In tema di giudizi disciplinari nei confronti degli avvocati

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|10 giugno 2021| n. 16296.

In tema di giudizi disciplinari nei confronti degli avvocati, soggetti al nuovo codice deontologico forense approvato il 31 gennaio 2014, l’applicazione del criterio del “favor rei”, di cui all’art. 65, comma 5, della l. n. 247 del 2012, richiede l’individuazione del trattamento sanzionatorio più favorevole che, in caso di comparazione tra la abrogata sanzione della cancellazione dall’albo e la sospensione dall’esercizio della professione forense prevista dalla nuova normativa, va effettuata in concreto, tenendo conto della possibilità prevista dal regime previgente di reiscrizione dopo un periodo minimo di due anni, dei criteri fissati per un eventuale aumento di tale periodo e del tempo occorrente per la presentazione della relativa istanza.

Sentenza|10 giugno 2021| n. 16296. In tema di giudizi disciplinari nei confronti degli avvocati

Data udienza 4 giugno 2019

Integrale

Tag/parola chiave: Avvocati – Disciplinare – Sanzioni – Ingresso nelle aule dell’esame di abilitazione per aiutare i candidati – Utilizzo di tesserino simile a quello dei commissari – Sospensione – maggior rigore in luogo dell’abrogata cancellazione – Ricorso – Accoglimento

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f.

Dott. MANNA Felice – Presidente di Sez.

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 5536/2019 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ROMA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 176/2018 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 13/12/2018.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/06/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS).
CENNI DEL FATTO
L’avvocato (OMISSIS) impugna, sulla base di tre motivi illustrati con successiva memoria, la sentenza del Consiglio Nazionale Forense che, in sede di rinvio disposto dalla sentenza di queste Sezioni Unite 16 febbraio 2015, n. 3023, ha rideterminato la sanzione inflittagli nella sospensione dall’esercizio dall’attivita’ professionale per due anni, in sostituzione della cancellazione originariamente applicatagli, per essersi abusivamente introdotto, munito di appunti e trasmettitori, esibendo un tesserino simile a quello in dotazione ai commissari di esame e qualificandosi delegato del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma, nelle aule dove si svolgeva la sessione di esami di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato per l’anno 2010, ed aver tentato di favorire partecipanti all’esame.
Nella decisione ora impugnata il CNF premetteva che secondo le Sezioni unite, alla luce della L. 31 dicembre 2012, n. 247, articolo 65, comma 5, il quale detta la disciplina transitoria delle norme deontologiche forensi, “la successione nel tempo delle norme dell’allora vigente e di quelle dell'(allora) emanando nuovo codice deontologico (e delle ipotesi di illecito e delle sanzioni da essi rispettivamente contemplati) doveva essere improntata al criterio del favor rei”; e premetteva ancora che, nel quadro di una “tendenziale tipizzazione degli illeciti disciplinari e delle relative sanzioni, venivano richiamati dalla Cassazione, in relazione al caso di specie, “i principi generali rilevanti del nuovo codice deontologico forense (l’articolo 9, comma 2, in tema di doveri di probita’, dignita’, decoro e indipendenza, e l’articolo 20 sulla responsabilita’ disciplinare), nonche’ l’articolo 72 (esame di abilitazione), che sembrerebbe aver tipizzato l’illecito contestato” all’avvocato ricorrente.
E rilevava quindi che, una volta scomparsa dal catalogo delle sanzioni la cancellazione dall’albo per effetto della lex mitior, non restava che applicare al caso di specie integralmente lo ius superveniens, il quale in luogo della cancellazione prevede la sanzione meno afflittiva della sospensione, attualmente consistente nell’esclusione temporanea, aumentata sino a cinque anni, dall’esercizio della professione, sanzione che si applica per infrazioni consistenti in comportamenti e in responsabilita’ gravi quando non sussistono le condizioni per irrogare la sola sanzione della censura.
Il Consiglio nazionale forense osservava che in presenza di una fattispecie illecita complessa come quella in esame, costituente il risultato di una pluralita’ di comportamenti, uno tipizzato (l’articolo 72 menzionato) e gli altri non tipizzati, ancorche’ alcuni riconducibili alle fattispecie dell’interruzione di pubblico servizio e sostituzione di persona, “la sanzione non poteva che essere grave e dunque ablativa”, essendo del resto prevista la sospensione fino a tre anni nella piu’ lieve ipotesi di colui che si limiti “senza artifizi e raggiri” a far pervenire testi agli esaminandi.
E benche’ sussistessero in linea teorica i presupposti per una sanzione piu’ grave, il CNF riteneva congruo infliggere, in sostituzione della cancellazione, la diversa pena della sospensione dall’esercizio dell’attivita’ professionale per il periodo di due anni.
Dalla valutazione – tra l’altro – della situazione di carattere personale e familiare invocata come esimente derivava poi un siffatto contenimento della sanzione, che potrebbe assurgere ai massimi previsti dal richiamato articolo 72, vale a dire tre anni, se solo si valutassero gli ulteriori comportamenti, supra evidenziati, costituenti illeciti autonomi suscettibili di concorrere a determinare la sanzione incrementandola.
Il ricorrente ha depositato memoria ed il Procuratore generale conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo il ricorrente denuncia “errata individuazione ed applicazione della “disciplina piu’ favorevole” e conseguente errata applicazione del principio di diritto fissato dalla Corte di cassazione e violazione del principio di reformatio in peius e dei principi fissati dall’articolo 394 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4″.
Il giudice del rinvio avrebbe disatteso non solo quanto espressamente richiesto dalla stessa Cass. n. 3023 del 2015, ma al contempo il principio di reformatio in pejus e quanto disposto dalla L. n. 247 del 2012, articolo 65, comma 5, secondo la quale le norme contenute nel codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, ma solo se piu’ favorevoli all’incolpato; la decisione sarebbe inoltre contraddittoria, perche’ e’ lo stesso CNF a dare atto di dover scegliere la disciplina piu’ favorevole all’incolpato, il quale pero’ poi finirebbe per subire una condanna piu’ grave di quella ricevuta in forza della disciplina pregressa.
Con il secondo motivo, denunciando “errata considerazione di un fatto decisivo per il giudizio ex articolo 360 c.p.c., n. 5”, “contesta la sentenza impugnata per aver considerato diversi fatti ritenuti decisivi per il giudizio per i quali non vi e’ prova in atti della loro sussistenza, ed anzi ne e’ esclusa la veridicita’”.
Col terzo motivo, intestato “errata applicazione della sanzione nella misura massima, prevista per una fattispecie tipizzata, ad un comportamento non tipizzato; violazione di legge – applicazione della sanzione massima ex articolo 72, comma 2, del codice deontologico forense (approvato dal CNF il 31 gennaio 2014 e pubblicato nella G.U. n. 241 del 16 ottobre 2014) per un comportamento non attribuibile all’incolpato e non provato, in violazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 3”, il ricorrente si duole che il CNF abbia ritenuto di poter sanzionare l’incolpato sia per comportamenti tipizzati, che per comportamenti non tipizzati, in applicazione dell’articolo 72 del codice deontologico, in violazione della sentenza di questa Corte che ha chiaramente definito l’ambito della responsabilita’ rinviando all’applicazione degli articoli 9 e 72 e non altri, e si duole per avere il CNF omesso di considerare diversi fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ed adeguatamente evidenziati negli atti difensivi e nelle decisioni di merito, applicando la sanzione di tre anni prevista pero’ per chi riveste la qualita’ di commissario d’esame e non per il singolo avvocato.
Il secondo ed il terzo motivo, dal cui esame conviene muovere per segnare i confini del presente contenzioso, si rivelano inammissibili, perche’ il CNF e’ il giudice del rinvio, cui queste Sezioni unite (Cass. 16 febbraio 2015, n. 3023), – disattesi gli altri motivi -, hanno rimesso gli atti: “il quarto motivo di ricorso, incidente sulla misura della sanzione, induce, viceversa, a cassare, sul punto, la sentenza impugnata ed a rinviare corrispondentemente gli atti al Consiglio nazionale forense per un nuovo esame”.
Il primo motivo e’ fondato, per non avere il Consiglio nazionale forense, giudice del rinvio, applicato al giudizio in corso il principio fissato da questa Corte, avendo condotto un esame difettoso o incompleto ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile alla luce del principio del favor rei introdotto nella materia,
Questa Corte ha infatti affermato, in tema di giudizi disciplinari nei confronti degli avvocati, che le norme del codice deontologico forense approvato il 31 gennaio 2014 si applicano anche ai procedimenti in corso – come nella specie – al momento della sua entrata in vigore, se piu’ favorevoli per l’incolpato, avendo la L. 31 dicembre 2012, n. 247, articolo 65, comma 5, recepito il criterio del favor rei, in luogo del criterio del tempus regit actum (Cass. n. 3023 del 2015, cit.).
Si e’ inoltre precisato che, ai sensi della L. n. 247 del 2012, articolo 65, comma 5, che ha recepito il criterio del “favor rei” in luogo di quello del “tempus regit actum”, le norme contenute nel nuovo codice deontologico forense, approvato il 31 gennaio 2014, si applicano ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, se piu’ favorevoli per l’incolpato; ne consegue che l’individuazione del regime giuridico piu’ favorevole deve essere effettuata non in astratto, ma con riguardo alla concreta vicenda disciplinare, tenendo conto di tutte le conseguenze che potrebbero derivare dall’integrale applicazione di ciascuna delle due normative nella specifica fattispecie; tuttavia, all’esito dell’individuazione, quella ritenuta piu’ favorevole deve essere applicata per intero, dovendo escludersi la possibilita’ di operare una combinazione tra la vecchia e la nuova normativa ricavandone arbitrariamente una terza attraverso l’utilizzo e l’applicazione di parti dell’una e parti dell’altra (Cass. sez. un. 12 aprile 2021, n. 9546; vedi inoltre (Cass., sez. un., 27 dicembre 2017, n. 30993).
E’ quindi corretto l’assunto del ricorrente, secondo il quale per stabilire se la sanzione della sospensione inflitta in concreto risulti piu’ o meno afflittiva di quella della cancellazione originariamente inflitta dal COA, il Consiglio nazionale forense avrebbe dovuto procedere a comparare i trattamenti sanzionatori in concreto, tenendo conto del fatto che “la cancellazione” dall’albo, tacitamente abrogata con la vecchia disciplina, consentiva comunque all’avvocato, nell’ambito del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma (COA Roma, adunanza del 18 febbraio 1993, Reiscrizione di professionista forense negli albi da cui sia stato cancellato per misura disciplinare) di chiedere la reiscrizione dopo un periodo minimo di due anni, termine “suscettibile di aumento per quel che in appresso verra’ chiarito”.
Una siffatta clausola (termine “suscettibile di aumento…”) non potrebbe venire in gioco nel caso di specie, come sembra osservare il Procuratore generale nelle conclusioni rassegnate, in base ai “criteri” fissati nella disciplina della reiscrizione, che per lo specifico illecito in esame non avrebbe richiesto “l’allegazione di alcuna avvenuta restituzione o risarcimento, non essendovi stato maneggio di danaro”, ne’ alcuna certificazione di riabilitazione, i non essendo intervenuta condanna penale, e senza dover dimostrare di aver risarcito danni a terzi, non sussistendo, nel caso in esame, alcun pregiudizio per i terzi.
Nella comparazione fra previgente e nuova disciplina il CNF avrebbe dovuto valutare le possibilita’ del sanzionato di chiedere la reiscrizione e chiarire il periodo occorrente per la presentazione dell’istanza, per “poter stabilire – osserva il Procuratore generale che un periodo di sospensione triennale, ancorche’ ridotto ad anni due per la concessione di attenuanti, doveva considerarsi, nel caso concreto, trattamento sanzionatorio piu’ mite rispetto alla disposta cancellazione, al fine della corretta applicazione del principio del favor rei.
Ai fini dell’osservanza della previsione di cui alla L. n. 247 del 2012, articolo 65, comma 5, gli atti vanno rimessi al giudice della deontologia, affinche’ proceda, oltre che alla definitiva qualificazione della condotta ascritta, alla determinazione della sanzione anche alla luce della disciplina sopravvenuta.
Vanno pertanto disattesi il secondo ed il terzo motivo del ricorso, mentre, decidendo sul primo motivo, la sentenza impugnata va cassata, con corrispondente rinvio della causa, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimita’, al Consiglio nazionale forense in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte, a sezioni unite, accoglie il primo motivo e dichiara l’inammissibilita’ del secondo e terzo motivo, cassa la sentenza impugnata in ordine al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, al Consiglio nazionale forense.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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