Integrazione “ex officio” delle prove testimoniali

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|21 giugno 2022| n. 19960.

Integrazione “ex officio” delle prove testimoniali

L’integrazione “ex officio” delle prove testimoniali, ai sensi dell’art. 257, primo comma, cod. proc. civ. è espressione di una facoltà discrezionale, esercitabile dal giudice quando ritenga che, dalla escussione di altre persone, non indicate dalle parti ma presumibilmente a conoscenza dei fatti, possano trarsi elementi utili alla formazione del proprio convincimento; l’esercizio, o il mancato esercizio, di tale facoltà presuppone un apprezzamento di merito delle risultanze istruttorie, come tale incensurabile in sede di legittimità, anche sotto il profilo del vizio di motivazione (Nel caso di specie, relativo ad un giudizio in cui nei gradi di merito era stata accertata la responsabilità della banca ricorrente nello svolgimento dell’attività di intermediazione nella vendita di strumenti finanziari, la Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha ritenuto inammissibile il motivo con cui quest’ultima aveva censurato il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 257 cod. proc. civ., sul rilievo che la corte di appello avrebbe errato nel disattendere l’istanza istruttoria – riformulata anche nel secondo grado di giudizio – volta all’assunzione della testimonianza dei dipendenti della banca che avevano direttamente trattato con gli investitori nella fase prodromica all’acquisto dei titoli poi dedotti in giudizio). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile II, sentenza 26 febbraio 2007, n. 4384; Cassazione, sezione civile III, sentenza 1° agosto 2002, n. 11436; Cassazione, sezione civile L, sentenza 1° agosto 2000, n. 10077; Cassazione, sezione civile III, sentenza 26 giugno 1997, n. 5706).

Ordinanza|21 giugno 2022| n. 19960. Integrazione “ex officio” delle prove testimoniali

Data udienza 12 maggio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Prova civile – Prova testimoniale – Integrazione ex officio ai sensi dell’art. 257, primo comma, c.p.c. – Espressione di una facoltà discrezionale – Esercizio – Possibile desumibilità di elementi utili alla formazione del proprio convincimento – Esercizio o mancato esercizio di tale facoltà – Apprezzamento di merito incensurabile in sede di legittimità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso n. 22202-2017 r.g. proposto da:
(OMISSIS) s.p.a., (cod. fisc. e p. iva (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore dottor (OMISSIS), rappresentata e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), con cui elettivamente domicilia in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (cod. fisc. (OMISSIS)) e (OMISSIS), rappresentati e difesi, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), presso il cui studio in (OMISSIS), sono elettivamente domiciliati;
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona, depositata in data 30.5.2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/5/2022 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Integrazione “ex officio” delle prove testimoniali

RILEVATO

CHE:
1. Il Tribunale di Pesaro, adito da (OMISSIS) e (OMISSIS), con la sentenza emessa in data 3.9.2010, risolse il contratto avente ad oggetto, in data (OMISSIS), l’acquisto di (OMISSIS), per l’importo di Euro 35.000, condannando la banca (OMISSIS) s.p.a. al pagamento della differenza tra il valore di acquisto e quello ottenuto in sede di rivendita, oltre accessori.
2. Proposto gravame da parte della banca (OMISSIS) s.p.a. avverso la predetta sentenza emessa dal Tribunale di Pesaro, la Corte di Appello di Ancona, con il provvedimento qui di nuovo impugnato, ha rigettato il gravame, confermando la decisione resa in primo grado.
La corte del merito, per quanto qui ancora di interesse, ha ritenuto – quanto alla doglianza relativa alla mancata considerazione da parte dei giudici del merito che il rapporto tra la banca e i clienti riguardava un semplice servizio di negoziazione di valori mobiliari e non gia’ l’attivita’ di consulenza – che i doveri di informazione sussistono anche dopo la stipulazione del contratto di intermediazione e sono finalizzati alla sua corretta esecuzione, in modo tale da porre il cliente sempre nella condizione di valutare appieno la natura, i rischi e le implicazioni delle singole operazioni di investimento e di disinvestimento, attenendo al momento esecutivo del contratto i doveri di contenuto negativo posti a carico dell’intermediario, quali quelli di non consigliare e di non effettuare operazioni di frequenza e di dimensioni eccessive rispetto alla situazione finanziaria del cliente; ha dunque evidenziato che, anche in difetto di un servizio di consulenza contrattualmente convenuto, risultava comunque posto a carico dell’istituto di credito l’obbligo di prestare informazioni sul titolo che il cliente intendeva acquistare e questo a prescindere dalla conoscenza della materia, delle finalita’ di investimento e della propensione al rischio dichiarate, obblighi quest’ultimi che si aggiungevano e che non risultavano sostituiti dalle necessarie valutazioni di inadeguatezza soggettiva ovvero oggettiva dell’investimento; ha dunque osservato che, alla data di acquisto dei titoli ((OMISSIS)), l’istituto non era assolutamente in grado di ipotizzare il loro declassamento ed il successivo defoult, ma avrebbe dovuto comunque rappresentare agli investitori (quale che fosse la loro “profilatura” in materia di conoscenza della materia, obiettivi e propensione al rischio) le caratteristiche speculative proprie dell’investimento nella sua collocazione temporale, mentre sul punto la banca appellante si era invece limitata ad allegare di aver fatto presente agli investitori che si trattava di un titolo non quotato sul “mercato regolamentato”, nozione quest’ultima che riguardava il luogo ove tali titoli erano scambiati ma non certo la natura dei titoli stessi; ha evidenziato – quanto alla prova controfattuale (e cioe’ relativa alla desistenza dall’investimento allorquando la banca avesse prestato le informazioni sulla natura speculativa dello stesso) – che era sufficiente valutare la concreta tipologia del cliente, come risultava dall’estratto conto analitico, per avvedersi che le negoziazioni sino a quel momento avvenute riguardavano titoli di stato ed obbligazioni bancarie, con la conseguenza che, in caso di compiuto adempimento degli obblighi informativi, gli investitori si sarebbero astenuti dall’operazione finanziaria oggetto di causa; ha infine ritenuto infondato anche l’ultima doglianza proposta dalla societa’ appellante, posto che se era pur vero che gli investitori avevano richiesto la risoluzione del contratto di negoziazione e non gia’ quello conseguente della singola negoziazione ed il Tribunale si era invece pronunciato espressamente dichiarando risolto l’ordine di acquisto del (OMISSIS), tuttavia gli attori avevano allegato sia un illecito extracontrattuale che un adempimento contrattuale e che, quest’ultimo, pur in difetto di risoluzione, comportava il risarcimento del danno.
2. La sentenza, pubblicata il 30.5.2017, e’ stata impugnata da (OMISSIS) s.p.a. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito con controricorso.
I controricorrenti hanno depositato memoria.

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CONSIDERATO

CHE:
1.Con il primo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti laddove la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che nel febbraio dell’anno 2005 gli investitori avevano autonomamente provveduto a vendere i titoli dedotti in giudizio sicche’ ad essi (anche ai sensi dell’articolo 1227 c.c.) e non gia’ alla banca sarebbe stato ascrivibile il danno conseguente alla mancata fruizione dell’integrale rimborso disposto dalla (OMISSIS) all’esito dell’intesa sottoscritta a New York il 22.4.2016.
1.1 Il motivo e’ inammissibile in ragione dell’evidente novita’ della questione prospettata dalla societa’ ricorrente.
In realta’, dalla lettura della sentenza impugnata non emerge che le parti e piu’ in particolare l’odierna ricorrente avessero allegato e dedotto, nei gradi di merito, la questione della mancata adesione al piano di rimborso dei (OMISSIS) quale ragione di elisione del nesso causale tra illecito contrattuale dedotto ed evento dannoso ne’ la parte ricorrente si premura nell’illustrazione del motivo di spiegare in quale atto difensivo avesse proposto la questione qui ora in esame.
Ne consegue che il dedotto vizio – qui proposto nei termini di omesso esame di fatto decisivo ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – riguarda un fatto allegato, in realta’, per la prima volta innanzi a questo giudice di legittimita’, cosi’ condannando il ricorrente la proposta censura ad inevitabile declaratoria di inammissibilita’.
2. Con il secondo mezzo si deduce violazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli articoli 28, 26 e 29 TUF, laddove la corte di appello aveva ritenuto applicabili al caso di specie gli obblighi informativi previsti, seppure la banca si fosse limitata a svolgere un semplice servizio di negoziazione di valori mobiliari e non gia’ attivita’ di consulenza. Osserva la banca ricorrente che gli investitori avevano sottoscritto in data (OMISSIS) un contratto di negoziazione di valori mobiliari e non gia’ un contratto di gestione di portafogli di investimenti di cui al Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 24 l’unico cui si richiamano gli articoli 28, 26 e 29 TUF.

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Osserva ancora la ricorrente che il dovere dell’intermediario di informare il cliente sia al momento della stipula del c.d. contratto quadro e sia successivamente, in relazione alla singola operazione effettuata nell’ambito del contratto stesso, dovrebbe essere riferito a quegli obblighi informativi – che la normativa di settore declina in informativa concernente le caratteristiche dell’operazione che il cliente intende effettuare – e alla rendicontazione successiva delle operazioni effettuate, con la conseguenza che il dovere di informativa verso il cliente non dovrebbe essere confuso con un presunto obbligo dell’intermediario di seguire comunque le vicende di ciascun emittente titoli e di tenere al riguardo costantemente informato il cliente. Si evidenzia ancora che essa esponente aveva provveduto ad illustrare agli investitori le caratteristiche dei titoli da quest’ultimi espressamente richiesti, con l’ulteriore conseguenza che l’operazione di investimento non avrebbe potuto che ritenersi adeguata alla dichiarata esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, alla propensione al rischio e agli obiettivi di investimento dichiarati nonche’ alla situazione del mercato e al raiting attribuito ai titoli.
2.1 Il motivo e’, per un verso, infondato e, per altro verso, inammissibile.
2.1.1 Sotto il primo profilo, giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di intermediazione nella vendita di strumenti finanziari, gli obblighi di comportamento sanciti dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 21 e dalla normativa secondaria contenuta nel reg. Consob n. 11522 del 1998, sorgono sia nella fase che precede la stipulazione del contratto quadro (come quello di consegnare il documento informativo sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari e di acquisire le informazioni sull’investitore circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento e la sua propensione al rischio), sia dopo la sua conclusione (e’ il caso dell’obbligo d’informazione cd. attiva circa la natura, i rischi e le implicazioni della singola operazione, di astenersi dal porre in esecuzione operazioni inadeguate e di quelli che sono correlati alle situazioni di conflitto di interessi). Tutti i descritti obblighi, finalizzati al rispetto della clausola generale che impone all’intermediario il dovere di comportarsi con diligenza, correttezza e professionalita’ nella cura dell’interesse del cliente, assumono rilevanza per effetto dei singoli ordini di investimento, che costituiscono negozi autonomi rispetto al contratto quadro originariamente stipulato dall’investitore (cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 20617 del 31/08/2017). E’ stato altresi’ precisato sempre dalla giurisprudenza di questa Corte che, in tema di intermediazione mobiliare, la banca intermediaria prima di effettuare le relative operazioni ha l’obbligo di fornire all’investitore un’informazione idonea a soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto con il cliente avuto riguardo alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria di questo, sicche’, a fronte di un’operazione non adeguata, puo’ darvi corso soltanto a seguito di un ordine impartito per iscritto dall’investitore in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 18121 del 31/08/2020).

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2.1.2 Cio’ posto in termini generali, le doglianze proposte dalla societa’ ricorrente prestano il fianco alla evidente obiezione che l’obbligo informativo – posto a carico dell’intermediario finanziario, ai sensi dell’articolo 21 Tuf e delle norme regolamentari sopra richiamate – accompagna l’attivita’ di quest’ultima sia prima che dopo la sottoscrizione del contratto quadro, e dunque anche nella fase della negoziazione delle singole operazioni di acquisto dei valori mobiliari, cosi’ evidenziandosi, da un lato, la correttezza giuridica della motivazione resa sul punto dalla sentenza impugnata (che ha invero richiamato, sul punto qui da ultimo in discussione, proprio i principi affermati da questa Corte di legittimita’ nella materia in esame, per come anche sopra ricordati) e, dall’altro, la radicale infondatezza delle censure sollevate dalla banca ricorrente.
2.1.3 Sotto altro profilo, occorre evidenziare che le doglianze proposte dalla ricorrente nel motivo qui in esame neanche colgono a pieno la ratio decidendi del provvedimento impugnato la cui motivazione fonda la ragione dell’accertamento della violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario finanziario non gia’ sotto il profilo della presunta violazione di obblighi consulenziali di quest’ultimo (mai allegata, per altro, dai controricorrenti) nella gestione dei titoli obbligazionari oggetto di acquisto da parte degli investitori nel momento successivo alla negoziazione (nei termini, cioe’, di presunte manchevolezze informative volte a rendere edotti gli investitori dell’opportunita’ di vendere i titoli prossimi al defoult (OMISSIS) e di effettuare pertanto operazioni di disinvestimento), quanto piuttosto sotto il diverso profilo della violazione degli obblighi informativi al momento della sottoscrizione del contratto quadro e soprattutto al momento della singola negoziazione intervenuta in data (OMISSIS) per l’acquisto di obbligazioni emesse dallo Stato (OMISSIS), in relazione alle caratteristiche speculative proprie dell’investimento nella sua “collocazione temporale” (cfr. fol. 3 della sentenza impugnata). Di talche’ le proposte censure – che invero si incentrano sulla presunta violazione di obblighi consulenziali della banca nella fase successiva agli acquisti (come detto mai affermata dalla corte di appello) – si presentano completamente fuori fuoco rispetto alla ratio decidendi del provvedimento impugnato.
2.1.3 Nel resto le doglianze cercano di sollecitare – in modo inammissibile e sotto l’egida applicativa del vizio di violazione di legge ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – un riesame del merito della decisione, in ordine all’accertamento della violazione o meno dei predetti obblighi informativi tramite la rilettura degli atti istruttori, scrutinio quest’ultimo che invece e’ sottratto al sindacato del giudice di legittimita’ (Cass. ss.uu. n. 8053/2014). 3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione dell’articolo 257 c.p.c., sul rilievo che la corte di appello avrebbe errato nel disattendere l’istanza istruttoria – riformulata anche nel secondo grado di giudizio – volta all’assunzione della testimonianza dei dipendenti della banca che avevano direttamente trattato con gli investitori nella fase prodromica all’acquisto dei titoli dedotti in giudizio.

Integrazione “ex officio” delle prove testimoniali

3.1 Il motivo e’ inammissibile.
3.1.1 La ricorrente deduce infatti di aver ritualmente e tempestivamente articolato, nel corso del giudizio di primo grado, prova testimoniale volta a dimostrare il corretto adempimento dei suoi obblighi informativi nei confronti degli investitori, prova ritenuta ammissibile dal Tribunale ed assunta tramite l’escussione del teste Sgarzini che, tuttavia, non era stato in grado di riferire le concrete modalita’ di svolgimento delle operazioni di acquisto, essendosi solo limitato a sottoscrivere l’ordine di acquisto. Il teste ha pero’ riferito che le predette operazioni erano state curate da (OMISSIS) e (OMISSIS), per i quali la odierna ricorrente aveva pertanto avanzato formale istanza ex articolo 257 c.p.c. affinche’ gli stessi fossero chiamati a deporre siccome soggetti a diretta conoscenza dei fatti, senza tuttavia ottenere una risposta positiva da parte della Corte di appello che, invece, avrebbe implicitamente disatteso l’istanza istruttoria cosi’ avanzata.
3.1.2 Sul punto e’ necessario ricordare che, secondo i consolidati principi affermati da questa Corte di legittimita’, l’integrazione “ex officio” delle prove testimoniali, ai sensi dell’articolo 257 c.p.c., comma 1, e’ espressione di una facolta’ discrezionale, esercitabile dal giudice quando ritenga che, dalla escussione di altre persone, non indicate dalle parti ma presumibilmente a conoscenza dei fatti, possano trarsi elementi utili alla formazione del proprio convincimento; l’esercizio, o il mancato esercizio, di tale facolta’ presuppone un apprezzamento di merito delle risultanze istruttorie, come tale incensurabile in sede di legittimita’, anche sotto il profilo del vizio di motivazione (Sez. 2, Sentenza n. 4384 del 26/02/2007; n. 5706 del 1997, n. 10077 del 2000; n. 11436 del 2002).
Ne consegue l’inammissibilita’ della censura cosi’ proposta.
4. Il quarto mezzo denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione dell’articolo 1453 c.c., in relazione al rigetto della relativa eccezione sollevata in grado di appello, sul rilievo che il Tribunale avrebbe pronunciato la risoluzione dell’atto di negoziazione in difetto della necessaria domanda in tal senso proposta da parte degli odierni controricorrenti e che pertanto la riqualificazione d’ufficio della domanda attorea operata dalla corte di appello sarebbe stata erronea e violativa degli articoli 333 e 324 c.p.c.
4.1 II motivo e’ inammissibile in ragione della sua genericita’.
4.1.1 Evidenzia la banca ricorrente che la stessa Corte di appello avrebbe correttamente rilevato che gli attori non avevano chiesto la risoluzione del singolo contratto di negoziazione (ma solo del contratto quadro) e che pertanto la decisione resa dal primo giudice sarebbe affetta da ultapetizione avendo il Tribunale dichiarato invece la risoluzione dell’ordine di acquisto per la quale non vi era stata domanda.
4.1.2 In realta’, e’ vero che la Corte di appello avesse confermato che il Tribunale aveva errato, per extrapetizione, nel dichiarare la risoluzione dell’ordine di acquisto, mentre era stata domandata la risoluzione del contratto quadro. Osserva, tuttavia, la Corte distrettuale che la domanda degli attori dovesse essere interpretata nel senso della presentazione di una domanda di risarcimento del danno, essendo stato prospettato sie un inadempimento contrattuale sia un illecito extracontrattuale e che, per l’appunto in accoglimento della domanda risarcitoria, poteva anche giustificarsi la condanna della banca al pagamento della differenza tra la somma investita e quella ricavata dalla rivendita dei titoli.
Orbene, la ricorrente censura tale statuizione ribadendo l’extrapetizione commessa dal Tribunale, riconosciuta – come detto – anche dalla stessa Corte territoriale, e deduce rerroneita’” di tale riqualificazione della domanda operata dalla Corte di merito.
Tuttavia, osserva il Collegio come le ragioni del dedotto errore nella riqualificazione della domanda da parte della Corte di appello non siano state minimamente indicate nel motivo di ricorso, cosi’ rendendo la doglianza generica ed irricevibile.
Le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 4.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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