L’atto d’appello in formato analogico

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|6 aprile 2022| n. 11222.

L’atto d’appello in formato analogico, successivamente riprodotto in formato digitale ai fini della notificazione telematica, munito dell’attestazione di conformità all’originale, non richiede la firma digitale dei difensori (che, invece, deve essere presente in calce alla notificazione effettuata a mezzo posta elettronica certificata), perché è sufficiente che la copia telematica rechi la menzionata attestazione di conformità, redatta secondo le disposizioni vigenti “ratione temporis”, non assumendo peraltro rilievo la circostanza che il file digitale rechi il formato “pdf” anziché “p7m”.

Ordinanza|6 aprile 2022| n. 11222. L’atto d’appello in formato analogico

Data udienza 17 marzo 2022

Integrale

Tag/parola chiave: RESPONSABILITA’ CIVILE – DANNO – CAGIONATO DA COSE IN CUSTODIA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 21406-2020 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in R (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
COMUNE DI CATANZARO, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS);
– controricorrente –
contro
AIMERI AMBIENTE SRL, UNIPOLSAI ASSICURAIONI SPA in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, (OMISSIS);
– intimate –
avverso la sentenza n. 531/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 30/05/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 17/03/2022 dal Consigliere Relatore Dott. CRICENTI GIUSEPPE.
RITENUTO
Che:
1. – (OMISSIS) e’ caduto mentre scendeva da una scalinata, che congiunge due pubbliche vie, nel Comune di Catanzaro, e da quella caduta ha riportato la rottura di un arto, che ha imposto il ricovero in ospedale.
Ha citato in giudizio il Comune di Catanzaro, quale ente proprietario della strada, e dunque custode della medesima, assumendo la responsabilita’ di quest’ultimo nell’incidente occorsogli, per via del fatto che, a seguito di lavori effettuati sulla scalinata, il livello dei gradini era stato alzato ed il corrimano era quindi diventato piu’ basso e piu’ difficile da utilizzare.
2. – Il Tribunale di Catanzaro ha ritenuto fondata questa tesi, ed ha riconosciuto la responsabilita’ del Comune, per difetto di custodia, condannando l’ente al risarcimento del danno: in quel giudizio era stata anche citata la societa’ Alimeri Ambiente che, per contratto, aveva la manutenzione di quel tratto di scala, e la societa’ Unipol spa, oltre all’intervento dell’avvocato del (OMISSIS), che in proprio, chiedeva le spese per distrazione a suo favore. Ma solo la compagnia di assicurazione si e’ costituita.
3. – La Corte di Appello di Catanzaro ha riformato la decisione di primo grado, escludendo la responsabilita’ del custode, e ritenendo che la caduta fosse addebitabile esclusivamente al ricorrente.
4. – Ricorre (OMISSIS) con tre motivi. Si e’ costituito il Comune di Catanzaro che, con controricorso, ha chiesto il rigetto della impugnazione. IL ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
Che:
5. – I primi due motivi vertono sulla inammissibilita’ dell’appello.
Nel secondo grado di giudizio, il ricorrente ha eccepito che l’appello non era ammissibile, in quanto privo di regolare sottoscrizione. Più precisamente, fatta copia in formato pdf degli originali, sia dell’atto di appello che della procura, il Comune di Catanzaro li ha notificati per posta elettronica certificata, attestando la loro corrispondenza all’originale.
La Corte di Appello ha ritenuto sufficiente questa attestazione, ed ha anche tenuto conto della successiva produzione in giudizio dell’originale della procura alle liti, a dimostrazione della effettivita’ del mandato rilasciato al difensore.
Contro questa pronuncia, il ricorrente, oltre al ricorso per Cassazione, di cui ci si occupa, ha proposto un giudizio di revocazione- circostanza che nel ricorso e’ taciuta, ma che risulta dal controricorso- revocazione basata sulla asserita falsificazione della procura in cartaceo depositata successivamente, e conclusasi con il rigetto del ricorso e la conferma dalla genuinita’ dell’atto.
6. – Ora, dunque, i motivi sono due, su questo problema. Il primo motivo denuncia violazione degli articoli 125 e 156 c.p.c. e ritiene errata la ratio decidendi nella parte in cui ha ritenuto sufficiente l’attestazione di conformita’ degli atti notificati in formato pdf (ma con la dicitura pdf.p7m.pdf) e non rilevante la circostanza che non fossero sottoscritti.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione degli articoli 83 e 156 c.p.c. attribuendo alla decisione impugnata di avere erroneamente ritenuto sanante il deposito dell’originale della procura alle liti, non considerando che quella procura tardiva significava che, al momento della proposizione dell’appello, conseguentemente, non v’era alcun mandato a favore degli avvocati, e che quindi la sanatoria non poteva operare.
7. – Il primo motivo e’ infondato.
Quanto alla necessita’ che gli atti notificati in via telematica, formati in PDF, ossia per scansione degli originali, debbano essere sottoscritti, e’ principio di diritto che “il ricorso per cassazione in origine analogico, successivamente riprodotto in formato digitale ai fini della notifica telematica L. n. 53 del 1994, ex articolo 3-bis, munito dell’attestazione di conformita’ all’originale, non richiede la firma digitale dei difensori (che, invece, deve essere presente in calce alla notifica effettuata a pezzo PEC), perche’ e’ sufficiente che la copia telematica rechi la menzionata attestazione di conformita’, redatta secondo le disposizioni vigenti “ratione temporis”, non assumendo peraltro rilievo l’estensione del file “pdf.p7m.pdf” (Cass. 23951/ 2020; Cass. 19434/ 2019; Cass. N. 30927/2018, Cass. Sez. U. n. 10266/2018).
Cio’ che vale per il ricorso per Cassazione, puo’ ovviamente essere predicato per ogni altra impugnazione, e comunque di certo per l’atto di appello, per la cui validita’ e’ dunque sufficiente, in caso di notifica telematica in copia scansionata, che ci sia l’attestazione di conformita’, e che le copie di cui e’ fatta scansione siano depositate in cancelleria: adempimento quest’ultimo che risulta effettuato dalla parte.
8. L’infondatezza del primo motivo determina l’assorbimento del secondo motivo: una volta che sia stata riconosciuta l’idoneita’ dell’attestazione di conformita’, la questione posta con riferimento alla produzione della procura cartacea in sede di udienza di precisazione delle conclusioni, da cui discenderebbe la posteriorita’ rispetto all’appello del rilascio della procura, e’ da intendere assorbita.
9. – Il terzo motivo denuncia violazione degli articoli 1227 e 2051 c.c. oltre che dell’articolo 2697 c.c..
Secondo il ricorrente, la Corte avrebbe innanzitutto errato quanto alla ripartizione dell’onere della prova, non tenendo conto che quella a suo carico, vale a dire quella relativa al causale, era stata adeguatamente fornita, e che dunque null’altro doveva essere provato a dimostrazione della responsabilita’ del Comune. A supporto di tale censura si fa presente come la prova del nesso di causalita’ sia emersa dalla testimonianza escussa.
Il motivo e’ inammissibile.
La ratio della decisione impugnata e’ nel senso che la cosa in custodia, ossia la scalinata, non ha giocato alcun ruolo attivo nella produzione del danno e che dunque non e’ dimostrato il nesso di causalita’ tra il ruolo della cosa in custodia, il cosiddetto dinamismo di quest’ultima, ed il danno subito dal ricorrente, con la conseguenza che non si puo’ attribuire alla Corte di avere invertito erroneamente l’onere della prova, attribuendo al danneggiato dimostrazione di elementi della fattispecie ulteriori rispetto a quelli che e’ in suo onere provare.
In sostanza, la Corte, preso atto che il nesso di causalita’ tra la custodia della cosa ed il danno, e’ a carico del danneggiato, ha ritenuto non assolto tale onere per via della omessa dimostrazione che la cosa possa avere avuto un qualche ruolo causale nella determinazione del pregiudizio lamentato.
Il ricorrente, a ben vedere, contesta questo giudizio, nel senso che ritiene di avere invece dimostrato, soprattutto mediante la prova per testi, che la caduta è avvenuta per una omessa custodia della cosa, consistente nella situazione di fatto determinatasi dopo i lavori.
Si tratta pero’ di un giudizio di fatto, ed in particolare di apprezzamento del risultato della prova, che non puo’ essere censurato in questa sede nei termini in cui lo ha fatto il ricorrente, ossia richiedendo una rivalutazione di quel fatto in maniera diversa.
10. – Il ricorso va pertanto respinto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, con assorbimento del secondo motivo. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese legali nella misura di 2800,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese generali. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, la Corte da’ atto che il tenore del dispositivo e’ tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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