La comunicazione dell’ordinanza pronunciata dal giudice fuori udienza

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|6 luglio 2022| n. 21439.

La comunicazione dell’ordinanza pronunciata dal giudice fuori udienza

In tema di processo civile, la comunicazione, alla parte costituita, dell’ordinanza pronunciata dal giudice fuori udienza ex art. 176, comma 2, c.p.c., pur dovendo avvenire, di norma, secondo le forme previste dagli artt. 136, c.p.c., e 45, disp. att., c.p.c., attraverso la consegna del biglietto effettuata dal cancelliere al destinatario ovvero la notificazione a mezzo dell’ufficiale giudiziario, può essere validamente eseguita anche in forme equipollenti, sempreché risulti la certezza dell’avvenuta consegna e della precisa individuazione del destinatario, sottoscrittore per ricevuta, la quale non può essere raggiunta ove il cancelliere si sia limitato a certificare di avere eseguito la comunicazione, senza indicare con quali modalità.

Ordinanza|6 luglio 2022| n. 21439. La comunicazione dell’ordinanza pronunciata dal giudice fuori udienza

Data udienza 22 giugno 2022

Integrale

Tag/parola chiave: EDILIZIA ED URBANISTICA – DISTANZE LEGALI

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERTUZZI Mario – Presidente

Dott. PAPA Patrizia – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 24296/2017 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 533/2016 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 10/10/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 22/06/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie del controricorrente.

La comunicazione dell’ordinanza pronunciata dal giudice fuori udienza

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), deducendo di essere proprietari di un fondo in (OMISSIS), nella frazione di (OMISSIS), identificato nel NCT al foglio (OMISSIS), particolo (OMISSIS), chiedevano al Pretore di Sapri di disporre ex articolo 1171 c.c., la sospensione dei lavori intrapresi da (OMISSIS) sul fondo confinante, di cui alla particella n. 126.
Disposta la sospensione e riassunto il giudizio dinanzi al Tribunale di Sala Consilina, gli attori chiedevano la conferma della sospensione e la condanna del convenuto alla riduzione in pristino delle opere eseguite in violazione delle distanze legali, di cui al PRG del Comune di (OMISSIS) approvato il 20/08/1987.
Si costituiva (OMISSIS) che chiedeva il rigetto della domanda ed, in via riconvenzionale, che fosse accertata l’illegittimita’ delle opere realizzate dagli attori, in quanto a loro volta collocate a distanza inferiore a quella di legge.
Disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), in quanto comproprietari del fondo del convenuto, all’esito dell’istruttoria, il Tribunale adito con la sentenza n. 264 del 21 aprile 2011 accoglieva la domanda attorea, con la condanna del convenuto e dei terzi chiamati all’arretramento a loro spese di tutte le opere di cui al vano C, in modo da rispettare la distanza di metri 5 dal confine, e delle tettoie del vano B, sino a 10 metri di distanza dalla costruzione degli attori, per la parte in cui si fronteggiano, e sino a 5 metri per la parte in cui non esiste un fronte contrapposto.
Avverso tale sentenza proponeva appello (OMISSIS), cui resistevano gli attori proponendo a loro volta appello incidentale quanto alla commisurazione delle spese di lite.
La Corte d’Appello di Salerno, con la sentenza n. 533 del 10 ottobre 2016, accoglieva l’appello dichiarando la nullita’ della sentenza di primo grado, ma decidendo nel merito accoglieva la domanda attorea, condannando (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ad arretrare la tettoia individuata nella CTU con la lettera B, per la sola parte che fronteggia il fabbricato degli attori, sino alla distanza di metri 3 dal paramento esterno del fabbricato, rigettando per il resto la domanda attorea e quella riconvenzionale.
In primo luogo, riteneva fondato il motivo di appello con il quale si deduceva la nullita’ della sentenza impugnata, in quanto a seguito di rimessione della causa in istruttoria, al fine di acquisire dalle parti i loro codici fiscali, non risultava comunicata all’appellante le corrispondente ordinanza.

La comunicazione dell’ordinanza pronunciata dal giudice fuori udienza

Infatti, una volta riservata la causa in decisione, con ordinanza del 4-5/4/2011 la causa era stata rimessa nuovamente in istruttoria per la nuova precisazione delle conclusioni, prevedendosi che la stessa ordinanza dovesse essere comunicata anche a mezzo fax o telefono.
Tuttavia, alla successiva udienza non aveva preso parte il difensore del convenuto e non emergeva che fosse stata effettivamente compiuta la comunicazione, in quanto la sola annotazione “avviso” in calce all’ordinanza non assicurava che effettivamente il provvedimento fosse stato comunicato.
La mancata prova di tale comunicazione implicava quindi la nullita’ della sentenza, attesa la violazione del principio del contraddittorio, ma la nullita’ imponeva di dover decidere nuovamente la causa in appello.
Una volta disattesa l’eccezione di nullita’ dell’atto di citazione, posto che la stessa, in ragione della previsione di cui all’articolo 164 c.p.c., applicabile ratione temporis (e cioe’ nella versione anteriore alle modifiche di cui alla L. n. 353 del 1990), ove anche reputata sussistente, era stata sanata dalla costituzione del convenuto (non senza rilevare che il contenuto di tale atto soddisfaceva ampiamente il criterio di determinatezza della domanda), passando ad esaminare la questione concernente la violazione delle distanze legali, la Corte d’appello, pur dando atto che entrambe le parti avevano fatto riferimento alle prescrizioni del PRG del Comune di (OMISSIS), riteneva che pero’ tale normativa non fosse applicabile, in quanto alla data di esecuzione dei lavori da parte del convenuto, non era stato ancora approvato, ma semplicemente adottato dal Commissario ad acta del Comune.
Infatti, ribadito il principio per cui uno strumento urbanistico locale per essere applicabile non deve essere stato solo adottato, ma anche approvato da parte dei competenti organi di controllo, con la relativa pubblicazione, si evidenziava che mancava proprio l’approvazione regionale, con la conseguenza che non poteva trovare applicazione al caso di specie.
Ne derivava, quindi, che dovessero farsi ricorso alle previsioni di cui all’articolo 873 c.c., per effetto delle quali non ricorreva alcuna violazione delle distanze legali quanto al vano C ed alla sovrastante tettoia, che non hanno alcun fabbricato frontistante.
Quanto alla tettoia del vano B, si rilevava che la stessa era posta a meno di tre metri dal frontistante edificio degli attori, sicche’ ne andava ordinato l’arretramento sino al rispetto della distanza di cui all’articolo 873 c.c., e secondo i criteri di misurazione individuati dall’ausiliario di ufficio, in quanto ritenuti conformi alla legge.

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La condanna andava poi emessa nei confronti sia dell’originario convenuto che dei terzi chiamati, non essendo emerso che (OMISSIS) avesse usucapito una parte dei beni in origine comune, e che quindi fosse priva di legittimazione quanto alla domanda attorea.
Era poi da rigettare la domanda riconvenzionale del convenuto, in quanto dal complesso del materiale probatorio in atti emergeva che la costruzione degli attori fosse stata eseguita oltre venti anni prima dell’introduzione del giudizio e senza che fossero state apportate varianti o modifiche all’impianto originario.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla base di tre motivi.
(OMISSIS) ha resistito con controricorso.
Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.
Con ordinanza interlocutoria del 16 marzo 2022 la causa era rinviata a nuovo ruolo per disporre la comunicazione della fissazione d’udienza al precedente difensore dei ricorrenti, non essendo stata versata in atti la procura notarile per la nomina del nuovo difensore.
Avendo parte ricorrente provveduto a depositare anche procura notarile per la nomina del nuovo difensore, la causa e’ stata fissata per l’adunanza camerale del 22 giugno 2022.
2. Il primo motivo di ricorso deduce la violazione degli articoli 57, 58, 101, 134, 136, 156, 221 e 356 c.p.c., nonche’ dell’articolo 111 Cost., quanto alla declaratoria di nullita’ della sentenza di primo grado per omessa comunicazione dell’ordinanza con la quale la causa era stata rimessa dal Tribunale in istruttoria, al fine di acquisire i codici fiscali delle parti.
Si evidenzia che in calce all’ordinanza di rimessione in istruttoria risultava un’annotazione della cancelleria “fatto avviso” che assicurava che il provvedimento fosse stato comunicato anche al difensore del convenuto, il che rendeva irrilevante il fatto che alla successiva udienza avesse preso parte solo il difensore degli attori.
Infatti, avuto riguardo alla data cui risaliva l’interruzione della causa, il giudice aveva ritenuto di derogare alle previsioni in materia di comunicazione delle ordinanze emesse fuori udienza, disponendo che potesse avvenire anche a mezzo fax o telefono, in ossequio al principio di liberta’ delle forme.
La declaratoria di nullita’ della sentenza di primo grado sarebbe percio’ erronea, in quanto andava adeguatamente considerata l’annotazione del cancelliere che attestava l’avvenuta comunicazione al difensore del convenuto, e che avrebbe potuto essere contestata solo con la querela di falso, ovvero dimostrando che la comunicazione non era in concreto avvenuta.
Il motivo e’ infondato.
La sentenza impugnata ha fatto applicazione del tradizionale principio secondo cui (cfr. Cass. n. 8002/2009) la mancata comunicazione alla parte costituita, a cura del cancelliere, ai sensi dell’articolo 176 c.p.c., comma 2, dell’ordinanza istruttoria pronunciata dal giudice fuori udienza provoca la nullita’ dell’ordinanza stessa, per difetto dei requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo, nonche’ la conseguente nullita’, ai sensi dell’articolo 159 c.p.c., degli atti successivi dipendenti (conf. Cass. n. 17847/2017), trovando lo stesso conferma anche nel recente intervento delle Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 9839/2021), secondo cui la nullita’ de qua presuppone il concreto impedimento all’atto del raggiungimento del suo scopo, nel senso che abbia provocato alla parte un concreto pregiudizio per il diritto di difesa, atteso che la stessa sentenza evidenzia come la nullita’ sia da escludere nel caso in cui la parte abbia comunque avuto conoscenza dell’udienza fissata per la prosecuzione del processo ed abbia partecipato ad essa senza dedurre specificamente l’eventuale pregiudizio subito, ne’ formulare istanze dirette ad ottenere il rinvio dell’udienza.

La comunicazione dell’ordinanza pronunciata dal giudice fuori udienza

Nella specie, la mancata partecipazione del difensore del convenuto all’udienza differita rende evidente come effettivamente ricorra il pregiudizio al diritto di difesa, che determina quindi la nullita’ della sentenza del Tribunale.
Occorre pero’ evidenziare, in risposta alle deduzioni di parte ricorrente, che questa Corte ha affermato che, sebbene le comunicazioni di cancelleria debbano avvenire, di norma, con le forme previste dall’articolo 136 c.p.c. e articolo 45 disp. att. c.p.c., con la consegna del biglietto effettuata dal cancelliere al destinatario ovvero con la notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario, esse possono essere validamente eseguite anche in forme equipollenti, sempreche’ risulti la certezza dell’avvenuta consegna e della precisa individuazione del destinatario, il quale deve sottoscrivere per ricevuta (cosi’ Cass. n. 24418/2008).
Sempre in tale ottica e’ stato affermato che (Cass. n. 9421/2012) anche l’estrazione di copia autentica, fa si’ che la parte acquisisca conoscenza formale del provvedimento, all’esito di un’attivita’ istituzionale della cancelleria, che impone l’individuazione del soggetto che richiede la copia e del soggetto che la ritira, nonche’ l’annotazione della data di rilascio della copia stessa, avendosi, quindi, al pari della “presa visione”, una forma equipollente della comunicazione di cancelleria.
Rileva, quindi, che l’attivita’ posta in essere dalla cancelleria con modalita’ diverse da quelle prescritte dall’articolo 136 c.p.c., assicuri con certezza che il provvedimento sia stato portato a conoscenza delle parti e sia altresi’ certa la data di tale conoscenza, certezza che puo’ aversi soltanto con la sottoscrizione per ricevuta da parte del destinatario medesimo o con modalita’ che confermino l’effettivita’ della ricezione (Cass. n. 24742/2006).
Ne consegue che tale certezza non si raggiunge nell’ipotesi in cui il cancelliere si sia limitato a certificare, sic et simpliciter, di aver eseguito la comunicazione, senza indicarne il modo (nella specie in calce alla sentenza, sotto la dicitura “depositato” apposta con timbro, vi era scritto a mano “e comunicato”, seguito dalla data e dalla sottoscrizione del cancelliere, cosi’ Cass. n. 3557/1977; Cass. n. 3443/1971; Cass. n. 5746/1992, secondo cui non e’ sufficiente ai fini della dimostrazione dell’avvenuta comunicazione l’annotazione “comunicato” od altra simile, apposta in calce ad esso da parte del cancelliere, non essendo essa idonea a fornire la certezza che l’atto abbia raggiunto lo scopo).
La decisione gravata ha deciso la controversia in maniera conforme alla giurisprudenza di questa Corte, essendo priva di fondamento la tesi dei ricorrenti, per cui la sola dizione presente in calce alla copia dell’ordinanza di rimessione sul ruolo potesse assicurare l’avvenuta comunicazione sia pure con le diverse modalita’ individuate dal giudice al difensore del convenuto.

La comunicazione dell’ordinanza pronunciata dal giudice fuori udienza

3. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’articolo 2909 c.c., articoli 112 e 324 c.p.c., quanto al rilievo da parte della Corte d’Appello dell’inapplicabilita’ nel caso di specie del PRG, in quanto privo di approvazione da parte dell’autorita’ competente.
Si evidenzia che le parti in causa ed il Tribunale avevano pacificamente ritenuto applicabile alla fattispecie la disciplina di cui al menzionato strumento urbanistico locale, in quanto norma integrativa dell’articolo 873 c.c., in punto di distanze.
Alcun motivo di appello investiva tale conclusione cosi’ che doveva ritenersi che fosse stata prestata acquiescenza alla decisione in merito all’individuazione della fonte normativa applicabile.
Inoltre, vi sarebbe la violazione della regola posta dall’articolo 101 c.p.c., avendo la Corte d’Appello emesso una decisione della terza via, senza suscitare il contraddittorio sul punto.
Anche tale motivo e’ privo di fondamento.
Va in primo luogo evidenziato che tra i motivi di appello vi era anche quello che investiva in senso ampio la validita’ della sentenza del Tribunale per la violazione del contraddittorio, come appunto evidenziato in occasione della disamina del primo motivo di ricorso.
Il motivo di appello in questione e’ stato peraltro ritenuto fondato dalla Corte d’Appello che per l’effetto ha dichiarato la nullita’ della decisione appellata, conclusione questa che rende di per se’ manifesto come non possa reputarsi intervenuto alcun giudicato interno, essendo stata annullata proprio la decisione sulla quale si fonderebbe la pretesa esistenza di un giudicato interno.
In ogni caso, anche a prescindere da tale rilievo avente portata assorbente, deve ribadirsi che il giudicato interno non si determina sul fatto, ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, sicche’ l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, cosi’ espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Cass. n. 10760/2019; Cass. n. 24783/2018; Cass. n. 16853/2018, che ribadendo l’impossibilita’ che si formi un giudicato interno a seguito della impugnazione che investa anche uno solo degli elementi della cd. “minima unita’ suscettibile di acquisire la stabilita’ del giudicato interno”, conclude nel senso che si riapra la cognizione sull’intera statuizione, imponendo al giudice di verificare anche la norma applicabile e la sua corretta interpretazione).

La comunicazione dell’ordinanza pronunciata dal giudice fuori udienza

Poiche’ i motivi di appello investivano anche l’effetto dell’applicazione delle norme in materia di distanze, mirando l’appellante a sovvertire la condanna all’arretramento, deve reputarsi che il giudice fosse investito anche della possibilita’, in applicazione del principio iura novit curia, di riscontrare quale fosse la norma correttamente applicabile alla vicenda, come appunto accaduto nel caso in esame.
Quanto poi alla deduzione della violazione dell’articolo 101 c.p.c., comma 2, anche a voler soprassedere circa il fatto che la previsione de qua non appare direttamente applicabile ratione temporis, trattandosi di giudizio gia’ pendente alla data del 4 luglio 2009, e’ stato tuttavia precisato che qualora il giudice esamini d’ufficio una questione di puro diritto, senza procedere alla sua segnalazione alle parti onde consentire su di essa l’apertura della discussione (cd. terza via), non sussiste la nullita’ della sentenza, in quanto da tale omissione non deriva la consumazione di vizio processuale diverso dall'”error iuris in iudicando”, ovvero dalrerror in iudicando de iure procedendi”, la cui denuncia in sede di legittimita’ consente la cassazione della sentenza solo se tale errore si sia in concreto consumato. (cosi’ Cass. n. 16049/2018; Cass. n. 15037/2018).
Nella specie, la questione relativa all’individuazione della norma applicabile si appalesa evidentemente come questione di puro diritto, non senza doversi aggiungere che l’omessa indicazione alle parti di una questione di fatto oppure mista di fatto e di diritto, rilevata d’ufficio, sulla quale si fondi la decisione, comporta la nullita’ della sentenza (cd. della terza via o a sorpresa) per violazione del diritto di difesa, tutte le volte in cui la parte che se ne dolga prospetti, in concreto, le ragioni che avrebbe potuto fare valere, qualora il contraddittorio sulla predetta questione fosse stato tempestivamente attivato (Cass. n. 11440/2021), ragioni che parte ricorrente non risulta avere specificamente prospettato in ricorso.
4. Il terzo motivo di ricorso lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (quanto alla natura integrativa del precetto dell’articolo 873 c.c., delle norme del PRG del Comune di (OMISSIS)).
Si sostiene che entrambe le parti avevano sostenuto l’applicabilita’ alla fattispecie delle norme del PRG, e che la sentenza non ha considerato tale fatto. Inoltre, non sarebbe stato esaminato il certificato di destinazione urbanistica dal quale del pari si ricavava che fosse applicabile la disciplina del PRG, e che aveva determinato l’impugnazione da parte dei ricorrenti del permesso di costruire rilasciato a (OMISSIS).
Il giudice di appello avrebbe quindi dovuto valorizzare la circostanza che le parti reputavano pacifica l’applicazione della detta normativa e che in tal senso si fosse orientato anche il CTU, dalle cui conclusioni era dato dissentire solo in maniera motivata.
In caso di dubbio il giudice avrebbe dovuto svolgere ulteriore attivita’ istruttoria e, come si ricava dalla certificazione rilasciata in data 29/12/2016, avrebbe potuto verificare che la Delib. di adozione del PRG fosse stata dichiarata immediatamente esecutiva.
Il motivo e’ inammissibile.
L’interpretazione di questa Corte ha chiarito come l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053). Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 05/03/2014, n. 5133. Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5: le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802: Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. Sez. L, 21/10/2015, n. 21439); le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, i quali rappresentano, piuttosto, i fatti costitutivi della “domanda” in sede di gravame, e la cui mancata considerazione percio’ integra la violazione dell’articolo 112 c.p.c., il che rende ravvisabile la fattispecie di cui dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e quindi impone un univoco riferimento del ricorrente alla nullita’ della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorche’ sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass. Sez. 2, 22/01/2018, n. 1539; Cass. Sez. 6 – 3, 08/10/2014, n. 21257; Cass. Sez. 3, 29/09/2017, n. 22799; Cass. Sez. 6 – 3, 16/03/2017, n. 6835).

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Manca nella formulazione del motivo la specifica individuazione del fatto, inteso nel senso ora delineato, di cui sarebbe stata omessa la disamina, contestandosi piuttosto il fatto che il giudice abbia adempiuto al dovere officioso di individuare la norma applicabile, senza attestarsi alle indicazioni fornite dalle parti.
La sentenza ha, invece, riscontrato, in applicazione del principio tradizionalmente affermato da questa Corte (Cass. n. 22589/2020), che le prescrizioni del piano regolatore, atto complesso risultante dal concorso della volonta’ del Comune e della Regione, acquistano efficacia di norme giuridiche integrative del codice civile solo con l’approvazione del piano medesimo da parte dell’autorita’ regionale, cosi’ che in assenza di approvazione da parte della giunta regionale non sono suscettibili di trovare applicazione (Cass. n. 14915/2015).
In tal senso va ricordato che (Cass. n. 17692/2009) la vigenza o meno di una certa norma alla data rilevante in relazione al caso concreto non costituisce nuova questione di fatto, non deducibile in sede di legittimita’, poiche’ rientra nella scienza ufficiale del giudice, che ha il dovere, prescindendo dalle deduzioni delle parti, di verificare se la disposizione invocata sia effettivamente in vigore e, quindi, applicabile al caso esaminato.
Ne deriva che a nulla rileva ai fini della valutazione del giudice il diverso e concorde convincimento delle parti in merito all’individuazione della norma applicabile, come del pari non puo’ vincolare il giudice l’individuazione della norma compiuta dall’ausiliario, trattandosi peraltro di compito che chiaramente esula da quelli suscettibili di essere affidati al consulente d’ufficio.
Inoltre, in disparte l’inammissibilita’ della produzione in questa sede del certificato di destinazione urbanistica recante la data del 29/12/2016, trattandosi di documento che esula dal novero di quelli per i quali e’ prevista la produzione in sede di legittimita’ ex articolo 372 c.p.c. (occorrendo altresi’ sottolineare che non puo’ avere rilevanza il fatto che il suo rilascio sia avvenuto in data successiva a quella di deposito della sentenza gravata, posto che la certificazione concerne fatti di epoca anteriore, che ben avrebbero potuto essere documentati anche nel corso del giudizio di merito), la sommaria descrizione del suo contenuto non evidenzia l’approvazione del piano urbanistico da parte dell’autorita’ regionale, gia’ all’epoca dei fatti di causa.
5. Il ricorso e’ pertanto rigettato, dovendosi regolare le spese in base al principio della soccombenza.
6. Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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