In caso di nullità dell’atto di citazione

Corte di Cassazione, sezione sesta (seconda) civile, Ordinanza 21 febbraio 2020, n. 4710.

La massima estrapolata:

In caso di nullità dell’atto di citazione, dopo che la parte ne abbia eseguito la rinnovazione in conformità al provvedimento del giudice, questi può rilevare un’ulteriore causa di nullità, diversa da quella precedentemente riscontrata, ed emettere un nuovo ordine di rinnovazione, non sussistendo una norma che lo impedisca, né essendo prevista una limitazione quantitativa alle rinnovazioni, purché siano effettuate nel rispetto del termine perentorio assegnato dal giudice o dalla legge. (In applicazione del principio, la S.C. ha escluso il verificarsi dell’estinzione del giudizio nel quale il giudice aveva disposto la rinnovazione della citazione in ragione del mancato avvertimento “ex” artt. 163, comma 3, n. 7, e 38 c.p.c., dopo che la parte aveva ottemperato ad un precedente ordine di rinnovazione, impartito per il mancato rispetto del termine a comparire).

Ordinanza 21 febbraio 2020, n. 4710

Data udienza 12 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE SECONDA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 26014-2017 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS) SNC, (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), CONDOMINIO (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) in virtu’ di procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 377/2017 del TRIBUNALE di TORINO, depositata il 25/01/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/11/2019 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;
Lette le memorie depositate dai ricorrenti.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Nel 2010 (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano locato le proprie unita’ immobiliari dello stabile di (OMISSIS), alla (OMISSIS) snc di (OMISSIS) omettendo di comunicare all’amministratore che i locali sarebbero stati destinati a pub birreria.
Dal momento che tale condotta risultava posta in essere in violazione col regolamento di condominio – nel quale era previsto che “le singole unita’ immobiliari sono destinate ad uso di civile abitazione; qualsiasi altra destinazione deve essere autorizzata dall’Assemblea con la totalita’ dei millesimi condominiali” – (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e il Condominio di (OMISSIS) citavano le due parti contraenti davanti al Tribunale di Torino, chiedendo l’accertamento della violazione e la cessazione dell’attivita’, nonche’ il risarcimento del danno comprensivo di danno biologico. Gli attori chiedevano altresi’ la dichiarazione di superamento delle immissioni sonore della normale soglia di tollerabilita’ ex articolo 844 c.c., con relativo risarcimento del danno, e l’ordine di rimuovere il condizionatore installato all’interno del cortile condominiale, in quanto anch’esso in violazione dei punti 4 e 5 del regolamento e dell’articolo 1102 c.c.. Nel costituirsi, i convenuti eccepivano in via preliminare l’improcedibilita’ del giudizio, e in subordine la sua estinzione, per irregolarita’ relative alla notificazione dell’atto di citazione. Infatti, i primi due atti di citazione non contenevano, tra gli avvertimenti relativi alle preclusioni e decadenze, richiesti all’articolo 163 c.p.c., n. 7, quello relativo alla possibilita’ di eccepire l’incompetenza ai sensi dell’articolo 38 c.p.c.
In un primo momento, infatti, il giudice aveva rilevato la nullita’ dell’atto di citazione in quanto aveva indicato ai convenuti un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge, e pertanto ne ordinava la rinnovazione con l’assegnazione del termine previsto dall’articolo 163 bis c.p.c..
Gli attori avevano provveduto a rinnovare la citazione, ma anche l’atto rinnovato presentava il vizio, gia’ presente nella prima citazione ma senza che fosse stato oggetto di rilievo, costituito dalla assenza dell’avvertimento di cui all’articolo 38 c.p.c., imposto dal novellato articolo 163 c.p.c., n. 7.
I convenuti (OMISSIS) e (OMISSIS) non si costituivano anche in tale occasione, e parte attrice chiedeva di regolarizzare l’atto e ripetere le notifiche alle controparti.
Il giudice concedeva tale termine, mentre a detta dei convenuti, successivamente costituitisi, avrebbe dovuto dichiarare l’estinzione del giudizio ex articolo 307 c.p.c., commi 3-4.
I convenuti nonche’ la societa’ (OMISSIS) s.n.c., parimenti costituitasi a seguito della terza notificazione, contestavano poi nel merito tutte le affermazioni attoree. In particolare, eccepivano come la destinazione ad uso commerciale dei locali fosse antecedente al regolamento contrattuale e le immissioni di rumori, derivanti dallo svolgimento della loro attivita’ commerciale, non superassero la soglia di tollerabilita’ di cui all’articolo 844 c.c.; affermavano, infine, che l’impianto di condizionamento posto nel cortile era stato installato in modo pienamente conforme tanto alle prescrizioni di legge che a quelle condominiali.
Terminata l’istruttoria, il Tribunale di Torino respingeva l’eccezione preliminare e dichiarava fondata la domanda attorea. Con riferimento all’eccezione preliminare di rito, rilevava che l’articolo 307 c.p.c. prevede l’estinzione del processo nel caso in cui le parti non ottemperino all’ordine di rinnovazione entro il termine perentorio; non essendosi verificata tale circostanza, agli istanti non poteva addebitarsi alcun comportamento inerte. Il vizio ulteriore, che veniva rilevato in sede di seconda udienza, poteva essere sanato in quanto non e’ impedita dal codice di rito, la possibilita’ di rilevare in un successivo momento ulteriori vizi, ne’ e’ previsto un numero massimo di rinnovazioni dell’atto di citazione, poiche’ l’unico onere che il legislatore impone alla parte e’ quello di eseguire la rinnovazione della citazione nel rispetto del termine perentorio assegnato dal giudice o dalla legge. Inoltre la costituzione di tutte le parti convenute, sanava qualsiasi vizio relativo alla vocatio in ius.
Con riferimento al merito della questione, si rilevava la circostanza pacifica per cui, almeno dal 1972, nei locali in esame veniva svolta un’attivita’ commerciale (nella specie una lavanderia). Nel 1981, con la redazione del regolamento condominiale, l’allora unico proprietario (OMISSIS) S.p.A. dispose che le singole unita’ immobiliari fossero “destinate a uso abitativo e qualsiasi altra destinazione” dovesse essere “autorizzata dall’assemblea con la totalita’ dei millesimi condominiali”. Per cui, a rigore, il regolamento non vietava lo svolgimento di attivita’ commerciali, ma lo subordinava all’approvazione unanime dei condomini. Dal momento che dall’adozione del regolamento fino al 2010 non vi furono mutamenti nell’attivita’ commerciale svolta nei locali dei convenuti, il mancato consenso dell’assemblea andava inteso come un’accettazione di fatto esclusivamente della pregressa attivita’ commerciale; diversamente, una volta cessata tale attivita’, era onere chiedere all’assemblea condominiale l’autorizzazione per lo svolgimento di una nuova attivita’ commerciale.
Cio’ anche alla luce delle caratteristiche profondamente diverse che intercorrevano tra la vecchia attivita’ (lavanderia) e quella iniziata dai convenuti (pub ristorante): la prima si svolgeva in orario diurno e senza creare rumore o disagio per i condomini; la seconda, in orario notturno, si prestava ad avere una clientela idonea a provocare rumori e schiamazzi.
Ed infatti, all’esito della CTU, emergeva come l’attivita’ svolta nel locale avesse causato disagi, non solo per i condomini, ma anche per il resto del vicinato, ponendo cosi’ in essere una condotta contrastante sia con il punto 4 del regolamento condominiale (nella parte in cui vieta l’esercizio di attivita’ rumorose), sia con l’articolo 844 c.c..
Il Tribunale ordinava altresi’ la rimozione del condizionatore, in quanto in violazione sia dell’articolo 1102 c.c., sia del regolamento condominiale (articolo 4, n. 1, lettera b), secondo cui “e’ vietato occupare anche temporaneamente e con costruzioni provvisorie e con oggetti mobili il cortile le scale ed in genere le parti di uso comune”.
Al contrario disattendeva le domande di parte attrice relative al risarcimento dei danni, ritenendo, in relazione ai condomini, che i disagi derivanti dall’esposizione ai rumori non avessero integrato un danno biologico permanente, mentre quelli lamentati dal condominio risultavano sforniti di prova.
In definitiva il Tribunale, con sentenza n. 377/2017, dichiarata l’attivita’ in violazione delle norme condominiali, ne ordinava la cessazione, ordinava la rimozione dell’impianto di condizionamento e, disattese le domande sul risarcimento dei danni, liquidava le spese di lite, ponendole per i 2/3 a carico dei convenuti – tenuti a pagare anche la CTU audiometrica – e la restante parte a carico degli attori, ai quali venivano addossate le spese per la CTU medica.
La sentenza era tempestivamente appellata da tutti i convenuti, ma la Corte d’appello di Torino, con ordinanza ex articolo 348 bis del 27/06/2017, ritenendo che l’impugnazione non avesse una ragionevole probabilita’ di essere accolta, dichiarava l’appello inammissibile.
Contro la sentenza del Tribunale di Torino n. 377/2017 ricorrono (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS) s.n.c. di (OMISSIS) sulla base di un unico motivo con cui si deduce la “violazione o falsa applicazione dell’articolo 153 c.p.c., comma 1, dell’articolo 164 c.p.c., comma 2, e dell’articolo 307 c.p.c., commi 3 e 4, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.
Gli intimati hanno resistito con controricorso.
Lamentano i ricorrenti che l’intero svolgimento del giudizio di primo grado sia stato compromesso in modo grave e definitivo. Infatti, poiche’ i primi due atti di citazione erano entrambi nulli – per mancanza dell’avvertimento relativo alla decadenza dell’articolo 38, di cui all’articolo 163, comma 3, n. 7, – la concessione di un doppio termine per rinnovare la citazione, senza indicarne le ragioni, sarebbe del tutto erronea e illegittima, trattandosi di un termine perentorio, non prorogabile, ne’ tantomeno reiterabile.
Le argomentazioni addotte dal Tribunale, nel superare l’eccezione, non coglierebbero nel segno perche’ gli attori, che provvidero a rinnovare l’atto di citazione nel termine e per il vizio indicati dal giudice, reiterarono il medesimo errore nel secondo atto.
Cio’ avrebbe determinato l’esaurimento della possibilita’ di sanatoria accordata dall’articolo 164 c.p.c., comma 2, giacche’ il termine ivi previsto ha natura perentoria e come tale, e’ insuscettibile di proroga. Il Tribunale avrebbe violato cosi’ anche l’articolo 153 c.p.c., comma 1, concedendo un ulteriore termine perentorio per la rinnovazione (la seconda) dell’atto di citazione gia’ oggetto di un primo provvedimento.
Considerando che la prima rinnovazione dell’atto di citazione venne disposta non per sanare la nullita’ della mancanza dell’articolo 38 c.p.c., ma per un altro vizio, deve ritenersi che la fattispecie esaminata dal tribunale ricada nella sfera applicativa dell’articolo 307 c.p.c., comma 3, non potendosi sostenere che la citazione fosse stata validamente rinnovata entro il termine perentorio, in relazione al vizio concretamente sussistente.
Il ricorso dev’essere rigettato.
La vicenda, ai fini della corretta decisione, puo’ essere cosi’ riassunta.
In un primo momento il giudice rilevo’ la nullita’ dell’atto di citazione per un vizio relativo alla vocatio in ius specificamente individuato (e cioe’, assegnazione di un termine a comparire inferiore a quello legale).
Ordinata la rinnovazione entro un termine perentorio e con l’assegnazione del termine di cui all’articolo 163 bis c.p.c., gli attori provvidero, correttamente e tempestivamente, a sanare tale vizio, l’unico espressamente individuato dal giudice in detta sede (e non rileva la correttezza o meno di tale rilievo, in risposta all’obiezione mossa dai ricorrenti nelle memorie).
Solo in un secondo momento, ossia in occasione della nuova udienza, venne rilevata per la prima volta la nullita’ dell’atto di citazione per un diverso vizio (la carenza dell’avvertimento circa la decadenza di cui all’articolo 38 c.p.c.), cosi’ che solo allora il giudice dispose la rinnovazione per sanare tale ulteriore vizio. L’articolo 164 c.p.c., comma 1, commina la sanzione della nullita’ all’atto di citazione in cui sia omesso o risulti assolutamente incerto alcuno dei requisiti stabiliti nell’articolo 163, nn. 1 e 2, ovvero nei casi in cui manchi l’indicazione della data dell’udienza di comparizione, sia stato assegnato un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge, ovvero manchi l’avvertimento previsto dall’articolo 163 c.p.c., n. 7.
Ai sensi del comma 2, se il convenuto non si costituisce in giudizio, il giudice, rilevata la nullita’ della citazione ai sensi del comma 1, ne dispone d’ufficio la rinnovazione entro un termine perentorio. Questa sana i vizi e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione. Se la rinnovazione non viene eseguita, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo e il processo si estingue a norma dell’articolo 307 c.p.c., comma 3. Pertanto i casi ai quali consegue l’estinzione di diritto di cui all’articolo 307 c.p.c., sono quelli della mancata ottemperanza all’ordine di rinnovazione, ovvero della esecuzione dell’ordine oltre il termine perentorio, nonche’, secondo parte della dottrina, dell’esecuzione dell’ordine in maniera difforme da quanto disposto dal giudice.
Nel caso di specie, tuttavia, la vicenda non e’ sussumibile all’interno di nessuna di queste ipotesi, posto che, il rilievo in tempi diversi della nullita’ della citazione e’ riconducibile a diverse tipologie di vizi.
Tuttavia, sebbene tali vizi fossero entrambi presenti ab origine, non vennero individuati nella stessa occasione da parte del giudice di primo grado, bensi’ in due momenti differenti.
La mancata indicazione dell’avvertimento di cui all’articolo 163 c.p.c., n. 7, relativo alla decadenza di cui all’articolo 38 c.p.c., ancorche’ presente anche nel primo atto di citazione, non fu rilevata in occasione dell’emissione del primo ordine di rinnovazione della citazione, ma fu oggetto di riscontro da parte del giudice solo nella seconda udienza.
Pertanto, cosi’ sintetizzata in fatto la questione, nessun comportamento inerte puo’ essere addebitato agli odierni controricorrenti, i quali al contrario, in sede di prima rinnovazione, eseguirono correttamente e tempestivamente l’ordine impartito dal giudice (e non rileva, come detto, se effettivamente fosse presente la prima causa di nullita’ che ha dato vita al primo ordine di rinnovazione), e nei loro confronti, dunque, non puo’ essere in alcun modo pronunciata l’estinzione del processo.
Detto cio’ va condiviso anche quanto affermato dal giudice di primo grado secondo cui all’interno del codice di rito non vi e’ alcuna norma che impedisca di rilevare, a seguito di una rinnovazione gia’ avvenuta, ulteriori e/o nuovi vizi, cosi’ come non e’ indicato un numero massimo di rinnovazioni possibili dell’atto di citazione – che pertanto non rappresentano come sostiene il ricorrente “irrituali provvedimenti” – purche’ siano eseguite nel rispetto del termine perentorio assegnato dal giudice o dalla legge.
L’atto di citazione e’ l’atto introduttivo del giudizio di cognizione e la vocatio in ius e’ atto di attivazione del contraddittorio che persegue lo scopo di mettere il convenuto in condizione di esercitare correttamente le proprie difese.
All’atto della costituzione i convenuti, non solo non sono risultati danneggiati dalla doppia rinnovazione della citazione, ma al contrario hanno potuto svolgere perfettamente le loro difese, proponendo eccezioni e chiedendo l’istruzione probatoria, ragion per cui non si e’ mai pervenuti ad una situazione processuale compromessa. In tal senso va peraltro puntualizzato che, diversamente dai vizi relativi ai nn. 1-2, i vizi relativi al n. 7 e al 163 bis comunque non impediscono al convenuto la conoscenza del processo e quindi la possibilita’ di costituirsi entro la prima udienza per eccepirne la nullita’ per mancanza o altro vizio, e chiedere il differimento dell’udienza. La norma ricollega l’estinzione alla mancata rinnovazione entro un termine perentorio in conformita’ del provvedimento del giudice, sicche’ la fattispecie estintiva non e’ tanto legata alla circostanza che l’atto di citazione sia viziato, ma piuttosto al fatto che non si sia data corretta esecuzione al dictum del giudice.
Poiche’ nella fattispecie la parte attrice era stata invitata a sanare solo uno dei vizi che affliggevano la citazione, il quale peraltro fino alla seconda udienza era apparentemente l’unico a rendere invalido l’atto di citazione, e tale invito e’ stato recepito nel termine all’uopo fissato, non si puo’ invocare l’estinzione per non avere emendato anche un vizio che il giudice non aveva rilevato e che fu oggetto di riscontro solo al momento della seconda udienza.
In questo senso va respinta la censura proposta, disattendendo, al contrario, l’affermazione dei ricorrenti secondo cui vi sarebbe stata una “consumazione” o “esaurimento” del rimedio previsto dall’articolo 164, comma 2, in relazione anche al rispetto del termine perentorio, atteso che esso non fu oggetto di proroga, o rinnovazione, posto che vennero assegnati due distinti termini perentori ognuno dei quali funzionale al raggiungimento della sanatoria di due diversi vizi distinti, cosi’ che tra i due non intercorre alcun rapporto di consequenzialita’, restando, invece, perfettamente autonomi l’uno dall’altro.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello,dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato per il ricorso principale a norma degli stessi articoli 1-bis e 13, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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