Impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di un figlio

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|7 dicembre 2022| n. 35998.

Impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di un figlio

Nell’azione di impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di un figlio nato da genitori non uniti in matrimonio, già maggiorenne ed economicamente indipendente al momento della instaurazione del giudizio, il genitore di cui non si discute lo status non è un litisconsorte necessario, perché l’eventuale pronuncia caducatoria dello “status filiationis” del soggetto maggiorenne non produce effetti rilevanti di alcun genere nei suoi confronti, sotto il profilo della responsabilità genitoriale, come pure degli obblighi morali di crescita, educazione ed istruzione e di quelli materiali al mantenimento del figlio, ormai non più ipotizzabili. Ove, invece, l’azione di impugnazione coinvolga un figlio minorenne, la rilevante modifica della situazione familiare, in termini di obblighi morali e materiali verso il figlio, giustifica il litisconsorzio necessario del predetto genitore.

Ordinanza|7 dicembre 2022| n. 35998. Impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di un figlio

Data udienza 13 ottobre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Status filiationis – Madre – Giudizio di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità – Figlio è maggiorenne – Litisconsorzio necessario – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – rel. Presidente

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 31339/2018 proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimata –
avverso la sentenza n. 711/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 14/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/10/2022 dal Pres. Dott. ACIERNO MARIA.

Impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di un figlio

FATTI DELLA CAUSA

1.La Corte d’Appello di Bologna, confermando la pronuncia del Tribunale di Modena, ha rigettato, per quel che ancora interessa, la domanda presentata da (OMISSIS) notificata alla sorella unilaterale (OMISSIS) (unica discendente del presunto padre (OMISSIS)) e diretta ad ottenere la nullita’ del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicita’ ex articolo 263 c.c.
In fatto, l’attore ha dedotto di aver appreso dalla madre (OMISSIS), al termine di un’accesa lite avvenuta dopo il decesso di (OMISSIS), che quest’ultimo non era suo padre biologico e che lo aveva riconosciuto come figlio solo perche’ spinto da un forte sentimento verso la madre. Dopo diversi anni, aveva altresi’ appreso dalla sorella (OMISSIS), con la quale la madre si era confidata, la vera identita’ del padre naturale e che, a seguito di indagini personali, lo aveva rintracciato e da allora anche intrattenuto frequenti rapporti telefonici e personali.
2. La Corte territoriale, a sostegno della sua decisione, ha affermato: la necessita’ di una integrazione probatoria alle risultanze della CTU genetico ematologica disposta in primo grado, di per se’ ritenute non sufficienti ad affermare o ad escludere con ragionevole certezza la contestata paternita’ (le conclusioni erano nel senso che per l’87% era probabile che (OMISSIS) non fosse il padre biologico, mentre per il 13 % era probabile che lo fosse); l’irrilevanza, ai fini decisori, delle presunte ammissioni contenute nell’atto di costituzione in giudizio della convenuta, posto che la stessa si era limitata a riportare fatti che aveva appreso solo in via indiretta dai racconti della madre.
3.Contro la sentenza della Corte d’Appello, (OMISSIS) ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di tre motivi. (OMISSIS) e’ rimasta intimata.
4. Il PG, con requisitoria scritta, ha concluso per la rimessione della causa alla pubblica udienza al fine di stabilire, anche alla luce dei piu’ recenti contrasti giurisprudenziali (cfr. Ord. Cass. n. 10775/2019; Ord. Cass. n. 3252/2022), la posizione di litisconsorte necessario del genitore non coinvolto dall’azione di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicita’ (nel caso di specie, la madre).

RAGIONI DELLA DECISIONE

5.Con il primo motivo, viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli articoli 263 e 2697 c.c., avendo il Giudice d’appello errato nel ritenere necessaria, ai fini della esclusione della contestata paternita’, una integrazione probatoria alle risultanze della CTU genetico ematologica espletata in primo grado.
Nel secondo, viene dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per la controversia, per non aver la Corte d’appello attribuito rilievo alle ammissioni della sorella (OMISSIS) contenute nella memoria di costituzione nel giudizio di primo grado.
Nel terzo motivo viene dedotto l’omesso esame di una prova documentale decisiva per la controversia e la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., per non aver il Giudice d’appello considerato il documento sottoscritto dalla madre del ricorrente (presente nel fascicolo di primo grado doc. 6 e secondo grado doc. 2 e non contestato dalla sorella convenuta) che avrebbe potuto integrare il quadro probatorio, ritenuto insufficiente ai fini dell’accertamento della contestata paternita’.
6.Preliminarmente occorre affrontare la questione di rito sollevata dal PM relativamente alla necessita’ di integrare il contraddittorio nei confronti della madre in qualita’ di litisconsorte necessaria.
La risoluzione della questione induce a confrontare il regime giuridico relativo ai litisconsorti necessari nel giudizio di disconoscimento di paternita’ ex articolo 243 bis c.c. con quello relativo al giudizio di impugnazione del riconoscimento dello status di figlio naturale per difetto di veridicita’ ex articolo 263 c.c.
Nella prima ipotesi, sia la normativa di riferimento (articolo 247 c.c., comma 1 secondo cui “il presunto padre, la madre ed il figlio sono litisconsorti necessari nel giudizio di disconoscimento”) sia la giurisprudenza di legittimita’ (cfr. sent. Cass. 5727/1977) stabiliscono espressamente la necessita’ di un litisconsorzio tra la madre, il figlio legittimo ed il presunto padre; nel secondo caso, invece, tale necessita’, non e’ prevista da alcuna norma e cio’ ha dato luogo alle decisioni ritenute contrastanti dalla requisitoria del Procuratore Generale.
Al riguardo, le pronunce che si confrontano sono, da un lato, l’ord. Cass. n. 10775/2019 e, dall’altro, l’ord. Cass. n. 3252/2022.
Nella prima la Corte afferma che: “Nell’azione di impugnazione per difetto di veridicita’ del riconoscimento di un figlio nato da genitori non uniti in matrimonio, l’altro genitore, che pure abbia operato il riconoscimento, e’ litisconsorte necessario nel giudizio, secondo la regola dettata all’articolo 250 c.c. che pone un principio di natura generale da applicarsi, pertanto, anche nell’ipotesi disciplinata dall’articolo 263 c.c., perche’ l’acquisizione di un nuovo “status” da parte del minore e’ idonea a determinare una rilevante modifica della situazione familiare, della quale resta in ogni caso partecipe l’altro genitore, alla cui posizione soggettiva puo’ ricondursi, a seconda dei casi, l’interesse o la mancanza di interesse alla bigenitorialita’ con il soggetto che impugna il riconoscimento, con tutto cio’ che ne consegue in termini di obblighi morali e materiali verso il figlio”; nella seconda, invece, stabilisce che: “Nell’azione, intrapresa da un terzo interessato, di impugnazione per difetto di veridicita’ del riconoscimento di un figlio nato da genitori non uniti in matrimonio, gia’ maggiorenne ed economicamente indipendente al momento della instaurazione del giudizio, l’altro genitore non e’ un litisconsorte necessario, perche’ l’eventuale pronuncia caducatoria dello “status filiationis” del soggetto maggiorenne non produce effetti rilevanti di alcun genere nei confronti del primo, sotto il profilo della responsabilita’ genitoriale, come pure degli obblighi morali di crescita, educazione ed istruzione e di quelli materiali al mantenimento del figlio, ormai non piu’ ipotizzabili; tale genitore, comunque, puo’ intervenire volontariamente nel processo, ove intenda tutelare eventuali propri diritti e/o interessi, o esservi chiamato dal figlio stesso, laddove quest’ultimo voglia giovarsi della sua partecipazione alla lite”.
Tali orientamenti apparentemente sembrerebbero contrastanti ma, a ben vedere, la divergenza si stempera se si distingue tra giudizi ex articolo 263 c.c. che coinvolgono un figlio maggiorenne e quelli che coinvolgono un figlio minorenne. Piu’ precisamente, il piu’ recente orientamento di legittimita’ citato stabilisce che nelle fattispecie caratterizzate dalla minore eta’ del figlio il cui riconoscimento e’ impugnato per difetto di veridicita’ (come nel caso su cui si e’ pronunciata l’Ord. Cass. n. 10775/2019), il litisconsorzio necessario con l’altro genitore non coinvolto dall’azione e’ giustificato dal fatto che quest’ultimo risentirebbe in modo significativo della variazione della condizione del minore che potrebbe derivare da una pronuncia caducatoria del suo status filiationis, sia sotto il profilo della responsabilita’ genitoriale sia sotto il profilo degli obblighi morali di crescita, educazione ed istruzione e di quelli materiali al mantenimento; viceversa nelle fattispecie caratterizzate dalla maggiore eta’ del figlio al momento dell’instaurazione del giudizio (come nel caso in esame), all’altro genitore (nella specie, la madre), pur essendo riconosciuta una legittimazione ad agire della madre in base all’articolo 263 c.c. (“il riconoscimento puo’ essere impugnato per difetto di veridicita’ dall’autore del riconoscimento, da colui che e’ stato riconosciuto e da chiunque vi abbia interesse”), tuttavia la stessa non e’ litisconsorte necessario, posto che una eventuale pronuncia caducatoria dello status filiationis di un soggetto maggiorenne, in via generale pienamente capace e consapevole, certamente non produrrebbe effetti di alcun genere ne’ sotto il profilo della responsabilita’ genitoriale ne’ sotto il profilo degli obblighi morali e materiali.
Ne consegue che il Collegio, nel caso di specie, aderisce al principio di diritto formulato dall’ultimo orientamento di legittimita’ ed esclude che la madre nel giudizio di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita’, possa essere ritenuta litisconsorte necessaria, quando il figlio sia maggiorenne.
La questione processuale sollevata, pertanto, e’ infondata.
7.Quanto al merito, il Collegio ritiene di dover esaminare prioritariamente il terzo motivo per ragioni di pregiudizialita’ logica.
Dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata emerge che il Giudice d’appello (cfr. pag. 5 sentenza) ha affermato che avrebbe utilizzato ai fini probatori il documento fornito dal ricorrente solo qualora le dichiarazioni ivi contenute fossero state suffragate dalla deposizione testimoniale della madre in sede di giudizio.
Tale assunto e’ coerente con la giurisprudenza di legittimita’ (cfr. ex multis, Ord. Cass. n. 31974/2019), ove ci si riferisca in particolare a giudizi di carattere patrimoniale. Nel caso in esame, tuttavia, trattandosi di un giudizio sullo status filiationis, fortemente caratterizzato dal principio di prossimita’ della prova, le dichiarazioni della madre possono assumere certamente un valore probatorio quanto meno indiziario all’interno di un quadro istruttorio piu’ ampio complessivamente considerato.
La Corte d’appello non ha fatto buon governo dei principi sopra indicati dal momento che ha compiuto una valutazione atomistica e non complessiva dei singoli elementi probatori (risultanze della CTU e dichiarazioni della sorella (OMISSIS) in sede di costituzione in giudizio), ignorando completamente la valenza probatoria della dichiarazione documentalmente riprodotta all’interno di un contesto quale quello familiare nel quale le circostanze rilevanti sono, secondo un giudizio probabilistico, conosciute in via prevalente se non esclusiva solo dai familiari stessi.
Inoltre, la Corte, al fine di escludere il raggiungimento di una prova certa della contestata paternita’, ha stigmatizzato il comportamento della madre, definendolo ambiguo (cfr. pag. 5 della sentenza), e compiuto solo delle valutazioni ipotetiche, peraltro illegittimamente, non essendo la madre una parte di questo processo.
8.In conclusione, il ricorso va accolto limitatamente al terzo motivo, mentre il primo ed il secondo restano assorbiti, e la pronuncia impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, perche’ si pronunci anche sulle spese processuali della fase di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbe i primi due motivi e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione perche’ provveda anche sulle spese processuali del presente giudizio.

 

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