La controversia avente ad oggetto l’esecuzione della delibera di aumento del capitale sociale di una società è compromettibile in arbitri

Corte di Cassazione, sezione sesta (prima) civile, Ordinanza 25 febbraio 2020, n. 4956.

La massima estrapolata:

La controversia avente ad oggetto l’esecuzione della delibera di aumento del capitale sociale di una società è compromettibile in arbitri, ai sensi dell’art. 34, comma 1, del D.lgs. n. 5 del 2003, poiché relativa a diritti inerenti al rapporto sociale inscindibilmente correlati alla partecipazione del socio (Nel caso di specie, accogliendo il ricorso, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata con la quale il giudice adito, rigettando l’opposizione a decreto ingiuntivo, aveva affermato la propria competenza in merito alla controversia insorta allorché il giudice delegato al fallimento di una società a responsabilità limitata in liquidazione, dietro proposta del curatore, aveva emesso il provvedimento monitorio nei confronti del ricorrente quale socio obbligato al versamento delle somme ancora dovute in relazione ad una delibera di aumento del capitale sociale assunta dalla predetta società poi fallita) 

Ordinanza 25 febbraio 2020, n. 4956

Data udienza 20 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente

Dott. MARULLI Marco – Consigliere

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26458-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO (OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona dei curatori, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– resistente –
per regolamento di competenza avverso la sentenza n. 528/2018 del TRIBUNALE di MANTOVA, depositata l’11/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/11/2019 dal Consigliere Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA;
lette le conclusioni scritte del PUBBLICO MINISTERO in persona del SOSTITUTO PROCURATORE GENERALE DOTT. LUISA DE RENZIS che visti gli articoli 43, 47 e 380 ter c.p.c., chiede alla Corte di accogliere lo stesso ricorso e per l’effetto cassare l’impugnata sentenza del Tribunale di Mantova ed accertare e dichiarare la competenza dell’arbitro unico di cui all’articolo 24 dello statuto della srl (OMISSIS) a decidere la controversia oggetto del giudizio RG 4715/2016.

FATTI DI CAUSA

1.- Dietro proposta del curatore, il giudice delegato al fallimento della s.r.l. (OMISSIS) in liquidazione ha emesso, ai sensi dell’articolo 150 L. Fall., decreto ingiuntivo nei confronti di (OMISSIS) per l’immediato versamento delle somme che questi, quale socio, ancora doveva in relazione alla delibera di aumento del capitale assunta dalla societa’ poi fallita nel dicembre 2010.
L’ingiunto ha presentato opposizione ex articolo 645 c.p.c. avanti al Tribunale di Mantova, eccependo l’incompetenza della autorita’ giudiziaria ordinaria in ragione di apposita clausola contenuta nello statuto della societa’; l’intervenuta prescrizione e comunque la decadenza della pretesa azionata; la sussistenza di una “revoca implicita” della delibera di aumento; la compensazione “dei versamenti derivanti dalla delib. 20.12.2010 con quanto versato da (OMISSIS) in esecuzione della delib. di aumento del 27.4.2011”.
2.- Con sentenza depositata l’11 luglio 2018, il Tribunale di Mantova ha rigettato l’opposizione proposta dall’ingiunto, affermando la propria competenza, respingendo inoltre le ulteriori eccezioni preliminari e pure i rilievi di merito ivi formulati.
3.- Per quanto qui interessa, la sentenza ha ritenuto, in particolare, che la controversia di cui all’opposto decreto ingiuntivo non rientrava nell’ambito della clausola compromissoria contenuta nello statuto della societa’ fallita, secondo la quale “tutte le controversie aventi a oggetto rapporti sociali… saranno risolte mediante arbitrato rituale secondo diritto in conformita’ al regolamento della camera arbitrale… da un arbitro unico nominato dalla camera arbitrale” (articolo 24).
Il fallimento – cosi’ si e’ osservato – “ha agito in via monitoria al fine di ottenere l’esecuzione dei versamenti ancora dovuti dai soci in forza della delib. 20.10.2012”: percio’, la pretesa in tal modo azionata “non trova la propria fonte nello statuto sociale, ne’ si puo’ affermare che, mediante l’espletata azione in via monitoria, il curatore abbia inteso “subentrare” nel rapporto contrattuale ovvero nello statuto della societa’”; la “causa petendi del credito fatto valere dal fallimento infatti trova la propria fonte nella delibera che ha disposto l’aumento di capitale, poi non versato”.
4.- (OMISSIS) ha impugnato la sentenza con ricorso per regolamento facoltativo di competenza ex articolo 43 c.p.c., in relazione alla parte in cui ha escluso la competenza arbitrale riguardo alla controversia di cui all’opposto decreto ingiuntivo.
Il fallimento ha depositato una “memoria difensiva”, ai sensi dell’articolo 47 c.p.c., u.c..
Entrambe le parti hanno anche depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

5.- Il ricorrente assume “violazione del Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 34, dell’articolo 83 bis L. Fall., e dell’articolo 808 quater c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3 e/o n. 4”.
A suo avviso, la sentenza ha commesso, in particolare, due distinti errori.
Il primo consiste nell’affermare che il curatore non sarebbe subentrato nel rapporto sociale. In realta’, l’obbligo di effettuare i versamenti per l’aumento di capitale sottoscritto – si annota – non puo’ che derivare dal rapporto sociale: “il curatore si pone nella medesima posizione sostanziale e processuale del fallito ed esercita il diritto che era gia’ sorto in capo alla societa’ prima della dichiarazione di fallimento.
Il secondo errore sta nell’affermazione per cui la pretesa del fallimento troverebbe la propria fonte non gia’ nello statuto, bensi’ nella delibera di aumento. Il giudice sovrappone e confonde – cosi’ si censura – il “piano inerente allo statuto sociale, ossia l’atto che contiene le norme relative al funzionamento della societa’”, con il “plano relativo alla delibera di aumento di capitale, che si pone quale atto organizzativo della societa’ con cui si estrinseca una modifica statutaria”.
6.- Nella memoria ex articolo 47 c.p.c. il fallimento – nel riprendere gli argomenti formulati dalla sentenza del Tribunale mantovano – rileva inoltre che l'”articolo 150 L.F. impone al curatore di chiedere l’ingiunzione al giudice delegato e all’ingiunto di proporre opposizione ai sensi dell’articolo 645 c.p.c., per cui non puo’ esservi alcuna competenza arbitrale: si tratta di competenza inderogabile ed esclusiva”. Ancora aggiunge la memoria che il “curatore non e’ un socio che ha sottoscritto il contratto sociale contenente la clausola arbitrale, ma un terzo al quale non e’ opponibile, in quanto egli non subentra nell’atto costitutivo”: il Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 34 comma 3, “prescrive che la clausola compromissoria negli atti costitutivo societari “e’ vincolante per la societa’ e per tutti i soci”, non per i terzi diversi dai soci”.
7.- Il ricorso va accolto, in conformita’ a quanto deciso dalla pronuncia di Cass., 30 settembre 2019, 24444 con riferimento a controversia analoga alla presente, secondo i termini e nei limiti qui di seguito illustrati.
8.- Secondo la prospettazione fornita dal curatore fallimentare, la fattispecie che viene qui in esame propone quali dati di base: in primo luogo, un aumento di capitale deliberato dall’assemblea in epoca anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento della societa’ e per un certo periodo di tempo rimasto (almeno per in parte) non eseguito; in secondo luogo, una richiesta di esecuzione dello stesso nei confronti di (OMISSIS) (assunto quale socio), posta in essere in sede fallimentare e poi sfociata nel decreto ingiuntivo emesso dal giudice delegato. Rispetto a questi dati (che assume in thesi) il ricorrente predica l’applicazione della clausola compromissoria contenuta nello statuto sociale (articolo 24).
Nella sua delineazione strutturale di base, dunque, la fattispecie in oggetto integra gli estremi di un’ipotesi tipica di contratto pendente alla data della dichiarazione di fallimento. Come tale, per se’ idonea a ricadere nell’ambito applicativo dell’articolo 83 bis L. Fall.: norma in effetti ritenuta comunemente applicabile non solo nel caso di arbitrato pendente al tempo della sentenza dichiarativa, ma pure in quello in cui a risultare pendente e’ il contratto che contiene la clausola compromissoria.
Si tratta, pertanto, di verificare se i contenuti della clausola compromissoria, di cui all’articolo 24 dello statuto della societa’ poi fallita, siano effettivamente pertinenti alla fattispecie appena indicata, nonche’, e distintamente, se l’applicazione di questa clausola a tale fattispecie non incontri i limiti dei diritti indisponibili e degli specifici divieti di legge, di cui alle norme dell’articolo 806 c.p.c., comma 1 e del Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 34, comma 3.
9.- Analizzando piu’ da vicino i termini proposti dalla fattispecie concreta, e’ da notare adesso che, secondo quanto emerge direttamente anche dall’impianto sistematico del codice civile, la delibera di aumento del capitale di societa’ si pone come atto (secondo altra ricostruzione dommatica, come fatto) “modificativo dell’atto costitutivo” (cfr., con specifico riferimento alla s.r.l., l’intestazione della sezione V, capo VII, titolo V, libro V, del codice). La delibera si pone, quindi, come atto modificativo del negozio costitutivo della societa’ data: in cui, fermi per l’appunto gli altri patti e clausole, per decisione dei soci (cfr. l’articolo 2479 c.c., comma 2, n. 4) vengono modificati i termini contenutistici di quell’elemento costituivo del negozio di s.r.l. che e’ rappresentato dal capitale della societa’ (articolo 2463 c.c., comma 2, n. 4).
Posta questa struttura di base, lo statuto della societa’ e la delibera di aumento non si pongono in termini alternativi, o antagonistici, nei confronti dell’aumento di capitale (sua decisione e sua esecuzione), come pure ha ritenuto il Tribunale mantovano. Si pongono, invece, in termini di consecutivita’ sostanziale, la delibera sovrapponendosi alla precedente decisione statutaria in punto di misura del capitale.
Non puo’ essere dubbio, d’altra parte, che – trattandosi di vicenda modificativa del precedente patto societario – la controversia, che per un verso o per altro concerna l’aumento, rientra, di per se’, nell’ambito dei “rapporti sociali” (secondo la formula adottata dall’articolo 24 dello statuto della societa’ poi fallita, in via di sostanziale mutuazione di quella contenuta nel Decreto Legislativo n. 3 del 2005, articolo 34, comma 1).
10.- Peculiare attenzione richiede, peraltro, anche il punto specificamente relativo all’esecuzione dell’aumento deliberato dall’assemblea, che e’ quanto qui viene, anzi, in diretto e immediato interesse.
Nel sistema dei contratti con comunione di scopo (dal codice civile denominati “contratti plurilaterali”), nel cui contesto si situa, tra gli altri, anche il contratto di societa’, l’ordinamento ammette – com’e’ noto – la regola del trattamento differenziato della singola parte contrattuale rispetto all’insieme delle altre (cfr., cosi’, gli articoli 1424, 1446, 1459 c.c.).
Con riferimento all’esecuzione dei conferimenti nella s.r.l., la detta regola si e’ tradotta nella disposizione dell’articolo 2466 c.c., che per l’appunto prescrive l’obbligo degli amministratori della societa’ di seguire determinati percorsi nei confronti dei contraenti morosi (ciascuno distintamente considerato rispetto agli altri, salva comunque l’applicazione della regola della parita’ di trattamento): come intesi o ad addivenire all’esecuzione coattiva dell’obbligo di eseguire il conferimento (cfr. all’interno del comma 2 dell’articolo 2466) ovvero, in alternativa (nel senso, peraltro, che sara’ chiarito nel n. 16), a sostituire con altri il socio moroso (cfr. sempre il comma 2 della norma) e anche, nel caso occorrente, a sciogliere il contratto limitatamente alla (sola) partecipazione del socio moroso (articolo 2466, comma 3).
Secondo quanto e’ corretta opinione comune, tale disposizione si applica tanto nel caso di costituzione della societa’, quanto in quello dell’aumento del capitale.
11.- Nel caso di scioglimento della societa’, e anche nell’eventualita’ di fallimento della medesima, non pare subire alterazioni sostanziali la parte della norma dell’articolo 2446 c.c. che concerne l’esecuzione coattiva dell’obbligo di eseguire i conferimenti dovuti (salva, nel caso, l'”integrazione” derivante dall’articolo 150 L. Fall.; questo punto verra’ ripreso infra, nel n. 14): secondo quanto emerge, prima di tutto, dalla disposizione dell’articolo 2491 c.c., comma 1.
Qualche perplessita’ potrebbero forse sorgere, invece, in relazione all’altra parte normativa dell’articolo 2466, riferita alla sostituzione del contraente moroso con altri soggetti: di per se’, ben difficilmente reperibili (come disposti a versare il conferimento dovuto), attesa la situazione in cui si trova oggettivamente a versare la societa’ (dei cui conferimenti si discute).
A ben vedere, trattasi tuttavia di un ostacolo solo fattuale all’applicazione della disciplina di questa parte dell’articolo 2466: in specie, nel senso che, ai sensi del comma 3, in ogni caso la concreta “mancanza di compratori” delle quote morose produce in via diretta la conseguenza che gli amministratori o i liquidatori della societa’ – o, nel caso, il curatore fallimentare “escludono il socio, trattenendo le somme riscosse” (per precedenti versamenti che quest’ultimo abbia eventualmente compiuto).
12.- Nel caso in cui il socio moroso contesti, per una o per altra ragione, il diritto del curatore di incamerare definitivamente le somme, che questi abbia trattenuto in ragione della detta norma, non puo’ comunque trovare applicazione la clausola arbitrale che sia eventualmente contenuta nello statuto della relativa societa’.
In effetti, una simile pretesa per definizione si atteggerebbe nei termini di richiesta di restituzione somme: assumendo, quindi, la consistenza (ipotetica) di un credito del socio verso il fallito. Ed e’ principio acquisito quello per cui “non sono mai arbitrabili le pretese fatte valere da terzi”, soci compresi, “verso l’amministrazione fallimentare” (cfr., in particolare, la citata Cass., n. 24444/2019). Per queste pretese, in ogni caso occorre il “procedimento di verifica dello stato passivo”, che non ammette alternative.
13.- Nella controversia qui in concreto esame, tuttavia, il curatore ha optato per la strada dell’esecuzione forzata, azionando la richiesta prevista dalla norma dell’articolo 150 L.F. (nell’ambito dottrinale non mancandosi di sottolineare che la scelta tra il procedimento ex articolo 150 L.F. e l’adozione del “procedimento speciale stabilito” dall’articolo 2466 risponde, di per se’, a una scelta di opportunita’).
Di conseguenza, il tema, che qui viene indagato, rimane estraneo alla materia del credito del socio verso la societa’ fallita, per restare focalizzato sulla situazione inversa, del credito della societa’ fallita nei confronti del socio (cfr. sopra, nel n. 8).
14.- In materia di diritto al versamento dei conferimenti dovuti dai soci morosi, il fallimento trova – secondo la formula di uso corrente – il diritto gia’ esistente nel patrimonio del fallito. Realizzandosi cosi’ un fenomeno di semplice “sostituzione” (di tratto essenzialmente gestorio) del curatore nella posizione degli amministratori o dei liquidatori.
Per la verita’, a questo schema si potrebbe forse obiettare che – una volta dichiarato il fallimento della societa’ – il curatore dispone di un potere ulteriore rispetto a quelli che fanno da comune corredo alla corrispondente azione di amministratori e di liquidatori: alla normale possibilita’ di chiedere decreto ingiuntivo aggiungendosi (non sostituendosi) quello di chiedere senz’altro l’intervento del giudice delegato, secondo quanto per l’appunto stabilito dalla norma dell’articolo 150 L.F. (il curatore non perde il potere di procedere in via monitoria ricorrendo alle regole di diritto comune).
Non sembra, tuttavia, che cio’ possa formare una base sufficiente per dare vita a una posizione di diversita’ rilevante di terzieta’, secondo quanto invece sostenuto nella memoria depositata dal fallimento della s.r.l. (OMISSIS) (cfr. sopra, nel n. 6) – del curatore rispetto alle originarie posizioni contrattuali. In effetti, la causa petendi rimane comunque identica, pur nel caso di utilizzo dello strumento che arricchisce i poteri del curatore.
D’altro canto, come e’ stato osservato in ambito dottrinale, il procedimento di cui all’articolo 150 conserva una natura monitoria; ne’ e’ pensabile che lo stesso risulti utilizzabile pur in difetto di prova scritta. Lo scarto differenziale dello strumento dell’articolo 150 L.F. sembra dunque consistere – in ragione della competenza, che viene assegnata (anche) al giudice delegato nelle maggiori rapidita’ e snellezza del relativo procedimento.
15.- Rimane da considerare il punto della arbitrabilita’ della controversia relativa alla materia dell’obbligo di esecuzione dei conferimenti nell’ambito di una s.r.l..
In relazione alla nozione di diritto (non) disponibile, di cui all’articolo 806 c.p.c. ed al Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 34, comma 3, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che il “limite della disponibilita’ si fonda”, nella sua radice di base, “sulla stessa configurazione del giudizio arbitrale”: “l’arbitro, derivando il suo potere da quello delle parti, non puo’ decidere una controversia relativa a diritti sottratti alla disponibilita’ delle parti”.
Di base, “l’area dell’arbitrabilita’ coincide con quella della disponibilita’ dei diritti”: allora, “la disponibilita’ va commisurata al diritto oggetto della controversia, e non alle questioni che gli arbitri, devono sciogliere in vista della decisione, suscettibili di essere affrontate con effetti incidenter tantum”. L’inderogabilita’ e l’imperativita’ che eventualmente regolino il diritto “non rende automaticamente quest’ultimo indisponibile, rimanendo viceversa tenuti gli arbitri ad applicare la normativa cogente in materia prevista” (cfr., in specie, Cass., 16 aprile 2018, n. 9344; sul punto v. anche, tra le altre decisioni, la piu’ volte citata pronuncia di Cass., n. 24444/2019).
Ora, e’ orientamento consolidato di questa Corte che le controversie in materie societarie ben possono, in linea generale, formare oggetto di compromesso (si veda, del resto, il Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 34): con esclusione, peraltro, di quelle “che hanno a oggetto interessi della societa’ o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi” (Cass., 23 febbraio 2005, n. 3772; Cass., n. 24444/2019).
16.- La presenza del principio di tutela del capitale sociale e in specie dell’effettivita’ del medesimo – che, nel sistema vigente, connota propriamente la regolamentazione delle societa’ c.d. di capitali (si pensi ad esempio, per la specifica forma della s.r.l., al disposto dell’articolo 2467 c.c.) – potrebbe forse far dubitare che quello al versamento dei conferimenti dovuti sia da considerare, ai fini dell’arbitrabilita’ delle relative controversie, nel novero dei “diritti disponibili” (ex articolo 806 c.p.c. Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 34, comma 3).
Un’indicazione importante in senso contrario viene fornita, tuttavia, proprio dal disposto dell’articolo 2466 c.c., che piu’ sopra si e’ esaminato (cfr. i numeri 11 e 12).
In effetti, il comma 3, ultimo periodo, di questa disposizione stabilisce che – nel caso in cui non risulti effettivamente possibile, nel concreto della fattispecie, procedere alla vendita in danno del socio moroso per la “mancanza di compratori” gli amministratori debbono non solo “escludere il socio” trattenendo le somme da questi eventualmente versate, ma altresi’ procedere a “ridurre il capitale in misura corrispondente”.
Cio’ che tra l’altro implica, secondo quanto appare evidente, una sorta peculiare di rinuncia al credito (del tutto a prescindere – si deve pure avvertire per la necessaria completezza di discorso – dal tema, di per se’ finitimo, relativo alla questione se mai gli amministratori, i liquidatori o il curatore fallimentare possano eventualmente procedere a rinunce involgenti il credito all’esecuzione del conferimento, fuor dall’ipotesi e termini stabiliti dalla norma dell’articolo 2466 c.c., comma 3).
Quella appena indicata si manifesta – e’ opportuno altresi’ precisare – un epilogo possibile pure nel caso in cui gli amministratori o i liquidatori o il curatore fallimentare scelgano in un primo tempo di percorrere la strada dell’esecuzione coattiva: che’ la riscontrata incapienza patrimoniale del socio moroso, o anche altre ragioni di opportunita’, ben possono consigliare al gestore di abbandonare tale via per tentare quella della vendita in danno.
La constatazione che, sotto il profilo funzionale, tale riduzione del capitale risulta possedere il significato sostanziale di trasmettere un’informazione al mercato non elimina, per la verita’, lo spessore del rilievo che, sotto il profilo strutturale, si manifesta proprio -nella rinuncia al credito che alla riduzione medesima viene a connettersi.
17.- La conferma della “disponibilita’” – in relazione allo specifico punto dell’arbitrabilita’ delle relative controversie – del diritto della societa’ al versamento dei conferimenti dovuti risulta comunque data, da altra prospettiva, dalla pronuncia di Cass., 28 agosto 2015, n. 17283.
Questa sentenza ha, infatti, ritenuto compromettibili in arbitro la stessa impugnativa di una delibera assembleare di aumento di capitale e la conseguente domanda di risarcimento del danno, pure assumendo (tra l’altro) che trattasi in definitiva di una mera “controversia tra socio e societa’”.
Sui contenuti di questo arresto si e’, d’altro canto, soffermata funditus la piu’ volte citata pronuncia di Cass., n. 24444/2019, per l’appunto assegnandogli rilievo peculiare, assorbente, ai fini della soluzione del problema in esame. La compromettibilita’ della delibera assembleare che decide sull’aumento – cosi’ ha in particolare ritenuto la detta decisione – “implica che non possa dubitarsi, poi, che lo sia altresi’, sul medesimo versante, la controversia semplicemente succedanea, tesa all’esecuzione del conferimento e in cui si discuta della sua esigibilita’”.
18.- Alla stregua delle osservazioni complessivamente svolte, deve in conclusione essere dichiarata la competenza arbitrale in ordine alla controversia de qua.
Va di conseguenza cassata la sentenza impugnata, con rimessione delle parti innanzi agli arbitri.
19.- Il Collegio ritiene equo compensare per intero le spese del regolamento, anche in considerazione del fatto che la questione, qui esaminata, risulta fatta oggetto di esame da parte della giurisprudenza di questa Corte solo in tempi molto recenti.

P.Q.M.

La Corte dichiara la competenza arbitrale. Cassa la sentenza impugnata e rimette le parti innanzi agli arbitri. Compensa per intero le spese del regolamento di competenza.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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