Impossessamento di materiale inerte estratto dall’alveo di un fiume

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|14 luglio 2021| n. 27086.

Impossessamento di materiale inerte estratto dall’alveo di un fiume.

Integra il reato di furto aggravato l’impossessamento di materiale inerte estratto dall’alveo di un fiume, non sussistendo alcun rapporto di specialità con l’illecito amministrativo previsto dall’art. 97, lett. m), del r.d. 25 luglio 1904, n. 523, che vieta l’estrazione di tali materiali in assenza di speciale autorizzazione, perché diversi le modalità dell’azione e l’oggetto giuridico. (Conf.: n. 5545 del 1980, Rv. 145165-01, n. 9816 del 1980, Rv. 146069-01 e n. 958 del 1982, Rv. 151902-01).

Sentenza|14 luglio 2021| n. 27086. Impossessamento di materiale inerte estratto dall’alveo di un fiume

Data udienza 9 giugno 2021

Integrale

Tag – parola: Artt. 624 e 625, nn. 2, 5 e 7, 633 e 639, c.p. – Art. 44, D.P.R. n. 380/2001 – Prelievo di materiale inerte dal letto del fiume – Furto aggravato – Art. 97, R.D. n. 523/1904 – Illecito amministrativo – Impossessamento al fine di profitto del bene

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MICCOLI Grazia – Presidente
Dott. SCARLINI E. V. S. – rel. Consigliere

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

Dott. ROMANO Michele – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/10/2019 della CORTE APPELLO di CATANZARO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. SENATORE VINCENZO, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza in relazione al capo A e l’annullamento della medesima, con rinvio, in relazione al trattamento sanzionatorio dei reati di cui ai capi B e C.
uditi i difensori: Svolge la relazione il Cons. Dott. Scarlini.
Per l’imputato ricorrente, gli Avv.ti (OMISSIS), e (OMISSIS), insistono per l’accoglimento dei motivi di ricorso.

Impossessamento di materiale inerte estratto dall’alveo di un fiume

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 18 ottobre 2019, la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Crotone, riconosciute le circostanze attenuanti generiche che riteneva equivalenti alle aggravanti contestate ed alla recidiva, rideterminava la pena inflitta a (OMISSIS) per i reati ascrittigli ai sensi dell’articolo articolo 624 c.p. e articolo 625 c.p., nn. 2, 5 e 7 (capo A), articoli 633 e 639 bis (capo C) c.p. e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera d) (capo B), nella misura indicata in dispositivo.
L’imputato era accusato di avere prelevato dal letto del fiume (OMISSIS) del materiale inerte, pari a 26 cumuli di circa 15 mc ciascuno, da ritenersi bene appartenente al demanio.
1.1. In risposta ai dedotti motivi di appello, la Corte distrettuale osservava che la protesta d’innocenza del prevenuto, per non essere stata consumata la sottrazione a suo vantaggio, era stata smentita dal fatto che il mezzo che conteneva gli inerti sottratti era stato rinvenuto proprio nel cantiere di una societa’ dal medesimo amministrata.
2. Propone ricorso l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo, con l’unico motivo, la violazione di legge ed il difetto di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita’ del prevenuto.
Gli era stata rimproverata la sottrazione di materiali inerti, qualificando la condotta come un’ipotesi di furto aggravato, quando, invece, la stessa configurava il solo illecito amministrativo previsto dal Regio Decreto n. 523 del 1904, articolo 97. Come aveva chiarito anche la piu’ recente giurisprudenza di legittimita’ (Cass. n. 29920/2019).
3. Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto Vincenzo Senatore, ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al capo A della rubrica, con rinvio per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio per i capi B e C.
4. Il difensore del ricorrente ha inviato una memoria in cui argomenta ancora sulla esclusiva configurabilita’ del ricordato illecito amministrativo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso promosso nell’interesse di (OMISSIS) non merita accoglimento.
1. Deve innanzitutto prendersi atto che, nel medesimo, non si contesta altro che la dichiarata colpevolezza dell’imputato in ordine al capo A, il delitto di furto aggravato, nulla argomentandosi in ordine agli ulteriori reati contestati al prevenuto ai capi B e C della rubrica.
2. In ordine al delitto di furto aggravato – di “materiale inerte” prelevato dal “letto del fiume (OMISSIS)”, come si legge in rubrica e come e’ stato ritenuto dai giudici del merito – si contesta, come detto, la configurabilita’ del medesimo, concretando, si afferma, la consumata condotta, il solo illecito amministrativo previsto dal Regio Decreto 25 luglio 1904, n. 523, articolo 97, lettera M.
Una questione che, invero, non era stata posta con l’atto di appello (in cui si era solo discussa la riconducibilita’ della condotta di sottrazione del materiale alla responsabilita’ dell’imputato) ma che afferendo la qualificazione giuridica del fatto puo’ essere sottoposta, anche per la prima volta, al vaglio di questa Corte.
Si e’ infatti, anche di recente, ribadito che la questione sulla qualificazione giuridica del fatto rientra tra quelle su cui la Corte di cassazione puo’ decidere ex articolo 609 c.p.p. e, pertanto, puo’ essere dedotta per la prima volta in sede di giudizio di legittimita’ purche’ l’impugnazione non sia inammissibile e per la sua soluzione non siano necessari accertamenti di fatto (Sez. 2, n. 17235 del 17/01/2018, Tucci, Rv. 272651).
La censura poi appare proponibile in sede di legittimita’ anche considerando che, con la medesima, si invoca, nella sostanza, anche l’applicazione dell’articolo 129 c.p.p. (possibile in ogni stato e grado del processo), laddove si assume che la consumata condotta, di sottrazione del materiale inerte, non sia prevista dalla legge come reato, ma solo come illecito amministrativo.
Certo sotto entrambi i profili ricordati, non avendo la difesa proposta analoga censura nell’impugnazione di merito, non appare, invero, compiutamente risolta la questione della riconducibilita’ del “materiale inerte” sottratto nel novero di quei beni che la norma amministrativa contempla.
Si tratta pero’ di questione che, altrimenti definito, rispetto a quanto dedotto nel ricorso, il punto relativo alla piena sovrapponibilita’ della norma penale all’illecito amministrativo, non diventa dirimente.
3. Certo, come si e’ ricordato nel ricorso e nella successiva memoria, questa Corte, con la sentenza Sez. 4, n. 29920 del 17/01/2019, Padricelli, Rv. 276583, ha affermato che l’estrazione di sabbia o ghiaia dall’alveo di un fiume integra esclusivamente l’illecito amministrativo di cui al Regio Decreto 25 luglio 1904, n. 523, articolo 97, lettera m), e non anche il delitto di furto, poiche’ le due norme regolano la stessa materia e il predetto articolo 97 e’ norma speciale rispetto all’articolo 624 c.p., con riferimento alle modalita’ dell’azione e al suo oggetto.
Il presupposto di tale conclusione era costituito dal rilievo che contrariamente a quanto affermato dalla precedente, ma assai risalente, giurisprudenza di questa Corte (Sez 2, n. 958 del 15/07/1981, dep. 30/01/1982 Bertolini, Rv. 151902; Sez. 2, n. 9816 del 21/03/1980, Seganfreddo, Rv. 146069; Sez. 2 n. 5541 del 14/12/1979, dep. 03/05/1980, Lisi, Rv. 145165) – la norma che contempla l’illecito amministrativo ricomprendesse anche la condotta contestata a titolo di illecito penale, l’impossessamento del materiale inerte.
Si noti peraltro che il citato, precedente orientamento, di questa Corte, non era stato superato dal successivo L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 9 – in cui si era disposto che “quando uno stesso fatto e’ punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralita’ di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale” – dovendosi considerare che il richiamato principio di specialita’, sancito dall’articolo 15 c.p. (che prevede la prevalenza della norma speciale sulla regola generale), presuppone, in estrema sintesi (senza cosi’ riportarne le multiformi sistematizzazioni), la sovrapponibilita’ della fattispecie astratte e la riconducibilita’ dell’intera condotta concreta contestata all’imputato al precetto previsto dalla norma speciale.
4. E’ proprio, pero’, l’affermazione di tale perfetta sovrapponibilita’ – sostenuta nella citata pronuncia della Quarta sezione – che non convince.
Deve, infatti rilevarsi che, quanto alla fattispecie astratta, il Regio Decreto 25 luglio 2004, n. 523, articolo 97, lettera m), – dopo che il precedente articolo 96 elenca i “lavori ed atti vietati in modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese” individua le diverse “opere ed atti che non si possono eseguire se non con speciale permesso (delle autorita’ pubbliche competenti) e sotto l’osservanza delle condizioni dal medesimo imposte”.
Fra queste ultime, la ricordata condotta costituente illecito amministrativo (sanzionato dalla L. 20 marzo 1965, n. 2248, articolo 393), cosi’ descritta:
“m) l’estrazione di ciottoli, ghiaia, sabbia ed altre materie dal letto dei fiumi, torrenti e canali pubblici, eccettuate quelle localita’ ove, per invalsa consuetudine si suole praticare senza speciale autorizzazione per usi pubblici e privati. Anche per queste localita’ pero’ l’autorita’ amministrativa limita o proibisce tali estrazioni ogniqualvolta riconosca poterne il regime delle acque e gl’interessi pubblici o privati esserne lesi”.
Se ne deduce che la norma amministrativa intende punire chiunque, senza la debita autorizzazione, “estragga” dal letto dei corsi d’acqua gli indicati materiali inerti. La sua evidente ratio e’, allora, quella di preservare il letto dei fiumi dalle modifiche che l’estrazione, non autorizzata, di materiali comporterebbe, tanto da consentirla qualora la competente autorita’ amministrativa ritenesse che, da tale prelievo, non ne consegua un danno (idrogeologico e ambientale).
Del tutto estranea alla ricordata fattispecie astratta e’ pertanto l’ulteriore sorte del materiale inerte, cosi’ estratto.
Il cui impossessamento, a danno del demanio, non puo’ che configurare la distinta condotta punita dagli articoli 624 e 625 c.p., norme che, invece, tutelano non l’ambiente ma l’integrita’ patrimoniale del soggetto offeso, e che devono cosi’ trovare applicazione nel caso in cui il materiale, prima estratto, divenga, poi, oggetto – in ipotesi anche da parte di un soggetto diverso da colui che lo ha estratto – di impossessamento.
Un impossessamento assistito poi da un atteggiamento volitivo anch’esso ulteriore rispetto alla mera estrazione, non autorizzata, del materiale, perche’ denotato dalla volonta’ di agire al fine di un profitto proprio o altrui.
Come e’ stato, del resto, accertato nell’odierno caso di specie ove si e’ constatato il trasporto, per l’utilizzo, del medesimo nei cantieri del prevenuto.
Del resto, se cosi’ non fosse, se l’impossessamento del bene demaniale, dopo la sua “estrazione” non costituisse un illecito penale, tutta la sua, eventuale, ulteriore circolazione (la cessione ad altri operatori) non avrebbe rilievo, illecito, alcuno, ne’ penale (a titolo di ricettazione) ne’ amministrativo (potendosi a tale titolo punire soltanto che l’abbia “estratto”).
Un esito certamente paradossale, che muove soltanto dall’affermata, ma non condivisibile, coincidenza fra la condotta di “estrazione” e quella di “impossessamento” (nei termini che consentono la configurabilita’ del delitto di furto).
Cosi’ da non potersi che prendere atto della diversita’, negli elementi oggettivi e soggettivi – e nel bene giuridico tutelato – della condotta punita dalla norma amministrativa rispetto a quella sanzionata dalla norma penale, in adesione, peraltro, alla costante, precedente giurisprudenza di questa Corte.
Ne deriva – non potendosi ritenere il Regio Decreto n. 523 del 1904, articolo 97 norma speciale rispetto agli articoli 624 e 625 c.p., in tema di impossessamento, al fine di profitto, del materiale inerte estratto, senza autorizzazione, dai letti dei corsi d’acqua – l’infondatezza dell’unico argomento speso, dal difensore del prevenuto, nel ricorso e nella successiva memoria.
5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del grado.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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