Le buste paga costituiscono prova soltanto della loro avvenuta consegna

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|8 luglio 2022| n. 21770.

Le buste paga costituiscono prova soltanto della loro avvenuta consegna

Le buste paga, ancorché sottoscritte dal lavoratore con la formula “per ricevuta”, costituiscono prova soltanto della loro avvenuta consegna, ma non anche dell’effettivo pagamento, della cui dimostrazione è onerato il datore di lavoro, attesa l’assenza di una presunzione assoluta di corrispondenza tra quanto da esse risulta e la retribuzione effettivamente percepita dal lavoratore.

Ordinanza|8 luglio 2022| n. 21770. Le buste paga costituiscono prova soltanto della loro avvenuta consegna

Data udienza 27 aprile 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Licenziamento per giusta causa – Arresto del lavoratore in flagranza di reato – Furto di gasolio di proprietà dell’azienda – Pluralità ed univocità degli elementi probatori raccolti – Lesione del vincolo fiduciario – Quantificazione del TFR – Insufficienza della produzione delle buste paga al fine di provare l’avvenuto pagamento delle somme indicate – Onere della prova a carico del datore di lavoro – Rigetto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 30428-2019 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente principale –
contro
(OMISSIS) S.P.A., gia’ (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente – ricorrente incidentale –
e contro
(OMISSIS);
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 529/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 15/04/2019 R.G.N. 314/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/04/2022 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO.

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RILEVATO

che:
1. La Corte d’appello di Catanzaro ha parzialmente accolto l’appello di (OMISSIS) e, in parziale riforma della sentenza di primo grado (confermata quanto al rigetto della domanda di illegittimita’ del licenziamento), ha condannato (OMISSIS) s.p.a. (d’ora in avanti (OMISSIS)), a corrispondere all’ex dipendente Euro 197,84 quale retribuzione del mese di giugno 2011 ed Euro 1.714,61 quale rateo della 14 mensilita’. Ha accolto in parte l’appello di (OMISSIS) ed ha rideterminato in Euro 6.404,43 l’importo del t.f.r. dovuto al (OMISSIS), condannando quest’ultimo a restituire la somma eccedente tale importo che, gli era stata versata in esecuzione della sentenza di primo grado.
2. La Corte territoriale ha premesso che (OMISSIS), operaio specializzato manutentore in servizio presso il deposito di (OMISSIS) s.p.a. di (OMISSIS), e’ stato tratto in arresto nella notte del 4.6.2011 da personale della polizia ferroviaria che lo aveva sorpreso a sottrarre carburante da alcuni automezzi aziendali presenti in quel deposito, in cui si era introdotto senza autorizzazione e fuori dall’orario di lavoro. La societa’ ha contestato al (OMISSIS) il furto di 15 litri di gasolio da uno degli automezzi aziendali e il tentativo di forzare il serbatoio di un altro automezzo e lo ha licenziato per giusta causa.
3. La Corte territoriale ha respinto l’eccezione di tardivita’ della contestazione disciplinare sollevata dal lavoratore, rilevando che il termine di 30 giorni previsto dal c.c.n.l. di categoria, articolo 61, comma 2, ha natura ordinatoria; che solo in data 17 giugno 2011 la commissione di indagine interna aveva concluso gli accertamenti; che l’intervallo temporale intercorso tra l’arresto del dipendente (4.6.2011), o meglio la conclusione dell’indagine interna (17.6.2011) e la contestazione disciplinare (14.7.2011) era giustificato dalla complessa dimensione della societa’ datrice di lavoro.

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4. Ha ritenuto che gli elementi di prova raccolti dimostrassero la sussistenza dell’addebito contestato e che la misura espulsiva fosse proporzionata alla lesione del vincolo fiduciario provocata dalla condotta posta in essere dal dipendente, anche in base alla previsione del c.c.n.l., articolo 59, che sanziona con il licenziamento il “furto di…merci o qualsiasi altra cosa di spettanza o di pertinenza dell’azienda”.
5. Ha accolto le rivendicazioni salariali del lavoratore quanto alla retribuzione del mese di giugno e alla quattordicesima mensilita’, non contestate da parte datoriale. Ha calcolato l’importo del t.f.r. spettante al lavoratore come pari a Euro 24.893,54; ha accertato l’avvenuta cessione del credito per il t.f.r. da parte del lavoratore, a fronte di un mutuo pari ad Euro 18.489,11; ha quindi calcolato la differenza tra il t.f.r. maturato e quello ceduto come pari ad Euro 6.404,43, somma spettante al lavoratore (salvo l’obbligo di questi di restituire la differenza tra quanto gia’ ricevuto a titolo di t.f.r. somma di Euro 6.404,43).
6. Avverso la sentenza d’appello (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, ciascuno contenente piu’ censure. (OMISSIS) s.p.a. ha resistito con controricorso e ricorso incidentale, articolato in un unico motivo.
Il ricorrente principale ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale. (OMISSIS) ha depositato memoria, ai sensi dell’articolo 380 bis.1 c.p.c..

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CONSIDERATO

 

che:
Ricorso principale di (OMISSIS).
7. Col primo motivo di ricorso, relativo alla condotta contestata (tentato furto di gasolio), e’ dedotta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., nonche’ degli articoli 2697 e 2700 c.c., per arbitrarieta’ e omissioni nella valutazione delle risultanze istruttorie e decisione sulla base di fatti indimostrati e non percepiti dagli agenti (OMISSIS); violazione e/o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, articoli 5 e 1, dell’articolo 2119 c.c., e del c.c.n.l. Attivita’ ferroviarie, articolo 59.
8. Ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e’ denunciato l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti (posizionamento del bidone nella rimessa, assenza del bidone nei pressi dell’unico mezzo su cui gli agenti hanno visto il (OMISSIS) “armeggiare”, effettiva asportazione del gasolio dal primo mezzo aziendale, tentativo di asportazione del gasolio dal secondo mezzo aziendale, quantita’ di gasolio presente nei rispettivi serbatoi).
9. Si censura, attraverso ampi riferimenti alle prove orali e documentali poste a base della sentenza d’appello, la ricostruzione in fatto della condotta addebitata al lavoratore, sia riguardo a quanto rilevato o rilevabile dagli agenti della (OMISSIS), sia in ordine alla presenza del carburante nel veicolo da cui si assume sottratto e ai criteri di misurazione dello stesso, sia sulle ragioni di presenza del (OMISSIS) in ora notturna nel luogo di lavoro.
10. Il motivo in esame, sebbene denunci la violazione di norme disciplinanti il regime probatorio, si esaurisce nella contestazione dell’accertamento in fatto e della valutazione probatoria compiuti dalla Corte territoriale, ampiamente argomentati, e insindacabili in sede di legittimita’ (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197).

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11. Le censure mosse non denunciano, in riferimento all’articolo 115 c.p.c., la commissione da parte dei giudici di appello di un errore di percezione sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, in contrasto con il divieto di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realta’ mai offerte (Cass. 12 aprile 2017, n. 9356); non presuppongono che il giudice abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova invece soggetti a valutazione (v. Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014); ne’ integrano violazione dell’articolo 2697 c.c., censurabile per cassazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece la’ dove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 13395 del 2018; n. 15107 del 2013).
12. Neppure ricorrono i presupposti di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, come delineati dalle S.U. di questa Corte (sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014) e incentrati sull’omesso esame di un fatto, inteso in senso storico fenomenico, che abbia valore decisivo rispetto all’esito della controversia, poiche’ nel caso di specie le critiche si dirigono sulla valutazione degli elementi di prova e sulla ricostruzione, in base ad essi, di quanto accaduto.
13. Col il secondo motivo di ricorso si addebita alla sentenza impugnata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., della L. n. 604 del 1966, articolo 5, nonche’ dell’articolo 2697 c.c.; violazione e/o falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., per arbitrarieta’ e omissioni nella valutazione delle risultanze istruttorie.
14. Ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si denuncia inoltre l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti (chiamata del Serpa, urgenza della riparazione e assenza di autorizzazione ad entrare fuori orario nel piazzale).

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15. La parte ricorrente sostiene che la Corte d’appello abbia giudicato legittimo il licenziamento non per aver acquisito la prova del tentato furto di gasolio, bensi’ a causa della ingiustificata presenza del lavoratore nel piazzale e per il fatto che questi non avrebbe saputo fornire una “plausibile spiegazione alternativa” di tale condotta. In tal modo, la sentenza impugnata avrebbe surrettiziamente mutato il thema probandum e il thema decidendum della causa e spostato l’indagine dalla condotta contestata al lavoratore (tentato furto di gasolio) ai motivi per cui il predetto si trovasse fuori orario sul posto di lavoro. Inoltre, la Corte d’appello avrebbe palesemente invertito l’onere probatorio attribuendo al ricorrente il compito di dimostrare la veridicita’ dei motivi addotti a giustificazione della sua presenza sul luogo di lavoro.
16. Le censure, che reiterano quanto gia’ dedotto col secondo motivo di appello (vedi pag. 6 della sentenza d’appello) non possono trovare accoglimento.
17. La Corte territoriale ha ritenuto provata la condotta contestata al lavoratore in base al verbale di arresto in flagranza di tentato furto di gasolio e agli altri elementi di prova, valutati tutti come idonei a supportare la ricostruzione dell’accaduto come descritta nel verbale, mentre “nessuna delle testimonianze escusse offre elementi capaci di smentire quel che gli operanti di polizia giudiziaria hanno verbalizzato in ordine alle condotte del lavoratore” (pag.5 della sentenza d’appello). I giudici di appello hanno preso in esame, doverosamente, la ricostruzione fornita dal lavoratore e ne hanno verificato la tenuta alla luce del compendio probatorio raccolto. Hanno rilevato che “la giustificazione che egli (ndr., il lavoratore) aveva fornito della sua presenza sul luogo di lavoro fuori dall’orario di servizio e’ stata smentita dal collega Serpa da cui egli sosteneva di essere stato contattato per eseguire una urgente riparazione. Questi ha negato la circostanza”. Hanno aggiunto, richiamando quanto rilevato dal tribunale, che “l’ingresso nella zona dove il ricorrente fu arrestato poteva avvenire di notte solo su disposizione del responsabile previo avviso al personale della polizia ferroviaria (e che) nessuna delle due condizioni si era realizzata nella fattispecie”. Hanno inoltre rilevato, condividendo le argomentazioni del primo giudice, “l’incongruenza della condotta del lavoratore rispetto all’urgenza con cui – a suo dire era intervenuto per effettuare la riparazione, sebbene del guasto fosse stato informato nel pomeriggio del giorno prima. Il tribunale ha rimarcato come non appaiono plausibili ne’ la scelta di farlo nel cuore della notte, all’insaputa di altri, ne’ la scelta di ritardare l’intervento per preoccuparsi, a dispetto della sua urgenza, di rimettere prima a posto (…) un bidone casualmente trovato nel piazzale e una tronchesina”. La sentenza impugnata ha quindi ritenuto che “la contraddittorieta’ e l’implausibilita’ di tale scelte servono (…) a ribadire la fallacia della giustificazione offerta dal ricorrente, in contrapposizione a quanto risulta accertato dagli operanti della polizia giudiziaria che lo arrestarono nel mentre armato di tubo e di tronchesina tentava di forzare la chiusura del serbatoio dell’escavatore” (pagg. 7 e 8 sentenza appello).
18. Come emerge dai brani appena riportati, la sentenza impugnata non ha deviato dall’accertamento della condotta specificamente contestata (tentato furto del gasolio), ricostruita attraverso plurimi elementi indiziari (tra cui la presenza di notte sul luogo di lavoro e il comportamento ivi posto in essere e rilevato dagli agenti della (OMISSIS)), veicolati nel processo attraverso il verbale di arresto in flagranza e le ulteriori prove documentali e testimoniali raccolte. Neppure risulta violato il criterio di distribuzione dell’onere della prova. I giudici di appello hanno addossato tale onere a parte datoriale e lo hanno considerato soddisfatto dai plurimi e univoci elementi probatori raccolti, dopo avere valutato la diversa versione fornita dal lavoratore ed appurato la contraddittorieta’ e implausibilita’ della stessa.
19. Le residue censure oggetto del motivo di ricorso in esame risultano inammissibili per le ragioni gia’ esposte in relazione al primo motivo.
20. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2104, 2119, 1455 c.c., dell’articolo 59 c.c.n.l., dell’articolo 1363 c.c., in relazione agli articoli 56 e 57 c.c.n.l..
21. Si critica la sentenza assumendo la sproporzione della sanzione espulsiva rispetto all’entita’ del danno arrecato, quantificabile in circa 30 Euro (corrispondente al costo di 15 litri di gasolio). Si assume che la condotta del lavoratore, ove anche ritenuta sussistente, avrebbe al piu’ potuto legittimare l’irrogazione di una sanzione conservativa, come quella prevista dall’articolo 56 c.c.n.l. (“per aver commesso in servizio atti dai quali sia derivato vantaggio per se’ e/o danno per l’azienda, salvo che, per la particolare gravita’ della mancanza, la stessa non sia diversamente perseguibile”) oppure dall’articolo 57 (“in genere, per qualsiasi negligenza o inosservanza di leggi o regolamenti o degli obblighi di servizio deliberatamente commesse, anche per procurare indebiti vantaggi a se’ o a terzi, ancorche’ l’effetto voluto non si sia verificato e sempre che la mancanza non abbia carattere di particolare gravita’, altrimenti perseguibile” oppure “per uso dell’impiego al fine di trarne illecito profitto per se’ o per altri”).
22. Il motivo non puo’ essere accolto.
23. La Corte d’appello ha ritenuto che la condotta addebitata al lavoratore integrasse una giusta causa di licenziamento “indipendentemente dall’entita’ del danno che (…) ha cagionato all’azienda; perche’ cio’ che assume rilievo e’ la lesione in se’ del vincolo fiduciario che consegue alla condotta appropriativa dei beni altrui, condotta che, integrante -furto di… merci o qualsiasi altra cosa di spettanza o di pertinenza dell’azienda- ricade tra quelle che il contratto collettivo, articolo 59, applicato in azienda sanziona con il licenziamento”.
24. La valutazione compiuta dai giudici di appello si e’ svolta secondo i criteri definiti dalla giurisprudenza di legittimita’ (Cass. n. 13534 del 2019; n. 2830 del 2016; Cass. n. 4060 del 2011; Cass. n. 5372 del 2004; v. pure Cass. n. 27004 del 2018), avendo essi attribuito alla condotta del lavoratore idoneita’ a ledere il vincolo fiduciario in ragione della intenzionale e illecita condotta di sottrazione del gasolio, avente rilevanza anche penale. Il giudizio valutativo e’ stato svolto in coerenza, oltre che con le disposizioni del codice civile e con la nozione di giusta causa, con le previsioni del contratto collettivo la cui scala valoriale, come costantemente affermato da questa Corte, costituisce uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’articolo 2119 c.c. (v. Cass. n. 9396 del 2017; n. 18715 del 2016), anche in base alla L. n. 183 del 2010, articolo 30 comma 3 (v. da ultimo Cass. n. 11665 del 2022).
25. Nel caso in esame, la condotta di furto di merci o beni dell’azienda e’ espressamente contemplata dal contratto collettivo (articolo 59) tra quelle che, in via esemplificativa, legittimano il ricorso alla massima sanzione espulsiva e cio’ in coerenza con i principi desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali.
26. Le censure oggetto del motivo di ricorso in esame non denunciano una errata applicazione dei parametri integrativi della nozione di giusta causa ne’ sostengono l’inidoneita’ in astratto a ledere il vincolo fiduciario di condotte come quella addebitata al ricorrente, ma si limitano a prospettare e a sollecitare una diversa ricostruzione in fatto o una differente operazione valutativa, entrambe precluse in questa sede di legittimita’.
27. Con il quarto motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., nonche’ dell’articolo 1264 c.c..
28. Ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si denuncia inoltre l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti (omesso pagamento da parte di (OMISSIS) del debito contratto dal (OMISSIS) con la (OMISSIS) s.p.a.).
29. Si censura la sentenza d’appello per aver disposto una illegittima decurtazione di Euro 18.489,11 dal t.f.r. dovuto al ricorrente, con condanna dello stesso alla restituzione di tali somme in favore di (OMISSIS) s.p.a..
30. Si sostiene che la societa’ datoriale non avesse chiesto la restituzione di tale somma e che la Corte d’appello avrebbe pronunciato sul punto in violazione dell’articolo 112 c.p.c.. Inoltre, si addebita alla sentenza impugnata un errato apprezzamento del materiale istruttorio adducendo che, fin dal primo grado, il (OMISSIS) aveva contestato la cessione di credito a ” (OMISSIS) s.p.a.” e dimostrato come (OMISSIS) non avesse mai fatto fronte al pagamento del presunto credito ceduto.
31. Il motivo e’ inammissibile.
32. La Corte d’appello ha ritenuto (sentenza pagg. 11 e 12) che “l’allegazione della societa’ convenuta in ordine al fatto che il ricorrente avesse ceduto il proprio credito per il t.f.r. (…) era stata documentata, per come lo stesso tribunale ha riconosciuto”. Premessa l’esistenza di prova della avvenuta cessione del credito, i giudici di appello hanno rilevato come la cessione comporti la perdita del diritto di credito da parte del cedente nei confronti del debitore ceduto. Da cio’ hanno tratto la conseguenza che il lavoratore non avesse titolo per richiedere alla datrice di lavoro le spettanze di fine rapporto, se non per la parte eccedente l’importo del finanziamento erogato dal cessionario.
33. In tale contesto, la censura dell’attuale ricorrente di violazione dell’articolo 112 c.p.c., motivata sul rilievo che la societa’ datoriale non avesse chiesto la restituzione della somma corrispondente al credito ceduto, e’ inammissibile in quanto non intercetta la ratio decidendi della sentenza impugnata che ha considerato inesistente, a causa della avvenuta cessione, il credito del lavoratore verso la datrice di lavoro per la somma corrispondente al credito ceduto, riconoscendo il diritto di credito del lavoratore nei limiti dell’importo eccedente la somma oggetto di cessione.
34. Nel ricostruire gli effetti della cessione del credito, la sentenza impugnata si e’ attenuta ai principi affermati da questa Corte secondo cui, con la conclusione del contratto di cessione di credito, mediante lo scambio del consenso tra cedente e cessionario, il credito si trasferisce dal patrimonio del cedente a quello del cessionario, che diviene creditore esclusivo del debitore ceduto, l’unico legittimato a pretendere (anche in via esecutiva) la prestazione nei confronti del medesimo, pur in mancanza della notificazione prevista all’articolo 1264 c.c., invero necessaria al solo fine di escludere l’efficacia liberatoria del pagamento dal debitore ceduto eventualmente effettuato in buona fede al cedente anziche’ al cessionario, nonche’, in caso di cessioni diacroniche del medesimo credito, per risolvere il conflitto tra piu’ cessionari, trovando applicazione in tal caso il principio della priorita’ temporale riconosciuta al primo notificante (v. Cass. n. 4713 del 2019; n. 1312 del 2015; n. 15364 del 2011; n. 23463 del 2009).
35. Parimenti inammissibile e’ la residua censura mossa col motivo di ricorso in esame, sia nella parte in cui denuncia un errato apprezzamento del materiale istruttorio, al di fuori dei limiti segnati dall’articolo 360 c.p.c., n. 5 (v. Cass., S.U., nn. 8053 e 8054 del 2014) e sia nella parte in cui adduce di aver contestato l’esistenza della cessione del credito alla societa’ ” (OMISSIS) s.p.a.”, in contrasto con quanto accertato dal primo giudice e dalla Corte di merito in base alla documentazione in atti (v. sentenza pagg. 11 e 12). Peraltro, considerato che, in caso di cessione, il cessionario diviene creditore esclusivo nei confronti del debitore ceduto, nessun rilievo puo’ attribuirsi alla circostanza, dedotta dall’attuale ricorrente, del mancato pagamento da parte di (OMISSIS), non essendo neanche allegato dal lavoratore di aver ricevuto una richiesta di pagamento da parte del cessionario.
36. Con il quinto motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 91, e dell’articolo 92 c.p.c., comma 2.
37. Si afferma che, a seguito dell’auspicato accoglimento del presente ricorso, il riparto delle spese legali dovra’ essere riformato, con condanna della societa’ all’integrale pagamento delle spese di tutti i gradi di giudizio.
38. Il motivo e’ assorbito, in ragione del mancato accoglimento delle censure oggetto dei precedenti motivi di ricorso.
Ricorso incidentale di (OMISSIS).
39. Con l’unico motivo di ricorso incidentale e’ dedotta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., nonche’ omesso esame circa fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, cioe’ l’avvenuto versamento di Euro 9.356,60 a titolo di anticipazione del t.f.r. emergente da un documento depositato in primo grado da entrambe le parti (busta paga di maggio 2011, doc. 17 allegato alla memoria di costituzione (OMISSIS) nonche’ doc. 12 della produzione di parte ricorrente).
40. Si sostiene che la Corte d’appello abbia violato l’articolo 115 cit., facendo errata applicazione del principio di non contestazione rispetto alla quantificazione del t.f.r. spettante al lavoratore, in quanto, sin dalla memoria di costituzione in primo grado, la societa’ aveva esplicitamente contestato le avverse deduzioni in merito all’entita’ del t.f.r..
41. Si assume inoltre che la societa’ avesse contestato l’importo richiesto a titolo di t.f.r. in quanto in parte oggetto di avvenuta cessione del credito da parte del lavoratore e in parte gia’ corrisposto a titolo di anticipazione; che su quest’ultimo profilo, la societa’ non aveva fondato la prova dell’avvenuto pagamento sui documenti dalla stessa prodotti in appello, bensi’ su un documento depositato in primo grado e mai contestato dal lavoratore, cioe’ la busta paga di maggio 2011 da cui si evince chiaramente che il (OMISSIS) aveva ricevuto un’anticipazione del t.f.r. per l’importo di Euro 9.356,60.
42. Il motivo e’ inammissibile.
43. Deve anzitutto rilevarsi la genericita’ della censura sulla quantificazione del t.f.r., priva peraltro di autosufficienza, a fronte della statuizione contenuta nella sentenza d’appello (pag. 12) secondo cui “dai dati di cui il tribunale disponeva e che ha indicato in sentenza, si desume (…) un credito per t.f.r. pari a Euro 24.893,54 (che il ricorrente aveva quantificato senza incontrare alcuna contestazione ad opera di controparte)”.
44. Neppure puo’ accogliersi la censura relativa alla fonte di prova della avvenuta anticipazione del t.f.r., da individuarsi nella busta paga del maggio 2011 prodotta dallo stesso lavoratore fin dal primo grado.
45. Secondo un indirizzo costante, le buste paga, ancorche’ sottoscritte dal lavoratore con la formula “per ricevuta”, costituiscono prova solo della loro avvenuta consegna ma non anche dell’effettivo pagamento, della cui dimostrazione e’ onerato il datore di lavoro, attesa l’assenza di una presunzione assoluta di corrispondenza tra quanto da esse risulta e la retribuzione effettivamente percepita dal lavoratore (v. Cass. n. 10306 del 2018; n. 13150 del 2016).
46. Da tali principi discende che la produzione della busta paga da parte del lavoratore non solo non dimostra l’avvenuto pagamento delle somme ivi indicate (nel caso di specie, l’anticipazione del t.f.r.), della cui prova e’ onerato il datore di lavoro, ma non puo’ neanche integrare, di per se’, una non contestazione del ricevimento delle somme medesime (cio’, a maggior ragione, nella fattispecie oggetto di causa in cui il lavoratore aveva chiesto la condanna di parte datoriale al pagamento della retribuzione di maggio 2011 e dell’intero t.f.r.).
47. Per le considerazioni finora esposte si rigetta il ricorso principale e si dichiara inammissibile il ricorso incidentale, con compensazione delle spese del giudizio di legittimita’ motivata dalla reciproca soccombenza.
48. Si da’ atto della sussistenza, per entrambe le parti, dei presupposti processuali di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, articolo 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale.
Compensa le spese del giudizio di legittimita’.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale e incidentale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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