Revoca e l’invalidità delle donazioni

 

Revoca e l’invalidità delle donazioni

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1) Introduzione

art. 769  c.c.   definizione: la donazione è il contratto con il quale x spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa un diritto proprio, presente nel patrimonio o assumendo verso la stessa una obbligazione

In sintesi, si possono distinguere 4 tipi di donazioni

A) donazione reale traslativa – che ha per oggetto il trasferimento a titolo gratuito del diritto di proprietà ovvero di altro diritto reale di godimento

B) donazione reale costitutiva – costituzione senza corrispettivo di un diritto reale nuovo

C) donazione obbligatoria – che per oggetto la gratuita assunzione di un’obbligazione da parte del donante

D) donazione liberatoria – liberazione del donatario da un obbligo non adempiuto

 

Il rapporto tra negozio gratuito, liberalità e contratto di donazione viene così delineato[1]:

il negozio gratuito è – il genere –

la liberalità è la – specie –

il contratto di donazione è –  la principale liberalità –

L’animus donandi – l’intenzione di compiere la liberalità – non basta un’attribuzione patrimoniale fatta senza corrispettivo (caratteristica del negozio gratuito), ma occorre chequesta sia giustificata dalla coscienza di conferire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi costretti.

Difatti, con ultima pronuncia

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 27 agosto 2012 n. 14654

la S.C. è intervenuta stabilendo che per la revoca della donazione è sempre necessario provare l’animus liberale.

È, innegabile, comunque, anche se vi possono essere disposizione testamentarie o di legato che non determinano alcuna liberalità a favore dell’istiuito, che il carattere della liberalità accomuna disposizione testamentarie e donazioni, come è confermato dalla disciplina, contenuta nello stesso libro del codice, che riguarda:

1)   l’incapacità a ricevere (artt. 795 e 799 e 596 c.c.)

2)   i limiti di validità della sostituzione fedecommissaria (artt. 795 e 692 c.c.)

3)   la revocazione per sopravvenienza dei figli (artt. 803 e 687 c.c.)

4)   la sanatoria del negozio nullo (artt. 799 e 590 c.c.)

5)   la rilevanza del motivo illecito (artt. 788 e 626 c.c.)

 

 

1)Effetti reali
la donazione può essere contratto ad effetti reali trasferendosi con il semplice consenso il diritto di proprietà o altro diritto reale o di credito ovvero costituendosi un diritto reale di godimento su cosa altrui.

2)Effetti obbligatori

il contenuto di tale obbligo può essere certamente un dare.

 

art. 772 c.c.      donazione di prestazioni periodiche: la donazione che ha per oggetto prestazioni periodiche si estingue alla morte del donante, salvo che risulti dall’atto una diversa volontà.

 

La dottrina più antica[2] influenzata dalla tradizione giuridica francese e basandosi sul vecchio art. art. 1050 del codice abrogato, considerava l’irrevocabilità come una caratteristica propria della donazione.

Ma il nuovo legislatore ha contestato il principio, tuttora esistente nel codice francese, e ha voluto abbandonare i requisiti d’irrevocabilità e dell’attualità dello spoglio, considerandoli un relitto storico non più rispondente all’attuali esigenze pratiche e dogmatiche.

In realtà, dunque, può ancora parlarsi d’irrevocabilità  della donazione, ma solo nel senso generico comune a tutti i contratti e desumibile dall’art. 1372, co I, 2 A parte

art. 800 c.c.    cause di revocazione: la donazione può essere revocata per ingratitudine o  per sopravvenienza di figli.

Il FONDAMENTO –

Viene dalla dottrina[3] rinvenuto in una presupposizione legale, che si ha nei casi in cui la legge stessa, con una valutazione tipica (non suscettiva di prova contraria), considera il negozio subordinato ad una determinata situazione di fatto e, perciò, ne prevede l’inefficacia quando quella situazione viene meno.

Revocazione: non è un atto negoziale ma è un’azione giudiziale;

è una fattispecie di REVOCA di un contratto chiesta giudizialmente dal donante (o i suoi eredi) cui l’ordinamento riconosce il diritto potestativo di revoca attraverso una domanda giudiziale (di revocazione che mira ad ottenere una sentenza costitutiva del GIUDICE) che determina non la nullità della donazione, bensì le restituzioni di cui all’art. 807 cc. (che disciplina gli effetti della revocazione tra donante e donatario) e di cui all’art. 808 c.c. (che disciplina gli effetti della revocazione rispetto ai terzi): i terzi che hanno acquistato diritti dal donatario prima della trascrizione dalla domanda di revocazione non temono pregiudizi dalla Revocazione, essendo tutte le obbligazioni restitutorie o risarcitorie a carico del donatario.

 

2) Le fattispecie di scioglimento in ambito generale

Il mutuo consenso

ex art. 1372 c.c.   efficacia del contratto: il contratto ha forza di legge tra le parti.

Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge (1671, 2227).

 

A)  La teoria del contro negozio[4]

Questa opinione considera il mutuo dissenso come un negozio avente un contenuto uguale e contrario a quello che si scioglie, in quanto si afferma che gli effetti negoziali, una volta verificatisi, sono irreversibili. La loro eliminazione, pertanto, è consentita solamente attraverso un contro negozio. Si avrà lo stesso schema negoziale che si elimina, ma con ruoli inverti (l’alienante sarà l’acquirente e viceversa)

B)   La teoria del negozio risolutorio[5]

Il mutuo consenso è un negozio risolutorio diretto ad eliminare un precedente negozio.

Il mutuo consenso, in altre parole, non dà vita a tanti diversi contro – negozi, ciascuno con una propria causa (vendita, permuta, donazione, ecc.) e accomunati soltanto dalla finalità di porre nel nulla gli effetti prodotti da un precedente negozio, ma costituisce una figura autonoma ed unitaria nella quale si rintracciano, con caratteri tipici, i requisiti essenziali di ogni negozio.

Il recesso

è possibile solo se il relativo potere è stato attribuito in sede di contratto, con fissazione di un termine.

In ogni caso può essere esercitato solo finché il contratto non ha avuto un principio di esecuzione.

art. 1373 c.c. recesso unilaterale: se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione.

 

Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, tale facoltà può essere esercitata anche successivamente, ma il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione (1569, 1612 e seguenti, 1671, 2227).

In dottrina si sono delineate due concezioni del recesso:

A)   – quella per cui l’istituto può riferirsi soltanto ai rapporti di durata[6];

B)   – quella, che ampliando la nozione ritiene che esso possa riferirsi ad ogni rapporto giuridico poiché l’essenziale è la sua irretroattività[7].

Per un’autorevole dottrina[8] il recesso, in concreto, è possibile solo nei contratti di durata (ossia ad esecuzione continuata o periodica), perché solo per essi l’irretroattività (caratteristica tipica del recesso, che in ciò si differisce dalla revoca) ha una sua ragione d’essere, in quanto restano fermi gli effetti contrattuali per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione.

Il primo comma dell’art. 1373 c.c. sembra ammettere il recesso anche per i contratti non di durata (va le a dire ad esecuzione unica) e stabilisce che, in tali ipotesi, la facoltà di recesso può essere esercitata solo fino a quando il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione.

Ciò significa che il recesso non può essere, ad esempio, esercitato per un contratto di compravendita ad efficacia immediata (con il trasferimento già c’è stata l’esecuzione), mentre può esserlo per un contratto di compravendita con effetti reali differiti (si pensi alla vendita di cosa futura) qualora il prezzo non sia stato ancora pagato.

Ma a ben guardare, in questo caso, non avendo, il contratto, ancora prodotto effetti né potendoli più produrre, in sostanza si è posto nel nulla il contratto stesso; quindi, più che di recesso, bisognerebbe parlare di revoca.

La revoca

A differenza del mutuo consenso o del recesso unilaterale, non è prevista nel nostro ordinamento una figura generale di revoca; spetta, pertanto, all’interprete  di riconoscerla sulla base dei vari casi in cui il legislatore adopera questa espressione.

Anche se in realtà tale affermazione non è del tutto pacifica, poiché è discusso se, nel nostro ordinamento positivo, possa esserci un istituto di revoca fuori dai casi espressamente previsti, vale a dire se in ogni contratto possa inserirsi un atto il quale abbia la funzione di conferire ad uno dei contraenti la possibilità di eliminare, con efficacia retroattiva, il contratto già concluso.

 

Tesi negativa

Le causa di scioglimento del contratto sono tipiche (art. 1372 e 1373 c.c.) ed il legislatore menziona, come figure generali, soltanto, il mutuo consenso ed il recesso.

 

Tesi positiva[9]

Ma, in realtà la revoca è prevista dal primo comma dell’art. 1373 c.c., anche se essa, per l’equivoca terminologia usata dal legislatore, viene denominata recesso.Questa norma, infatti, consente l’attribuzione ad una sola delle parti della facoltà di recedere dal contratto, ma limita nel tempo l’esercizio di tale facoltà e, precisamente, fino a quando il contratto stesso non abbia avuto un principio di esecuzione.

 

Non avendo, dunque, il contratto ancora prodotto effetti, né potendo più produrli, in sostanza si è eliminato il contratto stesso; si è raggiunto l’effetto retroattivo che è proprio della revoca, non del recesso.Alcuni autori[10] la definiscono come l’atto come cui si pone nel nulla un negozio già sorto ad opera dello stesso soggetto che questo aveva posto in essere.

Mentre il recesso pone fine direttamente al rapporto obbligatorio, lasciando in vita il negozio che lo originò, la revoca, alla pari del mutuo dissenso, agisce, eliminandolo, sul precedente negozio e, solo come conseguenza mediata, elimina anche il rapporto.

La revoca opera con efficacia retroattiva.

Le ipotesi legali – previste nel codice

1)   nel contratto a favore del terzo art. 1411 c.c.;

2)   nella commissione art. 1734 c.c.;

3)   nella spedizione art.1738 c.c.;

4)   assicurazione sulla vita art. 1921 c.c.;

5)   mandato di credito art. 1958 c.c.;

6)   in tema di vendita di immobile a misura e a corpo artt. 1537 – 1539 c.c.

Un’ ipotesi convenzionale si ha nella compravendita con patto di riscatto ex art. 1500 c.c.

3) Ingratitudine

 

Nelle ipotesi tipicizzate dal legislatore ai nn. 1-2-3 art. 463 cc. ed inoltre nell’ingiuria grave verso il donante.

 

art. 801 c.c.     revocazione per ingratitudine: la domanda di revocazione per ingratitudine non può essere proposta (c.c.2652) che quando il donatario ha commesso uno dei fatti previsti dai nn. 1, 2 e 3 dell’art. 463 (casi d’indegnità), ovvero si è reso colpevole d’ingiuria grave verso il donante o ha dolosamente arrecato grave pregiudizio al patrimonio di lui o gli ha rifiutato indebitamente gli alimenti dovuti ai sensi degli artt. 433, 435 e 436 (disp. di att. al c.c. 141).

I casi d’indegnità[11]

E’ escluso dalla successione come indegno :

1)   chi ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere la persona della cui successione si tratta, o il coniuge, o un discendente, o un ascendente della medesima, purché non ricorra alcuna delle cause che escludono la punibilità a norma della legge penale;

2)   chi ha commesso, in danno di una di tali persone, un fatto al quale la legge [penale] dichiara applicabili le disposizioni sull’omicidio[12];

3)   chi ha denunziato una di tali persone per reato punibile 1 con l’ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni, se la denunzia è stata dichiarata calunniosa in giudizio penale; ovvero ha testimoniato contro le persone medesime imputate dei predetti reati, se la testimonianza è stata dichiarata, nei confronti di lui, falsa in giudizio penale;

3 bis) chi, essendo decaduto dalla potestà genitoriale nei confronti della persona della cui successione si tratta a norma dell’articolo 330, non e’ stato reintegrato nella potestà alla data di apertura della successione della medesima[13].

4) chi ha indotto con dolo o violenza la persona, della cui successione si tratta, a fare, revocare o mutare il testamento, o ne l’ha impedita;

5) chi ha soppresso, celato o alterato il testamento dal quale la successione sarebbe stata regolata;

6) chi ha formato un testamento falso o ne ha fatto scientemente uso.

L’Ingiuria grave

Secondo la Corte di Legittimità[14] l’ingiuria grave richiesta, ex art. 801 c.c., quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale la sua natura di offesa all’onore e al decoro della persona, deve essere caratterizzata dalla manifestazione, nel comportamento del donatario, di un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante contrastanti con il senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbero invece, improntarne l’atteggiamento; tale presupposto non può essere desunto da singoli accadimenti che, pur risultando di per sé censurabili, per il contesto in cui si sono verificati e per una situazione oggettiva di aspri contrasti esistenti tra le parti, non possono essere ricondotti ad espressione di quella profonda e radicata avversione verso il donante che costituisce il fondamento della revocazione della donazione per ingratitudine.

Per la Giurisprudenza di merito[15], in particolare il Tribunale di Milano[16], allineata ad i principi dettati dalla S.C., la revocazione della donazione per ingratitudine attribuisce al donante, ed ai suoi eredi, nelle ipotesi tassativamente individuate dalla legge, il diritto potestativo di ottenere giudizialmente la cessazione degli effetti dell’atto di liberalità a tutela di un interesse di natura non patrimoniale. Nell’ipotesi di revocazione per ingiuria grave, tale può qualificarsi qualsiasi comportamento del donatario che leda, sensibilmente, il patrimonio morale ed affettivo del donante esprimendo, in particolare avversione ed ingratitudine nei confronti del donante, sentimenti questi che, a fronte di un atto di liberalità, ripugnano la coscienza comune. Il comportamento illegittimo, quindi, al di là ed indipendentemente da eventuali connotazioni di rilevanza penale, deve connotarsi come offensivo nel contesto sociale nel quale è stato perpetrato e nella situazione contingente in cui si è consumato

Casistica

Proprio partendo dall’ultima sentenza enunciata del Tribunale Meneghino, ad esempio, costituisce, pertanto, presupposto sufficiente ai fini del riconoscimento del diritto potestativo alla revocazione per ingiuria grave la condotta, rinvenibile nel caso specifico, del donatario che, dopo una serie di comportamenti contrari al sentimento di gratitudine che dovrebbe pervaderlo a cagione del beneficio ricevuto, privi il donante, definitivamente, della possibilità di accesso all’immobile donato (di cui si era, peraltro, conservato l’usufrutto) mediante apposizione di catene al cancello di ingresso.

Invece secondo il Tribunale Brianzolo[17], non costituisce inadempimento agli obblighi alimentari, idoneo a legittimare una domanda di revocazione della donazione per ingratitudine, il rifiuto del donatario di prestare gli alimenti al donante ai sensi dell’art. 437 c.c., poiché il testo dell’art. 801 c.c., norma che introduce l’istituto della revoca per ingratitudine, fa riferimento unicamente agli alimenti dovuti ai sensi degli artt. 433, 435 e 436 c.c.

Ancora secondo la Giurisprudenza di merito[18] non può essere revocata la donazione, con cui un padre abbia fornito alla propria figlia il denaro per l’acquisto di un appartamento, nel caso in cui la figlia faccia pervenire al padre una lettera contenente una diffida ad allontanarsi dall’abitazione. In tale ipotesi, non può ritenersi esistente il presupposto dell’ingiuria grave richiesto dall’art. 801 codice civile per l’accoglimento della domanda di revoca della donazione.

Per una sentenza della S.C.[19], già citata, nell’enunciare il riportato principio ripreso a più parti, ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano escluso la sussistenza degli estremi dell’ingratitudine, ritenendo non provate la segregazione dell’attrice da parte dei donatari e una violenza fisica da lei subita e avevano ricondotto ad una incompatibilità di carattere tra le parti, evidenziatosi con la convivenza, lo stato di tensione tra esse insorto.

Sempre per la medesima Corte[20] con altra sentenza con la quale è stata confermata la decisione di merito che aveva escluso la sussistenza degli estremi dell’ingratitudine, nel comportamento del donatario che aveva schiaffeggiato per due volte la madre donante, essendo l’episodio maturato a seguito di provocazione in un contesto di rapporti familiari deteriorati per contrasti riconducibili alle scelte di vita del donatario, disapprovate dai genitori donanti.

Con altra pronuncia precedente la Corte di Piazza Cavour[21], ha anche affermato che non costituiscono ingiuria grave verso il donante, ai fini della revoca della donazione per ingratitudine ai sensi dell’art. 801 c.c., né il rifiuto di acconsentire alla richiesta del donante di vendita dell’immobile oggetto di donazione (tale richiesta equivalendo ad una pretesa di restituzione del bene, legittimamente rifiutata indipendentemente dai motivi della stessa), né quei comportamenti di reazione legittima (perché attuata attraverso gli strumenti offerti dall’ordinamento) a tale richiesta e ad altri atti in vario modo finalizzati a sostenerla.

Parimenti[22] la presentazione da parte del donatario di un esposto all’autorità di pubblica sicurezza contro il donante non costituisce offesa grave ai sensi dell’articolo 801 del c.c., se l’iniziativa e’ volta a far cessare un comportamento illegittimo del donante nei confronti del donatario e quindi, in definitiva, alla tutela dei diritti di quest’ultimo. Se, invece, la presentazione dell’esposto abbia dato luogo agli effetti previsti dall’articolo 463 del c.c., costituisce un caso specifico di revocazione per indegnità espressamente previsto dall’articolo 801 e non può integrare, quindi, gli estremi dell’ingiuria grave.

Particolare risulta questa massima della S.C.[23] secondo la quale ai fini della configurabilità dell’ingiuria grave idonea a giustificare la revoca della donazione per ingratitudine del donatario, ai sensi dell’articolo 801 del c.c., occorre che il comportamento del donatario sia diretto consapevolmente a offendere il patrimonio morale del donante, sì da rivelare un sentimento di avversione verso il donante, espressione dell’ingratitudine che ripugna alla coscienza comune. Esattamente, pertanto, il giudice del merito rigetta la domanda di revoca della donazione per ingiuria grave nell’ipotesi in cui il donatario abbia denunciato il donante di lesioni volontarie e il donatario stesso sia stato assolto, ove la pronuncia penale abbia messo in evidenza una serie di non trascurabili indizi di colpevolezza, a carico dell’imputato che, pur se non idonei ad assurgere al rango di prova per difetto dell’univocità, concordanza e gravità, determinavano una situazione di incertezza in ordine al carattere gratuitamente offensivo dell’accusa prospettata. Né, ancora, la domanda di revoca della donazione può accogliersi qualora il donatario abbia prospettato in un giudizio civile che il donante ha utilizzato una procura falsa per vendere un immobile di proprietà di esso donatario, ancorché in esito al procedimento di querela di falso sia stata acclarata l’autenticità della procura stessa, trattandosi di un mezzo processuale che, sebbene scorretto e moralmente censurabile, è stato posto in essere per ottenere la vittoria in causa e non per offendere il patrimonio morale del convenuto donante.

Infine, per quanto riguarda i casi di ingiuria ma non tali da determinare la revoca, in una massima[24] non molto recente si evince che la revoca della donazione per ingratitudine sotto il profilo dell’ingiuria grave richiede un’azione consapevole e volontaria del donatario direttamente volta contro il patrimonio morale del donante, risolvendosi in una manifestazione di perversa animosità verso il donante idonea a giustificare il pentimento rispetto al compiuto atto di liberalità. Per contro i comportamenti del donatario (nella specie, interruzione degli studi, uso di stupefacenti e commissione di reati) che, pur potendo comportare dolorose reazioni nell`animo del donante, non sono tuttavia volti direttamente a colpirlo, non giustificano la revoca della donazione elargita in epoca anteriore.

Mentre a mente di una sentenza del Tribunale di Lodi[25] la violazione del dovere coniugale di fedeltà, attuata senza alcun ritegno e fatta oggetto di pettegolezzo divertito e di scherno per il marito, deriso e compatito per il tradimento subito, integra senz’altro l’ingiuria grave e continuata, estremamente lesiva del patrimonio morale del donante e giustifica la revocazione delle donazioni ricevute dal coniuge colpevole.

Infatti[26] la donazione, anche indiretta, tra i coniugi non si sottrae (anche nel vigore del regime di parità introdotto con la riforma del diritto di famiglia) alla revocazione per ingratitudine ex art. 801 c.c. Peraltro, ai detti effetti, l’ingratitudine del coniuge donatario, in ipotesi di separazione, non può ravvisare nel solo fatto di aver posto fine alla convivenza e in quello di aver intrecciato un nuovo legame, ma va individuata nel modo ingiurioso con cui tali fatti siano stati compiuti.

Ancora secondo altra pronuncia di legittimità[27] la condotta della moglie che aveva intrattenuto per lungo tempo una relazione extraconiugale con modalità oggettivamente irriguardose nei confronti del coniuge, sfociata nell’abbandono della famiglia nonostante la presenza di figli, ha determinato gli estremi dell’ingiuria grave.

Con ultima pronuncia, rimanendo in tema,

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 22936 del 4 novembre 2011

la Corte di Piazza Caour , ha condiviso il giudizio della Corte Capitolina, che aveva identificato l’ingratitudine di una donna – alla base della revoca della donazione – proprio nel fatto che ella aveva portato avanti negli anni una relazione adulterina, dimostrata dalle deposizioni testimoniali, anche dunque dopo essersi sposata ed aver ricevuto abbondanti regali, fino ad abbandonare il marito in un momento in cui egli risultava bisognoso di assistenza.

Oppure in altra sentenza[28] è stato ravvisato, nel comportamento del donatario, gli estremi dell’ingratitudine per avere questi più volte gravemente ingiuriato la donante rivolgendole l’appellativo di “puttana”, “delinquente”, disgraziata”, “disonesta”, e per averla minacciato di morte e di prenderla a calci, anche come reazione al rifiuto della predetta di rendere disponibile l’oggetto della donazione alla scadenza prevista.

Per quanto riguarda la prova, sempre secondo la Corte di Piazza Cavour[29], può essere fornita con ogni mezzo e, quindi, anche mediante presunzioni ed il giudizio espresso al riguardo dal giudice del merito, involgendo un apprezzamento di fatto, si sottrae al sindacato di legittimità, se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e da errori di diritto.

Termine e legittimazione ad agire

art. 802 c.c.     termini e legittimazione ad agire: la domanda di revocazione per causa d’ingr.dine deve essere proposta dal donante o dai suoi eredi, contro il don.rio o i suoi eredi, entro l’anno dal giorno in cui il don.te è venuto a cono.nza del fatto che consente la rev.one (2964 e s.s.).

Se il donatario si è reso responsabile di omicidio volontario in persona del donante o gli ha dolosamente impedito di revocare la donazione, il termine per proporre l’azione è di un anno (c.c.2964) dal giorno in cui gli eredi hanno avuto notizia della causa di revocazione (disp. di att. al c.c. 141).

Termine

È stato affermato in dottrina e in giurisprudenza[30] che il termine di 1 anno è un termine di decadenza e non di prescrizione e, di conseguenza, non saranno applicabili le cause di sospensione e d’interruzione (ex art. 2964) ma solo le cause che impediscono la decadenza – art. 2966

art. 2966 c.c.    cause che impediscono la decadenza: la decadenza non è impedita se non dal compimento dell’atto previsto dalla legge o dal contratto. Tuttavia, se si tratta di un termine stabilito dal contratto o da una norma di legge relativa a diritti disponibili, la decadenza può essere anche impedita dal riconoscimento del diritto proveniente dalla persona contro la quale si deve far valere il diritto soggetto a decadenza.

 

Difatti, per la Corte di Piazza Cavour[31], in tema di revocazione della donazione per ingratitudine, il termine di un anno previsto dall’art. 802 c.c. per la proposizione della domanda – decorrente dal momento in cui il donante è venuto a conoscenza del fatto che consente la revocazione – è fissato a pena di decadenza e presuppone che la domanda stessa, per dispiegare i propri effetti, sia completa in tutti i suoi elementi costitutivi e sia portata ritualmente a conoscenza del destinatario nelle forme di legge attraverso una valida notifica. Ne consegue che la perenzione del termine di decadenza non è impedito né dalla notifica nulla di un atto di citazione (perchè effettuata dall’altro coniuge presso il domicilio coniugale da cui la convenuta si era allontanata per andare a vivere altrove) né dalla notifica di un atto di citazione nullo (perchè contenente un termine a comparire inferiore a quello di cui all’art. 163 bis cod. proc. civ.) non essendo sufficiente che gli atti siano venuti di fatto a conoscenza del destinatario.

Secondo una pronuncia di merito[32], alla luce del principio anzidetto, rilevato che nella specie gli attori, genitori del convenuto, al quale avevano donato la nuda proprietà di un immobile dal medesimo impegnato, avevano avuto concreta percezione dei presupposti di un comportamento gravità tale da far ritenere possibile una domanda di revoca già nell’anno 2004, deve concludersi per una declaratoria di improponibilità della domanda di revocazione proposta solo nell’anno 2007.

In base allo stesso principio, secondo il Tribunale di Bassano del Grappa[33], in caso di separazione tra coniugi l’adulterio costituisce senz’altro causa di ingratitudine pertanto, qualora dal tenore della stessa richiesta di separazione sia percepibile che, già da quel momento, il soggetto è pienamente consapevole del comportamento illegittimo del coniuge, si deve ritenere che i termini per l’esercizio della revocazione comincino a decorrere da allora.

Per quanto riguarda la consapevolezza, secondo la Corte nomofilattica, ai fini della decorrenza del termine per proporre domanda di revocazione della donazione per causa d’ingratitudine, allorquando il donatario si è reso colpevole di ingiuria grave, come nel caso di adulterio, non è sufficiente che del fatto ingiurioso il donante abbia vaghe e generiche notizie, essendo invece rilevante la completa conoscenza di fatti e circostanze tali da determinare in lui la certezza di avere subito ingiuria grave da parte del donatario.

Legittimazione ad agire

Per la Corte di Legittimità[34], con una pronuncia datata, l’azione di revocazione della donazione (per ingratitudine, ai sensi dell’art 801 c.c.) e quella di annullamento della medesima (ai sensi dell’art 775 c.c. o per vizio di volontà del donante) spettano unicamente al donante e, dopo la sua morte, ai suoi eredi. Pertanto, non è legittimato ad esperirle – difettando anche d’interesse ad agire, requisito che deve sussistere almeno al momento della pronuncia – il soggetto (nella specie, figlio del donante) il quale assuma che l’atto di liberalità lede suoi futuri diritti successori.

Deve, invece, escludersi che l’azione possa essere esercitata in via surrogatoria dai creditori del donante, essendo il potere di revoca attribuito a tutela d’interessi di ordine preminentemente morali.

Quanto alla legittimazione passiva, è discusso se l’azione possa essere proposta anche contro le persone giuridiche. Sembra preferibile[35] la tesi negativa[36] perché i comportamenti illeciti, che son alla base della revoca, non possono essere ascritti all’ente, ma, analogamente alla responsabilità penale[37], riguardano solo le persone fisiche che li hanno commess

 

4) Sopravvenienza di figli

art. 803 c.c.     revocazione per sopravvenienza di figli: le donazioni, fatte da chi non aveva o ignorava di avere figli o discendenti legittimi al tempo della donazione, possono essere revocate per la sopravvenienza o l’esistenza di un figlio o discendente legittimo del donante. Possono inoltre essere revocate per il riconoscimento di un figlio naturale, fatto entro due anni dalla donazione[38], salvo che si provi che al tempo della donazione il donante aveva notizia dell’esistenza del figlio.

La revocazione può essere domandata anche se il figlio donante era già concepito al tempo della donazione.

 

La sua giustificazione si trova non nella presunta volontà del testatore, ma nella rilevanza dell’affetto paterno e, soprattutto, nella tutela dell’interesse superiore della famiglia.

Secondo la S.C. la revocazione della donazione, regolata dall’art. 803 c.c., ha il suo fondamento nell’esigenza di consentire al donante una rivalutazione dell’opportunità della donazione di fronte al fatto sopravvenuto della nascita o conoscenza dell’esistenza di figli o discendenti legittimi e ciò di eventi che essendo successivi alla perfezione ed efficacia del negozio di donazione non possono sullo stesso influire se non nel momento in cui si siano verificati; con la conseguenza che, stante il divieto di retroattività della legge posto nell’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile come principio generale del nostro ordinamento giuridico, a regolare il rapporto sono le norme in quel tempo vigenti, mancando nella materia disposizioni transitorie come quella dell’art. 141 disp. att. cod. civ. per la revocazione per ingratitudine.

Per l’equiparzione tra i figli legittimi e naturali, operata dall’art. 30, 3 co della Costituzione, che impone al legislatore di assicurare ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima, è preferibile la tesi di chi[39] afferma ugualmente la revocazione della donazione nel caso di sopravvenienza di figli naturali (contra[40] altri autori che si basano sulla letteralità della norma).

Più complessa è, invece, la questione relativa ai figli adottivi –

Bisogna distinguere

1)   l’adozione legittimante dei minori d’età – la rilevanza della revocazione negli stessi termini in cui è prevista per i figli legittimi si basa sull’art. 27, 1 co della legge sull’adozione (L. 4 – 5 1983, n. 184) dove è detto che per effetto della donazione l’adottato acquista lo stato di figlio legittimo degli adottanti.

Anche se in realtà per la giurisprudenza di merito la domanda volta ad ottenere la revocazione della donazione effettuata, per sopravvenienza di figli adottivi, non può essere accolta in virtù del costante orientamento della giurisprudenza secondo il quale la posizione degli adottati non può essere parificata, a quella dei figli legittimi in quanto si finirebbe per consentire al donante di influire con un suo comportamento, sulle sorti del negozio della donazione per effetto della sopravvenienza di figli adottivi successivamente al perfezionamento dell’istituto.

2)   dall’adozione delle persone maggiorenni – nulla prevedendo l’art. 803, non trova applicazione l’istituto della revocazione.

In generale per ultima Giurisprudenza di merito[41] la revoca della donazione (nella specie in considerazione realizzata in favore del coniuge) per sopravvenienza dei figli non può essere effettuata quando il donante, al momento in cui esegua l’atto di disposizione del proprio patrimonio, abbia già un discendente anche se costui, in data successiva alla donazione, muoia e, dopo tale evento, sopraggiungano altri discendenti. L’applicabilità dell’art. 803 c.c. postula, infatti, la sussistenza di due presupposti:

1)   l’uno, a carattere negativo, dato dal fatto che il donante non avesse o ignorasse di avere figli o discendenti legittimi al momento della donazione;

2)   l’altro, di contenuto positivo, rappresentato dalla sopravvenienza o dall’apprendere dell’esistenza di un figlio o un discendente legittimo.

Da tali presupposti si deduce il fondamento della disposizione contenuta nell’art. 803 c.c. che risiede, cioè, nell’esigenza di salvaguardare la famiglia del donante anche alla luce del presumibile diverso atteggiamento che sarebbe stato tenuto dal genitore stesso se consapevole della presenza di discendenti; in sostanza il legislatore presume che se il donante avesse saputo che sarebbero sopraggiunti dei figli non avrebbe deciso di compiere il negozio di cui trattasi, dandogli, così, la facoltà di chiedere la revoca della donazione; ne deriva, quindi, che se costui aveva anche solo un figlio al momento della donazione deve presumersi, al contrario, che abbia volontariamente deciso di donare i propri beni a persone diverse dai figli, restando di conseguenza irrilevante il dato della eventuale, successiva morte di costoro e del sopraggiungere di nuovi discendenti, poiché ciò che conta ai fini dell’applicabilità dell’istituto in parola è unicamente la considerazione che il donante fa al momento della donazione rispetto alla propria discendenza.

 

Termine e legittimazione ad agire

 

art. 804 c.c.    termine per l’azione: l’azione di revocazione per sopravvenienza di figli deve essere proposta entro cinque anni (c.c.2964 e seguenti) dal giorno della nascita dell’ultimo figlio o discendente legittimo ovvero della notizia dell’esistenza del figlio o discendente ovvero dell’avvenuto riconoscimento del figlio naturale.

Il donante non può proporre o proseguire l’azione dopo la morte del figlio o del discendente.

 

5) Effetti

 

art. 807 c.c.     effetti della revocazione:  revocata la donazione per ingratitudine o sopravvenienza di figli, il donatario deve restituire i beni in natura, se essi esistono ancora, e i frutti relativi, a partire dal giorno della domanda (c.c.1148; Cod. Proc. Civ. 163).

Se il donatario ha alienato i beni, deve restituirne il valore, avuto riguardo al tempo della domanda, e i frutti relativi, a partire dal giorno della domanda stessa.

art. 808 c.c.     effetti nei riguardi dei terzi: la revocazione per ingratitudine o per sopravvenienza di figli non pregiudica i terzi che hanno acquistato diritti anteriormente alla domanda, salvi gli effetti della trascrizione di questa (c.c.2652, n. 1).

Il donatario, che prima della trascrizione della domanda di revocazione ha costituito sui beni donati diritti reali (c.c.959, 981, 1021 e seguenti) che ne diminuiscono il valore, deve indennizzare il donante della diminuzione di valore sofferta dai beni stessi.

In caso d’immobili, la trascrizione della domanda giudiziale deve precedere quella relativa all’acquisto

 

6) Donazioni irrevocabili

 

art. 805 c.c.      donazioni irrevocabili: non possono revocarsi per causa d’ingratitudine, ne per sopravvenienza di figli,  A)  le donazioni rimuneratorie[42]  e B) quelle fatte in riguardo di un determinato matrimonio (c.c. 785).

art 785 c.c.     donazione in riguardo di matrimonio:la donazione fatta in riguardo di un determinato futuro matrimonio , sia dagli sposi tra loro, sia da altri a favore di uno o di entrambi gli sposi o dei figli nascituri da questi, si perfeziona senza bisogno che sia accettata, ma non produce effetto finché non segua il matrimonio.

L’annullamento del matrimonio importa la nullità della donazione. Restano tuttavia salvi i diritti acquistati dai terzi di buona fede tra il giorno del matrimonio e il passaggio in giudicato della sentenza che dichiara la nullità del matrimonio. Il coniuge di buona fede non è tenuto a restituire i frutti percepiti anteriormente alla domanda di annullamento del matrimonio.

La donazione in favore di figli nascituri rimane efficace per i figli rispetto ai quali si verificano gli effetti del matrimonio putativo .

 

C)  le liberalità d’uso;  

D) le liberalità non soggette a collazione

 

art. 742 c.c.   spese non soggette a collazione: non sono soggette a collazione le spese di mantenimento e di educazione e quelle sostenute per malattia, ne quelle ordinarie fatte per abbigliamento o per nozze.

Le spese per il corredo nuziale e quelle per l’istruzione artistica o professionale sono soggette a collazione solo per quanto eccedono notevolmente la misura ordinaria, tenuto conto delle condizioni economiche del defunto (809).

Non sono soggette a collazione le liberalità previste dal secondo comma dell’art. 770.

Le ragioni dell’esclusione, secondo alcuni autori[43], devono ricercarsi nella prevalenza dei motivi, che hanno spinto il donante alla donazione, sui motivi posti a base della normativa sulla revocazione.

 

7) Rinunzia all’azione

 

art. 806 c.c.    inammissibilità della rinunzia preventiva: non è valida la rinunzia preventiva alla revocazione della donazione per ingratitudine o per sopravvenienza di figli.

B) L’INVALIDITA’

 

1) Introduzione

Ricorre l’invalidità qualora gli elementi di un negozio giuridico non corrispondano alla fattispecie richiesta dall’ordinamento, il quale perciò non concede la sua tutela, negando la produzione degli effetti (NULLITÀ) o consentendo fino a quando non venga proposta o accolta la domanda del soggetto legittimato (ANNULLABILITÀ).

Sono applicabili le norme sul’invalidità dei contratti nella maggior parte dei casi –

1     – cause di nullità – 1418 c.c.

2     – nullità parziale – 1419 c.c.

3     – esercizio dell’azione di nullità 1421 – 1422 c.c.

4     – vizi del consenso – 1427 – 1440 c.c.

5     – esercizio dell’azione di annullamento – 1441 – 1443 c.c.

6     – convalida – 1444 c.c.

7     – effetti dell’annullamento – 1445 c.c.

 

INESISTENZA

La dottrina prevalente[44] ammette la figura perché il negozio, pur esistendo in fatto, è affetto da un vizio più grave e radicale di quello relativo alla nullità in quanto impedisce la stessa possibilità di identificare il contratto come tale.

Il negozio inesistente non implica alcun fenomeno di qualificazione giuridica, a differenza della fattispecie nulla che è giuridicamente qualificata, seppur negativamente, per le conseguenze che produce in termini di restituzioni e risarcimento del danno.

La rilevanza giuridica della figura si ha soprattutto in tema di sanatoria del negozio (artt. 599, 799), di responsabilità precontrattuale e di matrimonio.

La rilevanza giuridica della figura, in tale ambito, si ha soprattutto in tema di sanatoria del negozio (artt. 599, 799): è sanabile il negozio nullo ma non quello inesistente.

 

Un tipico esempio di questa figura è dato dal testamento orale, nel quale, manca quella realtà minima, al di sotto della quale non è possibile identificare una disposizione testamentaria.

 

Lo stesso discorso non può farsi per la donazione, nella quali anzi è talvolta consentita la forma orale, come nel caso della donazione di modico valore, valida anche se manca l’atto pubblico, purché vi sia stata la traditio.

 

IMPUGNABILITA’

La disciplina dell’impugnabilità della donazione diverge da quella generale sui contratti, in quanto sono ovviamente incompatibili con la natura della donazione degli istituti della rescissione per lesione (art. 1448) e della risoluzione per inadempimento (art. 1453  ).

È, invece, prevista una particolare forma d’impugnabilità:

l’azione di riduzione  delle donazioni, il cui valore eccede la quota della quale il defunto poteva disporne.

 

2) Disciplina specifica sull’invalidità delle donazioni

A) Invalidità relativa ai soggetti –

1) – art. 775 c.c.  – il legislatore, dunque, non subordina l’azione di annullamento agli stessi requisiti per i contratti previsti dall’art. 428; ciò perché il pregiudizio dell’atto per il donante è di regola in re ipsa e non occorre proteggere la buona fede del donatario, il quale con l’annullamento della donazione si vede solo privato di un vantaggio patrimoniale.

2)  In linea astratta potrebbe anche essere annullata la donazione per incapacità d’intendere e di volere del donatario. In questo caso troverà applicazione il 2 co dell’art. 428, ma sarà ben difficile che ricorra in concreto la mala fede dell’altro contraente, ossia del donatario.

 

art. 428 c.c.    atti compiuti da persona incapace d’intendere o di voleregli atti compiuti da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace d’intendere o di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti, possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio all’autore (1425 e seguenti).

L’annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace d’intendere o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la malafede dell’altro contraente (1425).

L’azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui l’atto o il contratto è stato compiuto (2953).

 

3) Nullità delle donazioni fatte dai rappresentanti di persone incapaci – art. 777 c.c. –

4) Nullità delle donazioni fatte dai rappresentanti di persone inabilitate – art. 776 c.c.  –

5) La nullità del mandato a donare  art. 778 c.c. –

6) Inoltre, l’art. 28 n. 3 della L. 16 febbraio 1913 n. 89, stabilisce la nullità per le donazioni fatte al notaio rogante (a sua moglie, parenti e affini), nonché ai testimoni e agli interpreti (artt. 47, 48, 50, 58) che abbiano presentato all’atto di donazione –

7) L’annullamento del matrimonio importa la nullità della donazione – art. 785 c.c. –

 

B) Invalidità relativa all’oggetto –

A)   rispetto alla disciplina dei contratti (art. 1348 e 1472), è nulla la donazione di beni futuri, salvo che si tratti di frutti non ancora separati  –

B)   il legislatore non vieta i negozi sui beni altrui, anzi espressamente ne disciplina la figura principale (vendita di cosa altrui – art. 1478). La donazione di beni altrui secondo una parte della dottrina si considera nulla  –

 

C) Invalidità per motivo erroneo

non è dunque applicabile l’ipotesi di errore sul motivo della normativa dei contratti in generale (art. 1428 e ss.), secondo la quale è annullabile il contratto solo se l’errore era essenziale e riconoscibile.

 

D)  Invalidità per motivo illecito –

rende nulla la donazione, purchè risulti dall’atto e sia stato l’unico a determinare il donante (a differenza di quanto disposto in tema di contratti in generale, ove il motivo illecito dà luogo a nullità non solo quando è determinante ed esclusivo ma anche comune alle parti: art. 1345).

 


NOTE

[1] Torrente – Cicu e Messineo – Successioni e Donazioni, Capozzi

[2] Messineo, Capozzi, Successioni e Donazioni, Tomo II

[3] Santoro – Passarelli

[4] Dejana – Mirabelli – Rubino – Biondi

[5] Betti – Bianca – Santoro Passarelli – Luminoso, Capozzi

[6] Dejana

[7] Scognamiglio – Santoro Passarelli – Rubino – Bianca

[8] Capozzi, Il contratto in generale

[9] Per tutti Capozzi

[10] Su tutti Mirabelli

[11] Per una maggiore disamina dell’istituto aprire il seguente collegamento L’indegnità a succedere

[12]  La parola tra parentesi quadra contenuta nel presente numero è stata soppressa dall’ art. 1, L. 08.07.2005, n. 137, con decorrenza dal 03.08.2005.

[13] Il presente numero è stato aggiunto dall’ art. 1, L. 08.07.2005, n. 137 con decorrenza dal 03.08.2005.

[14] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 17188 del 24 giugno 2008. Nella specie, la S.C., nell’enunciare il riportato principio, ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano escluso la sussistenza degli estremi dell’ingratitudine, ritenendo non provate la segregazione dell’attrice da parte dei donatari e una violenza fisica da lei subita e avevano ricondotto ad una incompatibilità di carattere tra le parti, evidenziatosi con la convivenza, lo stato di tensione tra esse insorto. Conformi Corte di Cassazione, Sez. 2, sentenza 5 aprile 2005, n. 7033; Corte di Cassazione, Sez. 2, sentenza 28 maggio 2008, n. 14093; Corte di Cassazione Sezione II civile Sentenza 31.03.2011, n. 7487. Si legge in quest’ultima sentenza che di questo principio ha fatto corretta applicazione la Corte del merito, quando, con logico e motivato apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto, ha escluso che ricorrano gli estremi di detta figura di ingratitudine nel comportamento della figlia donataria, la quale, di fronte alla sopravvenuta intollerabilità della convivenza tra i suoi genitori e nella pendenza del giudizio di separazione personale con addebito instaurato dalla madre, inviti il padre, co una lettera formale, a lasciare l’immobile di sua proprietà, acquistato con il danaro ricevuto dalla liberalità paterna e materna, destinato a casa familiare. Di questo principio ha fatto corretta applicazione la Corte del merito, quando, con logico e motivato apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto, ha escluso che ricorrano gli estremi di detta figura di ingratitudine nel comportamento della figlia donataria, la quale, di fronte alla sopravvenuta intollerabilità della convivenza tra i suoi genitori e nella pendenza del giudizio di separazione personale con addebito instaurato dalla madre, inviti il padre, con una lettera formale, a lasciare l’immobile di sua proprietà, acquistato con il danaro ricevuto dalla liberalità paterna e materna, destinato a casa familiare.

[15] Tribunale di Bassano Del Grappa civile, sentenza 27 febbraio 2010, n. 139. Ai sensi dell’art. 802 c.c. la domanda di revocazione per causa di ingratitudine deve essere presentata a pena di decadenza entro un anno dalla scoperta della causa di ingratitudine. In caso di separazione tra coniugi l’adulterio costituisce senz’altro causa di ingratitudine pertanto, qualora dal tenore della stessa richiesta di separazione sia percepibile che, già da quel momento, il soggetto è pienamente consapevole del comportamento illegittimo del coniuge, si deve ritenere che i termini per l’esercizio della revocazione comincino a decorrere da allora. Tribunale di Roma Sezione VIII civile, Sentenza 03 novembre 2009, n. 22492. La “ingiuria grave” prevista dall’art. 801 c.c. quale potenziale causa legittimante la revocazione della donazione, pur mutuando dal diritto penale la sua natura di offesa all’onore ed al decoro della persona, è tuttavia autonoma sotto il profilo della rilevabilità in concreto, e deve essere connotata dalla manifestazione, nel comportamento del donatario, da un durevole sentimento di disistima delle qualità morali del donante e di mancanza di rispetto della sua dignità, contrastanti con quel senso di riconoscenza che, secondo la corrente valutazione sociale ed etica, dovrebbero inversamente improntarne l’atteggiamento, onde è individuabile solo laddove si sia in presenza di manifestazioni dell’agente rivolte contro la sfera morale e spirituale del donante che siano allo stesso tempo qualificate da oggettiva potenzialità offensiva e costituiscano espressione di un sentimento di avversione e di ingratitudine di natura tale da ripugnare alla coscienza comune.

[16] Tribunale di Milano Sezione IV civile, sentenza 22 ottobre 2010, n. 11989

[17] Tribunale di Monza Sezione IV civile, sentenza 08 giugno 2009, n. 1752

[18] Tribunale di San Remo, sentenza 21 febbraio 2002

[19] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 17188 del 24 giugno 2008

[20] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 05 aprile 2005, n. 7033

[21] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 16 marzo 2004, n. 5333

[22] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 29 maggio 1998, n. 5310

[23] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 05 novembre 2001, n. 13632

[24] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 05 novembre 1990, n. 10614

[25] Tribunale di Lodi civile, sentenza 24 giugno 2008, n. 435

[26] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 25 febbraio 1987, n. 2003

[27] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 28 maggio 2008, n. 14093

[28] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 28 agosto 1997, n. 8165

[29] Corte di Cassazione, sentenza,  21 febbraio 1968, n. 591.

[30] Corte di Cassazione Sezione II civile, Sentenza 30 marzo 1995, n. 3795  Il termine di cui all’articolo 802 del codice civile, come pacifico in dottrina e in giurisprudenza, ha natura sicuramente decadenziale, e ciò non tanto per la sua brevità rispetto a quelli che sono normalmente i termini della prescrizione estintiva, quanto perchè si riferisce, con carattere perentorio, al compimento per la prima e unica volta di uno specifico atto di esercizio del diritto quale è, appunto, la proposizione della domanda giudiziale di revocazione della donazione per causa di ingratitudine. Ne discende che il termine previsto dall’articolo 802 del codice civile per proporre la domanda di revocazione della donazione per cause di ingratitudine, e’ un termine di decadenza, e non di prescrizione.

[31] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 07 novembre 2008, n. 26827. Conforme, Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 05 aprile 2005, n. 7033; Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 18 gennaio 2007, n. 1090, In tema di revocazione per ingratitudine della donazione, il termine previsto a pena di decadenza dall’art.802 cod. civ. decorre dal momento in cui il donante abbia acquisito la piena e sicura consapevolezza del compimento da parte del donatario di uno degli atti che legittimano l’esercizio del relativo diritto. (Nella specie, si è ritenuto che l’attore era decaduto dall’azione sul rilievo che il termine di cui all’art. 802 cod. civ. dovesse decorrere dal momento in cui, avendo in precedenza instaurato un analogo giudizio poi estinto, il donante aveva acquisito la necessaria certezza del comportamento gravemente ingiurioso tenuto nei suoi confronti dal donatario, certezza che non poteva essere esclusa dalla circostanza che tale condotta si fosse aggravata e protratta successivamente all’introduzione del precedente giudizio).

[32] Tribunale di Bari Sezione I civile, sentenza 04 marzo 2010, n. 760

[33] Tribunale di Bassano Del Grappa civile, sentenza 27 febbraio 2010, n. 139

[34] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 13 dicembre 1979, n. 6504

[35] Capozzi

[36] Biondi

[37] Contra  Torrente

[38] Corte Costituzionale Sentenza 03 luglio 2000, n. 250

È costituzionalmente illegittimo l’art. 803 primo comma, del codice civile, nella parte in cui prevede che – in caso di sopravvenienza di un figlio naturale – la donazione possa essere revocata solo se il riconoscimento del figlio sia intervenuto entro due anni dalla donazione, in quanto detta norma, espressione del tradizionale disfavore verso la filiazione naturale, appare incompatibile con il principio dettato dall’art. 30, terzo comma, della Costituzione, che vuole assicurata ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima, e viola nel contempo anche l’art. 3 della Costituzione sotto i due concorrenti profili, della disparità di trattamento rispetto alla possibilità di revocazione della donazione concessa senza limiti al genitore legittimo (ed anche all’adottante) in seguito alla sopravvenienza di figli legittimi, e della palese irragionevolezza.

[39] Perego – de Cupis

[40] Carnevali – Scognamiglio

[41] Tribunale di Benevento civile, sentenza 01 giugno 2009, n. 1219

[42]

art. 770 c.c.     donazione rimuneratoria: è donazione anche la liberalità fatta per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario o per speciale rimunerazione (quest’ultima si dice appunto speciale perché nasce dalla spontanea volontà del donante e non è fatta, invece, in considerazione o in adempimento di usi e consuetudini o tanto meno di obblighi) (c.c.797, 805).

Liberalità d’uso (donazione indiretta) Non costituisce donazione la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi (c.c.742, 809).

Vera e propria donazione, la cui causa è costruita, in senso soggettivo, dall’arricchimento altrui senza corrispettivo e, in senso soggettivo, dallo spirito di liberalità.

Lo spirito di liberalità non viene meno , pur se l’attribuzione è

1)    o fatta per riconoscenza – sentimento di gratitudine –  es. la donazione reciproca, fatta cioè, da chi, in passato beneficiato, dona ora, a sua volta al benefattore.

2)    O fatta in considerazione dei meriti del donatario, verso la collettività o verso individui diversi dal donante – sentimento di ammirazione – deve però trattarsi di meriti che non hanno arrecato diretto vantaggio al donante, altrimenti si ricadrebbe nell’ipotesi successiva – es. per una scoperta scientifica – per un opera letteraria, ecc.

3)    O fatta per speciale (perché non è fatta in considerazione o in adempimento di usi e consuetudini o tanto meno di obblighi) rimunerazione, per servizi resi dal donatario, anche a titolo oneroso, e particolarmente apprezzati dal donante. Questo servizio può essere sia anteriore che posteriore, purchè manchi la sinallagmaticità tra le due prestazioni – es. tipico – la donazione fatta al medico o all’ Avvocato;

In tale ultima ipotesi

a) secondo la Giurisprudenza: vi è un concorso di motivi, cosicché la donazione è configurabile ove quello liberale prevalga su quello di scambio, configurandosi altrimenti un negozio misto a donazione.

b)secondo la dottrina (Torrente): vi sarebbe un collegamento negoziale tra una datio in solutum e una liberalità, cioè tra causa solvendi e causa donandi.

[43] Su tutti Capozzi

[44] Bianca – Scognamiglio – Mirabelli – Tommasini

Avv. Renato D’Isa

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