La clausola apposta a un contratto di durata che ne preveda il divieto di rinnovazione tacita alla scadenza non può considerarsi vessatoria

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|2 marzo 2023| n. 6307.

La clausola apposta a un contratto di durata che ne preveda il divieto di rinnovazione tacita alla scadenza non può considerarsi vessatoria

In tema di condizioni generali di contratto, la clausola apposta a un contratto di durata, che ne preveda il divieto di rinnovazione tacita alla scadenza, non può considerarsi vessatoria, dal momento che non determina un vantaggio unilaterale a favore del predisponente, avendo ad oggetto un contegno riferibile ad entrambe le parti.

Ordinanza|2 marzo 2023| n. 6307. La clausola apposta a un contratto di durata che ne preveda il divieto di rinnovazione tacita alla scadenza non può considerarsi vessatoria

Data udienza 26 gennaio 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Locazione ad uso commerciale – Aeroporto – Rinnovo della convenzione – Necessità della forma scritta – Censure inammissibili

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9263-2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS) S.r.L. IN LIQUIDAZIONE, in qualita’ del liquidatore p.t., (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avv. DANIELA BUCCI, PEC (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.p.A., in persona del responsabile contenzioso, (OMISSIS), rappresentata e difesa dal prof. avv. GIORGIO MEO, elettivamente domiciliata in Roma presso il suo studio (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5579-2018 della Corte d’Appello di Roma, depositata in data 10 settembre 2018;
Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio dal Consigliere Dott. Marilena Gorgoni.

La clausola apposta a un contratto di durata che ne preveda il divieto di rinnovazione tacita alla scadenza non può considerarsi vessatoria

RILEVATO

che:
la S.r.l. (OMISSIS) in liquidazione ricorre, (OMISSIS)ndo quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 5579-2018 emessa dalla Corte d’Appello di Roma, resa pubblica il 10/09/2018;
resiste con controricorso la S.p.a. (OMISSIS);
la ricorrente rappresenta, nella descrizione del fatto, di aver convenuto, dinanzi al Tribunale di Roma, la societa’ (OMISSIS), in via principale, per accertare e dichiarare validamente rinnovato per facta concludentia il contratto per l’uso del locale di mq 76,68 ubicato a quota 11 del Terminal B, del locale di mq 30 ubicato a quota 6 del Terminal C, di due locali uso magazzino, l’uno di 30 mq ubicato presso il molo B, l’altro, di mq 15 ubicato presso il molo C, con conseguente declaratoria del suo diritto di continuare ad utilizzare i locali indicati che deteneva dal 4 marzo 1996, sulla scorta di convenzioni triennali rinnovatesi piu’ volte, l’ultima in data (OMISSIS); in via subordinata, per accertare la natura di locazione commerciale del contratto stipulato il (OMISSIS), con scadenza, ai sensi della L. n. 392 del 1978, articolo 27 il 13 giugno 2011. e il legittimo godimento da parte sua dei locali oggetto dello stesso fino al 13 giugno 2011;
(OMISSIS), costituitasi, si opponeva alla domanda e, con riconvenzionale, chiedeva che il Tribunale accertasse che la societa’ attrice era debitrice della somma di Euro 160.795,28 per occupazione senza titolo e comunque per occupazione di aree demaniali, oggetto di contratto di subconcessione, e per condannarla al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di indennita’ di occupazione per non meno di Euro 23.555,17 mensili;
il Tribunale di Roma, con sentenza n. 23742-2020, rigettava le domande attoree, quella principale e quella subordinata, e disattendeva anche quella riconvenzionale della societa’ (OMISSIS);
la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso, investita del gravame da (OMISSIS) S.r.L, in via principale, e da S.p.A. (OMISSIS), in via incidentale, ha rigettato l’appello principale e, in accoglimento di quello incidentale, ha condannato (OMISSIS) S.r.L. al pagamento di Euro 160.795,28;
per quanto ancora di interesse, la sentenza impugnata: i) ha negato la natura vessatoria della clausola n. 4 della convenzione per la subconcessione dell’uso di locali ed aree demaniali siti nell’aeroporto di (OMISSIS); ii) ha ritenuto necessaria la forma scritta per il rinnovo della convenzione; iii) ha considerato irrilevanti i comportamenti addotti a sostegno della intenzione di rinnovare il rapporto; iv) ha escluso che fosse stata provata la ricorrenza della forma scritta; v) al contrario, ha ritenuto che con il suo comportamento, la societa’ concedente avesse manifestato la “volonta’ di non voler rinnovare il contratto”; vi) ha escluso che il contratto inter partes potesse essere qualificato come di locazione commerciale, cui applicare la L. n. 392 del 1978, articolo 27; vii) ha accolto l’appello incidentale, perche’ ha ritenuto che la concedente anziche’ chiedere l’applicazione della clausola penale, di cui all’articolo 9, che prevedeva il pagamento di Euro 1.150,00 per ogni giorno di ritardo nella consegna dei beni concessi in godimento, avesse domandato il pagamento di una somma inferiore per il danno subito per il mancato rilascio dell’immobile parametrandola al canone concessorio e che a detta somma – Euro 160.795,28 – avesse diritto;
la trattazione del ricorso e’ stata fissata ai sensi dell’articolo 380 bis 1 c.p.c.;
il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte;
entrambe le parti hanno depositato memoria.

La clausola apposta a un contratto di durata che ne preveda il divieto di rinnovazione tacita alla scadenza non può considerarsi vessatoria

CONSIDERATO

che:
1) con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la erronea disapplicazione dell’articolo 1341 c.c., comma 2, degli articoli 112, 113 e 116 c.p.c.;
oggetto di censura e’ la statuizione con cui la sentenza impugnata ha negato che la clausola 4 della convenzione del (OMISSIS) – che stabiliva che la concessione avrebbe avuto termine il 31 maggio 2008 “senza possibilita’ di proroga o rinnovi taciti e senza necessita’ di disdetta da parte di (OMISSIS) – avesse natura vessatoria: l’errore consisterebbe nell’avere richiamato ed applicato una decisione relativa ad una fattispecie – il divieto di recesso anticipato previsto in un contratto stipulato tramite moduli uniformi – non pertinente e comunque superata dalla giurisprudenza successiva – in particolare da Cass. n. 20402/2015 – di cui la ricorrente invoca l’applicazione;
il motivo non merita accoglimento;
proprio la giurisprudenza invocata da parte ricorrente offre argomenti per ritenere non fondata la censura;
innanzitutto, occorre chiarire che la clausola di cui si controverte non prevedeva la rinnovazione tacita del contratto, ma, proprio al contrario, il divieto di rinnovazione tacita della convenzione inter partes alla sua scadenza;
ebbene, la pronuncia n. 20402/2015 perviene alla conclusione della natura vessatoria della clausola, che – si badi – preveda la rinnovazione tacita o automatica del contratto, sulla scorta di un ragionamento che qui si intende ribadire e che muove dalla differenza, rinveniente dal tenore letterale dell’articolo 1341 c.c., comma 2, tra clausole unilateralmente predisposte “a vantaggio” del predisponente – “il cui effetto si risolve nell’attribuzione di una posizione vantaggiosa al contraente predisponente, consistente nella previsione della legittimita’ di un suo comportamento (recesso, sospensione dell’esecuzione) o della limitazione della sua soggezione alla responsabilita’”- e clausole unilateralmente predisposte “a carico” dell’aderente – le quali impongono all’altro contraente “particolari oneri comportamentali” -;
la prima tipologia di clausole assume natura vessatoria solo se il vantaggio e’ unilaterale e non anche quando preveda lo stesso contenuto contrattuale per i comportamenti di entrambe le parti, “perche’, se nel contratto il comportamentale regolato dalla clausola e’ disciplinato allo stesso modo con riguardo ad entrambe le parti, la situazione di eguaglianza in cui si trovano le parti fuoriesce dalla previsione normativa, perche’ non ne deriva un “vantaggio” a favore del predisponente. Detto vantaggio si configura solo nel caso della unilateralita’ della clausola”;
per la seconda tipologia di previsioni, stante “la loro caratterizzazione come condizioni relative ad un comportamento della sola parte debole, non e’ possibile un’interpretazione che, in ragione della bilateralita’ della condizione contrattale prevista, escluda la vessatorieta’. In queste ipotesi, infatti, avendo il legislatore espressamente considerato vessatoria la condizione in quanto “a carico” dell’altro contraente, la valutazione ex lege cosi’ espressa non risulta superabile per il fatto che la stessa condizione operi anche “a carico” della parte predisponente. La ragione e’ che il legislatore ha considerato la vessatorieta’ connaturata alla clausola siccome impositiva di comportamento “a carico” dell’altro contraente e, dunque, l’ha implicitamente ritenuta non elisa dalla bilateralita’ e cio’, evidentemente, per l’assorbente rilievo che, avendole predisposte la parte forte, la circostanza che essa le abbia imposte anche a suo “carico” non e’ stata ritenuta idonea ad escludere la vessatorieta’”;
ferma tale distinzione, mentre trova giustificazione la vessatorieta’ della clausola che prevede il rinnovo tacito od automatico della clausola, proprio la bilateralita’ del comportamento previsto nella clausola per cui e’ causa – che, invece, impone il divieto di rinnovo tacito del contratto – ne esclude l’onerosita’;
2) con il secondo motivo la ricorrente rimprovera alla Corte d’Appello, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, l’erronea applicazione dell’articolo 1322 c.c. e degli articoli 113, 115 e 166 c.p.c., per avere ritenuto necessaria la forma scritta per la rinnovazione del contratto, non richiesta ne’ dalla legge ne’ dal contratto, e, quindi, irrilevanti i comportamenti allegati a sostegno dell’intenzione di rinnovare il contratto, quali la fatturazione dei canoni, il loro incasso, l’invio di un piano di sviluppo allo scadere del termine del contratto;
2.1) la tesi della ricorrente e’ che la Corte territoriale abbia erroneamente valutato non solo il comportamento delle parti e la documentazione prodotta – documenti 34 e 35 – ma anche le risultanze processuali e le ordinanze di rigetto emesse dal Tribunale di Roma, in ordine alla richiesta di ingiunzione di pagamento di (OMISSIS), ex articolo 186 bis ed articolo 186 ter c.p.c., basate sull’inesistenza dei presupposti per l’occupazione sine titulo – quanto all’ordinanza ex articolo 186 bis c.p.c. – e sulla mancata richiesta di accertamento dell’intervenuta scadenza dei rapporti di subconcessione in corso tra le parti e la condanna al rilascio – quanto all’ordinanza ex articolo 186 ter c.p.c. -;
2.2) in aggiunta, si imputa al giudice di appello di non avere applicato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui per soddisfare il requisito della forma scritta la volonta’ negoziale puo’ essere manifestata anche sottoscrivendo documenti diversi, tra loro inscindibilmente connessi si’ da evidenziare la formazione dell’accordo (Cass. n. 3088/2007) ne’ quello secondo cui la forma scritta non e’ richiesta per gli accordi modificativi di un contratto che non riguardino gli elementi essenziali del contratto, ma gli elementi che ne regolano l’esecuzione (Cass. n. 419/2006);
2.3) per di piu’, si assume che avrebbe dovuto tenersi conto del fatto che la disdetta di un contratto successiva alla rinnovazione tacita gia’ verificatisi, ai sensi dell’articolo 1597 c.c., che postula la continuazione della detenzione della cosa da parte del conduttore e la mancanza di una manifestazione di volonta’ contraria da parte del locatore, puo’ solo impedire una nuova rinnovazione tacita, ma non incide sulla rinnovazione gia’ prodottasi;
2.4) tutte le censure in cui si articola il motivo non possono accogliersi;
queste le ragioni:
– la censura riportata sub § 2.2, innanzitutto, non rispetta le prescrizioni di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 6; in aggiunta, oltre a sollecitare un’inammissibile rivalutazione dei fatti di causa, omette di considerare che la Corte territoriale ha tratto, dal comportamento della concedente, il convincimento che le parti non avessero affatto raggiunto un accordo in ordine alla prosecuzione del rapporto; anzi, ha ritenuto, con il supporto dei documenti 11, 12 e 13, e in considerazione di altri comportamenti (interruzione della fornitura dell’energia elettrica, del mancato rinnovo dei permessi provvisori per i dipendenti della societa’ (OMISSIS) S.r.L., del divieto di accesso in aeroporto delle merci ad essa destinate) che la societa’ (OMISSIS), gia’ prima della scadenza, avesse manifestato la volonta’ di cedere ad altri operatori i locali per cui e’ causa;
– neppure la censura di cui al § 2.2. si misura con la sentenza gravata che ha escluso vi fosse prova dei presupposti per ritenere perfezionata la rinnovazione del contratto attraverso la sottoscrizione di documenti non contestuali, ma collegati;
– la dedotta violazione dell’articolo 1597 c.c. (sub § 2.3) non si correla con l’accertamento contenuto in sentenza secondo cui la concedente prima della scadenza del contratto aveva dimostrato di non volerlo rinnovare alla scadenza;
– si rileva ancora che con la censura circa l’affermazione della corte in ordine alla necessita’ della forma scritta quale conseguenza della previsione contrattuale del divieto di tacito rinnovo, parte ricorrente avrebbe ragione nel sostenere che erroneamente la corte romana abbia inferito tale conseguenza: la previsione della clausola di divieto di tacito rinnovo non puo’ essere letta come implicante la volonta’ delle parti di prevedere la forma scritta convenzionale per un nuovo accordo, ma solo ed appunto nel senso che tale nuovo accordo non puo’ scaturire da comportamenti taciti, cioe’ concludenti; essa non esclude, invece, che attraverso comportamenti espressi il contratto si possa stipulare oralmente;
tuttavia il motivo e’ inammissibile, in quanto la Corte ha enunciato anche una motivazione gradata e dunque alternativa, la quale non e’ stata attinta da censura;
si tratta di quella espressa a pag. 4, che inizia con l’avverbio “inoltre”: tale motivazione viene ignorata;
ne segue l’inammissibilita’ della censura perche’ non la critica, il che rende inutile scrutinare la motivazione sulla necessita’ della forma scritta;
3) con il terzo motivo la ricorrente lamenta, invocando l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e n. 5, l’erronea applicazione dell’articolo 345 e degli articoli 112 e 113 c.p.c.;
attinta da censura e’ la statuizione con cui e’ stato accolto l’appello incidentale, attesa l’erroneita’ della sentenza del Tribunale nella parte in cui aveva rigettato la domanda risarcitoria della societa’ (OMISSIS), per la mancata restituzione dei locali alla scadenza del rapporto, basandola sul convincimento che non potesse trovare applicazione l’articolo 1591 c.c.;
la Corte d’Appello avrebbe errato sia nella valutazione dei motivi dell’appello incidentale sia nella lettura della sentenza del Tribunale: la societa’ (OMISSIS) non aveva invocato l’applicazione delle norme contrattuali ne’ della clausola penale e quindi non avrebbe chiesto l’applicazione dei parametri indicati dall’articolo 9.2 delle condizioni generali di contratto e il Tribunale di Roma aveva escluso che la societa’ Aeroporti potesse nella determinazione dell’indennizzo invocare l’articolo 5.4 della Convenzione del (OMISSIS), che fissava la misura del corrispettivo minimo garantito dovuto in costanza di rapporto, piuttosto che la misura del risarcimento, perche’, non trattandosi di locazione, non avrebbe potuto applicarsi l’articolo 1591 c.c.. ed aveva concluso che la societa’ (OMISSIS) avrebbe dovuto chiedere la liquidazione secondo i parametri fissati dall’articolo 9.2. delle condizioni generali di contratto;
le critiche mosse alla sentenza impugnata non sembrano averne centrato la ratio decidendi: la Corte territoriale non ha affatto sostenuto che la societa’ (OMISSIS) aveva chiesto l’applicazione dell’articolo 9.2. delle condizioni generali di contratto, al contrario, ha ritenuto che, pur potendo invocare la clausola penale consacrata nell’articolo 9.2, e quindi ottenere a titolo risarcitorio una somma maggiore, aveva chiesto il risarcimento del danno, sub specie di indennita’ di occupazione sine titulo – ricorrente nell’an, stante la scadenza del rapporto di subconcessione e la mancata riconsegna dell’immobile – in misura inferiore parametrandolo sul canone concessorio;
ne consegue l’inammissibilita’ della censura;
4) con il quarto motivo la ricorrente imputa alla sentenza gravata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e n. 5, l’erronea applicazione degli articoli 34, 346, 112 e 113 c.p.c., per avere accordato alla societa’ (OMISSIS) il risarcimento del danno, sebbene essa avesse formulato nuove e diverse conclusioni in appello, in violazione dell’articolo 345 c.p.c., e avesse rinunciato alla domanda di risarcimento del danno proposta nella comparsa di costituzione del primo grado richiamata dalla Corte d’Appello, facendo acquiescenza sul punto alla sentenza di prime cure;
va, in primo luogo, rilevato che si ignorano le ragioni che hanno indotto parte ricorrente a sostenere che le conclusioni dell’appello incidentale sarebbero diverse da quelle originarie, ne’ tale differenza si evince altrimenti; anzi, quanto indicato nelle conclusioni si presta ad essere inteso come richiesta di una somma maggiore, che la Corte territoriale avrebbe ignorato, decidendo sulla domanda originaria, quindi, implicitamente ritenendo nuove le conclusioni rassegnate dall’appellante incidentale;
ad ogni modo, il motivo si palesa complessivamente formulato in maniera confusa e poco chiara e privo di decisivita’, alla stregua dell’articolo 360-bis c.p.c., n. 2, come inteso dal filone di giurisprudenza inaugurato da Cass. n. 22341 del 2017;
5) ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
6) le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
7) seguendo l’insegnamento di Cass., Sez. Un., 20/02/2020 n. 4315 si da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2012, articolo 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 3.857,20 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

 

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