Cassazione 4

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 7 aprile 2016, n. 6793

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 22966 del ruolo generale dell’anno 2013, proposto da:

ISTITUTO (OMISSIS) – ENTE ECCLESIASTICO RICONOSCIUTO GESTORE DELL’OSPEDALE (OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore Madre (OMISSIS) rappresentata e difesa, giusta procura a margine del ricorso, dall’avvocato (OMISSIS), e domiciliata presso lo studio dello stesso, in (OMISSIS);

– ricorrente –

nei confronti di:

(OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS));

(OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS));

in proprio e quali esercenti la potesta’ sulla figlia (OMISSIS) (il padre anche quale amministratore di sostegno della stessa) rappresentati e difesi, giusta procura a margine del controricorso, dall’avvocato (OMISSIS), e domiciliati presso lo studio dello stesso, in (OMISSIS);

– controricorrenti –

(OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’avvocato (OMISSIS), e domiciliato presso lo studio dello stesso, in (OMISSIS);

– controricorrente –

(OMISSIS) PLC (Public Limited Company) – RAPPRESENTANZA GENERALE PER L’ITALIA (C.F.: (OMISSIS)), quale cessionaria del ramo di azienda e del portafoglio assicurativo della rappresentanza generale per l’Italia di (OMISSIS) Ltd, assicuratrice del dr. (OMISSIS), in persona del procuratore speciale (OMISSIS) (procura per notaio (OMISSIS) di Milano in data 22 febbraio 2011, (OMISSIS)) rappresentato e difeso, giusta procura a margine del controricorso, dall’avvocato (OMISSIS), e domiciliato presso lo studio dello stesso, in (OMISSIS);

– controricorrente –

(OMISSIS) PLC (gia’ ZURIGO ASSICURAZIONI S.A.) (C.F.: 05380900968), assicuratrice dell’Istituto (OMISSIS) – Ospedale (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla copia notificata del ricorso, dall’avvocato (OMISSIS), e domiciliato presso lo studio dello stesso, in (OMISSIS);

– controricorrente –

(OMISSIS) S.p.A. (C.F.: (OMISSIS)), gia’ (OMISSIS) S.p.A., in persona dei procuratori (OMISSIS) e (OMISSIS) rappresentati e difesi, giusta procura in calce al controricorso, dall’avvocato (OMISSIS), e domiciliato presso lo studio dello stesso, in (OMISSIS);

– controricorrente –

e

(OMISSIS) (C.F.: non dichiarato);

(OMISSIS) (C.F.: non dichiarato);

– intimati –

per la cassazione della sentenza pronunziata dalla Corte di Appello

di Roma n. 3634/2012, depositata in data 10 luglio 2012;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 15 febbraio 2016 dal consigliere Augusto Tatangelo;

uditi:

l’avvocato (OMISSIS), per l’istituto ricorrente;

l’avvocato (OMISSIS), per i controricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS);

l’avvocato (OMISSIS), per il controricorrente (OMISSIS);

gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), per la controricorrente (OMISSIS) PLC;

l’avvocato (OMISSIS), per delega dell’avvocato (OMISSIS), per la controricorrente (OMISSIS) S.p.A.;

il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per la dichiarazione di inammissibilita’ e, in subordine, per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quali legali rappresentanti della figlia (OMISSIS), agirono in giudizio nei confronti dell’Istituto (OMISSIS), gestore dell’Ospedale (OMISSIS) di Roma, deducendo la responsabilita’ del personale medico della struttura sanitaria per il mancato accertamento e l’omessa informazione delle gravi malformazioni della nascitura (OMISSIS) (poroencefalia), che aveva impedito l’esercizio del diritto della madre ad interrompere la gravidanza e causato sia alla nascitura che ai genitori gravi danni economici e sanitari.

L’istituto chiamo’ in causa, per essere manlevata dalle conseguenze di una eventuale condanna, le proprie assicuratrici (OMISSIS) S.A. e (OMISSIS) S.p.A., nonche’ i sanitari che avevano redatto i referti ecografici (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

Quest’ultimo a sua volta chiamo’ in causa, per esserne garantito, la propria assicuratrice (OMISSIS) S.A.

La domanda fu parzialmente accolta dal Tribunale di Roma, il quale condanno’ l’istituto convenuto al pagamento dell’importo di Euro 40.000,00 in favore dei soli (OMISSIS) e (OMISSIS), a titolo di danno morale, dichiarando inammissibili le domande proposte dallo stesso istituto convenuto nei confronti dei chiamati in causa. La Corte di Appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, e per quanto ancora rileva, ha condannato l’istituto al pagamento della somma di Euro 722.256,39 in favore della (OMISSIS) e della somma di Euro 708.176,63 in favore del (OMISSIS).

Ricorre l’Istituto (OMISSIS), sulla base di sette motivi. Resistono con distinti controricorsi i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) (in proprio e nella qualita’ di legali rappresentanti della figlia (OMISSIS)), il (OMISSIS), la (OMISSIS) PLC (che ha depositato due distinti controricorsi, sottoscritti da due diversi legali, in relazione rispettivamente alla propria posizione di assicuratrice della struttura sanitaria e del dr. (OMISSIS)) e l’ (OMISSIS) (gia’ (OMISSIS)) S.p.A..

Hanno depositato memorie ai sensi dell’articolo 378 c.p.c. l’istituto ricorrente, i controricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) Plc.

Non hanno svolto attivita’ difensiva in questa sede gli altri intimati.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Preliminarmente, si osserva che non e’ regolare il controricorso di (OMISSIS) PLC (gia’ (OMISSIS) S.A.), quale assicuratrice dell’Istituto (OMISSIS) – Ospedale (OMISSIS), sottoscritto dall’avvocato (OMISSIS), in quanto la procura in favore di quest’ultimo risulta redatta in calce alla copia notificata del ricorso, in quanto “nel giudizio di legittimita’, la procura rilasciata dal controricorrente in calce o a margine della copia notificata del ricorso, anziche’ in calce al controricorso medesimo, non e’ idonea per la valida proposizione di quest’ultimo, ne’ per la formulazione di memorie, in quanto non dimostra l’avvenuto conferimento del mandato anteriormente o contemporaneamente alla notificazione dell’atto di resistenza, ma e’ idonea ai soli fini della costituzione in giudizio del controricorrente e della partecipazione del difensore alla discussione orale, non potendo a tali fini configurarsi incertezza circa l’anteriorita’ del conferimento del mandato stesso” (Sez. U,Sentenza n. 13431 del 13 giugno 2014). Dunque non puo’ tenersi del suddetto controricorso e della memoria depositata ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

2.- Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Omesso accertamento della concreta volonta’ di ricorrere all’aborto terapeutico. Violazione degli articoli2697 e 2729 cod. civ. (articolo 360 c.p.c., n. 5)”.

Il motivo e’ infondato.

La corte di appello ha ritenuto sussistente la prova presuntiva che la gestante avrebbe fatto ricorso all’aborto terapeutico se avesse tempestivamente conosciuto le malformazioni della nascitura, considerando la gravita’ di tali malformazioni ed il suo ricorso a continui controlli ecografici, evidentemente volti anche alla conoscenza di eventuali anomalie nello sviluppo del feto.

Si tratta di motivazione adeguata e perfettamente in linea con il recentissimo arresto delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui “in tema di responsabilita’ medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facolta’ di interrompere la gravidanza – ricorrendone le condizioni di legge – ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale; quest’onere puo’ essere assolto tramite “praesumptio hominis”, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova, quali il ricorso al consulto medico proprio per conoscere lo stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si sarebbe determinata all’aborto per qualsivoglia ragione personale” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 25767 del 22 dicembre 2015).

3.- Con il secondo motivo del ricorso si denunzia “violazione dell’articolo 345 cod. proc. civ. circa il divieto di ius novorum. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (articolo 360 c.p.c., n. 3)”.

Il motivo e’ infondato.

Secondo l’istituto ricorrente gli attori, dopo aver sostenuto in primo grado che l’inadempimento del personale sanitario sarebbe consistito in un errore di lettura e interpretazione degli esami ecografici, nel giudizio di appello avrebbero sostenuto invece che l’errore avrebbe riguardato la stessa esecuzione di tali esami (e tale assunto sarebbe stato poi accolto in sede di gravame). Cio’ costituirebbe non consentito mutamento della domanda.

Correttamente i controricorrenti fanno rilevare, in contrario, che l’esame ecografico, per la sua stessa natura, non consente di scindere nettamente la fase dell’esecuzione, e cioe’ dell’acquisizione delle immagini, da quella della loro interpretazione, dal momento che e’ lo stesso medico ecografista che muove ed angola la sonda che genera le immagini sul monitor, in modo da evidenziare le zone di interesse ai fini della valutazione del corretto sviluppo del feto. L’esecuzione e l’interpretazione dell’esame strumentale costituiscono in sostanza operazione unitaria e sincronica, che non consente la distinzione operata dall’istituto ricorrente.

D’altra parte, il tenore letterale e la complessiva prospettazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado (parzialmente trascritto nello stesso ricorso) non giustificano – ad attento esame – la riduttiva lettura da cui muove il motivo in esame, essendo in esso chiaramente contenuto il riferimento alla possibilita’ di evidenziare, gia’ alla 23 settimana, la presenza di malformazioni del feto, e denunziandosi in definitiva, quale fatto costitutivo della pretesa azionata, l’omessa diagnosi delle suddette malformazioni per l’inesatto adempimento della prestazione professionale avente ad oggetto il relativo esame ecografico.

Rispetto a tale prospettazione non e’ ravvisabile alcun sostanziale mutamento in sede di esposizione dei motivi di gravame (motivi peraltro non trascritti nel ricorso ed indicati in esso solo genericamente), come accolti dalla pronunzia impugnata.

4.- Con il terzo motivo del ricorso si denunzia “Omesso accertamento dei processi patologici che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Violazione e falsa applicazione della L. 22 maggio 1978, n. 194, articolo 6, lettera b) e dell’articolo 2697 c.c.”. Il motivo e’ infondato.

Nella pronunzia impugnata e’ espressamente affrontata e decisa, con adeguata motivazione, la questione della sussistenza del presupposto del grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna, richiesto per l’interruzione della gravidanza dopo il novantesimo giorno dalla L. 22 maggio 1978, n. 194, articolo 6, lettera b).

La corte, premesso che per giustificare l’interruzione della gravidanza non e’ sufficiente un generico danno biologico, essendo necessaria una grave patologia per la salute fisica o psichica della gestante, da accertarsi in termini di alta probabilita’, ha ritenuto nel caso di specie presuntivamente integrato il presupposto in esame – in base ad un giudizio di prognosi postuma – considerando la natura delle malformazioni non diagnosticate e la circostanza che una grave patologia risulta effettivamente insorta a danno dell’attrice, a seguito della nascita del figlio con tali malformazioni.

Si tratta di motivazione esaustiva e immune da vizi logici, come tale certamente non censurabile in sede di legittimita’, del tutto conforma ai principi di diritto desumibili dalle disposizioni cui parte ricorrente assume la violazione.

5.- Con il quarto motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c.. Omessa pronuncia su un fatto decisivo, eccepito in sede di appello (articolo 360 c.p.c., n. 3)”.

Con il quinto motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione della L. n. 194 del 1978, articoli 6 e 7 e articolo 2697 cod. civ. e articolo 54 cod. pen. (articolo 360 c.p.c., comma 3)”.

Con il sesto motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 1223 c.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3)”.

Tali motivi possono essere esaminati congiuntamente, dal momento che essi costituiscono una censura sostanzialmente unitaria, avente ad oggetto la questione della sussistenza del presupposto negativo della possibile vita autonoma del feto, necessario per esercitare il diritto di interrompere la gravidanza dopo il novantesimo giorno in presenza di grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna ma in mancanza di grave pericolo di vita (nella specie pacificamente escluso), nonche’ al relativo onere probatorio.

Essi sono infondati, anche se sul punto si impone una integrazione della motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., u.c..

La corte di appello ha ritenuto abbandonata la questione della sussistenza della possibilita’ di vita extrauterina del feto al momento in cui sarebbe stato possibile diagnosticare le malformazioni del feto e conseguentemente esercitare il diritto di interrompere la gravidanza, in quanto non riproposta con l’appello incidentale, e comunque che fosse onere dell’istituto convenuto provare tale possibilita’.

L’istituto ricorrente sostiene di avere riproposto la questione in sede di appello. Assume in ogni caso che, spettando al danneggiato dimostrare il danno, ai sensi dell’articolo 1223 c.c., erano gli attori a dover provare che non sussisteva possibile vita autonoma del feto, presupposto necessario per avvalersi del diritto di interruzione della gravidanza pur in mancanza di pericolo di vita, come previsto della L. n. 194 del 1978, articoli 6 e 7.

Orbene, effettivamente non possono condividersi le considerazioni della corte di appello in ordine all’abbandono della questione da parte dell’istituto ricorrente, in quanto non riproposta a mezzo di appello incidentale. Essendo l’istituto risultato vittorioso sul punto, era al piu’ da ritenersi necessaria la sua semplice riproposizione ai sensi dell’articolo 346 c.p.c., come di fatto risulta avvenuto con la comparsa di costituzione in secondo grado.

Per quanto poi attiene alla distribuzione dell’onere della prova in relazione al presupposto in esame, non puo’ che ribadirsi, in conformita’ a quanto affermato dalla gia’ richiamata Cass., Sez. U, Sentenza n. 25767 del 22 dicembre 2015, in linea generale, che i presupposti per la legittima interruzione della gravidanza in presenza di gravi malformazioni del nascituro, rientrando tra quelli che integrano il diritto il cui esercizio si assume impedito dalla condotta colposa dei sanitari, vanno provati dalla gestante.

Cio’, peraltro, come precisato dalla stesse Sezioni Unite, puo’ certamente avvenire a mezzo di presunzioni e, di conseguenza, anche sulla base di nozioni di comune esperienza, ai sensi dell’articolo 115 c.p.c..

Orbene, nella specie la corte di merito ha insindacabilmente accertato, in fatto, che le malformazioni della nascitura avrebbero potuto essere diagnosticate attraverso l’ecografia effettuata alla 23 settimana, e a tale stadio della gravidanza (al 10 marzo 1992 erano passati esattamente cinque mesi dal concepimento, che risulta individuato al 10 ottobre 1991) e’ fatto notorio che l’aborto terapeutico per l’ipotesi di gravi malformazioni del feto che potessero provocare grave pericolo per la salute psichica della gestante (pur in mancanza di pericolo di vita), e quindi ai sensi della L. n. 194 del 1978, articolo 6, lettera b), veniva comunemente praticato all’epoca dei fatti, non ritenendosi sussistere alcuna concreta possibilita’ di vita extrauterina del feto.

In tal caso, poi, la sopravvivenza del feto dopo l’aborto non e’ comunque possibile, in quanto la L. n. 194 del 1978, articolo 7, u.c. impone al medico che esegue l’intervento di adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto solo nella diversa ipotesi di aborto praticato ai sensi della lettera a) dell’articolo 6.

La decisione della corte di appello sul punto merita percio’ conferma, sia pure con le correzioni di cui sopra.

6.- Con il settimo motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 cod. proc. civ. e articolo 2236 cod. civ. (articolo 360 c.p.c., n. 3)”.

Anche questo motivo e’ infondato.

L’istituto ricorrente deduce che ne’ il giudice di primo grado ne’ la corte di appello si sarebbero pronunziati sull’eccezione proposta per cui la prestazione richiesta agli ecografisti implicasse problemi di speciale difficolta’.

Ma deve rilevarsi che la corte di appello, all’esito di puntuale disamina delle consulenze mediche di ufficio e di parte, ha ritenuto sussistere negligenza, e quindi colpa dei sanitari che effettuarono l’esame ecografico del marzo 1992, sulla base della circostanza che essi attestarono positivamente il normale sviluppo del feto pur in mancanza del necessario studio morfologico e sulla base di immagini ecografiche del tutto inidonee ad escludere anomalie del sistema nervoso centrale.

E’ evidente che la natura stessa di siffatto inadempimento esclude implicitamente, ma chiaramente, la possibilita’ di ritenere sussistenti problemi di speciale difficolta’ nella prestazione rimasta ineseguita. Con riguardo agli esami ecografici della 30 e della 37 settimana, d’altronde, l’assoluta evidenza della rilevabilita’ delle malformazioni, in base alle immagini acquisite, attestata da tutti i consulenti tecnici, sia di parte che di ufficio, ha del pari impedito di ritenere sussistenti i presupposti per l’esonero dei sanitari che li effettuarono dalla responsabilita’ per colpa lieve.

7.- Il ricorso e’ rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo, nei rapporti tra l’istituto ricorrente e i controricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS).

In considerazione dei motivi della decisione e della circostanza che non risulta impugnata la pronunzia relativa ai rapporti tra l’istituto ricorrente, i sanitari operanti e le compagnie assicuratrici chiamate in causa, si ritengono sussistere ragioni sufficienti per la compensazione delle spese nei rapporti tra l’istituto ricorrente e gli altri controricorrenti.

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, introdotto dall’articolo 1, comma 17, della citata L. n. 228 del 2012.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna l’istituto ricorrente a pagare le spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido, liquidandole in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge;

– dichiara integralmente compensate le spese del presente giudizio nei rapporti tra l’istituto ricorrente e gli altri controricorrenti.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dal L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’istituto ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *