In tema di ingiuria e diffamazione, il comportamento provocatorio deve essere contrario alla civile convivenza secondo una valutazione oggettiva

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 6 settembre 2018, n. 40091.

La massima estrapolata:

In tema di ingiuria e diffamazione, il comportamento provocatorio, di cui alla causa di non punibilita’ prevista dall’articolo 599 c.p., comma 2, anche quando non integra gli estremi di un illecito codificato, deve essere contrario alla civile convivenza secondo una valutazione oggettiva e non in ragione della percezione negativa che del medesimo abbia avuto l’agente.
In tema di ingiuria, l’esimente della provocazione di cui all’articolo 599 c.p., comma 2, si configura in presenza di un comportamento contrario alle norme giuridiche ovvero all’insieme delle regole sociali vigenti in un contesto di civile convivenza. 

Sentenza 6 settembre 2018, n. 40091

Data udienza 7 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente

Dott. MAZZITELLI Caterina – Consigliere

Dott. MORELLI Francesc – rel. Consigliere

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere

Dott. SCARLINI Enrico V.S. – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/07/2017 della CORTE APPELLO di CATANZARO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCA MORELLI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. MARINELLI Felicetta, che ha concluso chiedendo;
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’;
udito il difensore Avv. (OMISSIS), in sostituzione dell’Avv. (OMISSIS) per la parte civile;
Il difensore di parte civile presente conclude per l’inammissibilita’ del ricorso e contestualmente deposita conclusioni con nota spese.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Cosenza che aveva condannato (OMISSIS) alla pena di giustizia ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile, in quanto colpevole di diffamazione in danno di (OMISSIS).
1.1. Viene fatto carico a (OMISSIS) di avere offeso la reputazione della parte offesa in un comunicato trasmesso ad alcune testate giornalistiche, riportato poi in articoli di stampa, in cui il (OMISSIS) – suo avversario politico- veniva indirettamente accusato di avere un passato da fascista, di avere preteso del denaro da un suo assessore, di avere inserito dei congiunti in organizzazioni a lui riconducibili, di essere stato destinatario di accuse infamanti.
2. Propone ricorso l’imputato, per il tramite del difensore, denunziando violazione di legge e vizi motivazionali laddove la sentenza impugnata ha ritenuto provato che il destinatario delle espressioni offensive fosse proprio la parte lesa (OMISSIS) e non ha accolto la tesi della provocazione.
Si evidenzia, a tale proposito, che (OMISSIS) era stato costretto ad approntare una difesa mediatica rispetto alle accuse rivoltegli dal (OMISSIS), suo compagno di partito, secondo cui egli, pur essendo candidato alle primarie del Partito democratico, di fatto militava in un’altra e concorrente formazione politica.
2.1. Analoghi vizi vengono denunciati anche in relazione alla mancata acquisizione di pronunce giurisdizionali che avevano definito in senso assolutorio vicende del tutto analoghe.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Nella sentenza impugnata si esamina la censura svolta nel gravame, secondo cui non vi sarebbe prova che le frasi ritenute diffamatorie fossero indirizzate a (OMISSIS). La Corte d’Appello ha rilevato che nella nota riportata dalle testate giornalistiche si stigmatizza, dapprima, la condotta tenuta da (OMISSIS), il quale si sarebbe rifiutato di mantenere gli accordi ed avrebbe cercato di imporre l’ingresso, nella maggioranza, di consiglieri transfughi della minoranza, e segue immediatamente quello che il redattore dell’articolo definisce “attacco personale”, consistente nelle affermazioni contenute nell’imputazione.
Evidentemente, quindi, tali ultime frasi si riferiscono a colui il cui operato e’ criticato nella parte immediatamente precedente della nota, vista la contiguita’ logica e testuale delle affermazioni.
Rispetto a tale motivazione, di indubbia logicita’, il ricorrente non fa che ripetere le censure del gravame, cosi’ rendendo il ricorso inammissibile sul punto (E’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli gia’ dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso. Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838).
2. Il ricorrente non avanza dubbi sul carattere lesivo della reputazione delle frasi che gli sono attribuite ma sostiene che sarebbe integrata l’esimente della provocazione in ragione di un attacco di natura politica di cui era stato vittima ad opera del (OMISSIS).
I giudici di appello, anche qui replicando al corrispondente motivo di gravame, hanno evidenziato che non vi e’ prova del fatto che (OMISSIS) sia stato destinatario di accuse infamanti ad opera dell’avversario politico, essendosi concluso con una archiviazione il procedimento a carico di (OMISSIS) iniziato a seguito di querela proposta da (OMISSIS).
Se il fatto che avrebbe determinato le dichiarazioni riportate negli articoli di stampa incriminati deve essere individuato in un articolo a firma del (OMISSIS) in cui si accusa (OMISSIS) di essersi candidato alle primarie del PD, nonostante militasse in altra formazione politica, la Corte d’Appello ne ha gia’ negato la valenza scriminante, in quanto l’odierna parte lesa si sarebbe limitato ad esporre legittimamente una presa di posizione politica.
Si tratta di una decisione conforme al costante orientamento della giurisprudenza di legittimita’ di cui sono recente espressione Sez. 5, n. 25421 del 18/03/2014 Rv. 259882 “In tema di ingiuria e diffamazione, il comportamento provocatorio, di cui alla causa di non punibilita’ prevista dall’articolo 599 c.p., comma 2, anche quando non integra gli estremi di un illecito codificato, deve essere contrario alla civile convivenza secondo una valutazione oggettiva e non in ragione della percezione negativa che del medesimo abbia avuto l’agente” e Sez. 5, n. 43637 del 24/04/2015 Rv. 264924 “In tema di ingiuria, l’esimente della provocazione di cui all’articolo 599 c.p., comma 2, si configura in presenza di un comportamento contrario alle norme giuridiche ovvero all’insieme delle regole sociali vigenti in un contesto di civile convivenza”. Anche rispetto a tale affermazione, del tutto logica, il ricorrente si limita a riproporre la questione negli stessi termini gia’ rappresentati al giudice d’appello senza confutarne specificamente gli argomenti.
2.1. Va escluso che in questa sede possano essere rivisti i presupposti in fatto della decisione, attraverso l’attribuzione a (OMISSIS) di condotte piu’ incisive in danno di (OMISSIS).
3. In tale prospettiva, e’ assolutamente generica la doglianza del ricorrente in merito al rigetto della richiesta di acquisizione dei provvedimenti giurisdizionali che hanno definito precedenti controversie fra la parti.
Non se ne illustra il tenore e non si chiarisce in che misura dovrebbero essere funzionali alle tesi difensive e siano tali da scardinare l’impianto motivazionale della sentenza impugnata.
4. Alla declaratoria di inammissibilita’ segue, per legge (articolo 616 c.p.p.), la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’, trattandosi di causa di inammissibilita’ determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso (Sez. 2, n. 35443 del 06/07/2007 Rv. 237957), al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 2.000. Il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese di difesa della parte civile nel presente grado di giudizio, spese che, tenuto conto della natura della causa e dell’impegno defensionale prestato, si ritiene equo liquidare in complessivi Euro 2.000 oltre accessori di legge.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende nonche’ alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che si liquidano in Euro 2.000 oltre accessori di legge.

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