La motivazione meramente apparente

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|15 novembre 2022| n. 33614.

La motivazione meramente apparente

La motivazione meramente apparente equiparabile, quanto alle conseguenze giuridiche, alla motivazione in tutto o in parte mancante – sussiste allorquando pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico-giuridico alla base del “decisum”. In particolare, la motivazione può dirsi solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture, oppure allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Nel caso di specie, accogliendo il ricorso incidentale, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata ritenendo sussistente la violazione dell’articolo 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. per motivazione apparente, non risultando percepibili le ragioni del rigetto dell’appello incidentale espresse dai giudici del gravame in punto di liquidazione delle spese del giudizio di primo grado: infatti, osserva il giudice di legittimità, le argomentazioni offerte dalla corte del merito – testualmente, “…quanto alla liquidazione delle spese del primo grado, la doglianza sviluppata dall’appellante incidentale è alquanto generica e va, perciò, disattesa…” – risultano obiettivamente inidonee a far comprendere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consentono alcun controllo sull’esattezza, logicità e congruenza del ragionamento inferenziale del giudice). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 7 aprile 2017, n. 9105; Cassazione, sezioni unite civili, sentenza 3 novembre 2016, n. 22232; Cassazione, sezioni unite civili, sentenza 7 aprile 2014, n. 8053; Cassazione, sezione civile III, sentenza 18 settembre 2009, n. 20112; Cassazione, sezione civile III, sentenza 22 maggio 2007, n. 11880; Cassazione, sezione civile V, sentenza 24 novembre 2006, n. 24985; Cassazione, sezione civile I, sentenza 27 gennaio 2006, n. 1756; Cassazione, sezione civile L, sentenza 14 aprile 2000, n. 4891).

Ordinanza|15 novembre 2022| n. 33614. La motivazione meramente apparente

Data udienza 25 ottobre 2022.

Integrale

Tag/parola chiave: USUCAPIONE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. PAPA Patrizia – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere

Dott. AMATO Cristina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28105/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv.to (OMISSIS), ((OMISSIS)) che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
ARCIDIOCESI DI (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), ((OMISSIS)) rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS));
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 645/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 19/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica Udienza/Camera di consiglio del 25/10/2022 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

La motivazione meramente apparente

FATTI DI CAUSA

1. L’Arcidiocesi di (OMISSIS) citava in giudizio (OMISSIS), esponendo di essere proprietaria da tempo immemorabile, almeno dal 1600, della Chiesa dedicata a (OMISSIS) ad angolo tra le vie (OMISSIS), e in ogni caso di aver acquisito la proprieta’ a titolo originario per maturata usucapione ultraventennale dell’immobile, posseduto quantomeno dal 1933 al 2001, in modo continuo, ininterrotto ed incontestato. Nel 2001 l’Arcidiocesi aveva vanamente tentato di aprire la porta di accesso alla Chiesa, verificandone la chiusura dall’interno con assi di legno inchiodate. In tale occasione aveva accertato l’avvenuta usurpazione da parte della convenuta dell’immobile. Quest’ultima, approfittando della temporanea chiusura della cappella, aveva realizzato dall’interno un clandestino collegamento con il suo appartamento confinante.
L’Arcidiocesi chiedeva al Tribunale di dichiarare la sua esclusiva proprieta’ della Chiesa e di condannare la convenuta all’immediata restituzione del bene, previa chiusura dell’accesso interno creato tra la cappella e la sua abitazione, nonche’ al risarcimento dei danni da liquidarsi in via equitativa.
2. La (OMISSIS), costituitasi in giudizio, eccepiva il difetto di legittimazione attiva dell’Arcidiocesi di (OMISSIS) e nel merito sosteneva di aver acquistato il diritto di proprieta’ della cappella in base all’atto di compravendita del 23 luglio 1982 e, in subordine, chiedeva accertarsi l’avvenuto acquisto della proprieta’ per usucapione.
3. Il Tribunale, con sentenza non definitiva, rigettava l’eccezione di carenza di legittimazione attiva dell’Arcidiocesi di (OMISSIS) e successivamente, con sentenza definitiva, accoglieva la domanda principale e dichiarava che la chiesa dedicata a (OMISSIS) era di proprieta’ dell’Arcidiocesi di (OMISSIS), condannando la convenuta (OMISSIS) all’immediata restituzione dell’immobile previa eliminazione dell’accesso interno creato tra la sua abitazione e la cappella. Al contempo il Tribunale rigettava la domanda riconvenzionale della (OMISSIS).

La motivazione meramente apparente

4. (OMISSIS) proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
5. L’Arcidiocesi di (OMISSIS) si costituiva e proponeva appello incidentale.
6. La Corte d’Appello di Lecce rigettava sia l’appello principale che quello incidentale e confermava l’impugnata sentenza.
6.1 In primo luogo risultava provata l’appartenenza della cappella alla curia vescovile di (OMISSIS) costantemente aperta al culto fino all’anno 1973, allorche’ le chiavi dell’unica porta di accesso erano state prese in consegna dalla curia. Dal 1973, sebbene chiusa al culto, la cappella non era stata sconsacrata e la curia aveva continuato a possederne le chiavi e ad utilizzare la facciata dell’edificio per affiggervi manifesti. La Corte d’Appello precisava che, anche se il catasto non faceva prova della proprieta’, in ogni caso era uno strumento utile ad identificare l’immobile, la sua destinazione e i titoli abilitativi tutti elementi che non potevano essere ignorati. Quanto all’atto di acquisto della (OMISSIS) la Corte d’Appello evidenziava che era indicata solo la cappella come sottostante una terrazza di pertinenza del primo piano. Non vi era alcuna menzione di diritti del venditore sulla cappella. Infine, non era provato il possesso da parte della (OMISSIS) come potere di fatto, pubblico e indisturbato per il tempo necessario ad usucapire, non viziato da violenza e clandestinita’. Nella specie, infatti, il varco tra l’abitazione della (OMISSIS) e la cappella non era pubblico e, dunque, non era percepibile dall’esterno. Si trattava di una condotta clandestina che non consentiva di ritenere maturato il possesso utile ad usucapire in capo alla parte che l’aveva posta in essere.
6. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi.
7. L’Arcidiocesi di (OMISSIS) ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale sulla base di tre motivi.
8. Entrambe le parti, con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.

La motivazione meramente apparente

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione degli articoli 922 e 2697 c.c..
La censura ha ad oggetto la parte della sentenza che attiene al riconoscimento del diritto di proprieta’ dell’arcidiocesi fondato su una prova insufficiente. In particolare, la prova sarebbe fondata sui dati catastali che invece hanno una rilevanza meramente indiziaria senza alcun altro elemento di valutazione utile a provare la proprieta’ in capo all’Arcidiocesi. In altri termini, secondo la ricorrente mancherebbe la prova c.d. “diabolica” dell’acquisto a titolo originario in capo alla ricorrente, come richiesto per colui che agisce in rivendica.
1.2 Il primo motivo di ricorso e’ infondato.
La Corte d’Appello ha affermato espressamente che i dati catastali non costituiscono prova della proprieta’ ma meri indizi dei quali tenere conto. Nella sentenza si da’ atto che, oltre alla documentazione catastale, dal valore meramente indiziario, la proprieta’ della curia vescovile emergeva da numerosi documenti risalenti nel tempo (prima visitatio parrochialis (OMISSIS), anni 1822 cui accedit visitatio, seu status Ecclesarium Minorum quae sunt in districtu hiuius Parociae, la Santa visita di Mons. (OMISSIS) vescovo di (OMISSIS) alla Cappella di (OMISSIS) il (OMISSIS), la I sanata visita fatta da mons. (OMISSIS) nel 1909 e la Prima sacra visita indetta da S.E. Mons. (OMISSIS) nell’anno 1952). In ogni caso, l’Arcidiocesi di (OMISSIS) aveva chiesto anche di accertare l’acquisto a titolo originario della cappella per usucapione e la Corte d’Appello ha ritenuto sussistere i presupposti per accogliere la domanda. Infatti, si legge a pag. 5 della sentenza che: “nessun dubbio puo’ sussistere sulla proprieta’ dell’Arcidiocesi di (OMISSIS) che puo’ vantare il possesso ab immemorabile, e che comunque ha provato di aver esercitato il possesso pieno pubblico ed incontrastato sul bene. Peraltro, la chiesa anche se chiusa al culto non e’ mai stata sconsacrata e la Curia ha continuato a possederne le chiavi”.
Ne consegue l’infondatezza di entrambe le doglianze. La Corte d’Appello di Lecce non ha ritenuto provata la proprieta’ della Cappella sulla base delle certificazioni catastali e, inoltre, ha accertato la sussistenza dei presupposti per l’acquisto della proprieta’ da parte dell’Arcidiocesi a titolo originario a titolo di usucapione ventennale.
2. Il secondo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione dell’articolo 1350 c.c., n. 1, articolo 2643 c.c., n. 1, e articolo 2700 c.c..
La censura attiene all’atto di acquisto del 23 luglio 1982 con il quale la ricorrente ha rivendicato la proprieta’ del bene, risultando da tale atto il passaggio anche degli eventuali diritti del venditore sul vano adibito a cappella. Allo stesso modo, il precedente atto di acquisto risalente all’8 dicembre 1967, trasferiva a (OMISSIS), dante causa della (OMISSIS), eventuali diritti vantati dalle venditrici sul vano predetto adibito a cappella.
Secondo la ricorrente, la dizione eventuali diritti non potrebbe interpretarsi in senso dubitativo ma, al contrario, dovrebbe interpretarsi in senso positivo, attestando l’esistenza certa dei diritti sulla cappella, diritti che non possono che essere intesi quali diritti reali e quindi diritti di proprieta’ (pag. 8 del ricorso).
2.1 Il secondo motivo e’ inammissibile.
L’interpretazione dei titoli negoziali spetta alla Corte d’Appello e la ricorrente non censura specificamente alcuna violazione dei criteri interpretativi. In ogni caso il tenore letterale della espressione “eventuali diritti esistenti” rende evidente l’infondatezza della pretesa della ricorrente di interpretarla come affermazione in positivo della esistenza di non meglio specificati diritti che dovrebbero essere intesi come diritto di proprieta’.
Infine, non puo’ sottacersi che l’acquisto a tiolo originario mediante usucapione da parte dell’Arcidiocesi prevale su qualsiasi titolo negoziale, sicche’ anche sotto questo profilo la censura e’ inammissibile.
3. Il primo motivo del ricorso incidentale dell’arcidiocesi di (OMISSIS) e’ cosi’ rubricato: nullita’ della sentenza per carenza di motivazione o motivazione meramente apparente, violazione articolo 132 c.p.c., n. 4.
La censura attiene al capo di sentenza con il quale il Tribunale di Lecce aveva liquidato le spese e competenze in Euro 400 per spese vive ed Euro 3900 per compensi. L’Arcidiocesi di (OMISSIS) aveva proposto appello incidentale deducendo che le spese vive effettivamente sostenute ammontavano ad Euro 673,35 e che nella liquidazione non si era stato tenuto conto della sentenza parziale del 2013 e neanche del corretto valore della causa.
La ricorrente lamenta che la Corte d’Appello di Lecce ha rigettato l’appello incidentale limitandosi a rilevare la genericita’ della doglianza.
3.1 In subordine alla omessa motivazione, qualora dovesse interpretarsi tale statuizione come inammissibilita’ del gravame si propone un secondo motivo di ricorso incidentale per violazione dell’articolo 343 c.p.c..
La statuizione sarebbe erronea risultando evidente come il motivo di appello fosse piu’ che specifico, contenendo sia l’esplicitazione delle caratteristiche dell’attivita’ prestata dell’importanza, della natura, della difficolta’ e del valore dell’affare e del numero e della complessita’ delle questioni giuridiche di fatto trattate.
3.3 In ulteriore subordine si propone un terzo motivo di ricorso incidentale per violazione del Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, articoli 4 e 5, e delle tabelle e parametri forensi allegate allo stesso Decreto Ministeriale.
Il valore della causa correttamente indicato nell’atto introduttivo del giudizio come indeterminato, non essendo attribuita alla cappella alcuna rendita catastale, avrebbe dovuto comportare l’applicazione dei parametri di cui alla tabella 2 del Decreto Ministeriale del 2014 in misura non inferiore ad Euro 26.000 e non superiore ad Euro 260.000 tenuto conto dell’oggetto e della complessita’ della controversia. La liquidazione sarebbe di molto inferiore non solo ai valori medi dei due scaglioni di riferimento ma persino ai valori minimi del primo scaglione.
3.4 Il primo motivo del ricorso incidentale e’ fondato.
La Corte d’Appello non ha in alcun modo motivato le ragioni del rigetto del motivo di appello incidentale proposto dall’Arcidiocesi di (OMISSIS) circa la quantificazione delle spese del giudizio di primo grado.
Deve ribadirsi che la motivazione meramente apparente – che la giurisprudenza parifica, quanto alle conseguenze giuridiche, alla motivazione in tutto o in parte mancante – sussiste allorquando pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico-giuridico alla base del decisum. Si e’ precisato, in particolare, che la motivazione e’ solo apparente, e la sentenza e’ nulla perche’ affetta da error in procedendo, quando, benche’ graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perche’ recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le piu’ varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. Un. 03/11/2016 n. 22232), oppure allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicita’ del suo ragionamento (Cass. 07/04/2017 n. 9105).
Nel caso di specie, la sentenza infatti si limita alla seguente motivazione che testualmente si riporta: quanto alla liquidazione delle spese del primo grado, la doglianza sviluppata dall’appellante incidentale e’ alquanto generica e va, percio’, disattesa.
Risulta evidente, pertanto, che sussiste di violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per motivazione apparente nel senso sopra indicato, non risultando percepibili quale siano le ragioni del rigetto dell’appello incidentale sulla liquidazione delle spese del giudizio di primo grado. Le argomentazioni offerte, infatti, sono obiettivamente inidonee a far comprendere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consentono alcun controllo sull’esattezza, logicita’ e congruenza del ragionamento inferenziale del giudice (in tal senso tra molte: Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009; n. 4488 del 2014; sezioni unite n. 8053 e n. 19881 del 2014).
3.5 L’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale assorbe i restanti due motivi.
4. In conclusione, la Corte rigetta il ricorso principale, accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, dichiara assorbiti i restanti motivi del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione che provvedera’ anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

La motivazione meramente apparente

5. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, dichiara assorbiti i restanti motivi del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione che provvedera’ anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.

 

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