REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere
Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere
Dott. RUSSO Rita Elvira Anna – Consigliere
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1854-2022 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS) che lo rappresenta e difende, con procura speciale in atti;
– ricorrente –
-contro-
(OMISSIS), elett.te domic. presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), dal quale e’ rappres. e difesa, unitamente all’avv. (OMISSIS), con procura speciale a margine del controricorso;
-controricorrente-
avverso l’ordinanza n. 4310-2021, emessa dalla CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 15/6/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2/03/2023 dal Cons. rel., Dott. ROSARIO CAIAZZO.
In tema di determinazione dell’assegno di divorzio
RILEVATO CHE
(OMISSIS), premesso di essersi separato consensualmente dal coniuge (OMISSIS) ai patti omologati dal Tribunale di Roma nel 2011- con i quali era stato stabilito che il (OMISSIS), oltre a provvedere in via esclusiva al mantenimento della prole, versasse alla moglie un assegno mensile di Euro 1000,00 e provvedesse a pagarle il canone per la locazione dell’alloggio ove ella si era trasferita a vivere per l’ulteriore somma di Euro 1150,00- adiva il Tribunale di Roma chiedendo: la cessazione degli effetti civili del matrimonio; che ciascuna parte provvedesse autonomamente al proprio mantenimento, e che i figli della coppia- maggiorenni, ma all’epoca dell’inizio del giudizio non economicamente autosufficienti- continuassero a vivere presso l’abitazione paterna con un contributo al mantenimento a carico della madre nella misura da individuarsi in via equitativa.
Si costitui’ (OMISSIS) la quale chiedeva che le fosse riconosciuto l’assegno divorzile per Euro 4000,00 al mese, sul presupposto di non poter disporre di redditi da attivita’ lavorativa o di utili della societa’ di cui era socia, anche in ragione dei cospicui cespiti patrimoniali e dei redditi del marito, avendo cooperato all’attivita’ di ristorazione svolta da quest’ultimo senza riceverne compenso.
Con ordinanza presidenziale del 12.1.16, l’assegno divorzile a favore della moglie fu ridotto a Euro 750,00 mensile; con successiva ordinanza dell’11.5.16, decidendo il reclamo di (OMISSIS) la Corte d’appello, rilevato che il ricorrente non aveva richiesto al Tribunale alcuna rivisitazione del suo onere di mantenimento come scaturito dagli accordi per l’ancor vigente regime di separazione, e che la societa’ partecipata dalla moglie era stata costituita prima dell’omologa dei suddetti accordi, lo accoglieva ripristinando l’originario importo di Euro 1000,00.
In tema di determinazione dell’assegno di divorzio
Con sentenza non definitiva del 9.8.16 fu pronunciata la cessazione degli effetti civili del matrimonio; nel 2018 fu emessa la sentenza definitiva con la quale fu rigettata la domanda di assegno di divorzio proposta dalla (OMISSIS), revocando quello gia’ corrisposto dal (OMISSIS) a far data da settembre 2016.
Con sentenza depositata il 15.6.21, su appello di (OMISSIS), la Corte territoriale, in riforma della sentenza impugnata, e in parziale accoglimento della domanda dell’appellante, ha condannato il (OMISSIS) a versare l’assegno divorzile per Euro 2150,00 mensile da settembre 2016, in tale importo dovendo ritenersi compresa la somma da lui dovuta per sostenere gli oneri locativi dell’ex-coniuge, osservando che: premesso che il c.t.u. aveva dichiarato di non aver potuto acquisire tutta la documentazione bancaria riferibile all’appellato e alle societa’ da lui partecipate, plurimi elementi oggettivi di valutazione consentivano di ritenere assolutamente sottostimato il reddito annuo del (OMISSIS), come fiscalmente dichiarato pari a Euro 78.500,00 netti; la notevole redditivita’ dell’attivita’ imprenditoriale di quest’ultimo nel campo della ristorazione era attestata gia’ dal riscontro che, in costanza di matrimonio, aveva acquistato, con i suoi proventi, un locale in Roma ove e’ esercitata l’attivita’ d’impresa di ristorazione e altro, con 18 dipendenti, nonche’ un appartamento, un negozio, un terreno adibito a parcheggio, intestato alla (OMISSIS) s.r.l., da lui partecipata con il fratello, e un immobile frazionato in tre ambienti tutti affittati; era documentato ed incontestato il reddito annuale da locazione riferibile all’appellato o alle societa’ da lui partecipate, pari a Euro 159.000,00 (quest’ultimo aveva al riguardo dichiarato di ricavarne un reddito inferiore a Euro 1000,00 mensile); era al riguardo inverosimile che l’attivita’ del locale storico attivo dal 1954 in (OMISSIS), con numerosi addetti, avesse prodotto un reddito annuo di Euro 16.327,00; pertanto, il giudice di primo grado aveva ritenuto di poter presumere che il (OMISSIS) avesse predisposto in favore della moglie un patrimonio idoneo a garantire reddito e stabilita’ economica, adeguato a far fronte alla crisi coniugale, cio’ con riferimento all’acquisizione degli immobili intestati alla (OMISSIS) (OMISSIS) s.r.l. partecipata in pari quota dalla moglie e dal fratello, stimati dal c.t.u. Euro 294.157,00 per la sola quota della (OMISSIS); tale assunto non era condivisibile in quanto il (OMISSIS) non ha provato di aver sostenuto esborsi a tal fine, risultando peraltro che la (OMISSIS) s.r.l. era stata costituita nel 2000, 11 anni prima che il (OMISSIS), in sede di separazione, concordasse di versare alla moglie l’assegno di mantenimento di Euro 1000,00 al mese e di pagarle il canone di locazione dell’alloggio ove ella si era trasferita a vivere; il c.t.u. aveva riscontrato la mancata distribuzione di utili ai due fratelli soci, poi, con lodo arbitrale del 4.12.2020 l’appellante aveva ottenuto la condanna del fratello al versamento alla societa’ della somma di Euro 84.836,00 per sue malversazioni delle casse societarie nella qualita’ di amministratore per gli anni dal 2011 al 2017; per l’anno 2017, il c.t.u. aveva accertato che gli utili, al netto della tassazione, ammontavano a circa Euro 1000,00 netti per socio; la ex-moglie aveva profuso un notevole impegno in famiglia per l’accudimento e la crescita dei tre figli in 25 anni di durata della relazione familiare, contribuendo in tal modo al notevole incremento patrimoniale dell’ex-marito acquisito nel corso del matrimonio; pertanto, l’assegno divorzile rispondeva alle funzioni assistenziale, compensativa e perequativa (con riferimento alle SU n. 18287/18) che equitativamente era da fissare nella somma mensile di Euro 2150,00- pari a quello stabilito in sede di separazione-comprensivo del canone locatizio, con decorrenza dalla data della sentenza non definitiva di divorzio del settembre 2018.
(OMISSIS) ricorre in cassazione con quattro motivi. (OMISSIS) resiste con controricorso, illustrato con memoria.
In tema di determinazione dell’assegno di divorzio
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione degli articoli 112, 113, 115, 116, c.p.c. per aver la Corte d’appello esposto circostanze inveritiere in ordine al contenuto della c.t.u., poiche’ da quest’ultima non si desumeva- come affermato nella sentenza impugnata- che il consulente avesse richiesto alle parti documenti bancari, ma che invece avesse concordato con i due c.t.p. di richiedere gli estratti-conto bancari alla Guardia di Finanza e non al (OMISSIS).
Il ricorrente si duole altresi’ del fatto che il c.t.u. avesse affermato che “appariva evidente come la mancanza dell’analisi riguardante i conti correnti bancari delle parti rende la presente valutazione non esaustiva a rispondere al quesito del giudice istruttore..”, atteso che tale rilievo era dipeso dal diniego del giudice di concedere la proroga dei termini richiesta dallo stesso c.t.u.
Il secondo motivo denunzia violazione dell’articolo 116, comma 1, c.p.c., per aver la Corte territoriale ritenuto che sussistessero plurimi elementi oggettivi di valutazione per considerare sottostimato il reddito annuo del ricorrente, in quanto la Guardia di Finanza non aveva evidenziato nulla a suo carico, ne’ la documentazione prodotta era stata contestata compiutamente. Inoltre, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello avrebbe violato il limite delle prove legali costituito dalla dichiarazione contenuta nell’atto notorio presentato nelle forme dell’atto pubblico, insindacabile fino a prova contraria, non raggiunta nella specie, peraltro incorrendo in contraddizione nell’affermare che verosimilmente l’ex-moglie avesse tratto dalla collaborazione con il sindacato UGL solo un rimborso-spese.
Il terzo motivo denunzia violazione degli articoli 112, 113, 115, 116, c.p.c., per aver la Corte d’appello travisato il contenuto delle prove testimoniali assunte su istanza del ricorrente, avendo i testimoni confermato le dichiarazioni del (OMISSIS) secondo le quali il denaro utilizzato per l’acquisto dei due immobili intestati alla (OMISSIS) s.r.l. proveniva dallo stesso ricorrente e non dal padre della ex-moglie che, invece, aveva elargito somme di denaro al fratello di lei.
Il quarto motivo denunzia violazione dei principi di cui alla l. n. 898/70, per aver la Corte d’appello omesso di accertare l’inadeguatezza dei mezzi della (OMISSIS) e dell’impossibilita’ di procurarseli per ragioni oggettive, considerato che la stessa non aveva mai cercato attivita’ lavorative, pur avendone la possibilita’, non essendo sufficiente, al fine del riconoscimento dell’assegno divorzile, l’attivita’ di accudimento della prole.
Il primo motivo e’ inammissibile, in quanto fondato sulla richiesta di una valutazione alternativa dei fatti cosi’ come accertati dalla Corte d’Appello anche attraverso l’indagine tecnica svolta ma con esame ben piu’ ampio delle emergenze istruttorie.
In tema di determinazione dell’assegno di divorzio
Il secondo motivo e’ inammissibile, in quanto la Corte territoriale ha fondato il proprio convincimento su plurimi elementi consistenti nel complessivo, cospicuo, patrimonio del ricorrente (analiticamente descritto nella sentenza impugnata) acquisito in costanza del matrimonio con i proventi conseguiti con le sua attivita’ imprenditoriali (e segnatamente con la storica impresa situata di fronte l’ingresso di (OMISSIS) in (OMISSIS) in relazione alla quale il giudice di secondo grado ha evidenziato l’eccessiva esiguita’ del reddito annuo a fronte delle dimensioni di tale impresa).
Pertanto, la doglianza afferente al fatto che la polizia tributaria non avesse formulato rilievi circa quanto dichiarato dal (OMISSIS) nell'”atto notorio” e’ stata ritenuta priva di rilievo alla stregua del complessivo esame dei fatti svolto con motivazione del tutto adeguata dal giudice di merito. Infine quanto al contenuto dello stesso documento va osservato che contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, esso non e’ un atto pubblico, ma una semplice scrittura privata destinata all’autorita’ pubblica per fornire una rappresentazione patrimoniale dell’interessato non vincolante “fino a prova contraria” ovvero un elemento probatorio che la Corte territoriale ha esaminato nel complesso degli altri documenti e mezzi di prova, con argomentazioni e valutazioni non sindacabili in questa sede.
Il terzo motivo e’ inammissibile perche’ diretto a sindacare il potere discrezionale del giudice di esaminare le prove testimoniali, atteso che il ricorrente si duole che il giudice abbia interpretato in maniera a lui sfavorevole le dichiarazioni dei testi da lui addotti.
Il quarto motivo e’ parimenti inammissibile. Invero, va osservato che la Corte d’appello, investita della domanda di corresponsione di assegno divorzile, deve accertare l’impossibilita’ dell’ex-coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessita’ di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi; l’assegno divorzile, infatti, deve essere adeguato anche a compensare il coniuge economicamente piu’ debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale (Cass., n. 38362/21).
E’ stato altresi’ affermato che, in tema di determinazione dell’assegno di divorzio, il principio secondo il quale, sciolto il vincolo coniugale, ciascun ex-coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, e’ derogato, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, “ex post” divenuto ingiustificato, che deve percio’ essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa, adeguato a compensare il coniuge economicamente piu’ debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali, che il richiedente l’assegno ha l’onere di indicare specificamente e dimostrare nel giudizio (Cass., SU, n. 18287/18; n. 23583/22).
In tema di determinazione dell’assegno di divorzio
Ora, nel caso concreto, in conformita’ dei suddetti principi affermati da questa Corte, il giudice di secondo grado ha ritenuto che la controricorrente abbia diritto all’assegno divorzile nella misura stabilita; infatti, e’ stato accertato, con motivazione insindacabile in questa sede, che la controricorrente si era dedicata per tutta la durata del matrimonio all’accudimento e all’educazione di tre figli, quale scelta condivisa con l’ex-coniuge, costituendo cio’ una ragione impeditiva dello svolgimento di attivita’ lavorative.
Ne consegue che l’assegno e’ stato correttamente liquidato in favore della controricorrente, nella sua declinazione compensativa e perequativa, sulla base della disparita’ reddituale-patrimoniale tra gli ex-coniugi, e del contributo che la (OMISSIS) aveva apportato alla formazione del patrimonio dell’ex-marito.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 4200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Dispone che ai sensi del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalita’ e gli altri dati identificativi delle parti.