L’inaffidabilità all’uso delle armi è idonea a giustificare l’adozione di misure con valenza tipicamente cautelare

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 22 maggio 2019, n. 3337.

La massima estrapolata:

L’inaffidabilità all’uso delle armi è idonea a giustificare l’adozione di misure con valenza tipicamente cautelare, senza che occorra dimostrarne l’avvenuto abuso e la relativa valutazione, caratterizzata da ampia discrezionalità, ha lo scopo di prevenire, per quanto possibile, i delitti, ma anche i sinistri involontari, che potrebbero avere occasione per il fatto che vi sia la disponibilità di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili; il giudizio alla base di tale provvedimento di divieto non è quindi un giudizio di pericolosità sociale bensì un giudizio prognostico sull’affidabilità del soggetto e sull’assenza di rischio di abusi, per certi versi più stringente del primo, atteso che il divieto può fondarsi anche su situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma che risultano genericamente non ascrivibili a buona condotta.

Sentenza 22 maggio 2019, n. 3337

Data udienza 18 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2970 del 2015, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Va. Po., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. St. Ga. in Roma, via (…);
contro
Ministero dell’Interno, U.T.G. – Prefettura di Sassari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma via (…), è ope legis domiciliato;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Prima n. -OMISSIS-.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno in cui si incardina, quale organo periferico, l’U.T.G. – Prefettura di Sassari;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 aprile 2019 il Cons. Umberto Maiello e uditi per le parti gli avvocati Re. Cu. su delega dell’avv. Va. Po. e l’avvocato dello Stato Ti. Va.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La Prefettura di Sassari, con provvedimento datato 12.07.2013, prot. n. -OMISSIS-, ha respinto l’istanza avanzata dall’Istituto di vigilanza Fe. srl e volta a conseguire il rilascio del decreto di approvazione della nomina del sig. -OMISSIS- a guardia particolare giurata, confermando tale statuizione con successivo provvedimento datato 14.10.2013, prot. n. -OMISSIS-, mediante il quale ha respinto l’istanza di riesame in autotutela dell’opposto diniego.
Le suddette, negative statuizioni riposano sul vissuto dell’odierno appellante (più volte condannato per furto, porto illegale di armi, detenzione di sostanze stupefacenti), ritenuto non rassicurante sul piano della affidabilità nell’esercizio delle delicate mansioni proprie della guardia particolare giurata vieppiù in considerazione della connessa dotazione di un’arma. Ed, invero, la Prefettura evidenziava, in prima battuta, che “dalle informazioni acquisite in atti risulta emergere un quadro comportamentale della S.V. tale da incidere negativamente sul requisito della buona condotta e della affidabilità all’esercizio delle delicate mansioni proprie delle guardie giurate. Ciò in quanto risulta che la S. V. si è reso responsabile, negli anni compresi tra il 1989 e il 1998 di numerosi reati, alcuni dei quali commessi più volte, tra i quali rilevano: il furto, il porto illegale di armi e la detenzione di stupefacenti”. Di poi, nuovamente interpellato ai fini del riesame del precedente diniego, l’organo prefettizio ribadiva il proprio negativo avviso rimarcando l’ampio arco temporale in cui si è sviluppata la complessiva vicenda giudiziaria che ha riguardato l’appellante.
Il giudice di prime cure, con la sentenza qui gravata, ha respinto il ricorso concludendo nel senso che l’Amministrazione aveva fatto un corretto uso dell’ampia discrezionalità che l’ordinamento di settore le riconosce, venendo qui in rilievo pregressi comportamenti di rilievo delinquenziale in un contesto di tossicodipendenza che, ancorché fatti oggetto di riabilitazione, giustificavano l’opzione rigorista privilegiata dalla Prefettura di Sassari.
Avverso il suddetto decisum, con il mezzo in epigrafe, l’appellante deduce, anzitutto, che l’attività delinquenziale del Sig. -OMISSIS- è durata dall’01.01.1989 all’01.02.1994 cioè 5 anni, essendosi la sola vicenda processuale di accertamento dei fatti trascinata fino al 1998.
Soggiunge che, a partire dal 26.12.1997, ha portato a termine con successo il programma terapeutico di disintossicazione dalla droga reinserendosi nella società, formando una famiglia e lavorando stabilmente. Peraltro, con provvedimento datato 12.07.2012, ha ottenuto la riabilitazione per tutti i reati commessi risarcendo alle persone offese il danno patito.
Evidenzia, poi, che la progressione criminosa dei reati commessi, di non particolare gravità nonostante il nomen iuris, è quella tipica del tossicodipendente, di talchè una volta cessato tale stato deve ritenersi venuta meno anche la contestata proclività a delinquere.
Inoltre, tanto la Prefettura che il giudice di prime cure, pur indugiando sul pregresso vissuto criminale, non avrebbero adeguatamente valutato il successivo percorso virtuoso compiuto dall’appellante. Ed, invero, in ben due comunicazioni, del 15.06.2011 e 29.06.2012, la stessa Questura di Sassari avrebbe dato atto che il -OMISSIS- “non è incorso in alcuna vicenda di polizia”.
Resiste in giudizio il Ministero dell’Interno.
L’appello è infondato e, pertanto, va respinto.
Ed, invero, a fronte di un allarmante profilo criminale, siccome qualificato da una significativa progressione di azioni delittuose, tutte connotate da oggettivo disvalore e severamente punite dall’ordinamento penale, in un torno di tempo sufficientemente ampio, va condivisa la prospettiva di valutazione privilegiata dall’Autorità procedente, e convalidata dal giudice di prime cure che, ai fini qui in rilievo, ha rilevato l’assenza di elementi di sicura valenza sintomatica idonei a suffragare un radicale ed irreversibile mutamento della condotta di vita dell’appellante, concludendo per la insufficienza di un rassicurante quadro probatorio che consentisse di concludere, con sufficienti margini certezza, per la sussistenza di condizioni soggettive di perfetta e completa affidabilità sì da fugare ogni dubbio, sotto il profilo dell’ordine pubblico e della tranquilla convivenza della collettività, sul possibile rischio di abusi.
Ed, invero, nell’ordito motivazionale sia dell’Autorità prefettizia che del TAR non risultano affatto obliati il percorso riabilitativo compiuto dall’appellante e gli sforzi di reinserimento sociale compiuti, peraltro suggellati dall’intervenuto provvedimento di riabilitazione.
Ciò nondimeno, nell’economia complessiva della valutazione all’uopo svolta ha assunto rilievo prevalente, in una logica prudenziale affatto irragionevole nella materia qui in rilievo, il periodo di osservazione sufficientemente ampio del vissuto soggettivo dell’appellante in cui è prevalsa la stabile dedizione del -OMISSIS- all’azione delittuosa e la sua obiettiva contiguità con gli ambienti criminali.
Nella suddetta prospettiva la riscrittura temporale operata dall’appellante di tale deviato segmento di vita, nel senso di contenerlo in cinque anni (in luogo dei 10 inizialmente dichiarati) e con uno sviluppo della complessiva vicenda giudiziaria nell’arco di dieci anni (circostanze queste, comunque, correttamente apprezzate nel provvedimento di conferma), non muta, con la pretesa automaticità, il punto di equilibrio su cui riposa l’opposto diniego, incentrato, come già detto, sulla rilevata, pregressa abitualità al compimento di azioni delittuose che rende del tutto ragionevole il timore di possibili abusi.
Né può accreditarsi la lettura relativistica offerta dall’appellante che, associando tali condotte al pregresso stato di tossicodipendenza, le ritiene oramai irrepetibili in ragione del percorso disintossicante seguito.
Una siffatta prognosi si fonda, invero, su dati non di sicuro affidamento e, dunque, recedono dinanzi ad un’esigenza – indubbiamente prevalente – di sicurezza che implica la certezza che non vi siano rischi per la collettività .
Ed il particolare rigore che connota gli approdi valutativi qui gravati ben si spiega in ragione della rilevanza e della delicatezza delle antagoniste esigenze con cui l’esercizio dell’attività qui in rilievo, vieppiù se qualificata dalla detenzione e dal porto di armi, può entrare in conflitto: non può, invero, dirsi affatto illogico ed irragionevole pretendere che il conseguimento di atti abilitativi ed autorizzativi in tale settore sia con rigore riservato solo a persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza della loro piena affidabilità .
Com’è noto, il conferimento della qualifica di guardia particolare giurata, cui accede anche il rilascio di porto d’armi, rientra tra le cosiddette autorizzazioni di polizia disciplinate a livello generale dal Capo III del Titolo I del r. d. 18 giugno 1931, n. 773. Il loro rilascio, pertanto, è condizionato alla verifica della sussistenza dei requisiti generali di cui all’art. 11, nonché a quelli specificamente richiesti dalla norma di riferimento.
Analoga indicazione è contenuta all’art. 43, comma 2, in materia di porto d’armi, laddove egualmente si richiama il requisito della “buona condotta”, nonché l'”affidamento a non abusare delle armi”.
L’art. 138, infine, relativo nello specifico al titolo di guardia particolare giurata, al comma 1, nella stesura risultante dall’intervento della Corte Costituzionale n. 311/1996, consente di valutare la condotta morale del richiedente, senza pretenderne i parametri di assolutezza riconducibili all’aggettivo “ottima” ivi originariamente previsto.
Come di recente evidenziato da questa Sezione, sussiste in capo all’Amministrazione l’obbligo di valutare, con la discrezionalità tipica sottesa al rilascio delle autorizzazioni di polizia, a maggior ragione in un ambito di particolare delicatezza quale quello che implica comunque l’uso delle armi, la specchiatezza del richiedente, non in termini assoluti e lato sensu etici, bensì, con un approccio finalistico, in funzione proprio dei contenuti specifici della richiesta avanzata. Si è, altresì, precisato che la peculiarità del ruolo della guardia particolare giurata, chiamata a tutelare l’integrità del patrimonio altrui, tanto che il legislatore annette allo stesso il riconoscimento della qualifica di incaricato di pubblico servizio (art. 138, ultimo comma, T.U.L.P.S., aggiunto dall’art. 33, comma 1, lett. d) della L. 1° marzo 2002, n. 39), impone un’attenzione particolare nell’esercizio di tale discrezionalità, non richiedendo necessariamente un giudizio di vera e propria pericolosità sociale dell’interessato (cfr. Consiglio di Stato sez. III, 10/07/2018, n. 4215).
E’, infatti, noto che l’inaffidabilità all’uso delle armi è idonea a giustificare l’adozione di misure con valenza tipicamente cautelare, senza che occorra dimostrarne l’avvenuto abuso e la relativa valutazione, caratterizzata da ampia discrezionalità, ha lo scopo di prevenire, per quanto possibile, i delitti, ma anche i sinistri involontari, che potrebbero avere occasione per il fatto che vi sia la disponibilità di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili (cfr. Cons. Stato, sez. III, 1 agosto 2014, nr. 4121).
Il giudizio alla base di tale provvedimento di divieto non è quindi un giudizio di pericolosità sociale bensì un giudizio prognostico sull’affidabilità del soggetto e sull’assenza di rischio di abusi, per certi versi più stringente del primo, atteso che il divieto può fondarsi anche su situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma che risultano genericamente non ascrivibili a “buona condotta” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 7 marzo 2016, nr. 922; id., 12 giugno 2014, nr. 2987; id., nr. 4121/2014, cit.; id., 19 settembre 2013, nr. 4666).
Tenuto conto quindi della ristrettezza del sindacato giudiziale consentito in subiecta materia, attesa l’ampia discrezionalità riservata all’Amministrazione, deve, in definitiva, escludersi, oltre al difetto di istruttoria, l’assenza di vizi interni al processo di valutazione della personalità del soggetto interessato (e, quindi, della sua affidabilità ).
In coerenza dell’approdo cui è giunto il giudice di primo grado deve, infine, rilevarsi che la stessa motivazione, richiamando i dati e le circostanze di fatto che hanno fondato il giudizio di inaffidabilità sull’istante, risulta del tutto ragionevole e adeguata.
Le spese vanno compensate con la precisazione che restano definitivamente a carico dell’appellante gli oneri del contributo unificato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge.
Spese compensate, salvo che per il contributo unificato i cui oneri restano definitivamente a carico dell’appellante.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la persona dell’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Pierfrancesco Ungari – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere
Umberto Maiello – Consigliere, Estensore

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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