L’azione revocatoria non può essere esercitata nei confronti delle delibere di società di capitali aventi efficacia endosocietaria

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|3 marzo 2023| n. 6384.

L’azione revocatoria non può essere esercitata nei confronti delle delibere di società di capitali aventi efficacia endosocietaria

L’azione revocatoria non può essere esercitata nei confronti delle delibere di società di capitali aventi efficacia endosocietaria, trattandosi di atti privi di effetti esterni sulla garanzia patrimoniale generale della società, rispetto ai quali la normativa di riferimento contempla specifiche ipotesi di tutela dei terzi. (Nella specie, la S.C., decidendo nel merito, ha rigettato la domanda ex art. 2901 c.c. avente ad oggetto la delibera modificativa dello statuto di una società consortile con la quale l’obbligo, per i soci, di rimborsare annualmente, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione al capitale, il sopravanzo delle spese rispetto ai ricavi era stato sostituito dalla mera possibilità di operare in tal senso, in virtù di apposita delibera assembleare).

Sentenza|3 marzo 2023| n. 6384. L’azione revocatoria non può essere esercitata nei confronti delle delibere di società di capitali aventi efficacia endosocietaria

Data udienza 16 novembre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Società di capitali – Statuto – Delibere modificative – Atti endosocietari – Azione revocatoria ex art. 2901 c.c.- Esercizio – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 33434-2019 proposto da:
(OMISSIS) S.r.l. e (OMISSIS) S.n.c. di (OMISSIS) e Fratelli in Liquidazione, elettivamente domiciliate in Roma Via Ulpiano 29 presso lo studio dell’avvocato Capaldo Carolina, rappresentate e difese dagli avvocati Ippolito Giovanni e Lubrano Di Scorpaniello Manlio;
-ricorrenti –
contro
(OMISSIS) S.p.A., (OMISSIS) S.r.l., (OMISSIS) di (OMISSIS) e (OMISSIS) S.n.c., (OMISSIS) in proprio e nella qualita’ di Liquidatore pro tempore della cessata societa’ (OMISSIS), (OMISSIS) S.r.l., (OMISSIS) S.p.A., (OMISSIS) S.r.l.;
nonche’ contro
Fallimento (OMISSIS) in persona del Curatore, elettivamente domiciliato in Roma Via Tuscolana, 16 presso lo studio dell’avvocato Caravella Lorenzo, rappresentato e difeso dall’avvocato Rubino De Ritis Massimo;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 2602-2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 15/5/2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/11/2022 dal Consigliere CHIARA GRAZIOSI.

L’azione revocatoria non può essere esercitata nei confronti delle delibere di società di capitali aventi efficacia endosocietaria

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione del 26 luglio 2010 (OMISSIS) S.r.l. e (OMISSIS) convenivano davanti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (OMISSIS) s.c.p.a. e i suoi soci (OMISSIS) S.p.A., (OMISSIS) s.n.c. di (OMISSIS) e fratelli, (OMISSIS) S.r.l., (OMISSIS) S.r.l., (OMISSIS) S.r.l., (OMISSIS) S.p.A., (OMISSIS) S.r.l., (OMISSIS) S.r.l. e (OMISSIS) di (OMISSIS) e (OMISSIS) affinche’, ai sensi dell’articolo 2901 c.c., nei confronti degli attori fosse dichiarata inefficace la delibera adottata dall’assemblea straordinaria della convenuta societa’ consortile il 27 ottobre 2009 nella parte in cui aveva modificato l’articolo 31.1 del suo statuto sostituendo all’obbligo dei soci di pagare lo sbilancio annuale di esercizio la mera possibilita’ di rimborsarlo.
Precisamente, l’articolo 31.1 dello statuto di (OMISSIS) s.c.p.a. all’origine prevedeva che “i partecipanti rimborsano annualmente alla societa’, proporzionalmente alle rispettive quote di partecipazione al capitale, le spese del suo funzionamento nella misura in cui queste superino l’ammontare dei ricavi/proventi di competenza dell’esercizio medesimo in modo che l’esercizio si chiuda senza perdite”, e con la delibera del 27 ottobre 2009 era stato, modificato nel senso che “i partecipanti possono deliberare in assemblea di rimborsare annualmente alla societa’ proporzionalmente alle rispettive quote di partecipazione al capitale”.
Si costituivano (OMISSIS) s.c.p.a., (OMISSIS) S.p.A., (OMISSIS) s.n.c., (OMISSIS) S.r.l., (OMISSIS) di (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) S.p.A., (OMISSIS) S.r.l. e (OMISSIS) S.r.l., tutti resistendo.
Nelle more del giudizio (OMISSIS) s.c.p.a. falliva, con conseguente interruzione; la causa veniva riassunta dalla curatela fallimentare che subentrava agli originari attori nell’esercizio dell’azione pauliana.
Con sentenza del 21 settembre 2015 il Tribunale accoglieva la domanda revocatoria ordinaria e pertanto dichiarava inefficace nei confronti del Fallimento (OMISSIS) s.c.p.a. la delibera in questione.
Avendo proposto appello (OMISSIS) S.p.A., (OMISSIS) s.n.c., (OMISSIS) S.r.l., (OMISSIS) S.r.l. divenuta (OMISSIS) S.r.l. nonche’ (OMISSIS) di (OMISSIS) e (OMISSIS), ed essendosi costituito il Fallimento (OMISSIS) s.c.p.a. resistendo, la Corte d’appello di Napoli rigettava il gravame con sentenza del 15 maggio 2019.
2. Hanno presentato ricorso, articolato in quattro motivi, (OMISSIS) s.n. c in liquidazione e (OMISSIS) S.r.l.; il Fallimento (OMISSIS) s.c.p.a. si e’ difeso con controricorso. Il Procuratore Generale ha presentato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
Sia i ricorrenti, sia il controricorrente hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo si denuncia, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 2365, 2615 ter, 2901 c.c. e 66 L. Fall., per irrevocabilita’ della delibera di modifica statutaria.
3.1 Si osserva che, in difetto di precedenti, e’ “della massima importanza stabilire se una delibera di assemblea straordinaria, modificativa di uno statuto, sia revocabile o meno”, in quanto le conseguenze pratiche di una soluzione positiva verrebbero a minare radicalmente sia i “principi di autonomia statutaria e di collegialita’ delle volonta’ trasfuse nelle delibere assembleari”, sia la stabilita’ degli atti societari che il legislatore evidentemente persegue.
I giudici di merito – peraltro “senza particolare approfondimento” – hanno accolto la tesi attorea nel senso che si tratterebbe di un atto di disposizione del patrimonio a contenuto abdicativo in forma di rinuncia a un credito sociale nei confronti dei soci. Ad avviso dei ricorrenti, occorrerebbe in via pregiudiziale “dare risposta ad un quesito di carattere generale, vale a dire se una delibera modificativa dello statuto di una societa’ di capitali, ancorche’ consortile, possa astrattamente rientrare nel “genus” degli atti dispositivi” sui quali sia esercitabile l’azione pauliana.
Mai si sarebbe finora dubitata l’irrevocabilita’ della delibera assembleare, stimando revocabili “al massimo gli atti di esecuzione della stessa”. “Lo sviamento logico” in cui sarebbe incorso il giudice d’appello, e che lo avrebbe condotto a una decisione erronea, sarebbe l’aver considerato solo “il versante degli effetti potenzialmente (ossia, in senso lato e di mera possibilita’) pregiudizievoli della deliberazione per i creditori sociali”: si tratterebbe di “un’impostazione parziale e non corretta, poiche’ l’articolo 2901 c.c. adopera la nozione di “atti di disposizione”” e sarebbe questa “a dover essere precisata e circoscritta”. Vale a dire, occorrerebbe anzitutto “stabilire se l’atto di cui si chiede la revoca abbia effettivamente natura dispositiva”, solo dopo una soluzione in tal senso verificandone poi gli “effetti per i creditori” del disponente.
3.2 Dispositivo dovrebbe qualificarsi l’atto che impegna il patrimonio del debitore (Cass. 11051-2009); la dottrina avrebbe pero’ allertato da una “perversa” qualificazione di revocabilita’ che investirebbe quindi tutti gli atti del debitore con contenuto patrimoniale. E se non sarebbe sostenibile “escludere in assoluto che le modifiche statutarie abbiano effetti sul patrimonio sociale, sui diritti e sulle aspettative legittime dei creditori sociali” (come invece accade per la riduzione del capitale, la fusione, la trasformazione o la scissione), dovrebbe comunque in tali casi essere la legge a riconoscere a priori il possibile pregiudizio per i creditori sociali prevedendo pertanto il diritto di opposizione. Quanto alle altre delibere dell’assemblea sociale, pure il loro oggetto illecito o impossibile potrebbe ledere i creditori, che sarebbero dunque legittimati, se portatori di un interesse qualificato, a farle dichiarare nulle entro tre anni, salvo il minor termine ex articolo 2434 bis c.c. per le delibere di approvazione del bilancio di esercizio.
La “specialita’ del diritto societario” si rifletterebbe altresi’ sul sistema delle impugnazioni delle delibere, ripartibili in tre forme distinte: a) l’opposizione dei creditori alla riduzione volontaria del capitale sociale, alla fusione e alla scissione, cioe’ alle “operazioni direttamente lesive” dei loro diritti; b) l’impugnativa di nullita’ ai sensi degli articoli 2379 e 2379 ter c.c., poiche’ nelle ipotesi previste da tali norme chiunque sia interessato, inclusi appunto i creditori sociali, e’ legittimato a impugnare la delibera; c) l’annullabilita’ di cui all’articolo 2377 c.c., riservata “ai soci dotati delle soglie di possesso azionario prescritte o alle Autorita’ di vigilanza”. Ogni classe riceverebbe quindi dal legislatore una specifica tutela, e non sarebbe “casuale l’intensita’ dei diversi rimedi, graduati in ragione della potenzialita’ pregiudizievole dell’atto societario per i creditori”, al di fuori di tali fattispecie non risultando ammissibile “un’ulteriore azione che possa privare di effetti, ex articolo 2901 c.c., anche relativamente ad alcuni soggetti soltanto, le delibere di modifica statutaria”; le quali, d’altronde, “a conferma della tutela rafforzata che la legge predispone per la stabilita’ degli atti societari”, sono sempre assoggettate a pubblicita’ nel registro delle imprese, “e con la stessa efficacia costitutiva dell’atto costitutivo originario”.
3.3 Non sarebbe inoltre casuale l’inesistenza di un’azione impugnatoria con termine prescrizionale di cinque anni, cioe’ superiore a quello relativo all’impugnazione per nullita’ – tre anni ex articolo 2379 c.c. -, “e con l’unica eccezione dell’azione di nullita’ della delibera che modifichi l’oggetto sociale prevedendo attivita’ illecite o impossibili, la cui imprescrittibilita’ si lega alla natura imperativa delle norme violate”.
La non esperibilita’ dell’azione pauliana sulla delibera assembleare di modifica dell’atto costitutivo o dello statuto sarebbe dunque “genetica”, in quanto lo statuto e le delibere di modifica sarebbero atti organizzativi della persona giuridica, della sua struttura e dei rapporti con i soci, id est “atti di contenuto totalmente o prevalentemente normativo e a rilevanza interna”, con effetti esterni solo indiretti tranne le operazioni straordinarie della riduzione volontaria del capitale sociale, della fusione e della scissione, gia’ considerate sub a), per cui l’ordinamento offre una specifica tutela ai creditori.
3.4 Nella formazione della volonta’ della persona giuridica mediante la delibera assembleare sussisterebbe una “tensione dialettica” tra il fatto che la delibera “appartiene” alla persona giuridica per imputazione organica – e percio’ vanta un’efficacia obbligatoria ex articolo 2377, comma 1, c.c. per tutti i soci – e il fatto che la formazione viene raggiunta attraverso il principio maggioritario, mediante i “quorum costitutivi e deliberativi fissati dalla legge”, cosi’ che l’unico atto di volonta’ si “distacca” da chi ha votato a favore di tale delibera.
Una siffatta dicotomia contrasterebbe con i presupposti dell’azione revocatoria, dove esistono un autore dell’atto, cioe’ il debitore, e uno o piu’ beneficiari, mentre per la delibera assembleare l’autrice e’ la societa’ – “persona giuridica solo in virtu’ della fictio iuris dell’imputazione organica” -, per cui “autori e beneficiari dell’atto piu’ che coincidere si sovrappongono, in quanto gli autori materiali sono i soci votanti in senso favorevole, mentre beneficiari ne sono tutti i soci”. Per i principi della maggioranza e dell’obbligatorieta’ di cui all’articolo 2377, comma 1, c.c. ne deriverebbe allora una “conseguenza quasi grottesca”, nel senso che “la delibera revocata dovrebbe essere dichiarata con sentenza inefficace sia verso chi l’ha adottata votando a favore (se si dimostra la scientia damni e il consilium o partecipatio fraudis), sia verso tutti gli altri, persino chi abbia votato contro”, essendo tutti i soci destinatari degli effetti della delibera “a prescindere dagli stati cognitivi e psicologici individuali”.
3.5 Tutto questo non sarebbe stato vagliato dalla corte territoriale, nonostante la relativa eccezione di inammissibilita’ dell’azione sollevata dagli odierni ricorrenti fin dal primo grado e riproposta in appello, e nonostante altresi’ che il secondo giudice avesse manifestato di aver chiari i termini giuridici del gravame, subito rilevando che “la questione posta… ha ad oggetto l’ammissibilita’ dell’azione revocatoria ordinaria della delibera straordinaria di modifica dello statuto sociale”.
Sul punto, il giudice d’appello si sarebbe pero’ limitato ad una disamina dell’articolo 2615 ter, comma 2, c.c., per dedurne che tale norma, consentendo che l’atto costitutivo preveda l’obbligo dei soci di versare contributi in denaro, rende valide le clausole di ripianamento delle perdite, questione pacifica e in questa sede irrilevante: nessuno avrebbe mai messo in dubbio la validita’ dell’articolo 31.1 dello statuto, l’attore pauliano avendo piuttosto prospettato la modifica come il “frutto di un’intenzione lesiva per i creditori sociali”. Di qui “l’errore di diritto della sentenza, per radicale sviamento dal percorso logico-giuridico corretto di soluzione del tema pregiudiziale posto” con totale omissione di risposta al motivo d’appello, risposta che avrebbe dovuto consistere nel riconoscere la “radicale inammissibilita’ dell’azione revocatoria di una delibera assembleare di modifica statutaria”.
4. Con il secondo motivo si denuncia, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullita’ della sentenza e del procedimento in relazione agli articoli 102 c.p.c., 2901 c.c. e 66 L.F. nonche’ all’articolo 2348 c.c., e violazione dell’integrita’ del contraddittorio-litisconsorzio necessario.
Si premette che il primo motivo e’ assorbente, per cui il secondo va esaminato in subordine, cioe’ qualora si ritenga ammissibile l’azione ex articoli 2901 c.c. e 66 L.F. “avverso la delibera assembleare di modifica dello statuto, per la quale non sia ammessa l’opposizione dei creditori o l’impugnativa di nullita’”.
4.1 Si osserva che sono litisconsorti necessari nell’azione revocatoria gli autori dell’atto, cioe’ il debitore-disponente e il terzo beneficiario; e di recente Cass. 13593-2019 ha ribadito per l’azione pauliana il litisconsorzio necessario di creditore, debitore alienante e terzo acquirente, onde nel caso in cui il giudizio non sia stato introdotto nei confronti di tutte le parti necessarie o la sentenza sia stata impugnata solo avverso alcune di esse occorre integrare il contraddittorio verso le parti necessarie pretermesse. Pertanto, se si ritiene revocabile la modifica statutaria si dovrebbero identificare tali parti.
Inoltre, qui “l’azione nasce come revocatoria “singolare” ex articolo 2901 c.c., ma poi, dopo il subentro della curatela nella posizione degli attori, assume lo speculare connotato “concorsuale” attribuitole dall’articolo 66 L. Fall.”: e la giurisprudenza di legittimita’ insegna che il curatore subentrante accetta la causa nello stato in cui si trova, e pure in appello e’ sufficiente che si costituisca dichiarando di far propria l’azione revocatoria per obbligare il giudice a pronunciare su di essa nei confronti dell’intera massa dei creditori. La peculiarita’ dell’azione ex articolo 66 L.F. comporta che il convenuto, una volta fallito, si trasforma in attore mediante il curatore, cio’ invertendo pure “le difese e le conclusioni”.
Sarebbe pertanto inaccettabile che il giudice d’appello non abbia rilevata la questione della integrita’ del contraddittorio, la quale sarebbe pregiudiziale, “al fine tanto di evidenziare l’esistenza di un litisconsorzio necessario, quanto di definirne il perimetro soggettivo”. Sussisterebbe in effetti il litisconsorzio necessario, considerata l’imputazione di responsabilita’ dell’approvazione della delibera assembleare, che diverrebbe atto della societa’ “dopo aver raggiunto in assemblea il consenso della prescritta maggioranza del capitale sociale”. E nel caso de quo, sopravvenuto il fallimento, proprio la curatela ha riassunto la causa ai sensi dell’articolo 66 L. Fall., replicando senza variazioni la domanda originariamente introdotta da due creditori della societa’ consortile, cosi’ rendendo i soci litisconsorti necessari “quali coautori e “beneficiari””.
Legittimati passivi dell’azione revocatoria non potrebbero infatti essere che quelli che hanno agito e i beneficiari.
Quanto a quelli che hanno agito, trattandosi di una revoca di delibera assembleare ricorrerebbe “l’anomalia rappresentata da una sorta di duplice “interversione soggettiva”, perche’ da un canto l’ex convenuto (fallito) diventa attore (il curatore), e dall’altro verrebbero a mancare gli autori dell’atto, visto che il curatore “nega” l’efficacia della modifica statutaria per accrescere in prospettiva l’attivo aggredibile a favore della massa creditoria”.
Riguardo poi ai beneficiari, trattandosi di revoca di una delibera modificante con efficacia reale lo statuto della societa’, dovrebbero convenirsi tutti i soci, “per una non trascurabile esigenza di giustizia sostanziale”, ma soprattutto per la necessaria “parita’ di trattamento degli azionisti, ai sensi del combinato disposto della Cost., articoli 3 e 2348, commi primo e terzo, c.c.”.
Da tutto questo emergerebbe un “radicale difetto di contraddittorio”, per cui, se si superasse il primo motivo di ricorso ritenendo in astratto revocabile una delibera assembleare modificativa dello statuto, il contraddittorio instaurato nei precedenti gradi sarebbe “insufficiente sul piano soggettivo”, con conseguente nullita’ del processo fin dal primo grado.
4.2 Si potrebbe discutere se litisconsorti necessari siano tutti i soci – poiche’ per tutti vale la modifica statutaria – oppure, sul piano “naturalistico o materiale”, solo i soci che in assemblea hanno votato a favore della delibera; ad avviso dei ricorrenti, dovrebbero chiamarsi nel contraddittorio processuale tutti i soci in quanto “tutti i destinatari dell’efficacia dell’atto revocando” ex articolo 2377, comma 1, c.c. D’altronde, vista la natura collegiale dell’atto, non sarebbero individuabili ne’ separabili le singole volonta’ dei soci che hanno votato e gli stati soggettivi “con le informazioni e le motivazioni sottostanti al voto” di ognuno di essi. Pertanto non si potrebbero imputare scientia damni e consilium fraudis alla societa’ per “la natura intrinseca dell’atto collegiale assembleare”, essendole al piu’ imputabili gli atti di gestione degli amministratori che abbiano rilevanza esterna.
In alternativa si potrebbe ritenere che “il contraddittorio processuale debba essere instaurato, nel rispetto dell’articolo 102 c.p.c., in una prospettiva “naturalistica””, cioe’ convenendo soltanto i soci che hanno votato favorevolmente alla delibera come suoi autori materiali. La delibera assembleare sarebbe infatti atto interno della persona giuridica che ne subira’ poi gli effetti, ma in concreto sarebbe assunta dai soci con maggioranze qualificate previste dalla legge o dallo statuto. Questa riduzione del litisconsorzio necessario potrebbe giustificarsi con la necessita’ della prova dell’elemento soggettivo richiesto dall’articolo 2901 c.c., che certo investirebbe i soci presenti e votanti a favore della modifica statutaria. Il che peraltro non sarebbe mai stato perseguito davanti ai giudici di merito, pur essendo stata proposta la relativa eccezione in primo grado dagli odierni ricorrenti; e comunque cio’ sarebbe rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado in quanto attinente alla regolare costituzione del contraddittorio.
4.3 Invero sarebbe “indispensabile accertare, nell’azione revocatoria ordinaria, ancorche’ esercitata in sede fallimentare, l’esistenza dei presupposti soggettivi di ordine cognitivo” negli “autori” dell’atto revocando, essendo impossibile imputare alla societa’, quale persona giuridica, “gli stati soggettivi e cognitivi riguardanti l’assunzione di delibere da parte del proprio organo assembleare”. Il giudice d’appello, tuttavia, tace sull’accertamento dei presupposti soggettivi di revocabilita’, dando quindi per scontato che sussistessero in capo agli attuali ricorrenti, con implicita e scorretta applicazione del principio di efficacia vincolante e generale verso i soci della delibera assembleare modificativa dello statuto (articolo 2377, comma 1, c.c.). Anche tale principio, pero’, esigerebbe l’applicazione del litisconsorzio necessario: l’efficacia legale verso tutti i soci della delibera assembleare, derivata dalla natura collegiale della volonta’ espressa, dovrebbe valere pure sul piano processuale, imponendo, se non il rigetto della domanda per difetto di contraddittorio e violazione dell’articolo 102 c.p.c., almeno l’integrazione del contraddittorio stesso ex articolo 107 c.p.c., “perche’ l’inefficacia di una delibera assembleare, ex lege vincolante per tutti i soci, deve essere pronunziata soltanto dopo aver convenuto in giudizio tutti i soci”. La necessiàdel litisconsorzio emergerebbe “fin dalla citazione originaria dei due creditori ex articolo 2901 c.c., perche’ il litisconsorzio si determina sulla base dei “beneficiari” o “aventi causa” dell’atto”, ma si sarebbe definitivamente radicato una volta divenuta concorsuale l’azione ai sensi dell’articolo 66 L. Fall., per cui sarebbe “inconcepibile” che l’inefficacia dell’atto rimanga circoscritta solo “ad alcuni, peraltro pochissimi, soci”.
4.4 Infondata sarebbe poi la tesi degli originari creditori promotori dell’azione e fatta propria dalla curatela fallimentare, cioe’ che il creditore agente in forza dell’articolo 2901 c.c. avrebbe il diritto di non convenire tutti i soci ma solo una parte di essi per ottenere la dichiarazione di inefficacia nei confronti di questi ultimi: tesi contrastante, a tacer d’altro, con la natura della delibera statutaria, che inevitabilmente ha efficacia nei confronti di tutti i soci, onde nei confronti di tutti i soci dovrebbe essere revocata, se la revoca fosse ammissibile. La parziarieta’ avrebbe senso solo nell’azione surrogatoria, qui non promossa e oramai decaduta con il fallimento.
5. Con il terzo motivo si denuncia, in riferimento all’articolo 360, comma 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 2901 c.c..
Ancor piu’ in subordine rispetto ai precedenti motivi, si lamenta un errore di diritto che si manifesterebbe in ordine alla carenza degli elementi probatori minimi a sostegno della decisione.
5.1 In termini di fatto sarebbe pacifico che gli attuali ricorrenti non avevano partecipazioni sufficienti per determinare la maggioranza necessaria ai fini dell’approvazione nell’assemblea del 27 ottobre 2009, coprendo soltanto il 4,20% del capitale sociale; ed essendo una societa’ consortile per azioni, il quorum deliberativo di seconda convocazione, come quella del 27 ottobre 2009 (cosi’ risulta dal verbale assembleare a pagina 3, non essendo stato depositato lo statuto), sarebbe quanto meno quello dell’articolo 2369, comma 3, c.c., oltre cinque volte superiore alla quota degli attuali ricorrenti, e superiore altresi’ della somma totale delle azioni possedute da tutti i soci convenuti nel giudizio di primo grado.
D’altronde la parte attrice non avrebbe dimostrato neppure che i ricorrenti avessero partecipato all’assemblea, in cui era presente soltanto il 67,11% del capitale. L’eventuale voto favorevole dei ricorrenti all’approvazione della delibera revocanda non avrebbe neanche potuto essere determinante.
Ne consegue che non sarebbe stata mai provata in capo agli attuali ricorrenti la sussistenza degli stati soggettivi rilevanti per l’azione revocatoria, cioe’ scientia damni e consilium fraudis.
5.2 Se poi gli attuali ricorrenti fossero stati presenti di persona e non per delega, “per scrupolo di completezza” si rileva che non sarebbe loro imputabile lo stato soggettivo dell’eventuale delegato. Il relativo onere probatorio era degli attori, che non avrebbero nemmeno prodotto documenti oltre al bilancio del 31 dicembre 2009 e “alcune dichiarazioni del Presidente dell’assemblea, estrapolate dal piu’ ampio contesto… e quindi distorte nel loro reale significato”. D’altronde il bilancio, “che in ogni caso si riferisce ad un esercizio chiuso due mesi dopo l’adozione della delibera”, mostrerebbe un patrimonio netto al 31 dicembre 2009 ancora largamente positivo, da cui non sarebbe quindi possibile desumere ne’ la consapevolezza di una prossima insolvenza ne’ sospetti sulle modifiche dello statuto; e per le dichiarazioni del Presidente dell’assemblea si rimanda al successivo motivo.
6. Con il quarto motivo si denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 1236 e 1362 ss. c.c..
Sarebbe incorso in un errore giuridico il giudice d’appello accogliendo la tesi attorea nel senso che la modifica dell’articolo 31.1 dello statuto sociale varrebbe come rinuncia ad un diritto di credito.
6.1 I verbale assembleare dimostrerebbe invece che “l’intenzione all’interno della quale avvenne la modifica… era molto piu’ ampia, essendo il suo “punto focale”… consentire, proprio per ripianare i debiti, la vendita dei moduli anche a non soci”, disponendo in tal senso la modifica di ben sette articoli dello statuto: la vendita dei “moduli” immobiliari del complesso anche a 9 non soci sarebbe stata proprio per “far cassa” e ripianare i debiti. Essendo l’attivita’ di (OMISSIS) la gestione delle spese di funzionamento di due centri di attivita’ orafa, in futuro la ripartizione degli oneri cosi’ sarebbe stata “su base “condominiale” da tutti i proprietari di immobili, e non piu’ “consortile” ai soli soci”, per cui la modifica dell’articolo 31.1 sarebbe stata consequenziale a quella dell’articolo 6 dello statuto, come si evincerebbe dall’illustrazione a verbale del Presidente dell’assemblea.
6.2 Peraltro in sede di legittimita’ la questione sarebbe diversa e vertente “sul significato giuridico oggettivo della norma statutaria prima e dopo la modifica”.
Il testo originario dello statuto non avrebbe previsto un diritto di credito surrogabile dai creditori sociali e la sua modifica non avrebbe apportato alcuna rinuncia, per la quale essenziale sarebbe stata l’efficacia estintiva del credito, che il testo modificato non includerebbe: sostituendo al verbo “rimborsano” l’espressione “possono deliberare il rimborso” il nuovo dettato non avrebbe “soppresso il diritto… ma modificate le condizioni di esercizio del credito della societa’ verso i soci”, credito “la cui nascita resta sempre subordinata all’approvazione del bilancio”, rimanendo quindi un potere della societa’, necessitante “di un’apposita ulteriore deliberazione” per essere esercitato.
Dunque, “in via subordinata a tutti i precedenti motivi”, si nega la lesione dei diritti dei creditori sociali poiche’ un’ingiustificata inerzia della societa’, approvato il bilancio e in presenza di perdite, nel deliberare la ripartizione delle perdite tra i soci pro quota rendeva comunque esercitabile l’azione surrogatoria dei creditori. Infatti, a partire da Cass. 11151-1995, la giurisprudenza di legittimita’ afferma che “e’ immanente anche nei rapporti sociali il dovere di esecuzione del contratto secondo buona fede”, il che, nel caso de quo, “si sarebbe tradotto nel dovere dell’assemblea di deliberare, una volta approvato il bilancio annuale in perdita, pure il rimborso da parte dei soci delle perdite pro quota, in adempimento dello statuto”: e in difetto di tale delibera l’azione surrogatoria dei creditori sarebbe stata “ancor piu’ chiaramente esprimibile” che secondo la previgente formulazione dell’articolo 31.1, “essendo facilmente verificabili dal Giudice entrambi i presupposti, ovvero la presenza di un bilancio di esercizio in perdita approvato (fatto generativo) e la susseguente mancata approvazione della delibera di ricorso alla facolta’ dell’articolo 31.1 dello statuto (inadempimento)”. Quindi dovrebbe escludersi che la modifica statutaria abbia estinto il debito del socio verso la societa’.
7. Esaminando allora il primo motivo, per meglio comprenderlo e’ opportuno prendere le mosse dalla posizione interpretativa adottata dalla Corte d’appello di Napoli nell’impugnata sentenza per disattendere le analoghe censure presentate nel gravame.
7.1 Osserva la corte che, “secondo la piu’ attenta dottrina, nella fattispecie della societa’ consortile si concretizza la commistione tra la struttura organizzativa propria di uno dei tipi societari e la funzione propria dei consorzi con attivita’ esterna e, per quanto gli scopi consortili non trovino un’espressa enunciazione nell’articolo 2602 c.c., richiamato dall’articolo 2615 ter comma 1, si ritiene che l’obiettivo tipico avuto di mira dai consorziati… sia quello di trarre un vantaggio mutualistico, ossia un beneficio economico dipendente dalla fase del ciclo produttivo che gli imprenditori consorziati, anziche’ svolgere individualmente, affidano alla comune gestione consortile… L’opzione, pero’, per la forma giuridica di societa’ capitalistica, per azioni, come nella specie, implica la sottoposizione della relativa disciplina, dovendo, quindi, trovare applicazione le regole per essa dettate dal codice civile”.
Sin qui, nulla incide a favore della decisione assunta dal giudice d’appello: non vi e’ stata infatti alcuna contestazione che la societa’ consortile, nel caso in esame, sia disciplinata quale societa’ per azioni, gli appellanti come gli attuali ricorrenti traendo al contrario argomenti proprio dalla natura del soggetto nei cui confronti, quale debitore, e’ stata – a loro avviso erroneamente – esercitata l’azione pauliana.
Peraltro, e’ innegabile che nel contratto di societa’ consortile ex articolo 2615 ter c.c. stipulato da imprenditori il “vantaggio mutualistico” – rectius, reciproco, come e’ proprio di ogni contratto a prestazioni corrispettive – consiste in “un beneficio economico” per gli imprenditori che ne assumono il ruolo di soci consorziati, in quanto la “organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese” indicata dall’articolo 2602, comma 1, c.c. e’ strumento non meramente diretto a una facilitazione in se’, bensi’ organizzato e condiviso per ridurre specifici costi nell’attivita’ di impresa. Nell’assoggettamento alle norme societarie non vi e’ dunque alcuna contrapposizione nei confronti di una tale ratio consortile: norme societarie la cui specifica introduzione in questo meccanismo economico a priori di quello giuridico – come usualmente avviene ove c’e’ impresa -, costituisce, naturalmente, anche tutela del rischio imprenditoriale.
7.2 A questo punto la corte territoriale “mette in gioco” il comma 2 dell’articolo 2615 ter c.c., che per la fattispecie di societa’ consortile dispone: “In tal caso l’atto costitutivo puo’ stabilire l’obbligo dei soci di versare contributi in denaro”.
Osserva la corte che cio’ “rappresenta un’eccezione rispetto alla disciplina societaria altrimenti applicabile, concedendosi da parte del legislatore all’autonomia statutaria dei soci di societa’ consortili quel che non e’ concesso all’autonomia statutaria dei soci di societa’ lucrative, in cui essi sono obbligati solo ai conferimenti iniziali”; e “se i corrispettivi richiesti ai partecipanti in occasione dello scambio mutualistico dovessero rivelarsi insufficienti ex post si determinera’ uno squilibrio per colmare il quale viene introdotto statutariamente l’obbligo contributivo che e’ finalizzato proprio al ripianamento del deficit della gestione mutualistica”.
Anche questo rilievo, tuttavia, non incide in realta’ sulla tematica della presente causa, in quanto concerne uno specifico ma del tutto eventuale contenuto dell’atto costitutivo, mentre l’azione pauliana sarebbe, ad avviso del giudice d’appello, uno strumento generale ineludibile per impedire nei confronti dei creditori della societa’ gli effetti pregiudizievoli di una posteriore modifica dello statuto sociale. Del raffronto/contrasto tra esterno ed interno dell’area giuridica in cui si muove una societa’ – anche consortile – di capitali, che subito riemerge come nucleo del thema decidendum, e’ peraltro consapevole la corte territoriale, la quale subito dopo intende trattarlo nella modalita’ seguente: “Tuttavia l’assenza di responsabilita’ esterna dei partecipanti che caratterizza I societa’ di capitali ed i consorzi con attivita’ esterna non e’ compatibile con l’assunzione di una illimitata responsabilita’ interna quale deriverebbe ad es. da una clausola contributiva che imponesse al socio o al consorziato di versare all’ente qualsiasi somma gli fosse richiesta, attraverso una delibera assembleare o di cda… una clausola di tal fatta non sarebbe compatibile con l’intento di limitazione del rischio, posto che il livello di responsabilita’ interna del socio non sarebbe in alcun modo predeterminato ed egli sarebbe pertanto sempre disposto ad un rischio illimitato sebbene nei confronti di un unico creditore ossia l’ente di appartenenza.
La dottrina e la giurisprudenza prevalenti ritengono, quindi, legittima la clausola statutaria che… commisuri l’entita’ dei contributi al totale delle perdite della gestione mutualistica in base ad un criterio oggettivo di partecipazione, in genere, e come nella specie avvenuto, sulla base del valore delle quote di partecipazione al capitale sociale; e la Suprema Corte ha ritenuto legittima la clausola che rimetteva agli amministratori oppure all’assemblea la facolta’ di porre a carico dei consorziati obblighi di ripianamento… sempreche’ si tratti di perdite o costi imputabili al bilancio della societa’ di guisa che l’obbligo del socio possa poi trovare nelle risultanze di quel bilancio la sua concreta determinazione… Da quanto detto si ricava che solo ai fini della cogenza del debito contributivo e per la sua concreta determinazione… sia necessario che deliberazione che lo sostituisca ma idonea a verificare la situazione finanziaria dell’ente, posto che l’obbligo sorge con la previsione statutaria”.
7.3 La corte territoriale, in questo percorso, cade rispetto alla logica, prima ancora che al diritto, per un immediato inciampo: dopo avere riconosciuto che “l’assenza di responsabilita’ esterna dei partecipanti… caratterizza le societa’ di capitali ed i consorzi con attivita’ esterna” – il che, a ben guardare, e’ ontologicamente l’ostacolo sistemico che dovrebbe superarsi nel caso in esame per l’azione pauliana -, si proietta immediatamente su quel che nel caso in esame puo’ rilevare soltanto se si apre appunto una breccia in tale barriera della responsabilita’ esterna, cioe’ sulla quantificazione della responsabilita’ dei soci rispetto alla perdita patita dalla societa’, pervenendo ad affermare che (e cio’ non e’ l’oggetto della discussione) detto quantum deve determinarsi mediante “un bilancio debitamente approvato” oppure mediante una delibera che sostituisca il bilancio ma sia comunque “idonea a verificare la situazione finanziaria dell’ente”, cioe’ idonea a raggiungere tale determinazione.
E allora, il giudice d’appello si dedica non all’an, nel senso della proponibilita’ dell’azione pauliana – che cosi’ come formulata toglierebbe lo schermo ai soci, e’ questo il punto -, bensi’ al quantum, ovvero al portato “recuperatorio” del suo esercizio, rendendo apoditticamente risolta in esito positivo, appunto, la questione della proponibilita’ dell’azione avverso una delibera interna di modifica dello statuto, in quanto sull’azione, cioe’ formalmente sul rapporto della societa’ consortile con suoi creditori che raggiunga un livello di concreta esigenza di tutela dei creditori, viene in sostanza a trasferire – con automatismo – il rapporto interno della societa’ con i soci. Afferma infatti che “la previsione dell’obbligo contributivo statutario unitamente alla emersione di perdite nell’esercizio sociale, gia’ pacificamente verificatesi alla data della delibera statutaria…, aveva sicuramente determinato l’insorgenza nel patrimonio della societa’ di una posizione creditoria avente ad oggetto gli obblighi dei soci al ripianamento delle perdite, nella concreta misura indicata in bilancio… La delibera di modifica statutaria si e’, quindi, effettivamente sostanziata in una rinuncia da parte della societa’ ai crediti gia’ sorti… come confermera’ il bilancio al 2009 approvato di li’ a pochi mesi che quantificava poi le perdite verso i soci debitori e quindi il quantum dei relativi crediti, che consente di affermare la sussistenza dell’eventus damni.”
Dunque, la corte territoriale compie un salto logico: prima di accertare – e con un’adeguata motivazione spiegare – la giuridica proponibilita’ dell’azione pauliana, ne accerta direttamente i requisiti sotto il profilo fattuale.
7.4 II giudice d’appello probabilmente coltiva, tuttavia, pure qualche dubbio, perche’ riapre subito dopo la questione, pur con un incipit che preventivamente enuncia la conferma della proponibilita’ dell’azione pauliana appena ammessa: “Il discorso non cambia qualora si accedesse alla prospettazione della difesa appellante secondo cui con la modifica statutaria in esame, comportando il passaggio da un regime di responsabilita’ dei soci per le perdite sociali, in proporzione delle rispettive quote sociali, ad un regime di irresponsabilita’ dei soci delle perdite sociali e, quindi, ad una modifica strutturale da societa’ consortile, avente causa mutualistica, ad una societa’ capitalistica, avente causa lucrativa, dovrebbe inquadrarsi come trasformazione eterogenea con conseguente applicabilita’ del relativo regime di disciplina cg tutela dei creditori sociali che assumono di essere pregiudicati dalla trasformazione, attraverso la previsione del diritto di proporre opposizione ai sensi dell’articolo 2500 novies c.c..
Difatti anche nel caso di trasformazione eterogenea di societa’, che ha avuto il proprio riconoscimento legislativo con la riforma societaria, essendosi sostituita, nell’intitolazione dell’articolo 2498 c.c., formulazione post-riforma del 2003, la locuzione piu’ ampia “Della trasformazione” a quella precedente “Della trasformazione della societa’”, con cio’ riferendosi non piu’ solo alla societa’ ma in generale all’ente trasformato, e’ stato ribadito l’effetto conservativo dell’istituto ossia la conservazione in capo alla societa’ trasformata dei diritti e degli obblighi anteriori alla trasformazione che pertanto, anche a seguito della trasformazione, vanno senz’altro riconosciuti in capo alla societa’.
Il diverso rimedio dell’opposizione dei crediti non si attaglia, poi, al tipo di tutela azionata nel presente giudizio, finalizzata alla conservazione della garanzia patrimoniale generica del debitore a fronte della sostanziale rinuncia della societa’ creditrice ad un’utilita’ economica gia’ maturata al 2009… ed evitare, quindi, la fuoriuscita dal patrimonio di detta utilita’ e il suo depauperamento in danno dei creditori, e non anche alla contestazione della trasformazione societaria in se’ considerata”.
A prescindere dalla non limpida strutturazione del primo periodo riportato, e’ sufficiente rilevare che questa ulteriore argomentazione ictu oculi non e’ pertinente rispetto alla questione della proponibilita’ dell’azione pauliana avverso una delibera di modifica statutaria di una societa’ consortile di capitali. Non e’ infatti sostenibile che la modifica della clausola statutaria 31.1 integro’ una trasformazione complessiva dell’ente, anziche’ diversamente calibrare un elemento gia’ presente nello statuto per la legge comunque non necessario, non essendo infatti un elemento costitutivo della species dell’ente, bensi’ una sua eventualita’, per quanto specifica – ut supra gia’ si e’ rilevato a proposito del testo dell’articolo 2615 ter, comma 2, c.c. -.
7.5 La motivazione della sentenza impugnata altro poi non aggiunge sul problema della compatibilita’ dell’azione pauliana con la fattispecie in esame, spendendo, per concluderli-, soltanto alcuni rilievi di natura fattuale in ordine alla “sussistenza della scientia damni in capo ai soci debitori all’atto della modifica statutaria”.
8.1 Nel complesso, dunque, la corte territoriale, pur avendola almeno in parte percepita, ha schivato la questione della proponibilita’ dell’azione pauliana avverso la delibera della societa’ debitrice di modifica statutaria, e pertanto la strettamente connessa questione della natura endosocietaria di una delibera modificativa di una clausola dello statuto di una societa’ per azioni consortile; ed e’ l’incompatibilita’ di un atto endosocietario rispetto a una doglianza pauliana il fondamento su cui si basa il primo motivo del ricorso (il cui contenuto non e’ certo un novum) unitamente, appunto, all’attribuzione di natura pienamente ed esclusivamente endosocietaria alla suddetta delibera.
L’articolo 2901 c.c. detta le “condizioni” perche’ il creditore possa domandare “che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni”. Tuttavia, la questione cosi’ non si arresta, in quanto risiede pure nel chiarire come tale norma generale venga a sintonizzarsi – il che usualmente significa anche delimitarsi, cio’ essendo la logica regola della compresenza, del contesto – con la specificita’ soggettiva del debitore quando questi non e’ dotato di una soggettivita’ naturale quale persona fisica, bensi’ fruisce di una soggettivita’ normativamente istituita quale ente giuridicamente posto in essere, in toto inesistente, per cosi’ dire, prima del diritto.
8.2 Nel caso in esame, infatti, la debitrice che avrebbe compiuto un atto dispositivo arrecante pregiudizio alle ragioni del creditore che ha inteso esercitare l’azione pauliana e’ una societa’ consortile per azioni; questa e’ in seguito fallita, ma cio’ non rileva nella presente fattispecie, essendo sopravvenuto un mero subentro dal lato attoreo in capo al curatore che non incide quindi sull’atto oggetto dell’azione pauliana, atto di cui si deve accertare, invero, la natura dispositiva ai fini dell’articolo 2901 c.c. in misura di compatibilita’ con la natura del soggetto che lo ha compiuto appunto – giacche’ si tratta di revocatoria ordinaria – prima del fallimento.
La societa’, qui consortile, di capitali come gia’ si accennava e’ un caso tipico di soggetto giuridicamente artificiale: il suo funzionamento, pertanto, cioe’ la formazione della sua volonta’ giuridica sia verso i suoi soci, sia verso l’esterno”, non puo’ non essere determinato, nella sua modalita’ basilare, dal legislatore che lo ha costruito come persona pienamente esistente ai fini giuridici nel contesto ordinamentale. Cio’ si rinviene sine dubio nella normativa codicistica, giacche’ la societa’ come soggetto distinto dalla persona fisica di cui pur condivide lo “spazio attivo” nel sistema e’ tradizionalmente percepita quale fictio juris che deve essere strutturata dal legislatore come autore della fictio stessa per quanto concerne l’apporto e l’ambito delle norme imperative – quelle strutturali, appunto -, rimettendo naturalmente a chi stipula il contratto sociale la facolta’ di completare, laddove l’autonomia negoziale permane (come accade in tutti i tipi negoziali, pur avendo il presente tipo la peculiarita’ di introdurre nella realta’ giuridica un soggetto al di fuori di essa inesistente), la “forma” e l’attivita’ dell’ente artificiale: il che si realizza, alla base, nello statuto della societa’, ma poi prosegue nel governo interno della stessa. In quest’ultimo modo si integra quel che giuridicamente rileva ma nell’ambito endosocietario, e che e’ necessario proprio perche’ l’ente concretizzi una sua volonta’ che potra’ poi, se a cio’ e’ diretto il contenuto, ridondare all’esterno, e dunque assimilarsi alla volonta’ della persona fisica nel rapportarsi con altri soggetti diversi dai suoi soci – cosi’ pienamente emergendo che, in effetti, non si e’ propriamente dinanzi a una fictio, bensi’ alla costruzione di una entita’ reale, pur se tale realta’ risiede solo nell’ambito giuridico -.
Le volonta’ manifestate dai soci in sede endosocietaria mediante gli appositi organi costituiscono i componenti di un “motore” che consente alla societa’ di compiere atti giuridici incidenti all’esterno di se’ stessa. Tuttavia, questa funzionalita’ esterna che le norme giuridiche connettono alla soggettivita’ artificiosa dell’ente trova limite proprio nell’ambito endosocietario in se’, ovvero in quel che dimostra proprio l’ontologico confine del soggetto in quanto “manovrato” dalle volonta’ maggioritarie di altri soggetti – i soci – che lo utilizzano per schermare se’ stessi nell’attivita’ giuridica esterna.
8.3 La personalita’ giuridica quantomeno nel settore privato, che trova pienezza nella societa’ di capitali (tanto che per questa e’ attualmente consentita pure la societa’ unipersonale), e’ stata originariamente percepita – e dunque in tal senso finalizzata – appunto come schermo per le persone fisiche che con il contratto societario la istituiscono, cosi’ da perimetrare le dimensioni del rischio assunto, disinnescando l’istituto della garanzia patrimoniale generale (presidiato in primis, a prescindere dagli strumenti cautelari – ontologicamente differenti nel gioco processuale -, proprio dall’azione pauliana: cfr., p. es., Cass. sez. 6-3, ord. 22 gennaio 2020 n. 1414 e Cass. sez. 3, 16 marzo 2010 n. 6321) mediante una propria desoggettivizzazione, e facendo confluire, invece, soggettivita’ e corrispondente responsabilita’ patrimoniale in una entita’ giuridicamente fabbricata, sulla base di evidenti radici economiche. Non a caso, in vari ordinamenti giuridici la societa’ di capitali viene definita “societa’ anonima”, espressione significativamente utilizzata in passato anche nell’ordinamento giuridico italiano (sia nel Codice del Commercio del 1865 sia nel Codice del Commercio del 1882), cosi’ oggettivamente evidenziando, piu’ che la caratteristica dell’artificiale soggetto di diritto, la condizione assunta da chi lo costituisce.
Naturalmente, il legislatore al contempo consente e limita. E’ ben noto, infatti, che il diritto privato, e soprattutto quello attinente ai negozi giuridici, persegue sempre il bilanciamento di interessi diversi, diversi essendo i soggetti coinvolti nei fatti e nelle attivita’ giuridicamente rilevanti.
8.4 Quel che pone in essere la societa’ nel suo ambito interno, e che dunque appartiene alla sua attivita’ endosocietaria, come rileva il motivo in esame, e’ oggetto di una specifica struttura di tutela normativa, che mira all’equilibrio tra la permanenza dello schermo giuridico che costituisce interesse dei soci e la corretta condotta del soggetto artificiale che, oltre a costituire ancora interesse dei soci, costituisce interesse pure dei suoi creditori.
La soggettivita’ artificiale, nella disciplina che la governa, non puo’ pertanto essere plasmata e interpretata solo dal versante dell’interesse dei creditori, ma, proprio per la sua – originaria e mai abbandonata – natura, anche da quello dell’interesse di chi si e’ schermato appunto dietro la persona giuridica rappresentata dalla societa’ di capitali, dovendosi in tal modo pervenire ad un equilibrio specifico. Il che, logicamente, vale anche per identificare l’atto dispositivo che giustifichi l’esercizio dell’azione pauliana, non potendosi certo negare in assoluto la proponibilita’ della tipica azione di tutela creditoria pure nei confronti di una societa’ di capitali. Si torna, cosi’, dopo avere identificato la ratio e la conseguente configurazione della personalita’ giuridica di tale societa’, a interrogarsi se, alla luce di questo inquadramento, sussista nel caso in esame un atto dispositivo ai fini dell’articolo 2901 c.c..
8.5 E’ stata indicata nell’azione pauliana de qua come atto dispositivo la delibera dell’assemblea straordinaria del 27 ottobre 2009 di (OMISSIS) s.c.p.a. che ha modificato, come sopra si e’ visto, l’articolo 31.1 dello statuto della societa’, il quale nell’originale testo obbligava i soci a rimborsare annualmente, “proporzionalmente alle rispettive quote di partecipazione al capitale, le spese del suo funzionamento nella misura in cui queste superino l’ammontare dei ricavi/proventi di competenza dell’esercizio medesimo in modo che l’esercizio si chiuda senza perdite”, ed e’ stato mutato nel senso che “i partecipanti possono deliberare in assemblea di rimborsare annualmente alla societa’ proporzionalmente alle rispettive quote di partecipazione al capitale”. La parte attrice aveva prospettato – come rileva il giudice d’appello – che cio’ costituisse una rinuncia della societa’ consortile “al proprio diritto al ribaltamento nei confronti dei soci, nei confronti dei quali tuttavia era maturato il credito, almeno fino alla modifica statutaria impugnata”, rinuncia integrante un atto di disposizione a titolo gratuito riduttivo della garanzia generica dei creditori.
Il quesito che si presenta e’ se la modifica di una clausola dello statuto abbia natura – anche – esterna perche’ sprigiona – anche – effetti esterni, e non costituisca dunque un atto endosocietario, rectius, soltanto un atto endosocietario.
Invero, logicamente prima ancora che giuridicamente, se un atto e’ endosocietario non puo’, proprio per la sua natura interna che si fonda sulla finalita’/essenza di schermo del soggetto artificiale e consente ai soggetti schermati di governarlo, essere oggetto di “attacco” da soggetti diversi da quelli schermati se non nei limiti specifici, e dunque nelle fattispecie specifiche, che il legislatore prevede come eccezione affinche’ la personalita’ giuridica non venga svuotata e resa priva di effetti – id est, il relativo contratto sia deprivato da interesse/causa -, e il rapporto tra il creditore formalmente della societa’ e i soci ritorni immediato e diretto come se la societa’ non esistesse. Peraltro, se l’azione pauliana e’ esperibile avverso una societa’ di capitali in relazione ad un atto esterno, cio’ esclude che sia esperibile in relazione ad un atto endosocietario, proprio perche’ questo e’ l’aliud rispetto a quello attaccabile, se si riconosce – come non puo’ non essere – la sussistenza funzionale di una personalita’ giuridica.
La dialettica funzionale interno/esterno sfocia dunque nella esclusione della proponibilita’ dell’azione pauliana avverso un atto endosocietario. Diversamente, la personalita’ giuridica sarebbe tamquam non esset.
8.6 La tutela, radicalmente specifica per la sua ratio di controbilanciamento, che il codice civile peraltro garantisce anche ai terzi – e dunque anche ai creditori – rispetto alle attivita’ sociali interne e’ stata correttamente evidenziata dai ricorrenti ripartendola in tre forme distinte, come sopra si e’ gia’ riportato
(sub 3.2) e a cio’ pertanto si rimanda.
Va ulteriormente osservato che l’azione pauliana avverso la delibera modificante una clausola dello statuto, se non trovasse – come invece trova – ostacolo nel funzionamento della soggettivita’ artificiale che “chiude all’esterno” gli atti endosocietari salvi appunto gli specifici istituti di controbilanciamento, non sarebbe sorretta da interesse perche’ la clausola modificata, a ben guardare, non esplica di per se’ alcun effetto, esattamente come il suo testo precedente, occorrendo sempre quale presupposto l’approvazione del bilancio per il relativo esercizio, e dunque non potendosi gia’ qualificare la delibera come rinuncia a un diritto – non ancora insorto -, id est come atto dispositivo pregiudizievole verso i creditori. La sua natura, invero, e’ radicalmente insita nella gestione interna, per cui non solo non puo’ venire in gioco per impugnarla un’azione pauliana – l’azione dell’esterno, si puo’ ben dire, perche’ correlata alla garanzia patrimoniale ex articolo 2740 c.c., ovvero all’esito della gestione sociale – ma inevitabile e’ l’attrazione alle tutele specifiche di cui si e’ appena detto come richiamate nel motivo in esame, che presidiano proprio anche la correttezza delle modalita’ di attivazione interna di un soggetto artificialmente dotato di personalita’ giuridica, tenendo in conto (un esempio significativo ne e’ la dimensione prescrizionale, che condivisibilmente i ricorrenti sottolineano incompatibile con l’istituto regolato dall’articolo 2903 c.c.) tutti i suscettibili interessi – laddove l’azione pauliana ictu oculi ontologicamente costituisce la concretizzazione dell’interesse creditorio, per di piu’ integrando parzialmente, pur nella sua cognizione formalmente piena, un ibrido con gli istituti cautelari perche’ tutela mere “ragioni” di credito e non i crediti certi -.
9. Si deve pertanto affermare il principio di diritto per cui l’azione pauliana di cui agli articoli 2901 ss. c.c. non puo’ essere esercitata nei confronti di atti endosocietari posti in essere da societa’ di capitali, anche consortili, rappresentati da delibere modificative dello statuto, tali atti non avendo effetti esterni in termini di incidenza sulla garanzia patrimoniale generale, bensi’ essendo compiuti unicamente per la gestione dell’attivita’ del soggetto giuridico, e sussistendo d’altronde nella normativa societaria strumenti specifici che ne presidiano la legittimita’, mentre l’azione pauliana e’ comunque esercitabile nei confronti degli atti esterni delle suddette societa’ giuridicamente personalizzate.
Il primo motivo del ricorso risulta quindi fondato, e cio’ conduce all’assorbimento delle ulteriori censure. Dall’accoglimento di tale motivo deriva altresi’, visto l’articolo 384, comma 2, c.p.c. e non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, oltre alla cassazione della sentenza il rigetto della domanda proposta ex articolo 2901 c.c. oggetto del presente giudizio, ad ogni effetto di legge.
La peculiarita’ della fattispecie, priva di precedenti sufficientemente specifici, giustifica la compensazione delle spese processuali di tutti i gradi del giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta la domanda attorea di cui all’articolo 2901 c.c., compensando le spese processuali di tutti i gradi di giudizio di merito e del giudizio di cassazione.

 

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