In materia di procedura ad evidenza pubblica

Consiglio di Stato, Sentenza|10 febbraio 2021| n. 1251.

In materia di procedura ad evidenza pubblica, qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi si fondino sull’inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo. In tal caso, infatti, il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario. Al contrario, è configurabile una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, quando la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario (Cass., Sez. Un., 24 gennaio 2013, n. 1710,; Cons. Stato, Ad. Plen., 29 luglio 2013, n. 17).

Sentenza|10 febbraio 2021| n. 1251

Data udienza 4 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Contributo POR – Decadenza – Recupero somme indebitamente percepite – Accertamento della Guardia di Finanza – Violazione dell’obbligo di svolgere indagini di mercato – Acquisizione di preventivi – Preventivi di spesa contraffatti – Revoca del contributo per ragioni non previste nel bando di gara – Giurisdizione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3428 del 2020, proposto da
Società Cooperativa Agricola C.A.. (Co. Ag. Sv. Ol.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Fr. Na., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Regione Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gr. Pu. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Seconda n. 01769/2019, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Calabria;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 febbraio 2021 il Cons. Ezio Fedullo e viste le note di udienza depositate dall’Avv. Fr. Na.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

Con la sentenza appellata ex art. 105 c.p.a. dall’originaria parte ricorrente, il T.A.R. per la Calabria ha ritenuto di essere sprovvisto di giurisdizione in ordine al ricorso avente ad oggetto l’annullamento del decreto n. 574 del 15 aprile 2013, con il quale la Regione Calabria aveva dichiarato la decadenza della stessa dal contributo POR 2000-2006, precedentemente assentito con DDG n. 108 del 21 luglio 2005, avviando il recupero delle somme indebitamente percepite.
Il provvedimento decadenziale, come emerge dalla documentazione in atti, traeva origine dagli accertamenti compiuti dalla Guardia di Finanza – Nucleo di Polizia Tributaria di Reggio Calabria, come da nota prot. n. 0370774/12 del 20 novembre 2012, con la quale veniva segnalato che la società ricorrente era incorsa nella violazione dell’obbligo di svolgere apposite indagini di mercato volte alla acquisizione di almeno tre preventivi per l’acquisto dello stesso articolo, avendo esibito alla Regione Calabria, ai fini della liquidazione dei benefici, preventivi di spesa per l’acquisto di macchinari e attrezzature che sarebbero risultati “contraffatti”.
Il T.A.R., a supporto della pronuncia declinatoria della giurisdizione oggetto del presente giudizio di appello, ha rilevato che “la predetta contestazione non riguarda la fase di attribuzione dei benefici e di verifica dei requisiti, ma si colloca, a valle, nella fase esecutiva del rapporto, appuntandosi sulla violazione degli obblighi sorti in forza del decreto di attribuzione, sicché l’esercizio del potere di decadenza incide su posizioni di diritto soggettivo”, all’uopo richiamando la pertinente giurisprudenza della Corte regolatrice della giurisdizione.
Mediante i motivi di appello, la parte appellante, pur consapevole dei criteri orientativi elaborati dalla giurisprudenza ai fini della attribuzione della potestas decidendi in subiecta materia, ne trae il corollario secondo cui non sarebbe decisiva la collocazione temporale del provvedimento né la sua tipologia effettuale (a seconda cioè che intervenga nella fase genetica o in quella esecutiva del rapporto concessorio), ma la sua riconducibilità al genus degli atti espressivi di una pubblica potestà, a fronte dei quali si ergono posizioni di interesse legittimo in capo al privato, la cui tutela non può che essere devoluta al giudice amministrativo, ed atti espressivi di un potere di tipo privatistico, cui fa da contraltare il diritto soggettivo del destinatario dei relativi effetti, tutelabile dal giudice ordinario.
Applicando tale discrimen alla fattispecie oggetto di giudizio, evidenzia la parte appellante che la Regione Calabria, mediante il provvedimento impugnato in primo grado, ha disposto la revoca del contributo ad essa concesso per ragioni diverse da quelle contemplate nel bando, dettante le regole del successivo rapporto concessorio tra P.A. e privato, con la conseguenza che la causale della revoca si porrebbe al di fuori di quelle che legittimano la Pubblica Amministrazione, parte del rapporto paritetico conseguente alla concessione, ad influire sul diritto soggettivo del concessionario di percepire o trattenere definitivamente il contributo già percepito e, quindi, non implicherebbe l’esercizio di un diritto attribuito jure privatorum, bensì l’avvalimento di un potere proteso al perseguimento di finalità ulteriori, precisamente individuabili nell’interesse ad evitare che l’apprensione del contributo avvenga mediante la commissione di presunti reati e ad assicurare che l’utilizzazione delle somme erogate avvenga secondo logiche di massimizzazione dell’utilità prodotta dalla spesa pubblica e di scelta dei suoi beneficiari finali, anche indiretti, in maniera imparziale.
Resiste all’appello la Regione Calabria, che chiede la sua reiezione e la conseguente conferma della affermazione del difetto di giurisdizione, recata dalla sentenza appellata.
Giova richiamare, prima di affrontare la questione controversa, i criteri enucleati dalla giurisprudenza (si veda, in particolare, Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 6 del 29 gennaio 2014) ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di concessione e revoca di contributi e sovvenzioni:
” – sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla pubblica amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione (cfr. Cass., sez. un., 7 gennaio 2013, n. 150);
– qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi si fondino sull’inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo. In tal caso, infatti, il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all’inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione (cfr. Cass., sez. un., ord. 25 gennaio 2013, n. 1776, cit.);
– viceversa, è configurabile una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario (Cass., sez. un., 24 gennaio 2013, n. 1710, cit.; Cons. Stato, ad. plen., 29 luglio 2013, n. 17, cit.).”.
Ciò premesso, ed in via di ulteriore chiarificazione dei criteri de quibus, deve osservarsi che non assume rilievo decisivo, ai fini del riparto di giurisdizione, indagare in ordine alla natura dell’interesse perseguito dall’Amministrazione concedente: deve infatti rilevarsi che anche gli atti che si collocano nella fase esecutiva del rapporto, e che sono rigidamente vincolati all’applicazione delle regole che ne presidiano lo svolgimento, non sono teleologicamente assimilabili a quelli propri del soggetto operante jure privatorum (anche dal punto di vista della loro disponibilità ), essendo comunque permeati dall’interesse pubblico che è all’origine della concessione della sovvenzione, in quanto strumentali alla corretta realizzazione degli obiettivi che l’Amministrazione ha inteso perseguire in sede di suo riconoscimento.
Ciò chiarito, va evidenziato che, alla luce della citata giurisprudenza, assume rilievo decisivo, ai fini della individuazione del giudice titolare della giurisdizione allorché sia adottato dall’Amministrazione un provvedimento, comunque nominato, che abbia l’effetto di sottrarre al beneficiario della sovvenzione l’utilità precedentemente riconosciutagli, l’incidenza dello stesso sulla causa genetica del contributo, ergo sulla valutazione discrezionale che la innerva, ovvero, senza mettere in discussione la correttezza di tale valutazione, sub specie della sua conformità alle regole che presiedono al suo compimento, l’inerenza dell’atto alla fase esecutiva del rapporto di concessione, siccome derivante da comportamenti del beneficiario dissonanti rispetto alle regole cui il medesimo è tenuto ad attenersi al fine di garantire che il concreto impiego delle risorse ottenute sia coerente con lo scopo in vista del quale gli sono state riconosciute: nel primo caso, infatti, coinvolgendo l’eventuale giudizio il “cuore” delle valutazioni operate dall’Amministrazione in sede di adozione del provvedimento concessorio, la giurisdizione non potrà che spettare al giudice amministrativo, nel secondo, invece, venendo in rilievo l’osservanza di regole “strumentali” alla corretta gestione del rapporto di concessione, rispetto alle quali la valutazione di rispondenza della sovvenzione all’interesse pubblico, operata a monte dall’Amministrazione, non viene messa in discussione, la cognizione della controversia spetta al giudice ordinario, venendo in rilievo l’osservanza di regole che, pur finalizzate alla corretta ed efficace realizzazione dell’interesse pubblico così come enucleato nel provvedimento di concessione, si collocano “a valle” di quella valutazione.
Nel contesto interpretativo delineato, non assume rilievo, a dispetto di quanto sostiene la parte appellante, che il comportamento ad essa contestato, e posto a fondamento dell’impugnato provvedimento di revoca, sia o meno difforme dalle regole previste dal bando e destinate, alla stregua dello stesso, a disciplinare la fase esecutiva del rapporto di concessione (aspetto che può venire eventualmente in rilievo nella fase di merito della controversia), quanto piuttosto che le ragioni della revoca/decadenza siano estranee alla valutazione ponderativa di interessi che è all’origine del riconoscimento del contributo, la quale non è punto coinvolta, e discendano invece dalla violazione di norme di comportamento destinate a regolare le attività del beneficiario, al fine di evitare che, nella fase esecutiva del rapporto (e ferma restando la validità della sua causa genetica), siano tradite le finalità in vista delle quali è stato instaurato.
Discende dai rilievi che precedono che il provvedimento di revoca/decadenza del contributo impugnato in primo grado, essendo fondato sulle contestate irregolarità inficianti i preventivi acquisiti dalla ditta beneficiaria in relazione alle attrezzature oggetto di finanziamento da acquistare, scaturisce dalla inosservanza di regole destinate a conformare la fase esecutiva del rapporto con l’Amministrazione concedente, con la conseguente devoluzione della sua cognizione alla giurisdizione del giudice ordinario, come correttamente statuito dal giudice di primo grado, stagliandosi a fronte dello stesso in capo al privato posizioni di diritto soggettivo.
L’appello, in conclusione, deve essere respinto.
Sussistono giuste ragioni, in considerazione della peculiarità della fattispecie, per disporre la compensazione delle spese del giudizio di appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del giudizio di appello compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, svolta in modalità telematica, del giorno 4 febbraio 2021 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Garofoli – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere
Ezio Fedullo – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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