La declassificazione dei beni appartenenti al patrimonio indisponibile

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 22 settembre 2020, n. 19814.

La declassificazione dei beni appartenenti al patrimonio indisponibile, la cui destinazione all’uso pubblico deriva da una determinazione legislativa, deve avvenire in virtù di atto di pari rango, e non può, dunque, trarsi da una condotta concludente dell’ente proprietario, postulando la cessazione tacita della patrimonialità indisponibile, così come della demanialità, che il bene abbia subito un’immutazione irreversibile, tale da non essere più idoneo all’uso della collettività, senza che a tal fine sia sufficiente la semplice circostanza obiettiva che detto uso sia stato sospeso per lunghissimo tempo. Ne consegue che, con riguardo agli alloggi costruiti a carico dello Stato per far fronte alle esigenze delle popolazioni colpite da eventi sismici, la cui inclusione nell’ambito del patrimonio indisponibile si ricava dagli artt. da 252 a 255 del Testo Unico delle disposizioni sull’edilizia popolare ed economica, deve escludersi la stessa ipotetica configurabilità di una declassificazione tacita per effetto dell’attività concludente posta in essere dall’ente proprietario, nonché la possibilità che questa abbia anche soltanto innescato la sospensione dell’uso pubblico. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva escluso l’usucapibilità di un alloggio realizzato dallo I.A.C.P., assegnato da un Comune senza, tuttavia, che si fosse perfezionato il relativo procedimento, mediante la stipulazione dell’apposita convenzione prevista dalla l. n. 605 del 1966 e, non per questo, transitato al patrimonio disponibile dell’Ente).

Sentenza 22 settembre 2020, n. 19814

Data udienza 18 febbraio 2020

Tag/parola chiave: Immobili – Possesso – Usucapione – Patrimonio indisponibile del comune – Patto di futura vendita – Espropriazione per pubblica utilità – Pubblica amministrazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARRATO Aldo – Presidente

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 19263/2016 proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
e
ISTITUTO AUTONOMO CASE POPOLARI PROVINCIA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– controricorrenti –
e contro
COMUNE di RIPOSTO;
– intimato –
avverso la sentenza n. 154/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 26/01/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/02/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE RENZIS Luisa, la quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi gli avvocati (OMISSIS) per parte ricorrente, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, e gli avvocati (OMISSIS) per il controricorrente I.A.C.P. e (OMISSIS), in sostituzione dell’avvocato (OMISSIS), per (OMISSIS) S.P.A., i quali hanno concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) conveniva in giudizio (OMISSIS) S.p.a. innanzi al Tribunale di Catania, sezione distaccata di Giarre, esponendo di aver posseduto per oltre vent’anni un alloggio sito in (OMISSIS) ed invocando l’accertamento dell’intervenuto acquisto in suo favore della proprieta’ di detto bene per usucapione.
Si costituiva in giudizio la societa’ convenuta, chiedendo di essere autorizzata alla chiamata in causa dello I.A.C.P. di (OMISSIS) e del Comune di Riposto, resistendo alla domanda ed invocando la condanna dello I.A.C.P. da un lato a tenerla indenne dalle conseguenze negative dell’eventuale accoglimento della domanda, e dall’altro lato a risarcire il danno causato alla predetta (OMISSIS) per effetto della mancata acquisizione della proprieta’ superficiaria delle aree su cui insistevano gli immobili di cui e’ causa. Invocava) inoltre) l’emissione di sentenza costitutiva ex articolo 2932 c.c., produttiva degli effetti della convenzione che lo I.A.C.P. avrebbe dovuto stipulare con il Comune di Riposto, con trasferimento all’odierno ricorrente della proprieta’ dell’immobile dietro obbligo dello stesso di versarne il corrispettivo ad essa (OMISSIS).
Si costituiva in giudizio lo I.A.C.P., a seguito della sua chiamata in causa, eccependo la prescrizione delle pretese vantate da (OMISSIS) e resistendo, comunque, alla domanda attorea. Rimaneva, invece, contumace il Comune di Riposto.
Con sentenza n. 20/2012 il Tribunale accoglieva la domanda di parte attrice, dichiarando l’intervenuto acquisto per usucapione, in capo a quest’ultima, della proprieta’ del bene immobile e rigettando le domande proposte da (OMISSIS) nei confronti di I.A.C.P..
Interponeva appello avverso detta decisione (OMISSIS) e si costituivano in seconde cure l’originario attore e lo I.A.C.P., con separate difese, resistendo al gravame. Rimaneva invece contumace anche in secondo grado il Comune di Riposto.
Con la sentenza oggi impugnata, n. 154/2016, la Corte di appello di Catania accoglieva in parte l’impugnazione, rigettando la domanda di usucapione originariamente proposta dall’attore in prime cure e confermando, nel resto, la decisione del Tribunale. La Corte territoriale basava la propria decisione sulla ritenuta natura patrimoniale indisponibile del bene immobile oggetto di causa, e sulla conseguente impossibilita’ dell’acquisto per usucapione di diritti reali sul medesimo.
Propone ricorso avverso detta decisione (OMISSIS), affidandosi a quattro motivi.
Resistono con separati controricorsi (OMISSIS) e I.A.C.P.. Il Comune di Riposto non ha, invece, svolto attivita’ difensiva nel presente giudizio di legittimita’.
La parte controricorrente (OMISSIS) ha depositato memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

Per motivi di pregiudizialita’ logico-giuridica vai innanzitutto, scrutinato il terzo motivo, con il quale il ricorrente lamenta la violazione degli articoli 342 e 343 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, perche’ la Corte di appello avrebbe omesso di rilevare la genericita’ dell’impugnazione proposta da (OMISSIS) e la conseguente formazione del giudicato interno sulla statuizione di primo grado che aveva accertato l’intervenuto acquisto per usucapione del bene immobile in favore del ricorrente.
La censura e’ inammissibile perche’ non riproduce il testo dell’atto di appello del quale si eccepisce la genericita’. In argomento, va ribadito che “Quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullita’ del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un’attivita’ deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, ed in particolare un vizio afferente alla nullita’ dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimita’ non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicita’ della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma e’ investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purche’ la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformita’ alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformita’ alle prescrizioni dettate dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4)” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012, Rv. 622361-01). Ne deriva che il ricorrente aveva l’onere di riportare, nel motivo di censura, quantomeno i punti salienti dell’atto di impugnazione che assumeva esser privo del requisito di specificita’.
Passando agli altri motivi, con il primo di essi il ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 934 c.c. e della L. n. 605 del 1966, articolo 6, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, perche’ la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto che l’immobile oggetto di causa appartenesse al patrimonio indisponibile del Comune di Riposto. Ad avviso del ricorrente il giudice di secondo grado avrebbe dovuto valorizzare la circostanza che l’ente locale, con Delib. 22 marzo 1978, n. 70, aveva approvato “… il programma costruttivo da realizzare a cura dell’Iacp di (OMISSIS) per conto dell’Azienda (OMISSIS), localizzato nell’ambito delle zone residenziali di edilizia pubblica …”, espressamente rinunciando, in favore della predetta Azienda Autonoma, ad avvalersi del diritto di accessione di cui all’articolo 934 c.c.. Per effetto di tale rinuncia unilaterale la proprieta’ degli edifici realizzati da IACP sulle aree destinate alla realizzazione di interventi di edilizia pubblica non si sarebbe mai consolidata in capo all’ente locale, e quindi i predetti beni non sarebbero mai entrati a far parte del patrimonio indisponibile dell’ente pubblico.
La censura e’ infondata.
Il ricorrente ha proposto azione per ottenere l’accertamento del proprio diritto di proprieta’ per intervenuta usucapione di un immobile compreso in un intervento di edilizia pubblica, che gli era stato assegnato con patto di futura vendita ai sensi di quanto previsto della L. n. 605 del 1966, articoli 6 ed 8. La Corte di appello ha ritenuto – richiamando i precedenti di questa Corte in materia di alloggi edificati con il contributo pubblico per le ricostruzioni post-terremoto – che la declassificazione del bene immobile e, quindi, il suo passaggio dal patrimonio indisponibile a quello disponibile dell’ente pubblico, e poi da quest’ultimo in favore del privato, avvenga soltanto alla conclusione del procedimento di assegnazione, e non prima, in funzione della natura unitaria e delle finalita’ del procedimento stesso.
In argomento, occorre prendere le mosse dal principio per cui “In materia di beni immobili, ai sensi del combinato disposto di cui all’articolo 830 c.c. e articolo 828 c.c., comma 2, i beni del patrimonio indisponibile di un ente pubblico non territoriale possono essere sottratti alla pubblica destinazione soltanto nei modi stabiliti dalla legge, e quindi certamente non per effetto di usucapione da parte di terzi, non essendo usucapibili diritti reali incompatibili con la destinazione del bene dell’ente al soddisfacimento del bisogno primario di una casa di abitazione per cittadini non abbienti” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12608 del 28/08/2002, Rv. 557167).
Detto principio generale e’ stato ribadito da questa Corte in relazione alle ricostruzioni post-terremoto. Sul punto, si e’ infatti affermato che “Con riguardo agli alloggi costruiti con il contributo dello Stato in conseguenza di terremoti per far fronte alle esigenze delle popolazioni colpite dagli eventi sismici, la L. 30 marzo 1965, n. 225, articolo 1, che ne prevede la cessione in proprieta’, non declassifica in maniera automatica, ne’ espressamente, ne’ implicitamente, tali beni, ma si limita a disciplinarne l’assegnazione ai privati, la quale soltanto determina, in una con l’effetto traslativo, la perdita della qualita’ pubblica degli alloggi stessi. Ne consegue che questi ultimi, restando soggetti al regime del patrimonio indisponile fino alla conclusione del procedimento di assegnazione, non sono suscettibili di formare oggetto di usucapione della proprieta’ da parte dei soggetti occupanti”. Pertanto “La declassificazione dei beni appartenenti al patrimonio indisponibile, la cui destinazione all’uso pubblico deriva da una determinazione legislativa, deve avvenire in virtu’ di atto di pari rango, e non puo’, dunque, trarsi da una condotta concludente dell’ente proprietario, postulando la cessazione tacita della patrimonialita’ indisponibile, cosi’ come della demanialita’, che il bene abbia subito un’immutazione irreversibile, tale da non essere piu’ idoneo all’uso della collettivita’, senza che a tal fine sia sufficiente la semplice circostanza obiettiva che detto uso sia stato sospeso per lunghissimo tempo. Ne consegue che, con riguardo agli alloggi costruiti a carico dello Stato per far fronte alle esigenze delle popolazioni colpite da eventi sismici, la cui inclusione nell’ambito del patrimonio indisponibile si ricava dagli articoli da 252 a 255 del Testo Unico delle disposizioni sull’edilizia popolare ed economica, deve escludersi la stessa ipotetica configurabilita’ di una declassificazione tacita per effetto dell’attivita’ concludente posta in essere dall’ente proprietario, nonche’ la possibilita’ che questa abbia anche soltanto innescato la sospensione dell’uso pubblico” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2962 del 27/02/2012, Rv. 621582-01 e Rv. 621582-02).
Identico principio e’ stato applicato anche in materia di riforma fondiaria. In proposito “I terreni acquistati dagli enti di riforma fondiaria, essendo destinati all’attuazione della funzione istituzionale dei medesimi, ossia quella della redistribuzione della proprieta’ terriera ai contadini, come stabilito dalla L. n. 230 del 1950, articolo 1, non possono, in quanto destinati a un pubblico servizio, essere sottratti a tale finalita’ se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano, ai sensi dell’articolo 830 c.c., comma 2 e articolo 828 c.c., comma 2; ne consegue l’impossibilita’ giuridica di una loro acquisizione da parte di terzi per usucapione, ancorche’ sia venuto a scadenza il termine ordinatorio previsto dalla medesima L. n. 230 del 1950, articolo 20, per l’assegnazione delle terre acquisite” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4430 del 24/02/2009 Rv.607041).
Anche in materia di alloggi ex INA-casa, si e’ ritenuto che “Gli assegnatari di alloggi INA-casa fino alla stipulazione del contratto di compravendita sono titolari di un rapporto di locazione, e, come tali, sono dei detentori e non dei possessori dell’immobile. Pertanto, se intendano trasformare la detenzione in possesso, devono necessariamente compiere dei validi Atti di interversione nei confronti dell’INA-casa” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4079 del 18/06/1986, Rv. 446886).
Dai precedenti appena richiamati consegue l’affermazione del principio per cui allorquando lo Stato, o altro ente pubblico, intervenga nel settore della proprieta’, fondiaria o urbana, per assicurare il soddisfacimento di un interesse pubblico primario, quali l’esigenza di ridistribuzione della proprieta’ agraria (nel caso della L. n. 230 del 1950) ovvero l’assicurazione di una casa di abitazione per i cittadini non abbienti (nel caso dell’assegnazione degli alloggi di edilizia economica e popolare, nelle sue varie forme ed articolazioni) o ancora la ricostruzione post-terremoto (nel caso di cui alla L. n. 225 del 1968) la finalita’ perseguita assume una valenza primaria e prevalente rispetto alla posizione individuale di eventuali soggetti che si pongano in una mera relazione di fatto con la cosa. Pertanto il bene immobile interessato dall’intervento pubblico permane nel patrimonio indisponibile dell’ente, e non e’ quindi usucapibile a vantaggio del privato, sino all’intervenuto completamento dei diversi procedimenti amministrativi finalizzati alla realizzazione dell’interesse pubblico in concreto perseguito. Del resto, ove si accogliesse la soluzione inversa la stessa finalita’ pubblica dell’intervento rischierebbe di essere frustrata, in concreto, da eventuali ritardi nei procedimenti predetti.
Soltanto nei casi in cui l’intervento progettato non abbia avuto seguito, e non si sia quindi realizzato in concreto l’asservimento del bene alla finalita’ pubblica perseguita, puo’ configurarsi una reviviscenza dell’interesse individuale rispetto a quello generale. In tal senso, in una fattispecie in cui un soggetto aveva agito per l’accertamento dell’intervenuta usucapione di un terreno destinato dal piano regolatore generale ad uso pubblico, sul presupposto che al momento dell’inizio del possesso utile all’usucapione fossero trascorsi piu’ di dieci anni senza che del fondo vi fosse stata alcuna concreta utilizzazione, si e’ affermato che “L’appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile di un ente territoriale discende non solo dalla esistenza di un atto amministrativo che lo destini ad uso pubblico, ma anche dalla concreta utilizzazione dello stesso a tale fine, la cui mancanza deve essere desunta dalla decorrenza, rispetto all’adozione dell’atto amministrativo, di un periodo di tempo tale da non essere compatibile con l’utilizzazione in concreto del bene a fini di pubblica utilita’” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26402 del 16/12/2009, Rv. 610544).
Allo stesso modo, quando il bene sia ab origine compreso nel patrimonio disponibile dello Stato e sia stato fatto oggetto di utilizzazione uti domini da parte di un privato, che se ne sia impossessato occupandolo per sopperire ad esigenze abitative primarie conseguenti ad eventi bellici (nella fattispecie, si trattava di una occupazione risalente al 1946) ed abbia provveduto alla realizzazione degli impianti di cui il bene era inizialmente privo, rendendolo abitabile, senza alcuna opposizione da parte della P.A. per oltre cinquant’anni, “… il potere di fatto dagli stessi esercitato corrispondente all’esercizio del diritto di proprieta’ (presumendosi l’animus possidendi, indipendentemente dall’effettiva esistenza del relativo diritto o dalla conoscenza del diritto altrui) non puo’ considerarsi viziato per contrasto con la volonta’ della P.A., dal momento che il comportamento accondiscendente della stessa Amministrazione, tenuto durante tutto il lungo periodo trascorso del possesso esercitato, in relazione ad un bene del suo patrimonio disponibile, e’ idoneo a dimostrare, per facta concludentia, la volonta’ di non opporsi all’altrui possesso” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5158 del 10/03/2006, Rv. 587175).
Il punto di equilibrio del sistema e’iquindii rappresentato da un lato dall’individuabilita’ di un interesse pubblico di portata generale, alla cui realizzazione sia finalizzato l’intervento dello Stato o altro ente pubblico nel settore della proprieta’, urbana o fondiaria. Laddove tale interesse sia configurabile, esso tendenzialmente prevale sulla posizione del privato, titolare di un rapporto di fatto con la res compresa nell’intervento stesso. Dall’altro lato, tuttavia, l’interesse della P.A. al bene immobile deve manifestarsi in un tempo congruo, e quindi laddove il progettato intervento non abbia mai avuto inizio, ovvero il bene sia stato de facto abbandonato da tempo immemore dall’ente pubblico, non ha piu’ ragion d’essere la soggezione della posizione individuale rispetto ad un interesse pubblico che, in concreto, non si e’ mai realizzato.
Nel caso di specie e’ pacifico che l’attore sia stato immesso nel possesso dell’immobile a seguito di assegnazione dello stesso con patto di futura vendita, avvenuta il 5.11.1982 (cfr. pag. 8 del ricorso). Del pari pacifico e’ che l’immobile sia stato realizzato dallo I.A.C.P. di (OMISSIS) nell’ambito di un intervento costruttivo da realizzare, ai sensi della L. n. 605 del 1966 e dei Decreto Ministeriale Trasporti e Aviazione Civile 26 novembre 1969, n. 29941 e Decreto Ministeriale Trasporti e Aviazione Civile 26 luglio 1972, n. 7078, per conto dell’Azienda (OMISSIS) (oggi, (OMISSIS) S.p.A.); che detto intervento edilizio, approvato dal Comune di Riposto con Delib. 22 marzo 1978, n. 70, prevedeva l’assegnazione delle aree interessate da parte dell’ente locale, con concessione del diritto di proprieta’ superficiaria alla predetta Azienda Autonoma; che l’assegnazione suddetta avrebbe dovuto realizzarsi mediante apposita convenzione da stipularsi tra Comune e Azienda Autonoma, mai conclusa (cfr. pagg. 11 e 12 del ricorso). Di conseguenza, il procedimento complesso previsto dalla L. n. 605 del 1966 e dalla Delib. Comune di Riposto n. 70 del 1978, non si e’ mai ultimato e, quindi, la proprieta’ superficiaria delle aree interessate dall’edificazione di cui e’ causa non e’ mai transitata dal patrimonio indisponibile del Comune al patrimonio, evidentemente disponibile, dell’Azienda (OMISSIS) (oggi, (OMISSIS) S.p.A.). Essendo dunque rimaste, dette aree, nel patrimonio indisponibile del Comune, la Corte di appello ne ha – del tutto correttamente – esclusa in radice la usucapibilita’.
A quanto precede va aggiunta la doverosa considerazione che, anche nei rapporti tra privati, e’ ormai pacifico il principio per cui “Nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilita’ conseguita dal promissario acquirente si fonda sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori. Pertanto la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, e’ qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile ad usucapionem, salvo la dimostrazione di un’intervenuta interversio possessionis nei modi previsti dall’articolo 1141 c.c.” (Cass. Sez. , Sentenza n. 7930 del 27/03/2008, Rv. 602815; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1296 del 25/01/2010, Rv. 611222; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9896 del 26/04/2010, Rv. 612577; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5211 del 16/03/2016, Rv. 639209). Quindi in ogni ipotesi in cui si configuri un titolo di legittimazione del rapporto di fatto costituito tra un soggetto ed un bene, anche in relazione ad un progettato trasferimento della proprieta’ di un immobile che poi non venga, per qualsiasi ragione, portato a termine, non v’e’ spazio per ipotizzare una situazione di possesso, e quindi non si realizza una fattispecie astrattamente idonea ad usucapionem, a meno che il detentore non compia, alla stregua di quanto previsto dall’articolo 1141 c.c., un atto di interversione idoneo, appunto, a trasformare la sua condizione di mera detenzione in possesso.
Nel caso di specie e’ pacifico che non si sia realizzato alcun atto di interversione del possesso, poiche’ la stessa parte ricorrente collega il suo preteso acquisto della proprieta’ per usucapione direttamente alla circostanza che il Comune di Riposto abbia rinunciato ad avvalersi del diritto di accessione con la Delib. n. 70 del 1978 e non ad un atto successivo. Una volta appurato, dunque, che quella deliberazione non e’ idonea a costituire il momento iniziale del possesso, poiche’ quest’ultimo non puo’ sorgere se non per effetto, alternativamente, del completamento del procedimento complesso previsto dalla legge (nella specie, mai avvenuto) o di un atto di interversione idoneo ex articolo 1141 c.c. (nella specie, mai invocato e comunque non provato), e’ evidente che nessun possesso utile ad usucapionem puo’, in concreto, essere configurato in capo all’odierno ricorrente.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, perche’ la Corte di appello avrebbe deciso dando rilievo ad una circostanza (la rinuncia, da parte del Comune, ad avvalersi del diritto di accessione) che non era stata oggetto di specifica impugnazione.
Ad avviso del collegio anche questa censura e’ infondata. Va infatti considerato che la Delib. Comune di Riposto n. 70 del 1978, costituisce parte del procedimento complesso descritto in occasione dello scrutinio del primo motivo; il suo esame, quindi, era inevitabile nell’ambito della piu’ ampia disamina circa la natura, patrimoniale indisponibile ovvero disponibile, del bene di cui e’ causa, e quindi circa la sua usucapibilita’ o inusucapibilita’. In argomento, va ribadito che “Non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini una questione non espressamente formulata, tuttavia da ritenersi tacitamente proposta per essere in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate, delle quali costituisca l’antecedente logico e giuridico” (Cass. Sez. L, Sentenza n. 5134 del 12/03/2004, Rv. 571075; Cass. Sez. L, Sentenza n. 2372 del 05/02/2007, Rv. 594671; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 13964 del 23/05/2019, Rv. 654088).
Con il quarto motivo il ricorrente lamenta infine, la violazione dell’articolo 2643 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, perche’ la Corte di appello non avrebbe tenuto conto delle risultanze dei registri immobiliari, nei quali la proprieta’ del bene oggetto di causa risulterebbe in capo a (OMISSIS) S.p.A. e non al Comune di Riposto. Ad avviso del ricorrente, cio’ confermerebbe la natura patrimoniale disponibile dell’immobile, e quindi la possibilita’ di usucapirne la proprieta’.
La censura e’ inammissibile. A prescindere dal rilievo che “In tema di prova dei diritti reali, la nota di trascrizione, quale documentazione amministrativa, non costituisce ne’ “atto di parte”, ne’ valida fonte di prova in ordine al contenuto del titolo cui si riferisce, ma uno degli elementi sui quali il giudice puo’ fondare il proprio convincimento” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14577 del 22/06/2007, Rv. 597984; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20641 del 09/09/2013, Rv. 627919), va evidenziato che la censura difetta comunque della necessaria specificita’, poiche’ il ricorrente fa riferimento ad una questione che sarebbe stata sottoposta all’esame del giudice di merito con “specifica memoria” (cfr. pag. 34 del ricorso), senza tuttavia aver cura di trascrivere detto atto, ne’ di indicarne il contenuto, ne’ di precisare il momento processuale in cui esso sarebbe stato depositato.
In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti dei due controricorrenti. Nulla invece per il Comune di Riposto, intimato, in assenza di svolgimento di attivita’ difensiva nel presente giudizio di legittimita’.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 7.200, di cui Euro 200 per esborsi, in favore della controricorrente (OMISSIS) S.p.A. ed in Euro 6.200, di cui Euro 200 per esborsi, in favore del controricorrente I.A.C.P., oltre rimborso delle spese generali in misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *