La ricostruzione di un rudere

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 17 settembre 2019, n. 6188.

La massima estrapolata:

E’ da escludere che la ricostruzione di un rudere sia riconducibile nell’alveo della ristrutturazione edilizia nel caso in cui manchino elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare: in particolare, un manufatto costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in cui sia presente solo parte della muratura predetta, e sia privo di copertura e di strutture orizzontali, non può essere riconosciuto come edificio allo stato esistente.

Sentenza 17 settembre 2019, n. 6188

Data udienza 18 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1711 del 2014, proposto dai signori Ci. Na. ed El. Sa., rappresentati e difesi dall’avvocato Al. St., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Cl. De Cu. in Roma, viale (…);
contro
la signora Lo. At., rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Se. e An. Or., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fr. Ma. in Roma, via (…);
Comune di (omissis), non costituitosi in giudizio;
nei confronti
del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia ex lege in Roma, via (…);

sul ricorso numero di registro generale 10285 del 2015, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lucio De Luca e Giuseppe Ceceri, con domicilio eletto presso la Segretaria della IV Sezione del Consiglio di Stato, in Roma, piazza (…);
contro
la signora Lo. At., rappresentata e difesa dall’avvocato An. Or., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fr. Ma.in Roma, via (…);
nei confronti
del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia ex lege in Roma, via (…);
dei signori Ci. Na. ed El. Sa. non costituitisi in giudizio;

sul ricorso numero di registro generale 7791 del 2015, proposto dai signori Ci. Na. ed El. Sa., rappresentati e difesi dall’avvocato Ra. Mo., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Cl. De Cu. in Roma, viale (…);

contro
la signora Lo. At., rappresentata e difesa dall’avvocato Andrea Orefice, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Francesco Mangazzo in Roma, via (…);

nei confronti
del Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. De Lu. e Gi. Ce., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Luigi Napolitano in Roma, via (…);
del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
quanto al ricorso n. 1711 del 2014:
della sentenza del TAR per la Campania n. 3176 del 2013;
quanto ai ricorsi n. 7791 del 2015 e n. 10285 del 2015:
della sentenza del TAR per la Campania n. 3203 del 2015.
Visti i ricorsi in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della signore Lo. At. ed altri;
Visti tutti gli atti delle cause;
Relatore alla pubblica udienza del giorno 18 luglio 2019 il Cons. Silvia Martino;
Uditi per le parti rispettivamente rappresentate gli avvocati Ra. Mo. (anche su delega dell’avvocato Al. St.), An. Or., Gi. Ce. e An. Ve. (quest’ultimo per l’Avvocatura dello Stato);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso iscritto al n. di RG 1475/2012 del TAR per la Campania, la signora Lo. At. – avendo rilevato, su un area adiacente il suo fabbricato, l’inizio di lavori edili, in forza di d.i.a. presentata in data 20 maggio 2011, su un comodo rurale completamente diruto, privo di copertura – impugnava il provvedimento con cui la Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici di Napoli e Provincia aveva rilasciato il nulla osta ai sensi del d.lgs. n. 42/2004 alla realizzazione dei lavori oggetto della suddetta d.i.a. n. 6940/2011.
Chiedeva inoltre l’annullamento dell’art. 8 del P.R.G. di Anacapri, nella parte in cui lo stesso fosse stato da interpretarsi nel senso di consentire, nella Z.T.O. rientranti all’interno della zona R.U.A. del P.T.P. dell’isola di (omissis), interventi comportanti incremento dei volumi esistenti, nonché degli eventuali titoli autorizzatori rilasciati dal Comune di (omissis) o dalla Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici di Napoli e Provincia, relativamente ad interventi di ricostruzione del suddetto rudere privo di copertura sito in Anacapri al Vico (omissis), oggetto della suddetta d.i.a..
Con il medesimo ricorso, chiedeva altresì l’accertamento dell’obbligo del Comune di (omissis) di adottare i provvedimenti di cui all’art. 19, comma 3, della legge 241/1990 e dell’art. 23, comma 6, del d.P.R. 380/2001, relativamente alla d.i.a., nonché dell’obbligo della Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici di Napoli e Provincia di adottare i provvedimenti sanzionatori di cui all’art. 150 del d.lgs 42/2004; ai sensi degli artt. 25 ss. della legge 241/90, chiedeva infine, l’annullamento del silenzio – rifiuto formatosi in ordine alla domanda di accesso assunta al protocollo dell’ente con il n. 1651 del 7 febbraio 2012.
Con un primo ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente impugnava poi gli atti depositati in giudizio dal Comune di (omissis) a seguito di adempimento a decreto presidenziale istruttorio, ovvero gli atti autorizzatori già impugnati con il ricorso principale e consistenti nel provvedimento prot. n. 23593 dell’8 novembre 2011, con cui la Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici di Napoli e Provincia aveva espresso parere favorevole alla realizzazione di lavori oggetto della DIA n. 6940/2011 e nell’autorizzazione paesaggistica n. 2 del 18 gennaio 2012 rilasciata dal Comune di (omissis) in favore dei controinteressati.
Anche in tale ricorso articolava censure di violazione di legge ed eccesso di potere, a cui aggiungeva una domanda di risarcimento del danno derivante dall’esecuzione dei provvedimenti impugnati e dall’inerzia delle due amministrazioni intimata.
Con un secondo ricorso per motivi aggiunti la signora At. impugnava anche il sopravvenuto permesso di costruire prot. n. 3/12 rilasciato dal Comune di (omissis) per la ricostruzione del rudere esistente in Anacapri al I Vico (omissis) n. (omissis) ed il relativo nulla osta n. 10607 dell’8 agosto 2012 rilasciato dalla Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici di Napoli e Provincia.
In particolare deduceva:
– l’art. 13 del Piano territoriale paesistico dell’isola di (omissis) stabilisce che in zona R.U.A.:
a) sono consentiti esclusivamente interventi di ristrutturazione edilizia e
b) sono vietati interventi che comportino incremento dei volumi esistenti.
L’intervento assentito dal Comune e dalla Soprintendenza non poteva in nessun caso essere ricondotto alla categoria della ristrutturazione edilizia. Già prima del 20 maggio 2011, infatti, il rudere era solo parzialmente dotato di mura perimetrali e risultava del tutto privo della copertura. Difettando il presupposto della legittima preesistenza, i volumi di cui era stata proposta l’edificazione andavano ricondotti alla categoria di interventi comportanti incremento volumetrico, espressamente vietati dall’art. 13 del PTP; a ciò aggiungasi che l’edificazione avrebbe comportato la sopraelevazione delle mura preesistenti ben oltre l’altezza massima di metri 2,35, rilevabile dall’esame dello stato dei luoghi e riportata nella stessa planimetria catastale; la tipologia costruttiva del manufatto rendeva peraltro impossibile ipotizzare la preesistenza, anche in epoca remota, di una copertura diversa da quella con travi orizzontali;
– in ogni caso i provvedimenti gravanti erano in contrasto con l’art. 7 del suddetto PTP il quale ammette gli interventi di ristrutturazione edilizia solo per gli edifici “di recente impianto (realizzati dopo il 1945)”, laddove il rudere di cui trattasi era anteriore al 1940;
– vi era altresì contrasto anche con le NTA del PRG vigente nel Comune di (omissis), le quali, in zona A, subordinano l’edificazione all’approvazione di piani di recupero, e, comunque, escludono la totale demolizione e ricostruzione;
– il nuovo manufatto si poneva alla distanza di metri 3,50 dalla proprietà della ricorrente e a circa un metro dal confine della proprietà dei controinteressati, violando ad un tempo sia l’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 che le NTA del PRG (artt. 26, 6.2, 6.3).
2 Il TAR, nella resistenza del Mibact, del Comune di (omissis) e dei controinteressati, signori El. Sa. e Ci. Na.:
– dichiarava improcedibili, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso principale e il primo atto di motivi aggiunti:
– accoglieva il secondo atto di motivi aggiunti e, per l’effetto, annullava i provvedimenti impugnati ovvero il permesso di costruire prot. n. 3/2012 rilasciato dal Comune di (omissis) per la ricostruzione del rudere esistente in Anacapri al I Vico (omissis) n. (omissis) e il nulla osta n. 10607 dell’8 agosto 2012 della Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici di Napoli e Provincia.
2. La sentenza è stata impugnata dai signori Ci. Na. ed El. Sa., rimasti soccombenti.
Essi hanno dedotto:
1) Error in procedendo et in judicando – Erronea percezione delle eccezioni sollevate dalla controinteressata. Difetto di motivazione. Omessa pronuncia.
Il TAR avrebbe sbrigativamente respinto le eccezioni preliminari di inammissibilità .
La ricorrente, già al 24 gennaio 2012, attraverso un esposto inviato alla Soprintendenza, si era mostrata consapevole dell’entità e consistenza dell’intervento edilizio nonché degli eventuali profili di illegittimità aventi ad oggetto l’astratta ammissibilità dell’intervento edilizio in esame.
Il ricorso introduttivo, notificato in data 2 aprile 2012 sarebbe stato quindi intempestivo, e del pari irricevibile era da ritenersi il primo atto di motivi aggiunti.
La documentazione dalla quale traeva spunto questa ulteriore impugnativa, era stata depositata in giudizio il 23 aprile 2012, mentre l’atto di motivi aggiunti risulta essere stato notificato solo il successivo 3 luglio.
Il TAR ha poi omesso di considerare che gli atti impugnati con il secondo atto di motivi aggiunti sarebbero stati meramente confermativi di quelli in precedenza emessi dal Comune e dalla Soprintendenza, in accoglimento dell’istanza degli odierni appellanti volta alla trasformazione della c.d. superdia in “permesso di costruire per recupero di vecchi manufatti”;
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001. Travisamento delle evidenze istruttorie. Motivazione carente. Violazione dei limiti di giurisdizione.
Il TAR avrebbe altresì omesso di considerare che al momento di inizio dei lavori sussistevano elementi strutturali tali da rendere chiaramente ricostruibile l’originaria consistenza dell’immobile. In ogni caso il primo giudice avrebbe sovrapposto la propria valutazione di merito a quella dell’amministrazione.
4. Si è costituita, per resistere, la signora Lo. At..
Ha rappresentato, in primo luogo, che, come rilevato dal TAR, gli unici titoli effettivamente lesivi dei suoi interessi erano quelli impugnati con i secondi motivi aggiunti, avendo gli stessi sostituito la DIA ed il relativo nullaosta paesaggistico.
Tali titoli peraltro non erano più eseguibili in considerazione dell’irreversibile mutamento dello stato dei luoghi verificatosi a seguito delle opere di demolizione e sbancamento effettuate dalle controparti.
Ella ha poi riproposto i motivi assorbiti dal TAR (ritrascrivendone integralmente il contenuto) nonché interposto appello incidentale avverso quella parte della sentenza che dichiarato improcedibile il ricorso e i primi motivi aggiunti.
Tale impugnativa è stata peraltro articolata in via meramente subordinata, nell’ipotesi in cui i titoli impugnati con i secondi motivi aggiunti vengano considerati come atti meramente confermativi.
4.1. Si è costituita, con comparsa di stile, anche la Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Napoli e Provincia.
5. Gli appelli n. 7791 del 2015 e n. 10285 del 2015 riguardano la sentenza n. 3203 del 2015 con cui il TAR per la Campania ha definito l’impugnativa interposta dalla signora At. avverso il successivo permesso di costruire n. 29 del 7 agosto 2014, con cui i controinteressati sono stati autorizzati ad eseguire, sul medesimo immobile, “lavori di recupero e risanamento conservativo di un vecchio manufatto parzialmente crollato e realizzazione di un solaio piano in sostituzione del solaio a volta precedentemente autorizzato […]”.
Detto permesso di costruire veniva rilasciato sulla scorta del parere favorevole della Commissione locale per il paesaggio del 26 marzo 2014 la quale attestava che “gli interventi e le aree libere circostanti ricadono in zona R.U.A. – zona per il recupero urbanistico edilizio e il restauro paesistico ambientale del vigente P.T.P.”.
Del pari favorevole era il parere della Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per Napoli e Provincia (provvedimento del 22 maggio 2014).
Avverso tali atti, in primo grado, la signora At. deduceva:
1) violazione dell’art. 7, punto 6 e art. 13 del P.T.P. di Capri e violazione dell’art. 8 delle N.T.A. del PRG in quanto:
– non risultavano sanate (dovendo quindi ritenersi abusivamente realizzate) le opere di sbancamento e di demolizione realizzate in precedenza in esecuzione delle d.i.a. presentate nel 2011/2012;
– l’opera assentita non si sostanziava in un intervento di recupero e risanamento conservativo ma costituiva nuova opera, tenuto conto che il precedente manufatto era crollato e che le opere da realizzare includevano l’ampliamento del piano seminterrato con atipiche camere d’aria e cambio di destinazione d’uso, trattandosi di un comodo rurale destinato al ricovero di attrezzi;
– il titolo rilasciato si poneva in contrasto con quanto già statuito dal TAR per la Campania con la sentenza n. 3176/2013;
– gli artt. 6, 7, 13 del PTP e l’art. 8 delle NTA del PRG non consentono l’intervento di ristrutturazione edilizia su immobili realizzati prima del 1945 e prevedono limitazioni per quanto concerne gli interventi di risanamento conservativo;
2) contrasto del manufatto assentito con il d.m. 1444/1968 e il regolamento edilizio in tema di distanze tra immobili;
3) Incompetenza “professionale” dei componenti la Commissione per il paesaggio che si era espressa sul progetto, in contrasto con la previsione dell’art. 146 del d.lgs 42/2004.
Nella resistenza della civica amministrazione, e dei controinteresssati, il TAR accoglieva il ricorso della signora At. sull’assunto che, trattandosi di un intervento di ristrutturazione edilizia su un edificio anteriore al 1945, lo stesso non era assentibile per contrasto con gli artt. 13 e 7, comma 6 del P.T.P. dell’isola di (omissis).
6. La sentenza è stata impugnata sia dai signori Nastro e Savastano, che dal Comune di (omissis).
Appello n. 7791/2015.
7. Per quanto concerne il ricorso n. 7791 del 2015, l’appello è affidato alle seguenti argomentazioni.
Premesso che il nuovo titolo abilitativo ha autorizzato la ricostruzione di una copertura meramente orizzontale, scongiurando così l’eventualità di non consentiti incrementi volumetrici del cespite originario attraverso la realizzazione della copertura con estradosso “a botte”, l’intervento risulterebbe oggi conforme sia all’art. 13 del PTP di Capri sia all’art. 3, comma 1, lett. d) del testo unico n. 380 del 2001. Questa disposizione ha infatti incluso nella categoria della ristrutturazione edilizia anche gli interventi consistenti nel “ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza” nel rispetto del volume originario e, per i soli immobili sottoposti a vincoli, della precedenza sagoma.
Tuttavia, l’accertamento cui fa riferimento il d.P.R. riguarderebbe mezzi ed indagini diversi dall’esame obiettivo dello stato attuale del fabbricato ed attinenti invece a documentazione grafica e fotografica. Nella fattispecie, l’immobile sarebbe stato integro in una rilevante parte della sua struttura portante, sicché l’intervento doveva essere qualificato come mero “risanamento conservativo”.
In ogni caso, il limite imposto alle opere di ristrutturazione dall’art. 7, comma 6 del P.T.P. non sarebbe applicabile agli interventi di ripristino di edifici crollati e/o di ruderi di cui all’art. 3, comma 1, lett. d) ultimata del TUE come novellato nel 2013, poiché la norma è formulata con riferimento all’art. 31 lett. d) della l. n. 457 del 1978.
Per il ripristino di ruderi non sarebbe applicabile il limite in esame, in quanto tipologia di lavori che, precedentemente, era definita come nuova opera.
Non vi sarebbe però alcuna ragione logica architettonica o paesaggistica per cui dovrebbe impedirsi la ricostruzione di ruderi anteriori al 1945, secondo la sagoma e le caratteristiche tradizionali originarie
8. Si è costituita, per resistere, la signora At., riproponendo anzitutto i motivi di ricorso assorbiti dal TAR.
Il Comune di (omissis), dal canto suo, ha invece aderito alla tesi degli appellanti, in particolare approfondendo la tesi secondo cui il P.T.P. di Capri conterebbe un rinvio “statico” alla nozione di ristrutturazione edilizia quale originariamente contenuta nella l. n. 457 del 1978.
Ha comunque evidenziato che la norma di cui all’art. 7, comma 6, del P.T.P. ha natura regolamentare, sicché, a suo dire, avrebbe dovuto essere disapplicata in quanto divenuta contrastante con la sopravvenuta modifica, ad opera del d.l.n. 69/2012 dell’art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380 del 2001. In particolare, nella normativa statale, non vi sarebbe alcuna limitazione all’operatività della nozione di ristrutturazione di immobili soggetti a vincoli collegata alla data di realizzazione degli stessi.
9. Le parti hanno depositato ulteriori memorie.
In particolare, con memoria del 14 gennaio 2019, la signora At. ha fatto osservare che al momento della presentazione della istanza di P. di C. il rudere per cui è causa presentava “mancanti le parti laterali e la copertura” (così come si evince dalla documentazione fotografica versata agli atti di primo grado e in ogni caso dalla stessa memoria della Soprintendenza del 10 novembre 2014).
In particolare, nella memoria della Soprintendenza richiamata nella sentenza gravata si legge che “durante il corso dei lavori, a seguito del sopralluogo del 2 aprile 2012 effettuato dal personale della Soprintendenza congiuntamente con i Carabinieri di Anacapri, fu accertato il crollo delle murature (ad eccezione di una parte e di un cantonale) e delle coperture voltate dei locali seminterrati. Non fu possibile determinare se la causa fosse stato il crollo o la demolizione delle stesse”.
Il recupero di ruderi anche solo parzialmente crollati rientra tra gli interventi qualificati di “ristrutturazione edilizia” e non già tra quelli di “risanamento conservativo”.
Il manufatto illegittimamente assentito dal Comune di (omissis) e dalla Soprintendenza è peraltro un organismo edilizio totalmente diverso da quello esistente fino al 2012, essendone stata modificata la sagoma (mediante l’ampliamento del piano interrato con “abnormi” e “atipiche” camere d’aria), ed essendo stata stravolta la destinazione d’uso, posto che il manufatto da realizzare non sarebbe un comodo rurale destinato al ricovero degli attrezzi (sebbene in nessuna parte delle relazioni allegate alle istanze presentate dai controinteressati sia stata chiarita la funzione dei volumi a realizzarsi).
Sarebbe quindi inconfigurabile una ipotesi di “risanamento conservativo”, dovendo piuttosto parlarsi di “nuova opera” o al massimo di “ricostruzione di rudere crollato con modifica della sagoma e della destinazione d’uso”.
Sarebbe altresì fantasiosa la tesi degli appellanti secondo cui l’art. 7, comma 6, del PTP non avrebbe dovuto applicarsi nel caso di specie, posto che l’art. 31 lett. d) della L. 457/78, all’epoca dell’approvazione di tale piano non prevedeva tra le ipotesi di ristrutturazione edilizia anche il ripristino dei ruderi, tipologia di intervento oggi considerata tale a seguito della novella di cui alla L. 69/2013.
La tesi incorre in un evidente vizio logico, poiché non considera che dovevano a maggior ragione considerarsi esclusi dal PTP anche gli interventi più pesanti della ristrutturazione, ed in particolare le nuove costruzioni, cui erano all’epoca assimilati anche gli interventi su ruderi crollati.
Ha poi dedotto l’inammissibilità delle deduzioni ed eccezioni riportate dal Comune di (omissis) nella memoria del 17 dicembre 2015, in particolare in relazione alla tardività della domanda relativa alla “disapplicazione” delle norme del PTP, formulata per la prima volta in sede di appello in violazione dell’art. 104 c.p.a..
Si tratterebbe peraltro di una deduzione, oltre che infondata nel merito, anche inammissibile poiché, per sottrarsi all’applicazione del Piano territoriale paesistico, il Comune avrebbe dovuto quantomeno impugnarne le relative previsioni ed ottenerne l’annullamento.
Appello n. 10285 del 2015
10. La sentenza n. 3203 del 2015 del TAR per la Campania è stata impugnata anche dal Comune di (omissis), alla stregua delle deduzioni che possono essere così sintetizzate.
Primo motivo:
L’art. 13 del piano territoriale paesistico vigente sull’isola di (omissis) (approvato con d.m. 8 febbraio 1999 ai sensi dell’art. 1-bis, secondo comma, 1. 8 agosto 1985, n. 431), dispone che “Negli strumenti di pianificazione e di attuazione della pianificazione possono prevedersi interventi di ristrutturazjone edilizia che non comportino incremento dei volumi edilizi esistenti da eseguirsi secondo le limitazioni e prescrizioni dettate dall’art. 7 punto 6 della presente normativa”.
Il predetto articolo, che riguarda le c.d. zone R.U.A. (recupero urbanistico-ambientale) non vieta, dunque, in assoluto la ristrutturazione edilizia ma solo quella che comporti “incremento dei volumi edilizj esistenti”. Inoltre, la disposizione di piano rinvia alle limitazioni e alle prescrizioni dettate dall’art. 7, comma 6, così formulato: “Ristrutturazione edilizia, con riferimento all’art. 31 lett. d) legge n. 457 /78, dovrà ammettersi soltanto per gli edifici di recente impianto (realizzati dopo il 1945), con l’esclusione degli edifici di valore storico-artistico ed ambientale-paesistico nonché di quelli di cui ai punti 2 e 3 dell’art. 1 della legge n. 1497 / 39”.
La norma da ultimo citata contiene un rinvio specifico alla nozione di ristrutturazione come definita dall’art. 31, lettera d), della legge n. 457 /78.
All’epoca del varo dello strumento paesistico, nel concetto di ristrutturazione erano ricompresi anche gli interventi aventi la finalità di “trasformare” un organismo edilizio, ovvero interventi il cui risultato finale poteva condurre a un edificio anche completamente diverso dal precedente, sia in termini strutturali che funzionali.
Nel contesto legislativo (e nell’assetto giurisprudenziale) dell’epoca, si spiegherebbe così la preoccupazione dell’autorità predisponente il piano paesistico di evitare stravolgimenti di assetti edilizi anteriori al 1945.
Tuttavia, il d.l. 69/2013 (conv. con 1. 98/2013), nel modificare l’art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. 380/2001 ha aggiunto una seconda parte a tale articolo in cui sono ascritti alla categoria della ristrutturazione anche interventi di “ripristino di edifici o parti di essi eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione”.
E’ quindi oggi possibile assentire come ristrutturazione interventi che implichino sia la totale ricostruzione di interi edifici crollati o demoliti, sia il ripristino di parti di edifici crollati, nel rispetto della volumetria preesistente, e, nel caso di immobili vincolati, anche della sagoma.
Ad ogni modo, il Comune ritiene che l’art. 7, comma 6, del Piano paesistico dell’isola di (omissis) contenga un rinvio statico alla specifica e particolare nozione di ristrutturazione contenuta nell’art. 31, comma 1 lett. d) 1 della legge n. 457 /78 e miri soltanto a vietare, nelle zona RUA, gli interventi di ristrutturazione che conducano ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente.
Anche interpretata evolutivamente, la disposizione non impedirebbe di ricostruire edifici crollati o demoliti, ovvero il ripristino di parti di edifici crollati o demoliti, purché ciò avvenga nel rispetto delle volumetrie e sagome originarie.
Solo accedendo a tale prospettazione si eviterebbero esiti interpretativi illogici, discriminatori e contraddittori.
Secondo motivo
L’art. 7 comma 6 del piano paesistico dell’isola di (omissis), ove non correttamente interpretato, si porrebbe oggi in contrasto con la nozione di ristrutturazione di cui all’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. 380/2001, modificato con d.1. n. 69/2013, e dovrebbe essere disapplicato.
3. Terzo motivo.
Il Comune ha poi sostenuto che la natura di mero risanamento conservativo dell’intervento assentito potrebbe evincersi dal contenuto della memoria depositata in primo grado dalla Soprintendenza il 10 novembre 2014, unitamente alla relazione tecnica comunale, secondo cui, come peraltro ricordato nella stessa sentenza impugnata, il manufatto in contestazione si presentava “all’atto della presentazione delle denunce di inizio lavori sicuramente senza copertura ma con le mura perimetrali presenti almeno su tre lati per intero e per il quarto lato (crollato) per più della metà lasciando comunque intravedere in maniera evidente la base dell’immobile”.
Né una diversa qualificazione potrebbe farsi discendere dalle previsione delle “camere d’aria” al piano seminterrato, le quali, per la loro modesta entità, nonché per la mancanza di collegamenti con gli spazi utili del manufatto, non inciderebbero né sui volumi né sulla sagoma dell’edificio.
11. Anche in questo appello si è costituita, per resistere, la signora Lo. At., riproponendo altresì tutte le censure assorbite dal TAR.
12. Si è costituita, con comparsa di stile, anche la Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Napoli e Provincia.
13. La signora At. ed il Comune di (omissis) hanno depositato ulteriori memorie.
La prima ha ribadito, in sintesi, l’illogicità dell’interpretazione data dal Comune alle norme del PTP come pure l’inammissibilità delle deduzioni relative alla possibilità di disapplicare tale strumento, mai fatto oggetto di impugnativa.
Ineccepibile sarebbe poi la qualificazione dell’intervento operata dal TAR sulla scorta della compiuta valutazione delle risultanze documentali versate in atti e non già della sola qualificazione contenuta nella relazione istruttoria del responsabile dell’ufficio tecnico comunale.
Il Comune di (omissis), dal canto suo, ha fatto presente – quanto alla questione della disapplicabilità dell’art. 7 del Piano paesaggistico di Capri – che non si tratta di una “domanda” ma solo di una critica al modus procedendi del primo giudice, il quale, nel contrasto norme di rango diverso che concorrono a disciplinare una certa fattispecie, avrebbe dovuto d’ufficio applicare quella sovraordinata e ‘disapplicarè quella sottooordinata.
14. Gli appelli, infine, sono stati assunti in decisione alla pubblica udienza del 18 luglio 2019.
15. In via preliminare, occorre procedere alla riunione degli appelli in epigrafe essendo evidente la lor connessione oggettiva e soggettiva.
16. L’appello n. 1711 del 2014 è infondato e deve essere respinto.
In primo luogo, non vi è ragione di dubitare che il permesso di costruire n. 3/2012, rilasciato dal Comune di (omissis) ai controinteressati per l’esecuzione di “lavori di recupero di un vecchio manufatto con ricostruzione delle parti crollate (tratti di muratura e volta di copertura)”, sia un titolo autorizzativo del tutto autonomo rispetto a quello riconducibile alla DIA n. 6940 del 20 maggio 2011.
Al riguardo, è bene ricordare, che, di lì a poco, il legislatore avrebbe espressamente stabilito che “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività si riferiscono ad attività liberalizzate e non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104″ (art. 19, comma 6 – ter della l. n. 241/90, aggiunto dall’art. 6, comma 1, lett. c), D.L. 13 agosto 2011, n. 138)” con ciò stabilendo l’alterità strutturale tra la DIA ed il permesso di costruire.
Ad ogni buon conto, la palese infondatezza della tesi per cui il permesso di costruire n. 3/2012, sarebbe solo un atto “meramente confermativo” della precedente d.i.a., è resa plasticamente evidente dalla circostanza che il rilascio di tale titolo è avvenuto sulla base di una nuova istruttoria, che ha richiesto l’intervento di una ulteriore valutazione paesaggistica, contenuta nell’autorizzazione n. 1/2013 emessa dal Comune di (omissis) a seguito del nulla osta della Soprintendenza prot. n. 10607 dell’8 agosto 2012.
L’evidente autonomia del provvedimento impugnato con in motivi aggiunti, destituisce poi di qualunque rilevanza l’eccezione di tardività del ricorso principale e dei primi motivi aggiunti, riproposta dagli appellanti, in quanto riferita ad atti la cui efficacia è venuta integralmente meno.
16.1. Gli appellanti hanno poi imputato al TAR di avere ignorato l’esistenza, in rerum natura, di elementi strutturali del manufatto da “recuperare” tali da renderne chiaramente apprezzabile l’originaria consistenza.
Tuttavia è incontestato che, già all’atto della presentazione della d.i.a. del 2011 (e relativa variante), il manufatto si presentasse privo di copertura e di parte delle mura perimetrali.
Al riguardo, il primo giudice ha fatto osservare che, per tale ragione, nel corso del procedimento edilizio si era dovuto fare riferimento a supposizioni ed argomentazioni di vario tipo al fine di individuare in via logica – ipotetica lo stato del manufatto prima del crollo della copertura.
Al riguardo, tra gli atti di primo grado valorizzati dal TAR vanno in particolare richiamati la memoria e la relazione tecnica illustrativa depositata dal Comune in data 16 febbraio 2013 nonché la documentazione fotografica allegata all’istanza di autorizzazione paesaggistica, prodotta per conto del Mibact dall’Avvocatura dello Stato.
Da tale documentazione emerge inequivocabilmente che, alla data del deposito della richiesta di autorizzazione paesaggistica del 4 luglio 2012, anche una significativa porzione dei muri perimetrali non risultava più in sede, presentandosi l’immobile, in buona parte, crollato.
Neppure è controverso che il suolo su cui insiste il fabbricato ricada in zona R.U.A. del P.T.P., all’interno del quale sono consentiti esclusivamente interventi di ristrutturazione edilizia e sono vietati interventi che comportino incremento dei volumi esistenti (e quindi, logicamente, anche le nuove costruzioni).
L’impossibilità di apprezzare la consistenza del manufatto preesistente conduce ad escludere, in radice, la configurabilità di un intervento di “ristrutturazione edilizia” sia alla stregua dell’art. 31, comma 1, lett. d) della n. 457 del 1978 (richiamato dal PTP), sia in base l’attuale formulazione della normativa statale in materia di ristrutturazione edilizia.
Quest’ultima, come noto, ricomprende oggi anche gli interventi volti “al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”, con la precisazione che “con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente” (art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380/2001, come modificato dall’art. 30, comma 1, lett. a), d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013, n. 98
Alla stregua delle prefate disposizioni, è quindi ancora oggi da escludere che la ricostruzione di un rudere sia riconducibile nell’alveo della ristrutturazione edilizia nel caso in cui manchino elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare: in particolare, un manufatto costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in cui sia presente solo parte della muratura predetta, e sia privo di copertura e di strutture orizzontali, non può essere riconosciuto come edificio allo stato esistente (cfr. Cons. St., sez. IV, sentenza n. 5174 del 21 ottobre 2014, e TAR Lombardia, Brescia, sentenza n. 1167 del 26 settembre 2017).
In mancanza di elementi strutturali non è infatti possibile valutare la consistenza dell’edificio da consolidare ed i ruderi non possono che considerarsi alla stregua di un’area non edificata (Cons. St., sez. V, sentenza n. 1025 del 15 marzo 2016).
Nel caso di specie, deve quindi convenirsi con il TAR che la risalente assenza di copertura, unitamente al parziale crollo delle mura perimetrali, costituisse già di per sé condizione sufficiente ad escludere la riconducibilità dell’intervento assentito agli interventi di ristrutturazione edilizia rientrando piuttosto tra quelli di nuova costruzione.
16. Quanto testé rilevato in ordine all’illegittimità del P.d.C. n. 3/2012, consente di intuire la palese infondatezza anche dell’impugnativa della sentenza n. 3203/2015, con cui il TAR ha annullato un ulteriore titolo abilitativo rilasciato dal Comune di (omissis) per il medesimo manufatto, sia pure formalmente finalizzato all’esecuzione di lavori di “recupero e risanamento conservativo”.
Al riguardo, il Comune sembra non avere bene inteso la portata dell’annullamento disposto dal TAR con la sentenza n. 3176 del 2013, il quale non è semplicemente dipeso dall’illegittimità dell’originaria previsione di una volta a “botte” al posto di una copertura orizzontale, bensì, radicalmente, dall’impossibilità di qualificare come intervento di recupero la ricostruzione di un rudere di cui non era documentabile la preesistente consistenza, a tanto non potendo valere le mere dichiarazioni sostitutive di atto notorio prodotte dai controinteressati.
Ad ogni buon conto, quand’anche l’intervento per cui è causa fosse ascrivibile alla categoria delle ristrutturazioni edilizie, esso risulterebbe in contrasto anche con l’art. 7, comma 6, del PTP secondo il quale, nelle zone RUA “la “Ristrutturazione edilizia, con riferimento all’art. 31 lett. d) legge n. 457/78, dovrà ammettersi soltanto per gli edifici di recente impianto (realizzati dopo il 1945), con l’esclusione degli edifici di valore storico – artistico ed ambientale -paesistico nonché di quelli di cui ai punti 2 e 3 dell’art. 1 della legge n. 1497/39”.
E’ infatti rimasto incontestato, anche nella presente sede di appello, che l’immobile per cui è causa sia stato realizzato in epoca precedente al 1945 (come peraltro dichiarato dagli stessi interessati in occasione delle d.i.a. del 2011).
16.1. Appaiono poi destituite di fondamento le argomentazioni con cui sia il Comune che i controinteressati hanno sostenuto che le norme di PTP dovrebbero essere disapplicate per contrasto con la sopravvenuta modifica delle definizioni degli interventi edilizi recata dal già richiamato art. 30, comma 1, lett. a), d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013, n. 98.
In disparte la già rilevata impossibilità di ascrivere la ricostruzione di un rudere di cui non sia documentata la preesistente consistenza anche alla più recente declinazione normativa degli interventi di “ristrutturazione edilizia”, è sufficiente evidenziare che il P.T.P. dell’isola di (omissis) è stato adottato “ai sensi e per gli effetti di cui al primo comma dell’art. 1-bis della legge n. 431/85” (art. 5, comma 1, delle NTA del PTP).
Non è quindi chiaro come la sopravvenuta modifica normativa relativa alle definizioni degli interventi edilizi e alla correlata classificazione dei titoli abilitativi, possa influire sulla distinta normativa d’uso e valorizzazione ambientale del territorio dettata da un piano paesistico.
Né, ovviamente, può oggi discutersi della ragionevolezza di previsioni pianificatorie che non sono mai state impugnate e che, comunque, rientrano nelle scelte discrezionali delle autorità preposte alla tutela dei beni ambientali (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 4 novembre 2002, n. 6001).
17. In definitiva, per quanto testé argomentato, gli appelli debbono essere respinti.
Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, di cui in premessa, li respinge.
Condanna il Comune di (omissis) e i signori Ci. Na. ed El. Sa., in solido tra loro, alla rifusione delle spese del grado in favore della signora Lo. At., che liquida in euro 15.000,00 (quindicimila/00), oltre gli accessori, se dovuti, come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 luglio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Daniela Di Carlo – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere, Estensore
Roberto Caponigro – Consigliere
Giuseppa Carluccio – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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