La rinuncia all’appello in relazione alla querela di falso

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|17 agosto 2022| n. 24832.

La rinuncia all’appello in relazione alla querela di falso

La rinuncia all’appello, in relazione alla querela di falso proposta nei confronti del pubblico ufficiale incaricato della redazione dell’inventario di eredità e di altro soggetto estraneo al “munus” pubblico, ove effettuata solo nei confronti di quest’ultimo, non comporta il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, atteso che la responsabilità della redazione dell’inventario appartiene al pubblico ufficiale, e non anche al soggetto estraneo che abbia partecipato alle relative operazioni.

Sentenza|17 agosto 2022| n. 24832. La rinuncia all’appello in relazione alla querela di falso

Data udienza 24 febbraio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Successione – Inventario eredità relitta – Querela di falso – Inammissibilità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FALASCHI Milena – rel. Presidente

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 7236-2017 proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS) del foro di Napoli ed elettivamente domiciliato all’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), difesi dall’Avv. (OMISSIS) del foro di Avellino ed elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– controricorrenti –
contro
(OMISSIS);
e PROCURA GENERALE PRESSO CORTE DI CASSAZIONE;
– intimate –
avverso la sentenza n. 4270 della Corte di appello di Napoli depositata il 1 dicembre 2016;
udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 24 febbraio 2022 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa De Renzis Luisa, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

La rinuncia all’appello in relazione alla querela di falso

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Nola con sentenza n. 2113 del 2010 dichiarava inammissibile la querela di falso proposta da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avverso il verbale di inventario dell’eredita’ rellitta di (OMISSIS), depositato il 5 aprile 2005 e redatto dal cancelliere Dott. (OMISSIS) e, in accoglimento delle domande riconvenzionali proposte da quest’ultimo e dalla convenuta (OMISSIS), condannava in solido gli attori a corrispondere all’ (OMISSIS) la somma di Euro 7.000,00 e alla (OMISSIS) quella di Euro 5.000,00 a titolo di risarcimento ex articolo 96 c.p.c..
In virtu’ di appello interposto dai Tizzani, la Corte d’appello di Napoli, nella resistenza della (OMISSIS) e dell’ (OMISSIS), proposto da quest’ultimo anche appello incidentale, rinunciato con accettazione il gravame nei confronti della sola (OMISSIS), dichiarava estinto il giudizio di appello nel rapporto processuali tra gli appellanti e la (OMISSIS) e in parziale accoglimento dell’appello principale con parziale riforma della sentenza impugnata, respingeva la domanda ex articolo 96 c.p.c. di (OMISSIS) e per l’effetto assorbito l’appello incidentale, confermata per il resto la decisione di primo grado, con compensazione integrale delle spese del grado.
A sostegno della decisione, la corte territoriale rilevava che correttamente era stata ritenuta la inammissibilita’ della querela di falso in relazione alle operazioni di inventario per violazione del contraddittorio non dandosi atto nel verbale impugnato della presenza dei (OMISSIS); considerazioni che valevano anche per le ulteriori deduzioni prospettate ai sensi dell’articolo 775 c.p.c. in punto di omissione di numerazione e di siglatura degli allegati al verbale, mancando attestazione di conformita’ di detti allegati ovvero della loro data certa. Ne’ integravano la fattispecie impugnata le operazioni del Dott. (OMISSIS) quanto all’acquisizione della movimentazione bancaria del de cuius, pensionistica e TFR percepiti dal de cuius, oltre alla sola individuazione di parte del garage, senza accertare la presenza di altri beni da inventariare anche nell’abitazione della (OMISSIS). Pure non riconducibili a falsita’, che al piu’ poteva definirsi ideologica, la stima di due pianoforti, indicati verbalmente in Euro 500,00 e in Euro 700,00, ma trascritti nell’inventario in Euro 1.500,00 e in Euro 2.700,00, senza alcuna successiva alterazione del verbale de quo.
L’accoglimento dell’appello principale quanto al capo della sentenza impugnata relativo al danno ex articolo 96 c.p.c. discendeva dal fatto che l’elemento psicologico e il pregiudizio lamentato dall’appellante incidentale fossero conseguenza non della proposizione della querela di falso, ma della diversa denuncia/querela proposta in sede penale e quindi dell’ipotetico delitto di calunnia commesso ai danni del Dott. (OMISSIS).
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli l’ (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui hanno resistito i (OMISSIS) con controricorso.
In prossimita’ della pubblica udienza e’ stata fatta pervenire dal sostituto procuratore generale, Dott.ssa Luisa De Renzis, memoria con la quale ha rassegnato le conclusioni nel senso del rigetto del ricorso, depositata dal ricorrente memoria ex articolo 378 c.p.c..

La rinuncia all’appello in relazione alla querela di falso

CONSIDERATO IN DIRITTO

Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso per essere redatto in spregio dei principi di specificita’ dei motivi, di chiarezza e sinteticita’ espositiva e, piu’ in generale, di quelli che sovraintendono lo svolgimento del giusto processo di cui all’articolo 111 Cost., comma 2.
In proposito occorre ribadire che, a norma dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3), il ricorso per cassazione deve contenere “l’esposizione sommaria dei fatti di causa”, e che il principio di autosufficienza del ricorso non e’ violato dalla circostanza che nell’atto, dopo avere indicato nell’epigrafe il giudice adito e le generalita’ delle parti, prosegua esponendo sinteticamente l’atto introduttivo del giudizio e le difese della controparte, con esito dei due gradi di giudizio di merito, passando poi direttamente e piu’ approfonditamente ai motivi di doglianza. I fatti di causa, infatti, sono chiaramente desumibili sia dalla esposizione sommaria sia dalla illustrazione dei motivi stessi, e tanto basta per escludere l’inammissibilita’ del ricorso per violazione dell’articolo 366 c.p.c., n. 3, e, quindi, sulla base di quanto allegato nel ricorso stesso nella sua interezza (in tal senso, Cass., Sez. Un., n. 4324 del 2014).
Del pari e’ da ritenere infondata l’eccezione di inammissibilita’ dei motivi del ricorso formulata dai Tizzano quanto alle argomentazioni per “prolissita’ ed oscurita’” svolte nell’impugnazione, salvo quanto verra’ osservato con riferito alle singole censure.
Passando all’esame del ricorso, con il primo motivo l’ (OMISSIS) denuncia, ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la violazione dell’articolo 115 e segg., articoli 306, 359, 112 e 324 c.p.c., nonche’ dell’articolo 2909 c.c. sotto molteplici profili, come l’avere la Corte distrettuale considerato l’atto di rinuncia all’appello limitato nei soli confronti della (OMISSIS) e non gia’ all’intero giudizio di appello, a cui sarebbe conseguito – ad avviso del ricorrente il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, che investiva le posizioni di tutti gli appellati. Del resto i Tizzano agivano contro la (OMISSIS) e l’ (OMISSIS) per responsabilita’ che assumevano concorrenti e inscindibili.

La rinuncia all’appello in relazione alla querela di falso

Il motivo e’ privo di pregio.
Ritiene la Corte che possa affermarsi in linea di principio che la controversia in tema di inventario non possa profilare casi di corresponsabilita’ anche nei confronti di soggetti estranei al munus pubblico. Ne consegue che e’ irrilevante la questione della rinuncia e anche a voler estendere gli effetti della stessa, la responsabilita’ ex articolo 96 c.p.c. costituisce comunque domanda autonoma.
E’ utile ricordare che la finalita’ sottesa al processo verbale di inventario di accertare la composizione di un patrimonio tanto che ne e’ in particolare evidenziato il carattere di accertamento, nel senso che colui che provvede all’inventario accerta che esistono in un determinato luogo e in un determinato tempo determinate cose, anche se questo accertamento non ha carattere di giudizio (se non accessorio, quando sia accompagnato dalla stima) ma di descrizione: descrizione di cose inventate, cioe’ trovate, quindi sotto questo aspetto anche atto dichiarativo dell’invenzione.
Per maggiore chiarezza occorre rilevare che il procedimento di formazione dell’inventario e’ disciplinato dalle disposizioni di cui agli articoli 769 e ss. c.p.c. Tali norme si riferiscono alla formazione dell’inventario circa i beni ereditari, ma, giusta il disposto dell’articolo 777 c.p.c., trovano applicazione in ordine a ogni inventario ordinato dalla legge, salve le formalita’ speciali stabilite dal codice civile per l’inventario dei beni dei minori. Sulla scorta di questo dettato normativo, si ritiene prevalentemente che la disciplina ivi dettata rivesta carattere generale.
Referente normativo del contenuto del verbale di inventario e’ l’articolo 775 c.p.c., che contiene la precisa elencazione delle entita’ patrimoniali, distinguendo gli immobili (per i quali si richiede descrizione, natura, confini, dati catastali), i mobili (per i quali si richiede la descrizione e la stima), gli oggetti d’oro e d’argento (per i quali, oltre la descrizione e la stima, si richiede anche la specificazione del peso e del marchio), il denaro (per il quale si richiede la quantita’ e la specie), l’indicazione delle altre attivita’ e passivita’, la descrizione delle carte, scritture e note relative allo stato attivo e passivo, le osservazioni e le istan2:e delle parti.
La norma evocata e’ completata dall’articolo 192 disp. att., che obbliga l’ufficiale procedente, prima di chiudere il verbale, ad interrogare coloro che avevano la custodia dei mobili o abitavano la casa in cui questi erano posti, se siano a conoscenza dell’esistenza di atri oggetti da comprendere nell’inventario.
Da queste norme emerge il principio di completezza dell’inventario, che domina la disciplina dell’inventario assieme a quello della verita’.
Al comma 2, l’articolo 775 stabilisce peraltro che, ove alcuno degli interessati contesti l’opportunita’ di inventariare qualche oggetto, l’ufficiale lo descrive nel processo verbale, facendo menzione delle osservazioni istanze delle parti. Evidentemente occorre comprendere che tipo di comportamento il pubblico ufficiale debba osservare in presenza di siffatte contestazioni e, in particolare, se debba limitarsi a riportare la contestazione ovvero debba anche descrivere i beni oggetto della stessa. La giurisprudenza ha ribadito in diverse occasioni, e rispetto a diversi fini, che l’inventario deve comprendere tutto cio’ che viene rinvenuto nell’abitazione del de cuius; al fine che qui interessa, si e’ pure stabilito che, nel particolare caso in cui il defunto risieda in casa di altri, occupando quale ospite una stanza dell’appartamento non suo, si e’ fuori dall’ipotesi prevista dall’articolo in esame a norma del quale l’inventario deve comprendere tutti i beni rinvenuti nella casa del de cuius, per cui e’ valido l’inventario che non comprenda la descrizione dei mobili di casa dalla stanza occupata dal defunto.

La rinuncia all’appello in relazione alla querela di falso

Questa Corte (Cass. 28 agosto 2015 n. 1726) ha, altresi’, rimarcato che la ragione della previsione della redazione del verbale di inventario per mezzo di un pubblico ufficiale non risiede nella necessita’ di garantire il mero dato quantitativo della completezza delle attestazioni dell’erede, quanto piuttosto nella necessita’ di garantire un fattore qualitativo, derivante dall’elevato grado di perizia che ragionevolmente deve attendersi dallo svolgimento dell’attivita’ da parte di un pubblico ufficiale e per tale ragione deve avvisare gli interessati delle conseguenze civili e penali di dichiarazioni mendaci e reticenti.
Orbene dallo stesso ricorso e dal controricorso emerge evidente (OMISSIS), l’unica ad avere presenziato alle operazioni di inventario, essendo stato effettuato accesso nel garage di sua proprieta’, non puo’ dirsi responsabile dell’attivita’ propria del pubblico ufficiale, a meno che non voglia ravvisarsi una fattispecie di concorso di persone in illecito proprio, neanche paventato nella specie.
Deve dunque escludersi che possa adottarsi un modulo generale di responsabilita’ ed affermare – come invece ritiene il ricorrente – che il processo avrebbe ad oggetto posizioni soggettive inscindibili di tutti i chiamati in giudizio ritenuti concorrenti. La controversia puo’ avere infatti effetto limitato.
Con riguardo al caso di specie, deve escludersi che debbano considerarsi parti necessarie gli altri concorrenti a titolo di responsabilita’. L’effetto della controversia e’ infatti limitato e riguarda la incompleta redazione dell’inventario e non e’ stato neppure dedotto che dalla decisione sulla questione possano aversi effetti nei confronti dell’altra convenuta.
Tanto chiarito, e’ evidente che il contenuto della rinunzia poi costituisca tipica attivita’ di qualificazione dell’atto, rimessa al giudice avanti al quale e’ stata depositata e non censurabile in sede di legittimita’ ove – come nella specie – adeguatamente argomentata.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la Corte di merito rigettato la domanda di danni sul presupposto della inesistenza probatoria degli stessi, in relazione agli articoli 96 e 112 c.p.c., facendo riferimento al parallelo procedimento penale relativo ad eventuale condotta penalmente rilevante dello stesso (OMISSIS), quale cancelliere nella redazione dell’inventario. Ad avviso del ricorrente la Corte avrebbe mancato di esaminare la sua domanda di danni in relazione alle risultanze della querela di falso dei (OMISSIS), essendosi limitata a verificare l’esistenza di una condotta penalmente rilevante e non al presente giudizio, con conseguente vizio di motivazione apparente.
La censura non supera il vaglio dell’ammissibilita’.

La rinuncia all’appello in relazione alla querela di falso

La motivazione offerta dalla Corte territoriale, laddove esclude il radicarsi di responsabilita’ risarcitoria ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 2, pur riconosciuta in primo grado, sul punto e’ concisa ma, comunque, essa non incorre nelle censure di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 che le vengono mosse dal ricorrente e coglie il senso del disposto dell’articolo 96 c.p.c., comma 2.
Alla stregua delle richiamate circostanze fattuali, che evidentemente non possono formare oggetto di apprezzamento – in questa sede di legittimita’, in quanto ricadenti nell’ambito del giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la Corte territoriale ha rilevato che i danni lamentati dall’ (OMISSIS) attenevano sostanzialmente alla situazione da riferire al procedimento penale.
Va infatti sottolineato come le condotte extraprocessuali o le sue iniziative processuali diverse dal presente ricorso, non rilevano ai fini dell’accertamento della responsabilita’ aggravata ex articolo 96 c.p.c. che discende esclusivamente da atti o comportamenti processuali concernenti il giudizio nel quale la domanda viene proposta e, precisamente, per quanto riguarda l’articolo 96 c.p.c., comma 1 dall’avere agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave o, per quanto riguarda il comma 3 dello stesso articolo, dall’aver abusato dello strumento processuale (sulla responsabilita’ ex articolo 96 c.p.c., comma 3, cfr., da ultimo, Cass. n. 3830 del 2021).
L’articolo 96 c.p.c., comma 3, che il giudice di prime cure ha ritenuto applicabile alla fattispecie, prevede una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilita’ aggravata previste dai commi 1 e 2 dello stesso articolo volta alla repressione dell’abuso dello strumento processuale. La sua applicazione, pertanto, richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro non dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensi’ di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l’avere agito o resistito pretestuosamente (Cass. n. 20018 del 2020).
L’abuso non e’ ravvisabile nella fattispecie perche’ al momento della proposizione della querela di falso la questione era controversa e la motivazione della Corte di appello, nel valorizzare i presupposti del petitum della domanda riconvenzionale di danni, ha riconosciuto una diversita’ fra l’azione proposta dinanzi al giudice ordinario civile ed a quello penale, rimarcando che, in un caso, quello davanti al giudice penale, si trattava di ipotetico delitto di calunnia commesso ai danni del ricorrente, la vera ragione posta a fondamento della domanda.
Nella specie, la scelta dell’introduzione della di querela di falso quanto all’inventario non puo’ ritenersi connotata da abuso del processo, in considerazione della natura dell’atto impugnato, strumentale all’apertura della vicenda successoria, oltre a permanere la ulteriore questione della mancanza di prova del danno medesimo.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dai controricorrenti nel presente giudizio, liquidate come da dispositivo.
Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;
Condanna il ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in complessivi Euro 1.400,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

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In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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