  tranquillità sotto l’aspetto della pubblica quiete, la quale implica, di per sé l’assenza di cause di disturbo per  la generalità dei consociati – di guisa che gli stessi debbono avere tale potenzialità diffusa che l’evento di disturbo abbia la potenzialità di essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur, se, poi, in concreto soltanto alcune persone se ne possano  lamentare. Ne consegue che la contravvenzione in esame non sussiste allorquando i rumori arrechino disturbo, come nel caso di specie, ai soli occupanti di un appartamento, all’interno del quale sono percepiti, e non ad altri soggetti abitanti nel condominio in cui è inserita detta abitazione ovvero nelle zone circostanti: infatti in tali ipotesi non si produce il disturbo, effettivo o potenziale, della tranquillità di un numero indeterminato di soggetti, ma soltanto di quella di definite persone, sicché un fatto del genere può costituire se del caso, illecito civile, come tale fonte di risarcimento di danno, ma giammai assurgere a violazione penalmente sanzionabile.

Principio ripreso da altra recente sentenza della Cassazione [54], a mente della quale per poter configurare la contravvenzione di cui all’art. 659 c.p. è necessario che i rumori prodotti, oltre ad essere superiori alla normale tollerabilità, abbiano la attitudine a propagarsi, a diffondersi, in modo da essere idonei a disturbare una pluralità indeterminata di persone. Tanto viene dedotto dalla considerazione della natura del bene giuridico protetto, consistente nella quiete pubblica e non nella tranquillità dei singoli soggetti che denuncino la rumorosità altrui. Pertanto, quando l’attività disturbante si verifichi in un edificio condominiale, come ricorre nel caso in esame, per ravvisare la responsabilità penale del soggetto agente non è sufficiente che i rumori, tenuto conto anche dell’ora notturna o diurna di produzione e della natura delle immissioni, arrechino disturbo o siano idonei a turbare la quiete e le occupazioni dei soli abitanti l’appartamento inferiore o superiore rispetto alla fonte di propagazione, i quali, se lesi, potranno far valere le loro ragioni in sede civile, azionando i diritti derivanti dai rapporti di vicinato, ma deve ricorrere una situazione fattuale diversa di oggettiva e concreta idoneità dei rumori ad arrecare disturbo alla totalità o ad un gran numero di occupanti del medesimo edificio, oppure a quelli degli stabili prossimi, insomma ad una quantità considerevole di soggetti. Soltanto in tali casi, come risulta essersi verificato in quello affrontato dalla sentenza impugnata, potrà dirsi turbata o compromessa la quiete pubblica.



Sul punto è ritornata anche recente Cassazione

Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 17 aprile 2018, n. 17124.

la quale ha riaffermato che: dal momento che l’interesse tutelato dalla fattispecie criminosa di cui all’articolo 659 c.p. deve essere ravvisato nella pubblica quiete, la quale implica di per se’ l’assenza di disturbo per la pluralita’ dei consociati, e’ necessario per la configurabilita’ del reato che le emissioni sonore abbiano una tale diffusivita’ che l’evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito dalla collettivita’, in tale accezione ricomprendendosi ovviamente il novero dei soggetti che si trovino nell’ambiente o comunque in zone limitrofe alla provenienza della fonte sonora, tenuto conto che la valutazione circa l’entita’ del fenomeno rumoroso va fatta in relazione alla sensibilita’ media del gruppo sociale in cui il fenomeno stesso si verifica. Pertanto se in ordine all’accertamento della fattispecie criminosa, non e’ necessario che la verifica del superamento della soglia della normale tollerabilita’ sia effettuato mediante perizia o consulenza tecnica, occorre cio’ nondimeno accertare la diffusa capacita’ offensiva del rumore in relazione al caso concreto. Accertamento questo che ben puo’ essere effettuato direttamente dal giudice del merito, al quale e’ consentito fondare il suo convincimento in ordine alla sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete su elementi probatori di diversa natura, quali le dichiarazioni di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti.

Infine, secondo ultima Cassazione [55] risponde della contravvenzione di cui al I comma dell’art. 659 c.p. il gestore di un locale pubblico per il disturbo del riposo e delle occupazioni delle persone arrecato dagli avventori dell’esercizio pubblico al di fuori del locale, quando sia dimostrato che egli non ha esercitato il potere di controllo che gli compete e che a tale omissione è riconducibile la verificazione dell’evento.

Il gestore di un esercizio commerciale, secondo altra precedente e conforme pronuncia [56] di pochi giorni, è responsabile del reato di cui all’art. 659 c.p., comma I, per i continui schiamazzi e rumori provocati dagli avventori dello stesso, con disturbo delle persone. Infatti la qualità di titolare della gestione dell’esercizio pubblico comporta l’assunzione dell’obbligo giuridico di controllare che la frequentazione del locale da parte dei clienti non sfoci in condotte contrastanti con le norme concernenti la polizia di sicurezza.

Perché, però, l’evento possa essere addebitato al gestore dell’esercizio commerciale è necessario che esso sia riconducibile al mancato esercizio del potere di controllo e sia quindi collegato da nesso di causalità con tale omissione. Laddove gli schiamazzi o i rumori avvengano all’interno dell’esercizio non c’è dubbio che il gestore abbia la possibilità di assolvere l’obbligo di controllo degli avventori, impedendo loro comportamenti che si pongano in contrasto con le norme di polizia di sicurezza, ricorrendo, ove necessario, al cosiddetto ius excludendi in danno di coloro che, con il loro comportamento, realizzino tale contrasto. Ma se il disturbo del riposo e delle occupazioni da parte degli avventori dell’esercizio pubblico avvenga, come nell’occasione, all’esterno del locale, per poter configurare la responsabilità del gestore è necessario quanto meno fornire elementi atti a evidenziare che egli non abbia esercitato il potere di controllo e che a tale omissione sia riconducibile la verificazione dell’evento.

In precedenza la medesima Cassazione affermava che non risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone il gestore del locale che abbia esercitato correttamente i poteri di controllo e, ciononostante, non sia riuscito ad impedire gli schiamazzi avvenuti all’esterno dell’esercizio commerciale.

Nella fattispecie in esame non era in discussione che gli schiamazzi, le urla e le risate dei soggetti che stazionavano all’esterno degli esercizi pubblici fossero tali da disturbare, in orario notturno, il riposo degli abitanti nella zona e quindi ad offendere la “quiete pubblica.

La particolarità della fattispecie era però rappresentata dal fatto che il fumus del reato di cui all’art.659 c.p. non è stato ritenuto configurabile nei confronti dei soggetti “autori” degli schiamazzi e dei rumori, ma a carico dei gestori degli esercizi pubblici.

La giurisprudenza di questa Corte [57] – si continua a leggere nella sentenza in commento – ha reiteratamente affermato che il gestore di un esercizio commerciale è responsabile del reato di cui all’art. 659 comma 1 c.p. per i continui schiamazzi e rumori provocati dagli avventori dello stesso, con disturbo delle persone. Infatti la qualità di titolare della gestione dell’esercizio pubblico comporta l’assunzione dell’obbligo giuridico di controllare che la frequentazione del locale da parte dei clienti non sfoci in condotte contrastanti con le norme concernenti la polizia di sicurezza. Perché, però, l’evento possa essere addebitato al gestore dell’esercizio commerciale è necessario che esso sia riconducibile al mancato esercizio del potere di controllo e sia quindi collegato da nesso di causalità con tale omissione.

Laddove gli schiamazzi o i rumori avvengano all’interno dell’esercizio non c’è dubbio che il gestore abbia la possibilità di assolvere l’obbligo di controllo degli avventori, impedendo loro comportamenti che si pongano in contrasto con le norme di polizia di sicurezza, ricorrendo, ove necessario, al c.d. ius excludendi.

Si è così ritenuto [58] che risponda del reato di cui all’art. 659 c.p. il gestore di un locale pubblico che ometta di ricorrere “ai vari mezzi offerti dall’ordinamento come l’attuazione dello ius excludendi e il ricorso all’autorità” ad evitare “che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica”. Se, invece, il disturbo del riposo e delle occupazioni da parte degli avventori dell’esercizio pubblico avvenga all’esterno del locale, per poter configurare la responsabilità del gestore è necessario provare, rigorosamente, che egli non abbia esercitato il potere di controllo e che a tale omissione sia riconducibile la verificazione dell’evento.



2) Getto pericoloso di cose

art. 674 c.p.   getto pericoloso di cose

chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a duecentosei euro.

 

Integra la previsione di cui all’art. 674 del codice penale la condotta di chi getti o versi in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare le persone. Tale contravvenzione ha ad oggetto la polizia di sicurezza in quanto concerne l’interesse di prevenire pericoli più o meno gravi alle persone indipendentemente, dunque, dal modo in cui si esplica la condotta criminosa e dalla circostanza che si tratti di un luogo più o meno frequentato[59].

In materia di inquinamento atmosferico, la necessità di accertare il superamento dei limiti di tollerabilità delle emissioni ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 674 cod.pen. si pone soltanto per le attività autorizzate in quanto le emissioni di fumo gas o vapori siano una conseguenza diretta dell’attività; diversamente, nel caso di attività non autorizzata ovvero di emissioni autorizzate, ma che non siano conseguenza naturale dell’attività, in quanto imputabili a deficienze dell’impianto o a negligenze del gestore, ai fini della configurabilità del reato è sufficiente la semplice idoneità a recare molestia alle persone [60]. Laddove, quindi, non si tratti di attività industriali che trovino la loro regolamentazione in una specifica normativa di settore, per la configurabilità del reato non è necessario il superamento degli “standard” fissati dalle legge, essendo sufficiente che le emissioni siano idonee a superare la normale tollerabilità e quindi ad arrecare fastidio. E per l’accertamento del superamento della normale tollerabilità non è certo necessario disporre perizia tecnica, potendo il giudice fondare il suo convincimento su elementi probatori di diversa natura [61].

Il reato di getto pericoloso di cose è configurabile anche in presenza di “immissioni olfattive” provenienti da un impianto munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità previsto dall’art. 844 c.c.[62].

Per ultima cassazione [63] l’evento del reato di getto pericoloso di cose di cui all’art. 674 c.p. consiste nella molestia, che prescinde dal superamento di eventuali valori soglia previsti dalla legge, essendo sufficiente quello del limite della stretta tollerabilità, mentre qualora difetti la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l’intensità delle emissioni, il giudizio sull’esistenza e sulla non tollerabilità delle stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni di testimoni.

Per la sentenza del 2015, il reato di cui all’articolo 674 c.p. é configurabile anche in presenza di “molestie olfattive” promananti da impianto munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera (e rispettoso dei relativi limiti, come nel caso di specie), e ciò perché non esiste una normativa statale che preveda disposizioni specifiche – e, quindi, valori soglia – in materia di odori [64]; con conseguente individuazione del criterio della “stretta tollerabilità” quale parametro di legalità dell’emissione, attesa l’inidoneità ad approntare una protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana di quello della “normale tollerabilità”, previsto dall’articolo 844 c.c.in un’ottica strettamente individualistica [65]

Né vale, in senso contrario, l’assunto difensivo per il quale, in alcune occasioni, la Cassazione ha invece affermato che la configurabilità dell’articolo 674 c.p. é esclusa in presenza di immissioni provenienti da attività autorizzata e contenute nei limiti di legge, o dell’autorizzazione; osserva il Collegio, infatti, che queste pronunce[66] si riferiscono a casi ben diversi dal presente, nei quali vi era piena corrispondenza “qualitativa” e “tipologica” tra le immissioni riscontrate e quelle oggetto del provvedimento amministrativo o disciplinate dalla legge, tra quelle accertate e quelle che l’agente si era impegnato a contenere entro determinati limiti; situazione nella quale, invero, il rispetto di questi ultimi implica una presunzione di legittimità del comportamento, concepita dall’ordinamento come necessaria per contemperare le esigenze di tutela pubblica con quelle della produzione economica.



Inoltre, ad esempio, per la S.C.[67] la condotta di innaffiare i fiori del proprio appartamento, gettando acqua mista a terriccio nell’appartamento sottostante imbrattandone il davanzale, i vetri ed altre suppellettili può essere certamente qualificata come “versamento” nei termini delineati dall’articolo 674 c.p. e l’esito di tale azione può altrettanto pacificamente risolversi nell’altrui “offesa”, “imbrattamento” o “molestia”, essendo pacificamente dotata di quella capacità offensiva che la disposizione richiede.

È stato anche precisato, come da recente adagio [68], che ai fini processuali la contravvenzione prevista e punita dall’articolo 674 c.p., quando abbia per oggetto l’illegittima emissione di gas, vapori, fumi atti ad offendere o imbrattare o molestare le persone, connessa all’esercizio di attività economiche e legata al ciclo produttivo, assuma il carattere della permanenza, non potendosi ravvisare la consumazione di definiti episodi in ogni singola emissione di durata temporale non sempre individuabile. Ne segue che, se la sentenza di primo grado abbia accertato la permanente attualità dell’attività produttiva in termini non diversi da quelli del momento della contestazione, quanto a strumenti di produzione, la permanenza nel reato deve ritenersi cessata con la pronuncia di detta sentenza.

[1] Per un maggior approfondimento sulle distanze aprire il seguente link

http://3.70.129.172/2011/03/03/le-distanze-tra-le-costruzioni-ex-artt-873-e-ss-c-c/

[2] Per un maggior approfondimento sulle luci e vedute aprire il seguente link

http://3.70.129.172/2011/03/24/le-luci-e-vedute/

[3] Per un maggior approfondimento sulle immissioni aprire il seguente link

http://3.70.129.172/2015/06/23/lo-stillicidio-lo-scolo-ed-il-diritto-sulle-acque-esistenti-nel-fondo/

[4] Tra le più importanti, ad esempio in materia di inquinamento acustico il D.P.C.M. 1° marzo 1991Limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno” parzialmente modificato dalla Corte Costituzionale che, con la sent. n. 517 del 30 dicembre 1991, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 3, comma I, seconda e terza proposizione, nonché degli artt. 4 e 5. La materia è stata successivamente ridisegnata dalla legge 447 del 26 ottobre 1995 “Legge quadro sull’inquinamento acustico” e da una serie di successivi decreti portanti una disciplina di dettaglio.

Il D.P.C.M. 14 novembre 1997Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore” determina i valori limite di emissione, i valori limite di immissione, i valori di attenzione e i valori di qualità riferiti alle specifiche classi di destinazione d’uso del territorio. Il decreto riprende il concetto di criterio differenziale, introdotto dal D.P.C.M. 1° marzo 1991, specificando (art. 4) i valori limite e i criteri di applicabilità. L’art. 2, comma 1, lett.e) della legge 447/1995 definisce come valore limite d’emissione «il valore massimo di rumore che può essere emesso da una sorgente sonora misurato in prossimità della sorgente stessa». La tabella A del D.P.C.M. del 1997 fissa le classi di destinazione d’uso del territorio che dovrebbero essere adottate dai comuni: (1) a ciascuna classe dovrebbe corrispondere un diverso livello sonoro. La tabella B, allegata al D.P.C.M. 14 novembre 1997 fissa i valori limite riferiti alle sorgenti fisse e mobili (art. 2, comma 1). Tali valori variano in funzione di due elementi: del periodo di riferimento (diurno/notturno) e alle classi di destinazione d’uso del territorio.

D.L. n. 208 del 2008.

Per una pronuncia di merito, Tribunale Padova, Sezione I civile, Sentenza 17 giugno 2013, n. 1570, la previsione normativa di cui all’art. 6 ter, D.L. n. 208 del 2008, introdotto dalla L. n. 13 del 2009, nella parte in cui prevede che nell’accertare la normale tollerabilità delle immissioni e delle emissioni acustiche, ai sensi dell’art. 844 c.c., sono fatte salve, in ogni caso, le disposizioni di legge e di regolamento vigenti che disciplinano specifiche sorgenti e la priorità di un determinato uso , è certamente conforme alla Carta Costituzionale, poiché, da un lato, i valori limite previsti dalla legge quadro in materia di inquinamento acustico (L. n. 447 del 1995) e dal successivo D.P.C.M. 14.11.1997, in quanto rapportati a zone distinte aventi caratteristiche diverse, sono il frutto, evidentemente, di studi scientifici e di valutazioni tecniche che ne fanno presumere in linea generale l’accettabilità, e dall’altro il criterio civilistico della normale tollerabilità, fa riferimento all’uomo medio e cioè alla soglia di tolleranza dell’individuo comune e non alla sensibilità del singolo soggetto e, dunque, in via generale si deve escludere che la previsione di limiti in passato ritenuti inadeguati comporti di per sé lesione di diritto alla salute.



Infine, Legge 161 del 30 ottobre 2014

[5] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 25 agosto 2014, n. 18195

[6] Corte Costistuzionale, sentenza n. 247 del 23 luglio 1974, Corte Costostituzionale, ordinanza n. 103 del 2011

[7] Corte di cassazione, Sezione II civile, Sentenza 17 gennaio 2011 n. 939

[8] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 12 febbraio 2010, n. 3438. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza della Corte di merito che aveva ritenuto non tollerabili le immissioni acustiche prodotte dal funzionamento di un’autoclave e di un bruciatore, tenuto conto degli elevati livelli dei valori sonori, accertati strumentalmente, della situazione dei luoghi, trattandosi di edificio ubicato in comune montano, del funzionamento dei detti impianti per molti mesi dell’anno ed anche in ore notturne, della collocazione degli stessi in un locale a stretto contatto con la camera da letto degli attori e della necessità di questi, data la loro avanzata età, di godere di tranquillità e riposo ed aveva, altresì, disposto l’adozione degli accorgimenti suggeriti dal c.t.u.

[9] Corte di Cassazione, sentenza n. 23283 del 31 ottobre 2014

[10] Corte di Cassazione, sentenza n. 5398/1999

[11] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 12 febbraio 2013, sent. n. 12828

[12] Per la consultazione integrale della sentenza aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione II sentenza, n. 10587 del 25 giugno 2012

[13] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 6 novembre 2013, n. 25019

[14] Secondo una giurisprudenza ormai ampiamente consolidata, il limite della “normale tollerabilità” può dirsi superato nell’ipotesi in cui la differenza tra il rumore di fondo e quello generato dalla sorgente sonora sottoposta a esame sia superiore ai 3 dB (Ad esempio, Tribunale Roma, Sezione V, Sentenza 14 marzo 2014, n. 5980; in materia di immissione l’art. 844 c.c. enuncia un criterio obbligatorio rilevante nel caso in cui le immissioni superino la normale tollerabilità. In tema di immissioni di rumori, infatti, la lesione del diritto alla quiete sussiste quando i rumori travalicano la normale tollerabilità. Al fine di verificare quando i rumori superino la normale tollerabilità occorre far riferimento al criterio comparativo consistente nel confrontare il livello medio dei rumori di fondo con quello del rumore rilevato nel luogo interessato dalle immissioni e ritenere superato il predetto limite per quelle immissioni d’intensità superiore a tre decibel rispetto il livello sonoro di fondo, tenuto conto che l’uomo è in grado di percepire variazioni di un solo decidel. Cfr Trib. Genova 23 aprile 2011; App. Milano 28 febbraio 1995; App. Milano 29 novembre 1992; App. Milano 17 luglio 1992; Trib. Savona, 31 gennaio 1990; App. Milano 17 giugno 1988; App. Milano, 9 maggio 1986; Trib. Lecco, 26 giugno 1984; Cass., sent. n. 5157, 27 luglio 1983; Trib. Monza, 26 gennaio 1982; Cass., sent. n. 5695, 4 dicembre 1978 e sent. n. 38, 6 gennaio 1978).Viene applicato il cosiddetto criterio comparativo che parte dal presupposto che un “uomo medio” non riesca a sopportare un aumento di 3 decibel del rumore di fondo.

[15] cfr., ad es., Corte di Cassazione, sentenza n. 1151 del 2003 e Corte di Cassazione, sentenza n. 17281 del 2005

[16] Per la consultazione integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 17 febbraio 2014, n. 3714. Nel caso di specie è stata affermato che in tale contesto non appare fondato il diverso assunto del ricorrente riguardo alle caratteristiche della zona oggetto delle immissioni per cui è causa, adibita ad una attività turistica balneare, e quindi a vocazione industriale, posto che tale destinazione turistica non può evidentemente comportare di per sé la liceità di immissioni in ipotesi pregiudizievoli per le persone che abitano in quella zona e che hanno comunque diritto ad una normale qualità della vita, che consenta tra l’altro il riposo anche di coloro che risiedono in quella località anche soltanto per un periodo limitato dell’anno, ovvero dei villeggianti.



[17] Corte di Cassazione, sentenza 5 agosto 2011 n. 17051

[18] Corte di Cassazione, sentenza 25 gennaio 2006 n. 1418; Corte di Cassazione, sentenza 17 dicembre 2011 n. 939

[19] Tribunale di Treviso, sentenza 03/06/2009

[20] Corte di Cassazione, sentenza n. 5697 del 18 aprile 2001

[21] Per la consultazione dle testo integrale aprire il seguente link, Corte di cassazione, sezione VI, ordinanza 2 luglio 2015, n. 13639 cfr. Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 30 marzo 2001, n. 4712; Corte di Cassazione, sentenza 14 ottobre 2011, n. 21261

[22] Per la consultazione della sentenza integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 24 marzo 2014, n. 6877 ex plurimis, Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 939 del 2011; Corte di Cassazione, sezione III, sentenza n. 5844 del 2007; Corte di Cassazione, sentenza n. 25820 del 2009. Sul punto anche Corte di Cassazione, Sezione III penale, sentenza 8 maggio 2014, n. 18896; l’art. 844, secondo comma, c.c., nella parte in cui prevede la valutazione, da parte del giudice, del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà che impone di leggere il cd. “preuso”, tenendo conto che il limite della tutela della salute, è da ritenersi ormai intrinseco nell’attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo considerarsi prevalente rispetto alle esigenze della produzione il soddisfacimento di una normale qualità della vita (Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 8 marzo 2010 n. 5564; in senso analogo Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 11 aprile 2006 n. 8420, secondo la quale deve ritenersi illegittima una produzione industriale, ancorchè iniziata prima della edificazione dell’immobile limitrofo, che si sia svolta e poi proseguita senza la predisposizione di apposite misure di cautela idonee ad evitare o limitare l’inquinamento atmosferico). Rientra, pertanto, nella facoltà del giudice disattendere la regola della priorità di uso la quale ha carattere di sussidiarietà, a condizione che sulla base degli accertamenti di fatto dallo stesso compiuti venga fornita idonea motivazione in ordine al superamento della soglia di tollerabilità (Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 11 maggio 2005 n. 9865; Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 10 gennaio 196 n. 161). Il criterio della “stretta tollerabilità”, deve essere inteso in termini più rigorosi rispetto al concetto civilistico di normale tollerabilità dettato dal menzionato art. 844 c.c., attesa l’inidoneità del criterio della “normale tollerabilità” ad approntare una protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana, allorché non vengano rispettati, nell’esercizio di un’attività industriale o più genericamente produttiva, i limiti e le prescrizioni previste dai provvedimenti autorizzatoli che la disciplinano

[23] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 9865 dell’11 maggio 2005

[24] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 6242 dell’1 luglio 1994

[25] Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 31 ottobre 2014, n. 23283

[26] Per un maggior approfondimento sulla azione negatoria sevitutis aprire il seguente lin

[27] Per un maggior approfondimento sulle azioni possesorie aprire il seguente link http://3.70.129.172/2013/02/18/il-possesso-lusucapione-e-le-azioni-a-tutela-del-possesso/

[28] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di cassazione, sezione II, sentenza 6 settembre 2011, n. 18262. Al riguardo la S.C. ha affermato che legittimati passivi, rispetto all’azione intentata ai sensi dell’art. 844 c.c., sono gli autori delle immissioni, allorchè la domanda sia diretta a respingere il fatto di questi ultimi ed a farne cessare l’attività (Cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 740/77; Corte di Cassazione, sentenza n. 2277/66).

[29] Corte d’Appello Roma, Sezione III, sentenza 11 marzo 2014, n. 1663

[30] Corte di Cassazione, Sezione U civile, sentenza 6 settembre 2013, n. 20571

[31] Corte di Cassazione, Sezione III, sentenza 28 maggio 2015, n. 11125, cfr Corte di Cassazione, sezion unite, sentenza 27 febbraio 2013, n. 4848

[32] Tribunale di Crotone, 03 giugno 2008

[33] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 23 maggio 2013, n. 12828

[34] Tribunale Genova, Sezione III, 18 novembre 2005

[35] Tribunale Roma, sezione V, 14 gennaio 2010

[36] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 06 giugno 2000, n. 7545

[37] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguent link Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 27 febbraio 2013, n. 4848

[38] Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 12 maggio 2015, n. 9660

[39] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 20 febbraio 2014, n. 4093

[40] Corte di Cassazione, Sezione VI, ordinanza 10 aprile 2015, n. 7330

[41] Per la consultazione della sentenza integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 12 febbraio 2013, n. 6685

[42] Corte di Cassazione, sezione I penale, 09 giugno 2009, n. 23866

[43] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 23 febbraio 2015, n. 7912



[44] Fattispecie nella quale la S. C. ha ritenuto applicabile l’articolo 659 c.p., comma 1, in quanto le emissioni rumorose non erano state provocate dalla attivita’ di una discoteca, bensi’ dal relativo impianto di condizionamento)” (Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 17 dicembre 1998, n. 4820 del 1999

[45] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 13 novembre 2012, n. 48309

[46] Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 31 gennaio 2014, n. 13015

[47] Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 18 settembre 2014, n. 42026

[48] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 9 febbraio 2015, n. 5735

[49] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 23 febbraio 2015, n. 7912

[50] Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 13 maggio2014, n. 23529, ex plurimis, Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 29 novembre 2011, n. 47298

[51] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 14 ottobre 2013, n. 45616

[52] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 2 dicembre 2013, n. 47830

[53] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione I, sentenza n. 270 del 12 gennaio 2012

[54] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 19 marzo 2014, n. 12939

[55] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 26 marzo 2015, n. 1296

[56] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 5 marzo 2015, n. 9633

[57] cfr. Corte di Cassazione, sezione I, sentenza n. 16886 del 28 febbraio 2003; Corte di Cassazione, sezione I, sentenza n.17779 del 27 marzo 2008; Corte di Cassazione, sezione I, sentenza n. 40004 del 30 settembre 2009

[58] Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza n. 48122 del 3.12.2008; Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza n. 7980 del 24.5.1993

[59] Tribunale Firenze, Sezione I penale, sentenza 14 febbraio 2014, n. 870

[60] Corte di Cassazione, Sezione III penale, Sentenza n. 40191 dell’11 febbraio 2007

[61] Corte di Cassazione, Sezione III penale, Sentenza 16 maggio 2013, n. 21138 Fattispecie: odori intollerabili e invasione di insetti causata dalla deiezioni di cavalli che pascolavano in un fondo confinante.

[62] Corte di Cassazione, Sezione III penale, sentenza 26 settembre 2012, n. 37037

[63] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 23 marzo 2015, n. 12019

[64] Corte di Cassazione, Sezione III penale, Sentenza n. 37037 del 29 maggio 2012

[65] Corte di Cassazione, Sezione III penale, Sentenza n. 2475 del 9 ottobre 2007, cfr. Corte di Cassazione, Sezione III penale, Sentenza n. 34896 del 14.7.2011; e piu’ di recente Corte di Cassazione, Sezione III penale, Sentenza n. 37037 in tema di “immissioni olfattive. Da ultimo Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 1 luglio 2015, n. 27562, per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 1 luglio 2015, n. 27562. Per il reato di cui all’articolo 674 c.p., l’evento di molestia provocato dalle emissioni di gas, fumi o vapori e’ apprezzabile a prescindere dal superamento di eventuali limiti previsti dalla legge, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilita’ ex articolo 844 c.c.



[66] Corte di Cassazione, Sezione III penale, sentenza 8 maggio 2014, n. 18896. Ai fini dell’affermazione di responsabilità in ordine al reato previsto dall’art. 674 c.p., nell’ipotesi di attività industriali che trovano la loro regolamentazione in una specifica normativa di settore, non è sufficiente ad integrare la fattispecie l’idoneità delle emissioni a recare disturbo o fastidio, occorrendo invece la puntuale e specifica dimostrazione che tali emissioni superino gli standards fissati dalla legge (in termini Corte di Cassazione, Sezione III, 3 marzo 2004, n. 9757; Corte di Cassazione, Sezione I, 12 marzo 2002, n. 15717, Corte di Cassazione, Sezione III, 2005 n. 9503). Pertanto, quando esistono precisi limiti tabellari fissati dalla legge, non possono ritenersi “non consentite” le emissioni che abbiano, in concreto, le caratteristiche qualitative e quantitative già valutate ed ammesse dal legislatore. Discorso diverso va fatto in quei casi nei quali non esiste una predeterminazione normativa, gravando sul giudice penale l’obbligo di valutare la tollerabilità consentita, ma pur sempre con riferimento ai principi ispiranti le specifiche normative di settore, (Corte di Cassazione, Sezione, 27 febbraio 2008 n. 15653). Cfr Corte di Cassazione, Sezione III, n. 37495 del 13 luglio 2011; Corte di Cassazione, Sezione III, n. 40849 del 21 ottobre 2010; Corte di Cassazione, Sezione III, n. 15707 del 9 gennaio 2009.

[67] Corte di Cassazione, Sezione III penale, sentenza 10 aprile 2014, n. 15956

[68] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente link Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 1 luglio 2015, n. 27562. cfr. ex multis Corte di Cassazione, sezione I, sentenza n. 9293 del 10 agosto 1995

Avv. Renato D’Isa

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