La nozione di pari uso della cosa comune ex art. 1102 c.c.

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|24 novembre 2020| n. 26703.

La nozione di pari uso della cosa comune ex art. 1102 c.c. implica la condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione.

Ordinanza|24 novembre 2020| n. 26703

Data udienza 15 ottobre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Condominio – Porte carrabili aperte sul muro perimetrale dell’edificio – Comunicazione del garage di proprietà esclusiva con il cortile comune e la pubblica via – Rimozione – Necessità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 2985-2016 proposto da:
(OMISSIS) SRL, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
CONDOMINIO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6500/2015 della CORTE D’APPELLO DI ROMA, depositata il 23 novembre 2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/10/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La (OMISSIS) s.r.l. propone ricorso articolato in cinque motivi avverso la sentenza n. 6500/2015 della Corte d’appello di Roma, depositata il 23 novembre 2015.
Resiste con controricorso il Condominio di (OMISSIS).
La Corte d’appello di Roma ha parzialmente accolto il gravame formulato dal Condominio di (OMISSIS), contro la pronuncia resa in primo grado il 1 giugno 2010 dal Tribunale di Roma, ed ha percio’ ordinato alla (OMISSIS) s.r.l. (avente causa della originaria convenuta (OMISSIS)) di rimuovere le due porte carrabili aperte nel muro perimetrale dell’edificio condominiale per mettere in comunicazione il garage di sua proprieta’ esclusiva con il cortile comune e con la pubblica via. Ad avviso dei giudici di secondo grado, si era verificato un illecito utilizzo delle parti comuni, ex articolo 1102 c.c., in quanto le aperture in questione, per le loro dimensioni, si connotavano come rilevanti alterazioni della destinazione del muro perimetrale, il quale veniva privato anche della sua funzione di contenimento, come accertato dalla CTU svolta nella fase cautelare del giudizio. Inoltre, sarebbe risultata ridotta la possibilita’ di uso del cortile comune a scopo di parcheggio (uso consentito dalla Delib. assembleare 25 giugno 2006), stante la necessita’ di lasciare uno spazio di manovra alle autovetture che dovessero accedere al garage privato tramite una delle aperture realizzate. Cio’ avrebbe anche cagionato un asservimento del bene comune alla proprieta’ individuale.
La trattazione del ricorso e’ stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’articolo 375 c.p.c., comma 2 e articolo 380 bis.1 c.p.c.
La (OMISSIS) s.r.l. ha depositato memoria in data 2 ottobre 2020.
Va premesso che il ricorso e’ stato intimato e notificato dalla (OMISSIS) s.r.l. (chiamata in causa quale successore a titolo particolare ex articolo 111 c.p.c.) soltanto al Condominio di (OMISSIS), e non anche alla originaria convenuta (OMISSIS), nei cui confronti e’ stata altresi’ pronunciata la sentenza d’appello. Ora, il successore a titolo particolare per atto tra vivi di una delle parti del processo puo’ intervenire volontariamente nel processo o esservi chiamato, senza che cio’ comporti automaticamente l’estromissione dell’alienante o del dante causa, potendo questa essere disposta dal giudice solo se le altre parti vi consentano. Ne consegue che, nel giudizio di impugnazione contro la sentenza, il successore intervenuto in causa e l’alienante non estromesso sono litisconsorti necessari e che, se la sentenza e’ impugnata, come nella specie, da uno solo soltanto o contro uno soltanto dei medesimi, deve essere, ordinata, anche d’ufficio, l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’altro, a norma dell’articolo 331 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. 3, 26/01/2010, n. 1535). In ogni modo, nel caso in esame, la fissazione del termine ex articolo 331 c.p.c., in forza del principio della ragionevole durata del processo, deve ritenersi superflua, in quanto il ricorso appare “prima facie” inammissibile, e l’integrazione del contraddittorio si rivela, percio’, attivita’ del tutto ininfluente sull’esito del procedimento (Cass. Sez. U, 23/09/2013, n. 21670). Anche l’eventuale ricorso incidentale tardivo proposto dalla parte chiamata ad integrare il contraddittorio perderebbe ogni efficacia in conseguenza della dichiarazione di inammissibilita’ della impugnazione principale, ai sensi dell’articolo 334 c.p.c., comma 2.
Il primo motivo di ricorso della (OMISSIS) s.r.l. denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per la mancata esatta motivazione sulle risultanze della CTU espletata nella fase cautelare, che aveva escluso l’alterazione della destinazione del muro come il pregiudizio statico arrecato allo stesso dalle due aperture.
Il secondo motivo di ricorso allega la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1102 e 2697 c.c., nonche’ dell’articolo 115 c.p.c., quanto al ritenuto pregiudizio al cortile comune per la sosta dei veicoli.
Il terzo motivo di ricorso della (OMISSIS) s.r.l. denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, mancando la motivazione che potesse supportare la pronuncia di demolizione dell’apertura sulla pubblica via.
Il quarto motivo di ricorso deduce la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1102 e 2697 c.c., nonche’ dell’articolo 115 c.p.c., sempre quanto al ritenuto pregiudizio al cortile comune per la sosta dei veicoli.
Il quinto motivo, infine, invoca la nullita’ della sentenza per violazione o falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4 e articolo 156 c.p.c.
I motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in quanto la ripetitivita’ delle censure in essi contenute depone per la loro evidente connessione.
Tutti i motivi sono inammissibili.
La sentenza impugnata contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione. E’ percio’ carente di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata, agli effetti di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il quinto motivo di ricorso che lamenta la nullita’ della pronuncia della Corte d’appello di Roma, senza considerare le parti della stessa comunque idonee a giustificare la valutazione espressa, e che sono, del resto, oggetto di critica nei primi quattro motivi di impugnazione.
La Corte d’Appello ha accertato in fatto, con apprezzamento spettante ai giudici del merito e sindacabile in sede di legittimita’ solo nei limiti di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che la condomina (OMISSIS) avesse aperto sul muro perimetrale condominiale due porte carrabili, una verso il cortile comune ed una verso la pubblica via, porte che per le loro dimensioni comportavano una notevole alterazione della funzione di contenimento del muro, e che peraltro cagionavano una riduzione della possibilita’ di uso del cortile comune a scopo di parcheggio, per la necessita’ di lasciare uno spazio di manovra alle autovetture che dovessero accedere al garage privato.
Il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto, in tema di uso della cosa comune, in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame del motivo di ricorso non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, con conseguente inammissibilita’ del ricorso ex articolo 360 bis c.p.c., n. 1, (Cass. Sez. U., 21/03/2017 n. 7155).
La nozione di pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l’articolo 1102 c.c., seppur non vada intesa nel senso di uso identico e contemporaneo (dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facolta’ di trarre dalla cosa comune la piu’ intensa utilizzazione), implica, tuttavia, la condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarieta’, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione.
Il proprietario di vani terranei di un edificio in condominio puo’, percio’, aprire porte di comunicazione tra tali vani e il contiguo cortile comune, ovvero per accedere ai primi dalla via pubblica, pur se uno o piu’ dei detti vani siano gia’ serviti da autonomo ingresso dalla stessa via, rientrando cio’ nella facolta’ di ciascun condomino di utilizzare la cosa comune per il miglior godimento della stessa anche apportandovi opportune modificazioni, sempre che non ne risulti alterata la destinazione e ne sia impedito agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto (Cass. Sez. 2, 18/02/1998, n. 1708; Cass. 14/12/1994, n. 10704; Cass. Sez. 2, 17/07/1962, n. 1899).
L’accertamento del superamento dei limiti imposti dall’articolo 1102 c.c. al condomino, che si assuma abbia alterato, nell’uso della cosa comune, la destinazione della stessa (come avvenuto nel caso di specie, quanto al ritenuto pregiudizio arrecato al diritto dei condomini ad utilizzare il cortile quale area di parcheggio, come alla funzione di contenimento del muro comune), ricollegandosi all’entita’ e alla qualita’ dell’incidenza del nuovo uso, e’ comunque riservato al giudice di merito e, come tale, non e’ censurabile in sede di legittimita’. Del resto, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, che e’ quello che lamenta la ricorrente, non da’ luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile neppure nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Le censure della ricorrente, alcune riferite al parametro della violazione di norme di diritto (il quale suppone la deduzione di una erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla legge e non della fattispecie concreta emergente dalle risultanze di causa), altre all’omesso esame circa un fatto, sono in realta’ volte a dimostrare le incongruenze della sentenza impugnata rispetto alle emergenze istruttorie; il primo motivo, in particolare, per avere la Corte d’Appello disatteso le conclusioni contenute nella consulenza tecnica d’ufficio svolta nella fase cautelare, allorche’ l’ausiliare, pur avendo accertato che il muro “ha perso ogni funzione di contenimento”, avrebbe negato il pregiudizio statico arrecato dalle aperture realizzate.
In proposito, questa Corte ha chiarito come l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario (“fatto” inteso in senso storico e normativo, e cioe’ un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). E’ quindi inammissibile l’invocazione dei vizi di cui all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5. per sostenere che l’elaborato peritale non avrebbe confermato il superamento dei limiti posti dall’articolo 1102 c.c. all’uso della cosa comune da parte di ciascun condomino, ossia l’avvenuta alterazione della destinazione o l’impedimento all’uso paritetico agli altri comproprietari, essendo tali profili attinenti alla qualificazione giuridica di fatti ed alla verifica della conformita’ alla legge di determinati comportamenti, e percio’ estranei al rilievo probatorio della CTU. La consulenza tecnica d’ufficio e’, invero, funzionale alla risoluzione di questioni di fatto che presuppongano soltanto cognizioni di ordine tecnico, e non giuridico, sicche’ il consulente non puo’ essere incaricato di svolgere accertamenti e di formulare valutazioni circa la legittimita’ di condotte umane, o di opere materiali, ne’ di ricostruire il contenuto e la portata di una norma o di un negozio, o di rinvenire la normativa applicabile alla fattispecie da giudicare.
Ancora, la ricorrente ambisce ad una rivalutazione dei fatti difforme da quella operata dal giudice di merito, sia in punto di consistenza strutturale delle opere, sia con riguardo alla loro dislocazione (si espone che l’apertura verso la pubblica via non ha collegamento col cortile e percio’ non interferisce con l’area di parcheggio fruita dagli altri condomini), ma cio’ suppone un accesso diretto agli atti e una loro rinnovata delibazione, in maniera da pervenire ad una diversa validazione e legittimazione inferenziale degli elementi probatori, del tutto inammissibile in sede di legittimita’. D’altro canto, la Corte d’appello ha reputato compromesso il diritto al pari uso del cortile soltanto dalla “apertura della porta” che ad esso accede. Il ricorso va percio’ dichiarato inammissibile e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore del controricorrente.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, – da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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