La prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni

Corte di Cassazione, sezioni unite penali, Sentenza 18 novembre 2019, n. 46595

Massima estrapolata:

La prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni, che deve essere in ogni caso disposta in sede di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, ai sensi dell’art. 8, comma 4, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, si riferisce esclusivamente alle riunioni in luogo pubblico. (In motivazione la Corte ha aggiunto che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 75, d.lgs. n. 159 del 2011, il giudice è comunque tenuto a valutare, alla stregua delle specifiche allegazioni dell’interessato e delle risultanze degli atti, se la partecipazione alla pubblica riunione sia giustificata da validi motivi).

Sentenza 18 novembre 2019, n. 46595

Data udienza 28 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE PENALI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARCANO Domenico – Presidente

Dott. LAPALORCIA Grazia – Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia – Consigliere

Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere

Dott. RAGO Geppino – Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. ROCCHI Giacomo – rel. Consigliere

Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 07/02/2017 della Corte di Appello di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Componente Dr. Rocchi Giacomo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Procuratore generale aggiunto Dr. Iacoviello Francesco Mauro, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Bari ha confermato quella del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trani che aveva condannato (OMISSIS) e (OMISSIS) alla pena di anni uno di reclusione, previo riconoscimento della continuazione tra gli episodi contestati, con l’applicazione delle attenuanti generiche ritenute equivalenti alla recidiva contestata e con la diminuente del rito abbreviato.
(OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati dichiarati colpevoli del delitto di cui all’articolo 81 c.p., comma 2 e Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 75, comma 2, per avere violato due prescrizioni contenute nei decreti di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno emessi nei loro confronti.
In particolare, agli imputati e’ contestata la violazione della prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni o a manifestazioni di qualsiasi genere, essendo stati sorpresi il (OMISSIS) all’interno del (OMISSIS) mentre era in corso un torneo internazionale di tennis, nonche’ di quella di non associarsi a persone che abbiano subito condanne o siano sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza essendo stati notati, in cinque precedenti occasioni, associarsi con altri soggetti condannati o sottoposti a misure.
Sull’appello degli imputati, la Corte territoriale ha ritenuto che il divieto di partecipare a pubbliche riunioni imposto al sorvegliato speciale e’ tassativo e riguarda qualsiasi riunione di piu’ persone in un luogo pubblico o aperto al pubblico al quale abbiano facolta’ di accesso un numero indeterminato di persone, indipendentemente dal motivo della riunione e dalle modalita’ con cui gli spettatori sono presenti; quanto alla violazione della seconda prescrizione, i giudici hanno sostenuto che, anche in assenza di pronunce definitive sulla frequentazione abituale di soggetti sottoposti a misure, era possibile una valutazione incidentale dei precedenti episodi, non contestati dagli appellanti, al fine di accertare l’abitualita’ della condotta.
La pena e’ stata ritenuta congrua ed adeguata al fatto, con la conferma dell’applicazione della recidiva alla luce delle condanne per gravi reati riportate da entrambi gli imputati.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS), deducendo, con un primo motivo, nullita’ della sentenza per insufficienza della motivazione.
Secondo il ricorrente il divieto di partecipare a manifestazioni pubbliche riguarda celebrazioni di particolare rilievo, quali incontri calcistici, in occasione dei quali l’animosita’ del pubblico puo’ far insorgere litigi e risse; al contrario, il silenzio e’ prerogativa di un incontro di tennis, cosicche’ la condotta posta in essere dall’imputato era priva di un’azione efficace sul piano eziologico e non metteva in pericolo il bene comune, dovendosi quindi ritenersi non punibile.
Il ricorso ribadisce che l’accertamento dell’abitualita’ delle frequentazioni vietate non era mai entrato a far parte del processo e non era ancora definitivo.
In un secondo motivo il ricorrente deduce erronea applicazione della legge penale con riferimento alle decisioni sulla recidiva, sul bilanciamento delle circostanze e sulla misura dell’aumento per la continuazione.
3. Ha proposto ricorso per cassazione anche il difensore di (OMISSIS), deducendo, con un unico motivo, la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), con riferimento alla condanna per la violazione della prescrizione di non associarsi abitualmente con soggetti condannati o sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza.
Secondo il ricorrente, non essendo state acquisite le annotazioni di servizio redatte nelle singole occasioni, ma solo un’informativa riassuntiva del Dirigente del Commissariato P.S. di Andria che non specificava le modalita’ e le circostanze degli incontri segnalati, la prova della violazione della prescrizione era insufficiente e tale da non permettere l’affermazione della colpevolezza dell’imputato al di la’ di ogni ragionevole dubbio.
4. Con ordinanza resa all’udienza del 19 dicembre 2018, la Prima Sezione penale ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite.
La Sezione rimettente segnala l’esistenza di un contrasto interpretativo sull’identificazione dei caratteri concreti della disposizione incriminatrice quanto alla violazione della prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni.
Viene richiamata la sentenza Sez. 1, n. 31322 del 09/04/2018, Pellegrini, Rv. 273499, che ha ritenuto che il rinvio, espresso nella disposizione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 75, alle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale non puo’ ricomprendere il divieto di partecipare a pubbliche riunioni, in quanto l’indeterminatezza della nozione di “pubblica riunione” comporta la mancanza di tassativita’ della fattispecie; di conseguenza, ha annullato senza rinvio per insussistenza del fatto la sentenza di condanna pronunciata nei confronti di imputato che si era recato allo stadio per assistere ad una partita di calcio nonostante il divieto contenuto nel decreto applicativo della misura.
La pronuncia si e’ messa nella scia di Sez. U, Paterno’ (Sez. U, n. 40076 del 27/04/2017, Paterno’, Rv. 270496), che aveva negato che l’inosservanza delle prescrizioni generiche di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi” da parte del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno integrasse il reato previsto dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 75, comma 2.
Altra pronuncia, di poco successiva, ha invece ribadito che il divieto di partecipare a “pubbliche riunioni” riguarda qualsiasi riunione di piu’ persone in un luogo pubblico o aperto al pubblico, al quale abbia facolta’ di accesso un numero indeterminato di persone, indipendentemente dal motivo della riunione (Sez. 1, n. 28261 del 08/05/2018, Lo Giudice, Rv. 273295), rigettando il ricorso avverso la sentenza che aveva confermato la condanna dell’imputato per la sua partecipazione ad una seduta del consiglio comunale.
La pronuncia ha tratto il fondamento del divieto dall’esigenza di impedire o contenere possibili occasioni di incontro del sorvegliato speciale con altri soggetti, esigenza che prescinde dalle ragioni della riunione, rilevando piuttosto l’impossibilita’ di un controllo adeguato da parte degli organi di pubblica sicurezza: ha ritenuto, pertanto, che la nozione di “pubblica riunione” non debba essere intesa in un’accezione formalistica.
La sentenza ha ritenuto che il divieto di partecipare a pubbliche riunioni costituisca una prescrizione specifica, espressamente prevista nel decreto applicativo della misura di prevenzione, imposta nel rispetto del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 8, giustificata dalla pericolosita’ sociale del sorvegliato speciale e dalle finalita’ preventive perseguite dalla misura; ha negato la carenza del requisito della conoscibilita’ da parte del destinatario delle specifiche condotte la cui inosservanza puo’ determinare la responsabilita’ penale.
L’ordinanza di rimessione sottolinea che il contrasto interpretativo e’ sorto dopo la sentenza della Corte EDU, De Tomaso ma aggiunge che, quanto alle ricadute strettamente penalistiche dell’inosservanza delle prescrizioni, le precedenti sentenze delle Sezioni Unite avevano ritenuto necessarie letture interpretative sistematiche che rispettassero i principi generali di offensivita’ delle condotte e di tassativita’ delle previsioni incriminatrici, alla luce della tensione di fondo tra la necessita’ di prevenire la ripetizione di condotte devianti e la pretesa di far derivare la responsabilita’ penale dalla violazione di qualunque obbligo o prescrizione.
Il Collegio rimettente esprime dubbi sul rispetto del principio di offensivita’ dell’interpretazione ampia della nozione di “pubbliche riunioni” e ritiene necessaria una sua rimeditazione. Il Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 8, che non lascia alcuna discrezionalita’ al giudice che applica la misura di prevenzione, determinerebbe “un potenziale contrasto con una razionale selezione della tipologia e della ampiezza dei divieti imposti, che tenga conto da una lato della rilevanza dei diritti incisi e dall’altro di una obbligatoria correlazione (…) tra la prescrizione imposta e la tipologia di pericolosita’ sociale manifestata dal soggetto destinatario”. In effetti, tale “selezione razionale” si avrebbe, secondo la Sezione rimettente, da una “constatazione individualizzata di necessita’ e utilita’ di quella particolare prescrizione – espressa in forma chiara e precisa e non ridondante rispetto ai fini – a porsi quale ingrediente di un complessivo trattamento di prevenzione, capace di limitare la tendenza alla ripetizione di condotte devianti”.
4. Con provvedimento del 24 gennaio 2019, il Presidente Aggiunto ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite ai sensi dell’articolo 610 c.p.p., comma 3 e articolo 618 c.p.p., comma 1.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La questione di diritto per la quale i ricorsi sono stati rimessi alle Sezioni unite e’ la seguente: “Se, ed in quali limiti, la partecipazione del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ad una manifestazione sportiva tenuta in luogo aperto al pubblico risulti fatto punibile, in riferimento al reato di violazione delle prescrizioni imposte al sorvegliato speciale di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 8 e 75”.
2. Il Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 75, comma 2, punisce con la pena della reclusione da uno a cinque anni l’inosservanza degli obblighi e prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con l’obbligo o il divieto di soggiorno.
Gli obblighi e le prescrizioni sono dettati dal tribunale che dispone la misura di prevenzione: il cit. Decreto Legislativo n. 159, articolo 8, comma 2, infatti, prevede che “qualora il tribunale disponga l’applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all’articolo 6, nel provvedimento sono determinate le prescrizioni che la persona sottoposta a tale misura deve osservare”; il comma 4 elenca le prescrizioni che il tribunale deve dettare “in ogni caso”, tra cui quella “di non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza” e quella “di non partecipare alle pubbliche riunioni”.
La rimessione alle Sezioni Unite e’ stata disposta per le questioni interpretative concernenti la seconda prescrizione, ma i due ricorrenti sono stati condannati anche per la violazione della prima, di cui si trattera’ nella parte finale della presente sentenza.
I commi 5 e 6 della norma permettono, inoltre, al tribunale di imporre altre prescrizioni al sorvegliato speciale: tutte quelle “che ravvisi necessarie, avuto riguardo alle esigenze di difesa sociale”; alcune di esse sono tipizzate dal legislatore.
Il contenuto precettivo del reato di cui all’articolo 75 cit., quindi, e’ costruito per relationem agli obblighi e alle prescrizioni previsti dall’articolo 8 dello stesso decreto.
3. La norma in esame – che costituisce la integrale trasposizione della fattispecie originariamente prevista dalla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, articolo 9 – e’ stata oggetto di numerose pronunce della Corte Costituzionale, delle Sezioni Unite della Cassazione e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo; tali pronunce, peraltro, non hanno valutato soltanto la fattispecie penale in se’, ma il complesso normativo relativo alle misure di prevenzione: quindi, la selezione dei destinatari della misura di prevenzione, l’individuazione e la natura delle prescrizioni e degli obblighi che possono o devono essere dettati, la loro sanzionabilita’ penale in base alla fattispecie incriminatrice in esame. Anche il legislatore e’ intervenuto su tali tematiche.
Si sono, quindi, limitate le categorie dei soggetti destinatari delle misure di prevenzione cancellando quella dei “proclivi a delinquere” (Corte Cost., sent. n. 177 del 1980) e quella di coloro che dovevano ritenersi “abitualmente dediti a traffici delittuosi” (Corte Cost., sent. n. 24 del 2019); il legislatore del 2011 non ha riprodotto, tra le prescrizioni che devono essere dettate in sede di applicazione della misura della sorveglianza speciale, quelle “di non dare ragioni di sospetto” e “di non trattenersi abitualmente nelle osterie, bettole o in casi di prostituzione”, previste dalla L. n. 1423 del 1956, articolo 5, comma 3; le Sezioni Unite, Sinigaglia e Paterno’ hanno escluso, in via interpretativa, che la fattispecie penale punisca anche la violazione dell’obbligo del sorvegliato speciale di portare con se’ ed esibire la carta di permanenza (Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 8, comma 7), qualificando la condotta come violazione dell’articolo 650 c.p. (Sez. U, n. 32923 del 29/05/2014, Sinigaglia, Rv. 260019), nonche’ la violazione delle prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”; con la sentenza n. 25 del 2019 la Corte Costituzionale e’ intervenuta su tali ultime prescrizioni, dichiarando l’illegittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 75, commi 1 e 2 nella parte in cui puniscono come contravvenzione o come delitto la loro inosservanza.
4. Le diverse pronunce hanno affrontato, innanzitutto, il tema della precisione delle norme e della possibilita’ per l’interessato di conoscere e individuare le condotte vietate e di prevedere le decisioni giudiziarie.
La tematica, peraltro, viene in rilievo sotto due profili: l’individuazione delle categorie di soggetti che possono essere sottoposti alle misure di prevenzione e la descrizione degli obblighi e delle prescrizioni dettate al sottoposto alla misura di prevenzione, la cui violazione e’ sanzionata penalmente.
Le due sentenze della Corte Costituzionale gia’ ricordate hanno espunto le categorie dei “proclivi a delinquere” e di coloro “che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi” proprio per la “radicale imprecisione” della descrizione normativa con la conseguente discrezionalita’ per gli operatori. In conseguenza dei due interventi, l’applicazione delle misure di prevenzione dovrebbe essere ormai limitata a persone effettivamente pericolose nonche’ in grado di prevedere, in conseguenza delle loro condotte, una decisione in questo senso.
Il secondo profilo interessa in questa sede. La sentenza delle Sezioni Unite, Paterno’ ha distinto tra le prescrizioni generiche e le prescrizioni specifiche, negando un reale contenuto precettivo delle prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”, in quanto indeterminate e imprecise e non indicanti alcun comportamento specifico da osservare.
5. Una seconda tematica affrontata e’ quella del rispetto dei principi di offensivita’ e di proporzionalita’.
Anche se le misure di prevenzione vengono applicate a soggetti effettivamente pericolosi, non tutte le violazioni delle prescrizioni dettate dal Tribunale possono essere penalmente sanzionate: le Sezioni Unite, Sinigaglia hanno evidenziato che, per essere penalmente sanzionate, le violazioni degli obblighi e delle prescrizioni devono consistere in condotte “eloquenti, in quanto espressive di una effettiva volonta’ di ribellione all’obbligo o al divieto di soggiorno”; non e’ possibile, cioe’, “equiparare, in una omologante indifferenza valutativa, ogni e qualsiasi de’faillance comportamentale, anche se ascrivibile a soggetto qualitativamente pericoloso”: piuttosto, devono essere puniti soltanto quei comportamenti che, violando le leggi, costituiscono indice di una persistente e ulteriore pericolosita’, quelle inosservanze che determinano un “annullamento” di fatto della misura. Sulla base di tali considerazioni, unite all’interpretazione testuale delle norme, e’ stato affermato che il mancato porto della carta di permanenza non integra il reato di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 75, ma la contravvenzione di cui all’articolo 650 c.p..
6. Una terza problematica – contigua, ma non coincidente con la precedente – si interroga sulla legittimita’ delle prescrizioni previste per il sorvegliato speciale alla luce della necessita’ di tutelare altri diritti costituzionalmente riconosciuti.
Proprio con riferimento al divieto di partecipare alle pubbliche riunioni, la Corte EDU, De Tommaso ha espresso preoccupazione per il fatto “che le misure previste dalla legge e applicate al ricorrente comprendono l’assoluto divieto di partecipare a riunioni pubbliche.
La legge non specifica alcun limite temporale o spaziale di questa liberta’ fondamentale, la cui restrizione e’ lasciata interamente alla discrezione del giudice”.
Come osserva incidentalmente l’ordinanza di rimessione, il precetto viene criticato per la eccessiva ampiezza del divieto piuttosto che in rapporto al deficit di conoscibilita’: mentre, quanto agli obblighi di vivere onestamente e di rispettare le leggi, la Corte EDU censura la norma che li prevede perche’ “non formulata in modo sufficientemente dettagliato e (perche’) non chiarisce con sufficiente chiarezza il contenuto delle misure di prevenzione che potrebbero essere applicate ad una persona”, la “preoccupazione” espressa dalla Corte EDU con riferimento al divieto di partecipare a pubbliche riunioni riguarda soprattutto l’assolutezza della compressione della relativa liberta’.
Non vi e’ dubbio che il riferimento finale alla “restrizione (…) lasciata interamente alla discrezione del giudice” sembra evocare anche il vizio della incertezza del contenuto della prescrizione: si tratta, tuttavia, di un accenno non del tutto chiaro, tenuto conto, da una parte, che il tribunale che applica la misura di prevenzione non ha discrezionalita’ nel graduare la restrizione della liberta’ di partecipare alle riunioni pubbliche (che “deve in ogni caso prescrivere” ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 8, comma 4), dall’altra che – salva la tematica dell’interpretazione della nozione di “pubbliche riunioni” – la prescrizione, per essere concretamente applicabile, non necessita di ulteriori specificazioni (come, invece, avviene, ad esempio, per la prescrizione “di non rincasare la sera piu’ tardi e di non uscire la mattina piu’ presto di una determinata ora”, per la quale occorre la specificazione dell’orario nel decreto).
7. La Corte Costituzionale e’ ripetutamente intervenuta sul complesso della normativa, come gia’ anticipato, valutandola alla luce delle tre tematiche appena enucleate.
Con la sentenza n. 27 del 1959, la Corte risolse in senso affermativo il quesito relativo alla compatibilita’ delle due prescrizioni in esame con il dettato costituzionale, pur in presenza di limitazioni notevoli a taluni diritti riconosciuti dalla Costituzione, affermando che esse trovano il loro fondamento nelle finalita’ generali della intera legge. La Corte osservo’ che l’articolo 13 Cost. riconosce la possibilita’ di restrizioni alla liberta’ personale, cosi’ come gli articoli 16 e 17 ammettono limitazioni alla liberta’ di circolazione e di soggiorno e consentono il divieto delle pubbliche riunioni per comprovati motivi di sicurezza e di incolumita’ pubblica.
La Corte escluse che la riserva di legge prevista dalla Costituzione desse luogo ad una “potesta’ illimitata del legislatore ordinario” e, in qualche modo, delimito’ la portata della pronuncia sotto due profili: la tutela di altri diritti costituzionalmente garantiti nelle ipotesi concrete giunte all’esame del giudice e il criterio di interpretazione delle norme in questione.
Affrontando il quesito “se (…) nel divieto di associarsi non sia per avventura da comprendersi ogni forma di abituale accompagnarsi ad altra persona, per qualsiasi ragione di lavoro, di affetto, di cultura, di amicizia, ecc.; e se nel divieto di partecipare a pubbliche riunioni non rientrino perfino le funzioni di culto, i comizi elettorali, le riunioni sportive, e simili”, la Corte riconobbe un ruolo specifico al giudice penale: “codeste specificazioni importano in sostanza una determinazione dei concreti elementi di fatto che concorrono volta per volta a realizzare la fattispecie del reato di trasgressione agli obblighi della sorveglianza speciale: indagine che esula dal compito della Corte”; il criterio interpretativo da adottare e’, comunque, restrittivo: “al giudice penale, cui la indagine spetta, non dovra’ sfuggire ne’ il carattere eccezionale delle limitazioni di liberta’ in questione, che non puo’ non riflettersi sul significato da attribuire ai termini adoperati dalla legge, ne’ la distinzione, che certo merita di essere considerata, fra i contatti sociali che la legge specificamente indica come pericolosi e quelli che costituiscono il normale e quotidiano svolgimento dei rapporti della vita, inibito di regola soltanto a chi e’ sottoposto a misure detentive”.
La legittimita’ della prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni venne ribadita con la sentenza n. 126 del 1983, con la quale la Corte risolse positivamente i dubbi sulla determinatezza della norma e sul rispetto del principio di legalita’ di cui all’articolo 25 Cost., negando anche la lesione del diritto di manifestazione del pensiero e di quello di associarsi liberamente in partiti. La Corte ribadi’ che “spetta al giudice penale determinare i concreti elementi di fatto che concorrono volta per volta a realizzare la fattispecie del reato di trasgressione agli obblighi della sorveglianza”.
Con la sentenza n. 161 del 2009 la Corte ritenne che la modifica della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, articolo 9, comma 2, operata dal Decreto Legge 27 luglio 2005, n. 144, articolo 14, convertito, con modificazioni, dalla L. 31 luglio 2005, n. 155 (Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale), con la previsione della pena della reclusione da uno a cinque anni in caso di inosservanza di tutti gli obblighi e le prescrizioni inerenti la sorveglianza speciale con l’obbligo o il divieto di soggiorno, non violasse il principio di proporzionalita’ della sanzione penale, poiche’ la pena riguardava soggetti sottoposti ad una grave misura di prevenzione, in quanto ritenuti pericolosi per la sicurezza pubblica, con conseguente inidoneita’ di altre misure.
Il rispetto del principio di proporzionalita’ venne ribadito con la sentenza n. 282 del 2010. Nella stessa sentenza venne in rilievo il principio di tassativita’ e di determinatezza della norma penale: la Corte, dopo aver affermato la necessita’ di costituzionalmente garantiti nelle ipotesi concrete giunte all’esame del giudice e il criterio di interpretazione delle norme in questione.
Affrontando il quesito “se (…) nel divieto di associarsi non sia per avventura da comprendersi ogni forma di abituale accompagnarsi ad altra persona, per qualsiasi ragione di lavoro, di affetto, di cultura, di amicizia, ecc.; e se nel divieto di partecipare a pubbliche riunioni non rientrino perfino le funzioni di culto, i comizi elettorali, le riunioni sportive, e simili”, la Corte riconobbe un ruolo specifico al giudice penale: “codeste specificazioni importano in sostanza una determinazione dei concreti elementi di fatto che concorrono volta per volta a realizzare la fattispecie del reato di trasgressione agli obblighi della sorveglianza speciale: indagine che esula dal compito della Corte”; il criterio interpretativo da adottare e’, comunque, restrittivo: “al giudice penale, cui la indagine spetta, non dovra’ sfuggire ne’ il carattere eccezionale delle limitazioni di liberta’ in questione, che non puo’ non riflettersi sul significato da attribuire ai termini adoperati dalla legge, ne’ la distinzione, che certo merita di essere considerata, fra i contatti sociali che la legge specificamente indica come pericolosi e quelli che costituiscono il normale e quotidiano svolgimento dei rapporti della vita, inibito di regola soltanto a chi e’ sottoposto a misure detentive”.
La legittimita’ della prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni venne ribadita con la sentenza n. 126 del 1983, con la quale la Corte risolse positivamente i dubbi sulla determinatezza della norma e sul rispetto del principio di legalita’ di cui all’articolo 25 Cost., negando anche la lesione del diritto di manifestazione del pensiero e di quello di associarsi liberamente in partiti. La Corte ribadi’ che “spetta al giudice penale determinare i concreti elementi di fatto che concorrono volta per volta a realizzare la fattispecie del reato di trasgressione agli obblighi della sorveglianza”.
Con la sentenza n. 161 del 2009 la Corte ritenne che la modifica della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, articolo 9, comma 2, operata dal Decreto Legge 27 luglio 2005, n. 144, articolo 14, convertito, con modificazioni, dalla L. 31 luglio 2005, n. 155 (Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale), con la previsione della pena della reclusione da uno a cinque anni in caso di inosservanza di tutti gli obblighi e le prescrizioni inerenti la sorveglianza speciale con l’obbligo o il divieto di soggiorno, non violasse il principio di proporzionalita’ della sanzione penale, poiche’ la pena riguardava soggetti sottoposti ad una grave misura di prevenzione, in quanto ritenuti pericolosi per la sicurezza pubblica, con conseguente inidoneita’ di altre misure.
Il rispetto del principio di proporzionalita’ venne ribadito con la sentenza n. 282 del 2010. Nella stessa sentenza venne in rilievo il principio di tassativita’ e di determinatezza della norma penale: la Corte, dopo aver affermato la necessita’ di non valutare isolatamente il singolo elemento descrittivo dell’illecito, ma di collegarlo con gli altri elementi costitutivi della fattispecie e con la disciplina in cui questa s’inserisce, osservo’ che “l’inclusione nella formula descrittiva dell’illecito di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero di clausole generali o concetti elastici, non comporta un vulnus del parametro costituzionale evocato, quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice avuto riguardo alle finalita’ perseguite dall’incriminazione ed al piu’ ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca – di stabilire il significato di tale elemento mediante un’operazione interpretativa non esorbitante dall’ordinario compito a lui affidato: quando cioe’ quella descrizione consenta di esprimere un giudizio di corrispondenza della fattispecie concreta alla fattispecie astratta, sorretto da un fondamento ermeneutico controllabile; e, correlativamente, permetta al destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo”; sulla base di questi principi, escluse l’indeterminatezza delle prescrizioni.
Le due sentenze emesse a seguito della pronuncia della Corte EDU, De Tommaso hanno permesso alla Corte Costituzionale di riassumere e precisare i principi fin qui riportati. In particolare, le due pronunce hanno affrontato il tema della tassativita’ e di precisione delle fattispecie di pericolosita’ generica (sentenza n. 24 del 2019) e della legittimita’ della sanzione penale per la violazione delle prescrizioni generiche di “vivere onestamente” e “rispettare le leggi” (sent. n. 25 del 2019).
Con riferimento alla prima questione, la Corte ha ritenuto che, al di fuori della materia penale, l’esigenza di predeterminazione delle condizioni in presenza delle quali puo’ legittimamente limitarsi un diritto costituzionalmente e convenzionalmente protetto puo’ essere soddisfatta anche sulla base dell’interpretazione, fornita da una giurisprudenza costante e uniforme, di disposizioni legislative pure caratterizzate dall’uso di clausole generali, o comunque da formule connotate in origine da un certo grado di imprecisione, risultando essenziale che tale interpretazione giurisprudenziale sia in grado di porre la persona potenzialmente destinataria delle misure limitative del diritto in condizioni di poter ragionevolmente prevedere l’applicazione della misura stessa.
Quanto, invece, alla legittimita’ della sanzione penale per le violazioni delle prescrizioni generiche, la Corte, dando atto del giudizio negativo della Corte EDU, ha ritenuto necessario completare l’adeguamento della normativa alla CEDU operato, in via interpretativa, dalle Sezioni Unite, Paterno’, osservando che l’esigenza di contrastare il rischio che siano commessi reati “e’ comunque soddisfatta dalle prescrizioni specifiche che l’articolo 8 consente al giudice di indicare e modulare come contenuto della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con o senza obbligo (o divieto) di soggiorno”.
8. E’ gia’ stato ricordato il contenuto delle sentenze delle Sezioni Unite, Sinigaglia e Paterno’.
La prima rimarcava l’importanza dei principi di offensivita’ e di proporzionalita’ per l’interpretazione delle norme che in questa sede rilevano: richiamando “i severi presidi costituzionali costituiti dagli articoli 13 e 25 della Carta Costituzionale” ed osservando che, cosi’ come chiarito dalla Corte Costituzionale, “le prescrizioni imposte al sorvegliato hanno la funzione di garantire la effettivita’ della tutela preventiva, allo scopo di scongiurare (o, almeno, limitare) la commissione di futuri reati”, la sentenza affermava che la sanzione penale nei confronti del sorvegliato che non si conformi alle direttive puo’ riguardare solo “condotte “eloquenti”, in quanto espressive di una effettiva volonta’ di ribellione all’obbligo o al divieto di soggiorno, vale a dire alle significative misure che detto obbligo o divieto accompagnano, caratterizzano o connotano, misure la cui elusione comporterebbe quella sostanziale vanificazione di cui fa parola la sentenza Da Silva” (richiamando un passaggio incidentale della sentenza Sez. 1, n. 793 del 20/3/1985, De Silva, Rv. 170592).
Veniva richiamata anche la sentenza della Corte EDU, Labita c. Italia per confermare “la necessita’ di una stretta correlazione tra misura restrittiva repressiva e scopo perseguito”.
La sentenza delle Sezioni Unite, Paterno’ riprendeva queste considerazioni, sottolineando che la sentenza SU, Sinigaglia “supera la giurisprudenza di legittimita’, formatasi soprattutto dopo le modifiche del 2005 apportate alla L. n. 1423, per cui ogni violazione delle prescrizioni integrerebbe, quasi automaticamente, il reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, e richiede di verificare se la violazione della prescrizione sia strumentale ad una sorta di “vanificazione” della misura cui si riferisce. Pertanto, non tutte le “inottemperanze” del sorvegliato speciale possono giustificare la maggiore severita’ repressiva, ma, in base al principio di offensivita’, solo quei comportamenti che, violando le leggi, costituiscono indice di una persistente e ulteriore pericolosita’. Cosi’, con riferimento alle prescrizioni c.d. specifiche, la sentenza Sinigaglia chiarisce che non ogni violazione delle prescrizioni configura il reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, ma solo quelle inosservanze significative, che cioe’ determinano un “annullamento” di fatto della misura. La norma incriminatrice e’ posta a tutela dell’interesse dell’autorita’ del provvedimento applicativo della misura di prevenzione e, indirettamente, dell’ordine e della sicurezza pubblica, sicche’ deve escludersi ogni automatismo nella sua applicazione, dovendo il giudice sempre accertare che la condotta abbia in concreto offeso il bene giuridico tutelato. In sostanza, non ogni “inottemperanza” del sorvegliato speciale giustifichera’ la maggiore severita’ repressiva, ma, in base al principio di offensivita’, solo quei comportamenti che costituiscono indice di una volonta’ diretta ad eludere la misura di prevenzione personale. Del resto la Corte costituzionale ha da tempo indicato la necessita’ di operare una selezione delle condotte, negando la rilevanza di condotte che non siano in qualche modo sintomatiche della pericolosita’ gia’ accertata in sede di giudizio di prevenzione (Corte Cost. n. 27 del 1959). Dal principio affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza da ultimo citata deve trarsi un canone generale di giudizio idoneo a “calibrare” sulla pericolosita’ del soggetto le singole prescrizioni”.
9. I due orientamenti evidenziati dall’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite si comprendono e si inseriscono nel quadro fin qui riassunto.
Peraltro, si deve dare atto che, accanto ad essi, ne esiste un terzo, anch’esso assai recente, che afferma che, in base ad un’interpretazione convenzionalmente orientata del quadro normativo interno alla luce della sentenza della Corte EDU, De Tommaso, il giudice ha l’obbligo di indicare le ragioni per cui la prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni si renda, nel singolo caso concreto, necessaria in funzione del controllo della pericolosita’ sociale del prevenuto, al fine di evitare compressioni generalizzate di una liberta’ fondamentale, oggetto di presidio costituzionale (Sez. 1, n. 49731 del 06/06/2018, Sassano, Rv. 274456); in applicazione di tale principio, la Corte ha annullato senza rinvio per insussistenza del fatto la sentenza che aveva affermato la responsabilita’ dell’imputato per il reato di cui alla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, articolo 9, comma 2, in quanto recatosi ad assistere a comizi elettorali nonostante il divieto di partecipare a pubbliche riunioni contenuto nel decreto applicativo della misura.
La sentenza collega la sentenza della Corte EDU, De Tommaso alle pronunce nelle quali la Corte Costituzionale aveva ritenuto che la concreta determinazione degli elementi di fatto che concorrono di volta in volta a realizzare la fattispecie del reato di violazione degli obblighi della sorveglianza speciale spetti al giudice penale, che deve tenere conto del carattere eccezionale delle limitazioni di liberta’ che incidono su diritti costituzionalmente presidiati; in effetti, devono essere vietati solo i contatti del sorvegliato che incrementano il rischio di pericolosita’ o che si pongono in continuita’ con il profilo che la misura di prevenzione intende controllare, mentre non devono essere vietate le attivita’ in cui si risolve l’esercizio di diritti di spessore superprimario, di presidio costituzionale.
Nel caso giunto all’esame della Corte, la sentenza impugnata non forniva alcuna giustificazione delle ragioni di limitazione alla liberta’ del cittadino di partecipare a riunioni pubbliche e comizi elettorali, esercitando un diritto politico e democratico, ne’ aveva chiarito perche’, nel caso concreto, tale limitazione fosse necessaria per l’attuazione del controllo di pericolosita’.
10. La sentenza Sez. 1, (OMISSIS) afferma, in sostanza, che l’interpretazione ampia della prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni – comprendendo tra le stesse “qualsiasi riunione di piu’ persone in luogo pubblico o aperto al pubblico, al quale abbia facolta’ di accesso un numero indeterminato di persone, indipendentemente dal motivo della riunione” – risponde del tutto alle esigenze sopra enucleate: da una parte, il divieto e’ giustificato dalla necessita’ di un controllo adeguato del comportamento del sorvegliato speciale da parte degli organi di pubblica sicurezza, al fine di impedire o limitare possibili occasioni di incontro con altri soggetti nonche’ la commissione di reati, controllo reso difficoltoso dal numero elevato di persone; dall’altra non sussiste un problema di genericita’ della norma, atteso che la prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni e’ espressamente prevista nel decreto applicativo e ad esso puo’ essere attribuito un contenuto determinato e specifico, con valore precettivo; di conseguenza e’ rispettato anche il requisito della conoscibilita’ da parte del destinatario delle specifiche condotte la cui inosservanza puo’ determinare la responsabilita’ penale.
Si deve rilevare, peraltro, che nel processo il ricorrente non aveva posto il tema dell’ampiezza della nozione di “pubbliche riunioni”: aveva, infatti, sostenuto che, poiche’ la seduta del Consiglio comunale alla quale (OMISSIS) si era recato ad assistere non era stata tenuta per mancanza del numero legale, la “pubblica riunione” non vi era stata, nonostante il numero delle persone presenti davanti alle quali l’imputato aveva preso la parola.
L’interpretazione della nozione di “pubbliche riunioni” adottata dalla sentenza Sez. 1, (OMISSIS) conferma un orientamento gia’ affermato da Sez. 1, n. 28964 del 11/3/2003, D’Angelo, Rv. 224925, con riferimento alla partecipazione del sorvegliato speciale ad una partita di calcio allo stadio, ribadito anche successivamente (Sez. 1, n. 15870 del 11/03/2015, Carpano, Rv. 263320; Sez. 1, n. 42283 del 24/10/2007, Pesce, Rv. 238113).
11. Come si comprende, benche’ le sentenze Sez. 1, Pellegrini e Sez. 1, Sassano dispongano entrambe l’annullamento senza rinvio della condanna per insussistenza del fatto e benche’ ambedue richiamino le sentenze della Corte EDU, De Tommaso e Sezioni Unite, Paterno’, i presupposti delle due decisioni risultano assai differenti.
In primo luogo la sentenza Sez. 1, Pellegrini e’ basata sulla inevitabile e inemendabile indeterminatezza del precetto di non partecipare alle pubbliche riunioni; al contrario, la sentenza Sez. 1, Sassano recepisce la giurisprudenza di legittimita’ e l’insegnamento della Corte Costituzionale per affermare – cosi’ come la sentenza Sez. 1, (OMISSIS) – che il precetto e’ specifico e tassativo e che i giudici – sia in sede di applicazione della misura di prevenzione che in sede penale – non possiedono alcuna discrezionalita’.
La sentenza Sez. 1, Pellegrini, in ragione dell’asserita indeterminatezza della prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni, la assimila a quelle di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi” e, quindi, compie la medesima operazione ermeneutica delle Sezioni Unite, Paterno’, ritenendola “prescrizione generica”; al contrario, la sentenza Sassano la ritiene specifica, ma adotta un’interpretazione in base alla quale, pur essendo il divieto di partecipare alle pubbliche riunioni indefettibile, per integrare il reato di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 75, comma 2 la sua violazione deve concretamente avere posto in pericolo il controllo di pericolosita’ del soggetto, che costituisce la finalita’ della misura di prevenzione: orientamento giustificato dalla circostanza che la prescrizione limita l’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito.
L’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, pur non menzionando espressamente la sentenza Sez. 1, Sassano, sembra aderire a questa seconda impostazione, che garantirebbe il rispetto del principio di offensivita’, permettendo di selezionare le condotte effettivamente pericolose e di non punire quelle inoffensive, tali da non giustificare la limitazione dei diritti costituzionalmente.
12. La sentenza Sez. 1, Sassano riprende le indicazioni della sentenza Corte Cost. n. 27 del 1959, secondo cui il giudice penale ha un ruolo nella determinazione dei concreti elementi di fatto che concorrono volta per volta a realizzare la fattispecie del reato di trasgressione agli obblighi della sorveglianza speciale e deve adottare un’interpretazione restrittiva alla luce del carattere eccezionale delle limitazioni di liberta’ in questione; indicazione alla quale, come si e’ visto, fanno riferimento le sentenze delle Sezioni Unite, Sinigaglia e Paterno’.
Cio’ che contraddistingue questo orientamento e’ l’individuazione nel giudice penale, anziche’ in quello che applica la misura di prevenzione, dell’organo deputato a garantire il principio di offensivita’ e l’adeguatezza delle prescrizioni imposte al sorvegliato speciale.
La sentenza SU, Sinigaglia trae dalla pronuncia n. 282 del 2010 della Corte costituzionale un criterio generale secondo cui le prescrizioni devono essere “calibrate” sulla pericolosita’ del soggetto, come “componenti integrate di un sottosistema di sicurezza calibrato ad personam”; tuttavia, una “selezione” era stata operata nel corso degli anni intervenendo sull’elenco delle prescrizioni la cui violazione e’ penalmente sanzionata: negando che la violazione dell’obbligo di portare con se’ ed esibire la carta di permanenza integri il reato di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 75, negando valore precettivo alle prescrizioni di vivere onestamente e di rispettare le leggi, successivamente dichiarando l’illegittimita’ costituzionale della norma incriminatrice con riferimento a tali prescrizioni ma, ancora prima, ad opera del legislatore, cancellando alcune delle prescrizioni che il Tribunale deve in ogni caso dettare in sede di applicazione della misura.
La sentenza Sez. 1, Sassano, al contrario, ritiene necessaria una valutazione in concreto del giudice penale in aggiunta a quella del giudice della prevenzione: il giudice penale dovrebbe, di volta in volta, argomentare in ordine alla “significativita’” della violazione della prescrizione, dovrebbe “dire per quale ragione essa imposizione si renda, nel singolo caso concreto, necessaria in funzione dell’attuazione del controllo di pericolosita’”.
Alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale fin qui riassunto, e’ possibile rispondere alla questione di diritto sollevata con l’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite.
13. L’orientamento espresso dalla sentenza Sez. 1, Pellegrini non puo’ essere accolto.
La ricognizione della normativa che fa riferimento alle “pubbliche riunioni”, svolta al fine di evidenziare la mancanza di una definizione univoca della nozione, non appare convincente sotto diversi profili.
Di per se’, il fatto che un concetto assuma significati differenti (o parzialmente differenti) in diversi settori della normativa non costituisce una anomalia inaccettabile e si riscontra frequentemente; appare, quindi, improprio accostare normative differenti e rivolte a destinatari diversi.
In ogni caso, la sentenza non verifica la possibilita’ di individuare una definizione di “pubblica riunione” che possa essere valida per tutte le norme evidenziate: se il problema e’ la conoscibilita’ della norma da parte del destinatario, occorre verificare se le diverse nozioni di “pubblica riunione” costituiscano o meno degli insiemi che presentano un’intersezione comune a tutti; in altre parole, era necessario accertare se esiste una nozione di “pubblica riunione” – ovviamente piu’ ristretta – che tutte le norme contengono, espressamente o meno.
Se tale nozione esiste, e’ possibile ritenere che i destinatari della prescrizione siano in grado di conoscerne il contenuto; non possano, cioe’, avere dubbi sul fatto che in una situazione corrispondente a quella nozione ristretta essi stiano sicuramente partecipando ad una “pubblica riunione”.
Questa nozione ristretta e comune a tutte le norme menzionate esiste: e’ la riunione non occasionale di piu’ persone in luogo pubblico.
Ripercorrendo l’analisi delle norme menzionate dalla sentenza citata, si puo’ rilevare, quanto all’articolo 266 c.p., comma 3, che l’ipotesi di istigazione commessa in luogo pubblico e alla presenza di piu’ persone e’ espressamente contemplata dal n. 2; quanto all’articolo 18 T.U.L.P.S., che la sentenza della Corte Costituzionale n. 27 del 1958, dichiarando illegittima la norma nella parte in cui impone il preavviso della riunione al questione anche per le riunioni non tenute in luogo pubblico, ha limitato l’obbligo solo a quelle tenute in luogo pubblico; quanto alla L. 18 aprile 1975, n. 110, articolo 4, che il divieto di portare armi si applica certamente anche alle riunioni in luogo pubblico.
Contrariamente a quanto sostiene la sentenza Sez. 1, Pellegrini, quindi, esiste una soluzione interpretativa che rende determinato il contenuto della norma incriminatrice, elimina l’eccessiva discrezionalita’ del giudice penale nell’applicazione della norma e permette la conoscibilita’ del precetto, cosi’ orientando il comportamento dei destinatari.
14. Inoltre la sentenza, per sopperire al vizio di indeterminatezza, adotta una “interpretazione convenzionalmente orientata” con la quale sostanzialmente disapplica la previsione normativa senza sollevare una questione di legittimita’ costituzionale.
Come piu’ volte ribadito dalla Corte Costituzionale, la disapplicazione di una disposizione di legge interna da parte del giudice, perche’ ritenuta non conforme alle previsioni della CEDU, come interpretata dalla Corte EDU, e’ illegittima, perche’ in contrasto con la stessa Costituzione. Alle norme della Convenzione EDU deve, invece, assegnarsi il rango di “fonti interposte”, destinate ad integrare il parametro di cui all’articolo 117 Cost., il cui comma 1 impone al legislatore di conformare il prodotto normativo agli obblighi internazionali, fra i quali vanno annoverati anche quelli derivanti dalla richiamata Convenzione.
Proprio perche’ si tratta di norme che integrano il predetto parametro costituzionale, ma rimangono pur sempre a livello sub-costituzionale, e’ necessario che esse stesse siano conformi a Costituzione, non sottraendosi, dunque, al relativo sindacato da parte del Giudice delle leggi.
Pertanto, qualora il contrasto tra la disciplina nazionale e le norme della CEDU, come interpretate dalla Corte EDU, non possa essere risolto in via interpretativa, va esclusa la possibilita’ di applicare direttamente la norma convenzionale interposta “obliterando il contrario disposto di una norma interna” (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, non mass. sul punto; Sez. U, n. 34472 del 19/04/2012, Ercolano, non mass. sul punto; Sez. U, n. 41694 del 18/10/2012, Nicosia, Rv. 25328901, non mass. sul punto): in questo caso, dovra’ essere sollevato l’incidente di costituzionalita’, e la Corte costituzionale dovra’ accertare se le disposizioni interne in questione siano compatibili con quelle della Convenzione, come interpretate dalla Corte di Strasburgo ed assunte quali fonti integratrici dell’indicato parametro costituzionale e, nel contempo, verificare se le norme convenzionali interposte, sempre nell’interpretazione fornita dalla medesima Corte Europea, non si pongano in conflitto con altre norme conferenti dell’ordinamento costituzionale italiano.
Non si puo’ dimenticare che la Corte Costituzionale ha ripetutamente affermato la legittimita’ della norma in questione; con la sentenza n. 126 del 1983, anche con riferimento alla possibile violazione del principio di legalita’, ritenendo la prescrizione espressa in termini tassativi.
Del resto, come gia’ osservato al par. 6, la censura mossa dalla Corte EDU, De Tommaso in ordine alla prescrizione in esame era di natura differente rispetto a quelle formulate per le prescrizioni di “vivere onestamente” e “rispettare le leggi”.
15. In effetti, la prescrizione di non partecipare alle pubbliche riunioni non puo’ essere equiparata all’obbligo di portare la carta di permanenza e alle prescrizioni di vivere onestamente e rispettare le leggi, oggetto delle sentenze delle Sezioni Unite, Sinigaglia e Paterno’.
Nel primo caso la decisione delle Sezioni Unite era basata sul dato formale della mancata inclusione dell’obbligo nelle prescrizioni, sul fatto che la previsione di legge e’ rivolta principalmente all’autorita’ che deve compilare e consegnare la carta di permanenza al soggetto e solo dopo al sottoposto e, ancora, sull’estraneita’ di quell’obbligo alla ratio della misura di prevenzione di sottoporre a sorveglianza particolare il soggetto al fine di prevenire la consumazione di reati.
Le Sezioni Unite, Paterno’, invece, avevano escluso che gli obblighi di vivere onestamente e rispettare le leggi potessero considerarsi vere e proprie prescrizioni, aventi reale contenuto precettivo, non imponendo comportamenti specifici, ma contenendo un mero ammonimento “morale” che, per di piu’, vale per ogni consociato: la norma, in definitiva, non individua condotte socialmente dannose che devono essere evitate ne’ prescrive quelle socialmente utili che devono essere perseguite.
Invece il divieto di partecipare a pubbliche riunioni non grava su tutti gli associati; al contrario, la Costituzione tutela il contrario diritto di riunirsi, anche in luoghi aperti al pubblico.
All’esistenza di un diritto corrisponde la possibilita’ di formulare un divieto, perche’ la condotta puo’ essere delimitata oggettivamente, il concetto di “riunione” presupponendo una realta’ fisica, concreta; in sostanza, si tratta di una prescrizione specifica e non generica.
Per di piu’, la prescrizione e’ strettamente connessa alla finalita’ della misura di prevenzione della sorveglianza speciale, poiche’ la partecipazione alle pubbliche riunioni rende piu’ difficoltosa proprio la sorveglianza del sottoposto alla misura di prevenzione, che deve essere rafforzata soprattutto se si tratta di misura accompagnata dall’obbligo o divieto di soggiorno; quindi rende piu’ facile e meno controllabile la consumazione di reati oppure l’incontro con soggetti pregiudicati o sottoposti a misure.
16. Benche’ la soluzione adottata con la sentenza Sez. 1, Pellegrini non possa, quindi, essere accolta, e’ condivisibile la critica in essa contenuta verso l’interpretazione accolta dalla giurisprudenza maggioritaria ribadita da Sez. 1, (OMISSIS), secondo cui il deficit di determinatezza della nozione di “pubbliche riunioni” puo’ essere risolto alla luce della ratio della prescrizione: si tratta, effettivamente, di una inversione logico-giuridica per effetto della quale la ratio giustificatrice della fattispecie assurge ad elemento integrativo di quest’ultima.
Il risultato di tale linea interpretativa e’ una nozione della prescrizione ampia e non ben delimitata, che lascia spazio alla discrezionalita’ del giudice penale e si disinteressa, in sostanza, del tema della conoscibilita’ della norma penale da parte del destinatario e della conseguente prevedibilita’ delle conseguenze della sua condotta.
Come gia’ anticipato, una soluzione interpretativa che fornisca certezza alla nozione in esame e, quindi, al precetto penale esiste.
La norma cui fare riferimento e’ l’articolo 17 Cost.. Dopo avere stabilito che “i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi”, la norma costituzionale detta una separata disciplina per le riunioni in luogo aperto al pubblico e per quelle in luogo pubblico: mentre per le prime “non e’ previsto preavviso”, delle seconde “deve essere dato preavviso alle autorita’, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumita’ pubblica”.
Come si e’ visto, tale disciplina aveva permesso alla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 27 del 1959, di ritenere legittime le limitazioni alle liberta’ derivanti dall’applicazione delle misure di prevenzione e in particolare quella oggetto della presente sentenza.
Se, quindi, la limitazione del diritto di riunione in ragione di una misura di prevenzione e’ costituzionalmente legittima solo se si tratta di “riunioni in luogo pubblico” – la Corte Costituzionale ritenne, evidentemente, che l’articolo 17, comma 3 permetta alle autorita’ sia di vietare la riunione che di vietare ad una singola persona di partecipare alla riunione – e’ inevitabile e corretto ritenere che le “pubbliche riunioni” di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 8, comma 4 altro non siano che le “riunioni in luogo pubblico” cui fa riferimento l’articolo 17 Cost..
Non a caso, in quella sentenza, la Corte Costituzionale denominava “pubbliche riunioni” quelle di cui all’articolo 17 cit..
Questa soluzione interpretativa risponde pienamente alle esigenze fin qui evidenziate: da una parte rende certo il contenuto della prescrizione penalmente sanzionata e, quindi, conoscibile dai destinatari, per quanto gia’ osservato nel par. 13 nel commentare la sentenza Sez. 1, Pellegrini; dall’altra elimina ogni discrezionalita’ del giudice penale nell’applicazione della norma; inoltre – anche tenendo conto delle osservazioni mosse dalla Corte EDU nella sentenza De Tommaso – riduce al minimo la compressione del diritto di riunione (tutelato a livello convenzionale dall’articolo 11 CEDU); infine permette alla sanzione penale di colpire soltanto condotte sintomatiche della pericolosita’ del soggetto e che determinano un annullamento di fatto della misura, atteso che la partecipazione ad una riunione in luogo pubblico impedisce (o comunque, rende estremamente difficoltoso) la sorveglianza del soggetto.
17. Per quanto appena osservato, la soluzione interpretativa adottata rende superflua la soluzione proposta da Sez. 1, Sassano di una verifica obbligatoria da parte del giudice penale della concreta offensivita’ della violazione della prescrizione.
In effetti, si tratta di soluzione che appare forzata e non necessaria.
A ben vedere, in conseguenza della riduzione del numero delle prescrizioni obbligatorie penalmente sanzionate ad opera del legislatore, dell’interpretazione delle Sezioni Unite Sinigaglia e Paterno’ e dell’intervento della Corte Costituzionale, il Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 8, comma 4 ne prevede cinque (di non allontanarsi dalla dimora senza preventivo avviso, di non associarsi ai pregiudicati o sottoposti a misure, di rimanere la notte in casa, di non detenere e portare armi e di non partecipare a pubbliche riunioni), tutte significative rispetto alla finalita’ perseguita dal legislatore di consentire una sorveglianza sul soggetto pericoloso al fine di evitare la commissione di reati.
Appare ragionevole, quindi, la sanzione penale della violazioni di quelle prescrizioni che il legislatore indica, appunto, come sintomo della pericolosita’ del soggetto e finalizzata ad annullare la sorveglianza speciale disposta dal tribunale. Vi sono, pero’, “ipotesi estreme” – per richiamare l’espressione utilizzata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 27 del 1959 – in cui la violazione della condotta puo’ perdere quel significato pregnante attribuitogli dal legislatore: la Corte, con riferimento alla prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni, menzionava la partecipazione a funzioni di culto, ai comizi elettorali e alle riunioni sportive.
Si deve notare, tuttavia, che la Corte non affermava tout court che la natura di manifestazione religiosa o di comizio elettorale della riunione pubblica rende lecita la partecipazione ad essa da parte del sorvegliato speciale; che, cioe’, i diritti riconosciuti dagli articoli 19 e 48 Cost. prevalgono in ogni caso sui motivi di sicurezza che permettono di vietare al sorvegliato speciale la partecipazione a una pubblica riunione: piuttosto rimetteva al giudice penale di determinare i concreti elementi di fatto che concorrono a realizzare la fattispecie del reato di trasgressione agli obblighi di sorveglianza speciale.
Il modello di valutazione adeguato, pertanto, non puo’ che essere quello previsto dallo stesso Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 8, comma 4, per l’assenza nelle ore notturne dall’abitazione: la violazione sussiste se tale assenza interviene “senza comprovata necessita’ e, comunque, senza averne data tempestiva notizia all’autorita’ di pubblica sicurezza”; a carico del sorvegliato speciale che intende violare quella disposizione (o e’ costretto a farlo per necessita’ impreviste) sussiste un duplice onere: quello di avvisare preventivamente l’Autorita’ di pubblica sicurezza deputata al controllo e, in sede processuale, quella di evidenziare e fornire la prova delle necessita’ che lo avevano indotto ad uscire dall’abitazione nelle ore interdette o a ritardare il rientro.
Anche per l’allontanamento dalla dimora occorre il preventivo avviso all’autorita’ locale di pubblica sicurezza; quanto, invece, alla detenzione e al porto di armi, appare difficile ipotizzare una “ipotesi estrema” che consenta al giudice penale di ritenere la condotta priva di offensivita’.
Il modello si adatta anche alla prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni: il sorvegliato speciale, infatti, potra’ chiedere al Tribunale l’autorizzazione a partecipare a quella riunione pubblica e, comunque, chiamato a rispondere della violazione della prescrizione, avra’ l’onere di allegare e dimostrare che la sua condotta era inoffensiva in quanto la partecipazione alla pubblica riunione era giustificata da motivi validi; in mancanza di tali allegazioni e tale prove non sembra vi sia spazio per il giudice penale di ritenere la condotta inoffensiva sulla base di una valutazione astratta: ad esempio, perche’ quella riunione pubblica era un i motivi giustificanti la violazione potrebbero venire a conoscenza del giudice anche da altre fonti (ad esempio, la stessa polizia giudiziaria).
Il giudice penale, in definitiva, non puo’ essere chiamato a fornire una comizio elettorale (al quale si puo’ partecipare in quanto sostenitori di un partito o di un candidato ma anche per approfittare della folla per compiere reati o per incontrare pregiudicati). Non si tratta di un vero e proprio onere probatorio, perche’ motivazione aggiuntiva della offensivita’ della violazione della prescrizione: la valutazione e’ stata compiuta dal legislatore, che ha ritenuto necessarie quelle prescrizioni – ora limitate nel modo che si e’ visto – al fine di permettere quella sorveglianza che il tribunale, la cui decisione e’ soggetta ad impugnazione, ha ritenuto necessaria alla luce della pericolosita’ del soggetto; il giudice penale, piuttosto, potra’ ritenere giustificata la partecipazione alla pubblica riunione se dagli atti emergeranno le specifiche circostanze cui si e’ accennato: in questo modo potra’ operare la selezione delle condotte cui fanno riferimento le sentenze SU, Sinigaglia e Paterno’.
18. L’interpretazione che in questa sede si adotta riduce sensibilmente la portata della prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni, escludendo che il divieto riguardi anche le riunioni in luoghi aperti al pubblico, anche se ad esse puo’ partecipare un numero indeterminato di persone; esclude, quindi, le manifestazioni sportive in luoghi aperti al pubblico come stadi o palasport rispetto alle quali, peraltro, vige la autonoma normativa dettata dalla L. 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive) che contempla anche la misura di prevenzione del divieto di accesso alle manifestazioni sportive.
Cio’ non comporta necessariamente un indebolimento della misura di prevenzione della sorveglianza speciale.
In effetti, la ridotta estensione della prescrizione in oggetto non incide sulla possibilita’, per il giudice che applica la misura di prevenzione, di imporre “tutte le prescrizioni che ravvisi necessarie, avuto riguardo alle esigenze di difesa sociale” (Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 8, comma 5). La previsione appena richiamata deve essere valorizzata in quanto permette al giudice della prevenzione di dettare prescrizioni specifiche con una motivazione adeguata che le giustifichi alla luce della pericolosita’ del soggetto e dei conseguenti pericoli per la societa’, non utilizzando, quindi, formule generali e stereotipate (nel caso in esame il decreto applicativo della sorveglianza speciale aggiungeva alla prescrizione di non partecipare alle pubbliche riunioni le parole “o manifestazioni di qualsiasi genere”) che ripropongono inevitabilmente le tematiche gia’ trattate in conseguenza della loro genericita’.
Ovviamente – quando cio’ sara’ giustificato – la prescrizione aggiuntiva potrebbe riguardare anche la partecipazione a riunioni che non sono “pubbliche riunioni” nel significato ristretto che in questa sede e’ stato attribuito all’espressione.
Il ricorso alle prescrizioni facoltative di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 8, comma 5 ha il vantaggio di configurare la misura di prevenzione in maniera personalizzata sul soggetto, tenendo conto dei motivi che la giustificano; inoltre, permette un contraddittorio pieno gia’ in sede di applicazione della misura, con le impugnazioni previste, con l’ulteriore conseguenza che anche il giudice penale potra’ piu’ facilmente valutare l’offensivita’ di una violazione, essendo la prescrizione dettata in rapporto alla pericolosita’ del soggetto.
19. In definitiva, deve essere affermato il seguente principio di diritto: “La prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni, che deve essere in ogni caso dettata in sede di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 8, comma 4, si riferisce esclusivamente alle riunioni in luogo pubblico”.
20. La sentenza impugnata deve, quindi, essere annullata senza rinvio perche’ il fatto non sussiste limitatamente alla violazione della prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni e la relativa pena di mesi quattro di reclusione deve essere eliminata nei confronti di entrambi gli imputati: in effetti, il palasport dove si svolge un incontro sportivo deve ritenersi “luogo aperto al pubblico”.
Il criterio distintivo tra i luoghi pubblici e quelli aperti al pubblico e’ quello dell’accessibilita’, gia’ indicato dalle Sezioni Unite, Guardigli (Sez. U, n. 8 del 31/03/1951, Guardigli, Rv. 97110): e’ in luogo pubblico la riunione che si tenga in un luogo in cui ogni persona puo’ liberamente transitare e trattenersi senza che occorra in via normale il permesso della autorita’ (ad es., piazza, strada); e’ in luogo aperto al pubblico la riunione che si tenga in luogo chiuso (ad es., cinema, teatro), ove l’accesso, anche se subordinato ad apposito biglietto di ingresso, e’ consentito ad un numero indeterminato di persone; e’, invece, privata, la riunione che si tenga in luogo chiuso con la limitazione dell’accesso a persone gia’ nominativamente determinate.
Il medesimo criterio e’ stato adottato anche recentemente, per ritenere il luogo di commissione del reato “aperto al pubblico”, con riferimento ai delitti di tolleranza abituale della prostituzione (Sez. 3, n. 29586 del 17/02/2017, C., Rv. 270251), di oltraggio a pubblico ufficiale (Sez. 6, n. 595 del 21/11/2017 – dep. 2018, Piccioni, Rv. 271763) e di porto illegale di armi da fuoco (Sez. 5, n. 22890 del 10/04/2013, Ambrosio, Rv. 256949; Sez. 1, n. 16690 del 27/03/2008, Bellachioma, Rv. 240116).
21. Gli altri motivi di ricorso sono infondati e devono essere rigettati. Entrambi i ricorrenti censurano la conferma della condanna per la violazione della prescrizione di non associarsi abitualmente a persone che abbiano subito condanna o sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza, riproponendo argomenti gia’ valutati e respinti con motivazione adeguata dalla Corte territoriale.
In particolare, la prova delle precedenti frequentazioni con pregiudicati o sottoposti a misure era stata fornita da un’informativa riassuntiva del Commissariato competente, che richiamava i singoli controlli operati dalla polizia giudiziaria: si tratta di atto pienamente utilizzabile, essendo stato acquisito al fascicolo nell’ambito del giudizio abbreviato; la sentenza impugnata osserva che, in realta’, gli imputati non hanno mai contestato l’esattezza di quanto esposto in tale informativa.
L’osservazione del ricorrente (OMISSIS) secondo cui l’informativa, non specificando le modalita’ e le circostanze in cui gli incontri erano avvenuti, non sarebbe idonea ad affermare la responsabilita’ “al di la’ di ogni ragionevole dubbio” e’ inammissibile in quanto argomentazione di merito e, per di piu’ assolutamente generica.
La tesi della difesa di (OMISSIS), secondo cui, in mancanza di sentenze irrevocabili che attestino la realta’ dei precedenti incontri, non sarebbe stata provata l’abitualita’ delle frequentazioni vietate, e’ manifestamente infondata: in forza del principio generale stabilito dall’articolo 2 c.p.p., comma 1, il giudice penale puo’ valutare incidentalmente i precedenti episodi, anche se sugli stessi non e’ stata emessa sentenza irrevocabile; la prova degli incontri, come gia’ osservato, e’ stata fornita nel processo con la produzione dell’informativa del Commissariato di Andria e non e’ contestata dagli imputati; il numero degli incontri (sei) e la loro vicinanza cronologica rende del tutto logica la affermazione dei giudici di merito di una abitualita’ delle frequentazioni, integrante la condotta di “associarsi abitualmente” vietata dalla prescrizione (cfr., da ultimo, Sez. 1, n. 53403 del 10/10/2017 – dep. 24/11/2017, Iurlaro, Rv. 271902).
Il secondo motivo di ricorso della difesa di (OMISSIS) e’ meramente enunciato e non compiutamente argomentato, mentre la sentenza impugnata e’ adeguatamente motivata in punto di determinazione della pena.
22. Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio quanto alla condanna per la violazione della prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni per insussistenza del fatto, con eliminazione della relativa pena, mentre i ricorsi devono essere rigettati nel resto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al reato di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 75, limitatamente alla violazione della prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni perche’ il fatto non sussiste ed elimina la relativa pena di mesi quattro di reclusione.
Rigetta nel resto i ricorsi.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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