Le indicazioni grafiche contenute nelle planimetrie

Consiglio di Stato, Sentenza|21 marzo 2022| n. 2005.

Le indicazioni grafiche contenute nelle planimetrie allegate allo strumento urbanistico hanno natura di prescrizioni precettive esclusivamente alla luce e nei limiti delle prescrizioni normative contenute nello stesso piano e pertanto la rappresentazione grafica di uno strumento urbanistico ne costituisce parte integrante solo se non si ponga in contrasto con le prescrizioni normative.

Sentenza|21 marzo 2022| n. 2005. Le indicazioni grafiche contenute nelle planimetrie

Data udienza 9 novembre 2021

Integrale

Tag- parola chiave: Strumenti urbanistici – Indicazioni grafiche contenute nelle planimetrie allegate – Natura e valore – Individuazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7316 del 2014, proposto dai sigg. Pa. Lu. e Ri. St., rappresentati e difesi dall’avv. Se. Dr., con domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avv. Ca. To. in Roma, Via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Da. Fi., An. Lo. e Pa. St. Ri., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale (…);
nei confronti
Comunità (omissis) (Tn), sig. Pa. Da., non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento del 30 gennaio 2014, n. 24, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Viste le memorie;
Visti tutti gli atti della causa;
Viste le istanze di passaggio in decisione sulla base degli scritti difensivi, depositate dalle parti;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 novembre 2021 il Cons. Francesco Guarracino, considerati presenti per le parti gli avvocati Se. Dr., Ma. Da. Fi. e An. Lo.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

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FATTO

Con ricorso al Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, n. r.g. 247/2012, i sigg. Lu. Pa. e St. Ri. impugnavano, con gli atti presupposti, l’ordinanza del Sindaco del Comune di (omissis) recante l’annullamento in autotutela della concessione edilizia n. 1448 del 2000 e della concessione in variante n. 1456 del 2000, rilasciate agli stessi per la costruzione di un edificio ad uso abitativo.
Con sentenza del 30 gennaio 2014, n. 24, il Tribunale adito respingeva il ricorso.
Avverso tale decisione i ricorrenti hanno interposto appello cui ha resistito il Comune di (omissis).
Le parti hanno depositato memorie e repliche.
Alla pubblica udienza del 9 novembre 2021, sulla richiesta delle parti di passaggio in decisione senza discussione orale, la causa è stata trattenuta in decisione.

 

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DIRITTO

1. – E’ appellata la sentenza con cui il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento ha respinto il ricorso proposto dagli appellanti avverso il provvedimento di annullamento in autotutela della concessione edilizia n. 1448 del 2000 e della concessione in variante n. 1456 del 2000, rilasciate loro per la costruzione di una casa di abitazione in c.c. (omissis), località (omissis), del Comune di (omissis).
2. – L’annullamento dei titoli edilizi era stato disposto perché il Comune, a seguito della presentazione, il 4 luglio 2011, di una istanza di concessione edilizia per un progetto di completamento e sistemazione esterna dell’edificio, si era avveduto che l’area non risultava compresa dal P.R.G. vigente tra quelle edificabili e che la stessa non era edificabile neppure al momento del rilascio dell’originario titolo abilitativo. Ciò in quanto l’art. 71 delle n. t.a. del P.R.G. vigente all’epoca del rilascio delle concessioni edilizie consentiva l’edificazione a scopo residenziale entro la distanza di 40 metri dal perimetro del centro storico a condizione che i terreni fossero ricompresi in zone agricole integrate o in zone agricole di tutela ambientale, laddove – si afferma nel provvedimento impugnato in primo grado – “dall’esame della cartografia del piano in allora vigente è in effetti emerso che l’area interessata dall’edificazione ancorché ricadente entro la fascia di 40 metri dal perimetro del centro storico non era ricompresa né nelle zone di tutela ambientale, né in quelle agricole integrate, ma bensì nelle zone di tutela ambientale produttiva, ossia in zone caratterizzate da una sostanziale inedificabilità “.
Nel rilascio delle concessioni, il Comune sarebbe stato tratto in errore dal fatto che negli elaborati di progetto, redatti dal professionista incaricato dai proprietari, che all’epoca rivestiva la carica di Sindaco del medesimo Comune, l’area era stata indicata come rientrante tra quelle di tutela ambientale.
Poiché, a seguito della comunicazione di avvio del procedimento di autotutela, il progettista aveva sostenuto che nella cartografia del piano (originariamente sorto come piano intercomunale della Va. de. Mo., ma poi approvato come Piano Generale di (omissis)) la mancata inclusione dell’area de qua tra quelle agricole integrate o di tutela ambientale sarebbe stata il frutto di un errore materiale, dimostrato dal fatto che nella relazione al PRG (e nell’allegato B alle n. t.a.) era contenuto l’elenco delle località interessate a edilizia sparsa (cioè quelle interessate dall’art. 71 cit.), che menzionava espressamente anche la località (omissis), il Comune aveva interpellato l’ufficio tecnico della Comunità di (omissis), che all’epoca aveva elaborato il P.R.G. per conto del Comune di (omissis).

 

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L’Ente interpellato aveva escluso, però, che vi fosse un errore materiale nella compilazione del piano, poiché, a monte del centro abitato principale di (omissis), esisteva un’altra località denominata (omissis), limitrofa alle frazioni (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis), la quale possedeva tutti i requisiti e i parametri previsti dalle norme del P.R.G. del 1998 per l’edificazione sparsa (“in particolare la destinazione urbanistica per le aree circostanti di zona agricola integrata, di cui all’articolo 71, comma I lettera a), ed anche il corretto e coerente riferimento al Titolo 14 – allegato B che definisce le località interessate all’edilizia sparsa, quali: (omissis),….”); sicché aveva espresso l’avviso che “dalla consultazione della documentazione agli atti di cui si trasmette copia, si evince con chiarezza che il riferimento alla località (omissis) sia effettuato rispetto al centro storico situato a monte dell’abitato principale di (omissis)”.
3. – Il Tribunale trentino ha respinto i due motivi di censura articolati in primo grado, da un lato disattendendo la tesi che la destinazione a zona di tutela ambientale produttiva, impressa dal P.R.G. al terreno dei ricorrenti, sarebbe stata frutto di un errore materiale, poiché essa non avrebbe trovato riscontro nell’istruttoria esperita dall’amministrazione o negli atti prodotti in giudizio, e dall’altro lato escludendo la ricorrenza del denunciato difetto di motivazione del provvedimento impugnato in punto di attualità del pubblico interesse, in quanto esso sarebbe in re ipsa quando si tratta dell’esercizio del potere di autotutela su una concessione ottenuta dall’interessato in base a una rappresentazione della realtà falsa o, comunque, erronea, fermo restando che, nel caso di specie, la situazione derivante dal rilascio della concessione edilizia nel lontano 2000 non avrebbe potuto ritenersi consolidata, considerato che i relativi lavori erano stati ultimati, peraltro solo “al grezzo”, senza le necessarie finiture atte a rendere l’edificio abitabile, soltanto in data 29 ottobre 2010.
4. – L’appello è affidato a due motivi di impugnazione, con i quali le censure articolate in primo grado sono riproposte in chiave critica rispetto alla sentenza di prime cure.
5. – La tesi degli appellanti, dunque, è che il P.R.G. dell’epoca contenesse un errore materiale nella parte in cui non prevedeva per l’area interessata dall’iniziativa edilizia una destinazione a zona agricola integrata o di tutela ambientale, cioè tale da consentire la realizzazione del fabbricato residenziale, insistendo sul preteso carattere antinomico della destinazione grafica generale dell’area a “zona di tutela ambientale produttiva”, la quale sarebbe stata superata, con valore di interpretazione autentica delle località ricomprese nell’allegato B) e quindi della residenzialità speciale consentita alla fascia di 50 metri, dalla successiva variante di piano approvata definitivamente dalla Giunta provinciale il 22 ottobre 2010, vigente al momento dell’adozione del provvedimento impugnato in primo grado.
6. – Per consolidato indirizzo di questo Consiglio, le indicazioni grafiche contenute nelle planimetrie allegate allo strumento urbanistico hanno natura di prescrizioni precettive esclusivamente alla luce e nei limiti delle prescrizioni normative contenute nello stesso piano e pertanto la rappresentazione grafica di uno strumento urbanistico ne costituisce parte integrante solo se non si ponga in contrasto con le prescrizioni normative (cfr. C.d.S., sez. IV, 10 agosto 2000, n. 4462; sez. IV, 13 novembre 1998, n. 1520); con la conseguenza che un problema di prevalenza delle prescrizioni normative rispetto alle relative indicazioni grafiche può porsi solo in presenza di un contrasto insanabile (C.d.S., sez. IV, 3 aprile 2009, n. 2110; Sez. IV, 5 giugno 1998, n. 917), giacché in sede di interpretazione degli atti urbanistici pianificatori le risultanze grafiche possono solo chiarire e completare ciò che è normativamente stabilito nel testo, ma non possono sovrapporsi e negare ciò che, invece, risulta in contrasto con esso (cfr. C.d.S., sez. IV, n. 4462/00 cit.; sez. V, 21 giugno 1995, n. 924).

 

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7. – Nel caso di specie, tuttavia, il contrasto tra le prescrizioni normative e le indicazioni cartografiche – vale a dire la denunciata antinomia – è stato escluso dal primo giudice alla luce delle circostanze, evidenziate nel parere della Comunità di (omissis), sulla esistenza di due distinte località nel Comune di (omissis) individuate col medesimo toponimo (omissis), con motivazione congrua e adeguata rispetto alle risultanze della documentazione versata agli atti di causa.
8. – Tali conclusioni non possono essere ora contestate sulla base di atti prodotti per la prima volta in appello (gli estratti relativi al PRGCS del Comprensorio (omissis) e la dichiarazione resa dal progettista del piano), poiché non è possibile produrre in secondo grado nuovi documenti in violazione del divieto sancito dall’art. 104, comma 2, c.p.a., al di fuori delle tassative eccezioni previste dalla norma, che, nella specie, non ricorrono.
A tale riguardo non rileva, contrariamente a quanto sostenuto nell’appello, che il T.A.R. non abbia ammesso l’esame testimoniale del tecnico progettista della pianificazione comprensoriale, richiesto in primo grado, che non costituisce circostanza assimilabile all’ipotesi in cui l’acquisizione della prova non sia potuta avvenire per causa non imputabile alla parte, in quanto l’eventuale ammissione della prova testimoniale è rimessa al prudente apprezzamento del giudice amministrativo (art. 63, comma 3, c.p.a.: “Su istanza di parte il giudice può ammettere la prova testimoniale…”) e, data la specifica natura del processo amministrativo, essa è da considerare estrema risorsa probatoria per il giudice amministrativo, che potrà indi ammetterla solo laddove i fatti da dimostrare non emergano dai documenti dedotti in giudizio (ex ceteris, C.d.S., sez. V, 3 aprile 2019, n. 2197).
9. – Correttamente nella sentenza appellata si osserva che i ricorrenti, anziché dichiarare una destinazione di zona che non era quella risultante dalla cartografia, avrebbe dovuto semmai chiederne la rettifica in parte qua.
All’epoca, l’articolo 34 (rubricato “Rettifica delle previsioni del piano regolatore generale”) della l.p. 4 marzo 2008, n. 1, stabiliva che “non richiedono una procedura di variante al Piano Regolatore Generale le correzioni di errori materiali presenti nelle norme di attuazione, nelle rappresentazioni grafiche e negli altri elaborati del piano ed i loro adeguamenti conseguenti agli elaborati redatti allo scopo di eliminare previsioni contrastanti tra loro” (comma 1) e prevedeva che “Gli atti di rettifica relativi al comma 1 sono approvati dal Comune e sono comunicati alla Comunità ed alla Provincia. Il Comune pubblica per notizia gli atti di rettifica nel bollettino ufficiale della Regione”.
Tale procedura, sulla falsariga di quanto in precedenza previsto dall’art. 42 bis dell’abrogata l.p. 5 settembre 1991, n. 2, costituiva strumento per assicurare certezza all’individuazione degli errori di natura puramente materiale, rimessa in primis al Comune medesimo quale interprete autentico del provvedimento (ex ceteris, T.R.G.A. 26 febbraio 2009, n. 66).
Estranea a tale procedimento è l’approvazione nel 2010 della variante al piano regolatore, che concreta un nuovo esercizio della funzione pianificatoria.

 

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10. – Peraltro, alla variante del 2010 non può neppure essere riconosciuto valore d’interpretazione autentica, la quale è consentita solo al legislatore rispetto alle leggi (C.d.S., sez. V, 5 febbraio 1993, n. 220).
11. – Alla luce di quanto sinora detto, resta definitivamente acclarato pure che il rilascio del titolo edilizio era avvenuto sulla base di un’erronea rappresentazione della realtà nella richiesta di concessione edilizia, nei cui elaborati di progetto l’area di realizzazione del fabbricato era stata indicata come ricadente in zona di tutela ambientale, anziché, come previsto dal P.R.G., in zona di tutela ambientale produttiva, insuscettibile di poter essere utilizzata a fini edificatori ai sensi dell’art. 71 delle norme di attuazione.
Trovano, perciò, applicazione i principi affermati dall’Adunanza plenaria con riferimento alla disciplina – che ratione temporis risulta governare anche il caso in esame – contenuta nell’art. 21 nonies della l. 7 agosto 1990, n. 241, nel testo introdotto dall’art. 14 della l. 11 febbraio 2005, n. 15, prima delle modifiche apportate al medesimo art. 21-nonies dall’art. 6 della l. n. 124 del 2015, in base ai quali “l’onere motivazionale richiesto all’amministrazione in sede di adozione dell’atto di ritiro risulterà altresì agevolato nelle ipotesi in cui la non veritiera prospettazione dei fatti rilevanti da parte del soggetto interessato abbia sortito un rilievo determinante per l’adozione dell’atto illegittimo.
Se infatti è vero in via generale che il potere della P.A. di annullare in via di autotutela un atto amministrativo illegittimo incontra un limite generale nel rispetto dei principi di buona fede, correttezza e tutela dell’affidamento comunque ingenerato dall’iniziale adozione dell’atto (i quali plasmano il conseguente obbligo motivazionale), è parimenti vero che le medesime esigenze di tutela non possono dirsi sussistenti qualora il contegno del privato abbia consapevolmente determinato una situazione di affidamento non legittimo. In tali casi l’amministrazione potrà legittimamente fondare l’annullamento in autotutela sulla rilevata non veridicità delle circostanze a suo tempo prospettate dal soggetto interessato, in capo al quale non sarà configurabile una posizione di affidamento legittimo da valutare in relazione al concomitante interesse pubblico” (C.d.S., Ad. plen. n. 7 del 2018).
Precisando che non può deporre in favore del maturare di uno stato di affidamento incolpevole il contegno negligente ed erroneo dell’amministrazione la quale non abbia tempestivamente rilevato l’oggettiva falsità delle circostanze rappresentate, l’Adunanza plenaria, per quanto qui interessa, ha enunciato il principio di diritto per cui “la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte”.
Perciò anche il secondo motivo d’appello è infondato.
12. – Per queste ragioni, in conclusione, l’appello dev’essere respinto.
13. – Le spese del presente grado del giudizio seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo in favore del Comune di (omissis), nulla dovendo disporsi per le parti non costituite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte appellante al pagamento delle spese del presente grado del giudizio in favore del Comune di (omissis), che liquida nella somma complessiva di Euro 4000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2021 con l’intervento dei magistrati:
Giovanni Sabbato – Presidente FF
Antonella Manzione – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere, Estensore
Pietro De Berardinis – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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