In tema di condominio negli edifici l’art. 1137 comma 2 cod. civ.

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|15 dicembre 2020| n. 28508.

In tema di condominio negli edifici, l’art. 1137, comma 2, cod. civ., nel riconoscere ad ogni condominio assente, dissenziente o astenuto la facoltà di ricorrere all’autorità giudiziaria avverso le deliberazioni dell’assemblea del condominio, non pone una riserva di competenza assoluta ed esclusiva del giudice ordinario e, quindi, non esclude la compromettibilità in arbitri di tali controversie, le quali, d’altronde, non rientrano in alcuno dei divieti sanciti dagli artt. 806 e 808 cod. proc. civ. Vertendosi in tema di interpretazione di una clausola arbitrale del regolamento condominiale, l’accertamento della volontà degli stipulanti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che tale accertamento è censurabile in sede di legittimità solo nel caso in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto oppure nel caso di violazione di norme ermeneutiche.

Ordinanza|15 dicembre 2020| n. 28508

Data udienza 20 novembre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Condominio – Delibera assembleare – Impugnazione – Rimozione insegna pubblicitaria posta su parti comuni – Cessazione attività – Arbitrato irrituale – Comodatario – Carenza di legittimazione a impugnare

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE SECONDA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 20854-2019 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
CONDOMINIO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 893/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/11/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

(OMISSIS) ed (OMISSIS) hanno proposto ricorso articolato in due motivi avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 893/2019 del 27 febbraio 2019.
Resiste con controricorso il Condominio Corso Roma, 98,100,102, Cologno Monzese.
(OMISSIS) ed (OMISSIS) impugnarono la deliberazione dell’assemblea 25 marzo 2014 del convenuto Condominio (OMISSIS), nella parte in cui la stessa disponeva la rimozione dell’insegna pubblicitaria e del congegno di apertura del cancello posti su parti comuni, stante la cessazione dell’attivita’ commerciale esercitata da (OMISSIS). (OMISSIS) ed (OMISSIS) dedussero che la delibera ledesse il loro diritto a mantenere tali manufatti consacrato nella scrittura transattiva intervenuta con il Condominio nell’anno 2002 a seguito dell’impugnativa di delibera assembleare del (OMISSIS). Il Tribunale di Monza, accogliendo le rispettive eccezioni sollevate dal Condominio (OMISSIS), dichiaro’ privo di legittimazione ad impugnare la delibera (OMISSIS), in quanto comodatario dell’unita’ immobiliare, nonche’ improcedibile l’azione intentata da (OMISSIS) in forza della clausola arbitrale di cui all’articolo 21 del Regolamento condominiale. La Corte d’appello di Milano ha quindi ritenuto infondato sia il primo motivo di gravame, circa la legittimazione attiva di (OMISSIS), sia il secondo motivo, sussistendo la competenza arbitrale stabilita all’articolo 21 del Regolamento condominiale “per tutte le controversie che dovessero insorgere tanto nell’adempimento del presente Regolamento quanto nell’uso della comproprieta’, qualora non potessero essere sistemate dall’amministratore, oppure si originassero tra amministratore e proprietario”, dovendosi all’uopo nominare un “arbitro amichevole difensore”, ovvero un collegio di arbitri, che “giudicheranno inappellabilmente secondo equita’, prosciolti da formalita’ di giudicato”.
Il primo motivo di ricorso di (OMISSIS) ed (OMISSIS) denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, allegando che la Corte d’appello di Milano avrebbe omesso di considerare che, ai sensi dell’articolo 21 del Regolamento condominiale, il ricorso all’arbitrato sarebbe invocabile solo per controversie riguardanti diritti condominiali disponibili, mentre la rimozione dell’insegna pubblicitaria e del congegno di apertura del cancello, deliberati dall’assemblea 25 marzo 2014, non era piu’ nella disponibilita’ del Condominio a seguito della transazione intervenuta nell’anno 2002, essendo l’utilizzo del bene comune ormai cristallizzato in quell’accordo. La delibera impugnata sarebbe anche stata adottata sul falso presupposto dell’avvenuta cessazione dell’attivita’ commerciale da parte di (OMISSIS).
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione degli articoli 1137 e 1372 c.c., allegandosi la sussistenza di un interesse concreto di (OMISSIS) ad impugnare la delibera, stante il danno che il comodatario subirebbe dalla rimozione dell’insegna pubblicitaria e del congegno di apertura del cancello inerenti alla sua impresa commerciale.
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilita’ nelle forme di cui all’articolo 380 bis c.p.c., in relazione all’articolo 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
In via pregiudiziale, deve affermarsi l’ammissibilita’ del ricorso, trattandosi di decisione che ha affermato l’esistenza e la validita’ di un arbitrato irrituale e che, percio’, non ha pronunciato sulla controversia, in quanto tale non suscettibile di impugnazione con il regolamento di competenza, atteso che la pattuizione dell’arbitrato irrituale determina l’inapplicabilita’ di tutte le norme dettate per quello rituale, ivi compreso l’articolo 819 ter c.p.c. (Cass. Sez. 6 – 3, 31/07/2017, n. 19060; Cass. Sez. 6 – 3, 17/01/2013, n. 1158).
Il primo motivo non tiene conto che l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). I ricorrenti, nella prima censura, non si dolgono dell’omesso esame di un fatto storico, e cioe’ di un dato materiale, ma invocano inammissibilmente che la Corte di cassazione proceda ad una diversa interpretazione della portata della clausola compromissoria rispetto a quella compiuta dalla Corte d’appello di Milano.
E’ uniforme l’orientamento di questa Corte secondo cui l’articolo 1137 c.c., comma 2, nel riconoscere ad ogni condominio assente, dissenziente o astenuto la facolta’ di ricorrere all’autorita’ giudiziaria avverso le deliberazioni dell’assemblea del condominio, non pone una riserva di competenza assoluta ed esclusiva del giudice ordinario e, quindi, non esclude la compromettibilita’ in arbitri di tali controversie, le quali, d’altronde, non rientrano in alcuno dei divieti sanciti dagli articoli 806 e 808 c.p.c. (Cass. Sez. 2, 20/06/1983, n. 4218; Cass. Sez. 2, 05/06/1984, n. 3406; Cass. Sez. 1, 10/01/1986, n. 73)
Vertendosi in tema di interpretazione di una clausola arbitrale, l’accertamento della volonta’ degli stipulanti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che detto accertamento e’ censurabile in sede di legittimita’ solo nel caso in cui la motivazione sia cosi’ inadeguata da non consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto oppure nel caso di violazione di norme ermeneutiche (Cass. Sez. 6 – 1, 27/03/2012, n. 4919).
La Corte d’appello di Milano – in presenza di una clausola compromissoria di natura irrituale, come desumibile dalla qualificazione degli arbitri quali “amichevoli compositori”, che prevede il deferimento agli stessi di qualsiasi controversia tra amministratore e singoli condomini comunque riguardante l’uso della comproprieta’ – ha plausibilmente ricompreso nelle attribuzioni del collegio arbitrale l’impugnazione di una deliberazione assembleare concernente la rimozione di manufatti esistenti su parti comuni. La dedotta nullita’ della delibera impugnata, perche’ asseritamente in contrasto con precedente accordo transattivo costitutivo di un assetto convenzionale dei diritti dei contendenti sui beni comuni per cui e’ causa, nonche’ l’erroneita’ dei presupposti di fatto su cui essa poggia, non investono diritti o situazioni sottratte alla disponibilita’ delle parti, rientrando nella competenza arbitrale la stessa cognizione delle ragioni di invalidita’ di tale delibera. Anche il secondo motive di ricorso e’ del tutto infondato. In tema di condominio, il generale potere ex articolo 1137 c.c. di impugnare le deliberazioni condominiali contrarie alla legge o al regolamento compete al proprietario della singola unita’ immobiliare, mentre non spetta al comodatario di un’unita’ immobiliare, essendo lo stesso titolare non di un diritto reale, ma di un diritto personale derivante da un contratto ad effetti obbligatori (arg. da Cass. Sez. 2, 25/10/2018, n. 27162). A colui che, come il comodatario (OMISSIS), terzo rispetto ai rapporti reali che legano i proprietari delle singole unita’ immobiliari, intenda prospettare la titolarita’ di una situazione giuridica qualificata da una correlazione agli effetti della deliberazione adottata dall’assemblea, ferma la preclusione all’impugnativa ex articolo 1137 c.c., puo’ altrimenti accordarsi eventualmente l’interesse a proporre un’azione di mero accertamento della eventuale nullita’ della delibera o ad agire in sede risarcitoria.
Il ricorso va percio’ rigettato e i ricorrenti vanno condannati a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater – da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in favore in complessivi Euro 1.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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