Le tutele procedimentali partecipative al privato nella materia del governo del territorio

Consiglio di Stato, Sentenza|16 dicembre 2020| n. 8078.

La giurisprudenza amministrativa è consolidata nel senso di riconoscere le tutele procedimentali partecipative al privato nella materia del governo del territorio, di per sé esclusa da tale regime partecipativo secondo le previsioni di cui alla legge n. 241/1990 e s.m.i., quando il privato è titolare di un interesse oppositivo al mantenimento di una precedente situazione giuridica di vantaggio allo stesso riconosciuta dall’Amministrazione pubblica. In tal caso, la garanzia partecipativa è riconosciuta, perché il privato ha un interesse diretto, personale e concreto (e distinto da quello indifferenziato e generale di cui è portatrice la collettività ), ad interloquire rispetto agli atti di pianificazione e di programmazione del territorio che incidono o rischiano di incidere sulle situazioni giuridiche di cui egli è già titolare, in base a titoli giuridici edilizi emessi dalla stessa Amministrazione, mai impugnati da terzi e mai ritirati dall’Amministrazione.

Sentenza|16 dicembre 2020| n. 8078

Data udienza 30 settembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Strumenti urbanistici – Variante – Governo del territorio – Tutele procedimentali partecipative al privato – Presupposti

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 10520 del 2019, proposto dalla Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. Bo., Gi. Fo., Lu. Ma. e Ni. Pe., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lu. Ma., in Roma, Via (…);
contro
Il signor An. Da., rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. De., An. Lo. e Fe. Sc., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fe. Sc., in Roma, via (…);
nei confronti
Il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
il Commissario ad acta presso il Comune di (omissis), non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento, n. 84/2019, resa tra le parti, concernente l’impugnazione della variante al p.r.g. del Comune di (omissis).
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del signor An. Da. e del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 settembre 2020 il consigliere Daniela Di Carlo e uditi per le parti l’avvocato An. Ma. (su delega dichiarata dell’avvocato Lu. Ma.) e gli avvocati dello Stato Gi Ro. e An. Ve.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il signor An. Da. (con ricorso proposto dinanzi al TRGA di Trento) ha chiesto l’annullamento della delibera della Giunta provinciale della Provincia autonoma di Trento del 1° dicembre 2017, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Trentino Alto Adige n. 50 del 12 dicembre 2017, recante l’approvazione con modifiche della variante al P.R.G. del Comune di (omissis), nella parte in cui, apportando varianti al previgente P.R.G. del Comune di (omissis), stralciava l’asterisco relativo alla p.ed. (omissis) in C.C. (omissis) e, quindi, la previgente possibilità del cambio di destinazione d’uso.
1.1. L’interessato ha chiesto, inoltre, l’annullamento della relativa norma tecnica di attuazione, di cui all’art. 10.2 (omissis).
1.2. A sostegno delle proprie pretese, il ricorrente ha lamentato plurime violazioni di legge (in particolare, degli articoli 18, 19, 20, 24, 37, 38, 39, 44, 45, 112, 120 e 121 della legge provinciale n. 15/2015; dell’art. 62 della legge provinciale n. 1/2008; degli articoli 7, 9, 10, 13, 21-quinquies della legge n. 241/1990; dell’art. 37, all. B, della legge provinciale n. 5/2008) e svariate figure sintomatiche dell’eccesso di potere (erroneità dei presupposti, carenza di motivazione, erronea, incompleta ed incongrua rappresentazione della realtà, carenza di istruttoria, irrazionalità, contraddittorietà con le precedenti determinazioni, violazione del procedimento di formazione degli strumenti di pianificazione, sovvertimento dei principi generali e delle linee guida della pianificazione urbanistica previgente e del razionale sviluppo edificatorio, disequilibrio tra discrezionalità pianificatoria ed esigenze giustificative).
2. Il TRGA di Trento, con la sentenza impugnata di cui in epigrafe, ha accolto il ricorso, per l’effetto annullando gli atti impugnati, e ha condannato l’Amministrazione intimata alla refusione, in favore del ricorrente, delle spese di lite, quantificate nella misura di euro 2.000,00, oltre alla rifusione del contributo unificato e agli accessori di legge.
2.1. Più in particolare, il Tar ha ravvisato tre profili di illegittimità dell’impugnata deliberazione, e cioè che:
– la stessa è stata adottata in’carenza di poterè, perché, avendo il Comune confermato in sede di seconda adozione della variante la disciplina urbanistica relativa al fabbricato contraddistinto della p.ed. (omissis), introdotta con la variante del 2011, alla Giunta provinciale non residuava, in sede di approvazione della variante, il potere di apportare una ulteriore modifica d’ufficio;
– il ricorrente non è stato preventivamente notiziato della modificazione apportata dalla Provincia;
– la decisione della Provincia non è supportata da un’adeguata motivazione, dalla quale risulti che si è tenuto conto dell’affidamento ingenerato dal pregresso mutamento della destinazione d’uso del fabbricato.
3. La Provincia ha impugnato la sentenza, deducendo tre motivi di appello.
3.1. Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell’art. 38 comma 2 della legge provinciale n. 15/2015.
La Provincia appellante ha lamentato che l’impugnata sentenza n. 84/2019 legittimerebbe la “prassi”, introdotta dall’Amministrazione comunale con la variante 2011, di modificare – previa semplice individuazione con asterisco ed espresso riferimento normativo – la destinazione d’uso degli edifici esistenti in area agricola, ignorando l’esistenza di un vincolo provinciale alla destinazione agricola, tuttora vigente.
Più in particolare, fin dalla entrata in vigore della legge urbanistica provinciale n. 22 del 1991 e anche con le più recenti leggi n. 1 del 2008 e n. 15 del 2015, si impone la preventiva valutazione del mutamento della destinazione d’uso da parte delle competenti strutture provinciali (artt. 62, co. 4, 5 e 6 L.P. 1/2008).
Dal che consegue che, per l’edificio di proprietà del ricorrente, come anche per gli altri manufatti
“asteriscati”, in quanto ancora vincolati alla destinazione agricola, si sarebbe dovuta applicare la procedura disposta dall’articolo 62, commi 5 e 6 della legge provinciale n. 1 del 2008 che, per gli edifici realizzati prima dell’entrata in vigore della L.p.n. 15/2015, quale quello in esame, prevede il rilascio del nulla osta da parte della Giunta provinciale previo parere favorevole della Sotto-CUP,
ai sensi di quanto disposto dall’articolo 121, comma 19 della Lp.15/2015.
3.2. Error in iudicando – Violazione e falsa applicazione dell’art 7 della L. n. 241/1990.
La sentenza è sottoposta a critica anche nella parte in cui ha affermato che “Ha, quindi, ragione il ricorrente a dolersi del fatto di non essere stato posto in condizioni di interloquire con l’Amministrazione in merito alle modifiche d’ufficio imposte dalla Provincia.”.
Si sostiene, all’inverso, che non è imputabile alla Provincia il fatto di non avere messo il ricorrente appellato in grado di interloquire con l’Amministrazione, perché ai sensi della normativa provinciale in materia di urbanistica, l’unico interlocutore dell’Amministrazione provinciale è l’Amministrazione comunale.
3.3. Error in iudicando – Violazione e falsa applicazione della L. n. 241/1990 disciplina generale in materia di autotutela in particolare dell’art. 21 nonies.
La sentenza impugnata è censurata anche in relazione all’accoglimento della doglianza “incentrata sul fatto che, -…. – la Giunta provinciale non ha tenuto conto dell’affidamento ingenerato dal mutamento della destinazione d’uso del fabbricato di sua proprietà, realizzato previa presentazione di una SCIA e mediante la realizzazione di opere che il Comune non ha impedito.”.
Si afferma che il ricorrente avrebbe dovuto indirizzare la censura in parola non nei confronti dell’Amministrazione provinciale, ma verso quella comunale (peraltro, nemmeno costituitasi in primo grado), perché è stata quest’ultima a rilasciare i titoli edilizi al ricorrente medesimo e al suo dante causa.
4. Il Comune di (omissis) e il signor Da. si sono costituiti, con separate memorie, per resistere al gravame, deducendo la sua inammissibilità e, comunque, la sua infondatezza nel merito.
5. Le parti hanno ulteriormente insistito sulle rispettive tesi difensive, mediante il deposito di documenti, di memorie integrative e di replica.
6. All’udienza pubblica del 17 settembre la causa è stata discussa dalle parti ed è stata trattenuta in decisione dal Collegio, anche tramite la successiva riconvocazione della camera di consiglio il 30 settembre 2020.
7. L’appello non è fondato e va, pertanto, respinto.
8. La Sezione ritiene essenziale ricostruire le vicende che hanno preceduto l’emanazione della deliberazione provinciale impugnata.
9. In punto di fatto, è accaduto che il Comune di (omissis) in data 12 novembre 2004 ha rilasciato al dante causa dell’odierno ricorrente la concessione edilizia n. 62/2004, avente ad oggetto la realizzazione di un deposito attrezzi agricoli in zona agricola.
In esecuzione di questo titolo, è stato realizzato un fabbricato con un volume fuori terra pari a 199.15 mc, contraddistinto con la p.ed. (omissis).
Nell’anno 2011 è stata approvata una variante generale al P.R.G. del Comune di (omissis), che per tale tipologia di fabbricati ha previsto la possibilità di un cambio di destinazione d’uso, mediante l’indicazione cartografica costituita da un asterisco e l’inserimento di un’apposita previsione normativa (l’art. 2, comma 6, delle norme tecniche di attuazione), secondo la quale “Per i fabbricati esistenti ricadenti nelle zone agricole, ed evidenziati appositamente in cartografia con un asterisco, poiché hanno perduto le caratteristiche tipologiche e di effettivo uso originario, è ammesso il cambio di destinazione d’uso (da agricolo e/o produttivo a residenziale e/o produttivo anche agrituristico); il cambio di destinazione d’uso a residenziale potrà essere effettuato esclusivamente per scopi abitativi di residenza ordinaria”.
La stessa possibilità è stata prevista per altri tre edifici con uguali caratteristiche, ossia in ragione dell’accertata perdita delle caratteristiche tipologiche di natura agricola.
In data 6 luglio 2016, sempre il dante causa dell’odierno ricorrente ha usufruito della possibilità del cambio di destinazione d’uso da agricola a residenziale, presentando una SCIA.
Dopo avere acquistato il bene (la stipulazione dell’atto di compravendita è avvenuta il 22 luglio 2016), l’odierno ricorrente lo ha destinato a propria abitazione principale, ha volturato a suo nome la SCIA e in data 10 ottobre 2017 ha comunicato al Comune l’ultimazione dei relativi lavori.
Nelle more, è stato avviato l’iter relativo alla variante urbanistica approvata dalla Giunta provinciale con l’impugnata delibera in data 1° dicembre 2017.
10. Va detto che inizialmente, e cioè nella fase di prima adozione della variante, l’indicazione cartografica costituita dall’asterisco è stata confermata per il fabbricato contraddistinto della p.ed. (omissis) e per altri fabbricati che si trovavano in analoga condizione e sono stati individuati ex novo altri edifici per i quali è stata prevista la possibilità del cambio di destinazione d’uso da agricola a residenziale.
Successivamente è però accaduto che la Provincia, in sede di verifica di coerenza della variante adottata, ai fini della sua definitiva approvazione, ha manifestato dei dubbi circa la compatibilità della previsione con la portata dell’art. 121 della legge provinciale n. 15/2015 e, più in generale, col piano urbanistico provinciale (P.U.P.).
A seguito di ciò, il Comune ha stralciato dalla variante le previsioni relative ai nuovi manufatti contraddistinti dall’asterisco, mentre – in relazione al fabbricato contraddistinto con la p.ed. (omissis) – ha confermato l’indicazione cartografica costituita dall’asterisco e dalla relativa norma di attuazione, limitandosi a spostarla di posizione, e cioè dall’art. 2, comma 6 all’art. 10.2.
Inoltre, il Comune ha eliminato la possibilità di un incremento volumetrico sino a 450 mc, evidenziando nella relazione illustrativa della variante che: “In merito all’eliminazione delle variazioni puntuali contraddistinte da asterisco con riferimento normativo, riguardanti il cambio d’uso con ampliamento volumetrico previste in prima adozione… si è proceduto al ripristino della situazione in essere. In definitiva si sono conservate solo le previsioni del vigente Piano, ottemperando alle osservazioni del servizio agricoltura ed urbanistica”.
Ciononostante, la Provincia ha chiesto al Comune di rivedere anche la previsione conservativa dell’art. 2, comma 6 e delle relative norme tecniche di attuazione, “anche tenuto conto della disciplina del cambio d’uso degli edifici esistenti in area agricola, di cui all’articolo 112, comma 5, e articolo 121, comma 19, della l.p. n. 15/2015”.
Ne è seguito uno scambio di note tra la Provincia e il Comune, ciascun ente insistendo sulle rispettive prese di posizione.
Alla fine, la Giunta provinciale si è determinata, con l’impugnata delibera in data 1° dicembre
2017, ad approvare con modifiche la variante al P.R.G. del Comune di (omissis), stralciando le previsioni relative al cambio di destinazione d’uso di tutti gli edifici contraddistinti da asterisco, ivi compreso quello di proprietà del ricorrente.
11. Alla luce delle suesposte premesse, la Sezione condivide sostanzialmente l’esito di accoglimento cui è pervenuto il giudice di primo grado circa l’esame del primo motivo di appello, con le precisazioni di seguito illustrate.
In tema di approvazione, da parte della Giunta provinciale, dello strumento urbanistico generale e delle relative varianti adottate dal Comune, l’art. 38, comma 2, della legge provinciale n. 15/2015 prevede che “possono essere apportate al piano esclusivamente le modifiche indispensabili per assicurarne la compatibilità con il PUP, con questa legge e con altre disposizioni legislative in materia di urbanistica, con i loro provvedimenti di attuazione e con il PTC”.
L’art. 38 cit. attribuisce alla Provincia il potere (tipico della funzione di amministrazione attiva) di approvare gli strumenti urbanistici adottati dal comune, nonché quello necessariamente connesso (tipico, invece, della funzione dell’autotutela amministrativa) di riesaminare per motivi di legittimità ovvero di revisionare per motivi di opportunità le decisioni amministrative già prese in sede di approvazione degli strumenti urbanistici in questione.
In quest’ottica, l’atto provinciale impugnato non può considerarsi emanato in’carenza di poterè, perché l’art. 38 cit. rappresenta la fonte normativa del potere di provvedere in capo alla Provincia. Potere che, come sopra detto, può essere esercitato sia attraverso procedimenti amministrativi di primo grado, sia attraverso procedimenti di secondo grado.
Piuttosto, la Sezione ritiene che il primo motivo di appello articolato dalla Provincia debba essere respinto, con la conseguente conferma del corrispondente motivo del ricorso di primo grado, per la (diversa) ragione che la Provincia, nella specie, ha travisato i presupposti per sottoporre a revisione il piano urbanistico comunale.
Più in particolare, in sede di seconda adozione della variante, il Comune ha confermato la disciplina urbanistica relativa al fabbricato contraddistinto della p.ed. (omissis), introdotta con la variante del 2011.
Non è fondata, dunque, la tesi prospettata dalla Provincia, secondo la quale il Comune, riconoscendo con la nuova variante la possibilità di aumentare, fino ad un massimo di 450 mc, la volumetria dei quattro edifici agricoli già individuati con la variante 2011, “ha dato corso ad una variante della situazione preesistente… che imponeva una nuova valutazione da parte delle competenti strutture provinciali”, perché “gli esposti relativi alla variante impugnata, nonché le valutazioni critiche espresse dal Servizio Agricoltura e confermate dal Servizio Urbanistica in sede di valutazione della variante in esame, hanno consentito di evidenziare la abnorme prassi adottata dal Comune di (omissis) di autorizzare in area agricola il cambio d’uso di edifici agricoli in
residenziale sulla base di proprie e autonome valutazioni e individuazioni cartografiche, trascurando completamente l’applicazione delle cogenti disposizioni provinciali in materia di vincolo di destinazione d’uso degli edifici destinati all’attività agricola”.
Piuttosto, è vero il contrario, e cioè che la Giunta provinciale ha tentato oggi, in sede di approvazione della nuova variante, di stralciare la previsione urbanistica già adottata e approvata in sede di precedente variazione dello strumento di piano.
Nel caso in esame, infatti, l’impugnata delibera – come già evidenziato – ha inciso su preesistenti previsioni dello strumento urbanistico, non oggetto di innovazioni introdotte dal Comune, perlomeno non in sede di seconda adozione della variante.
Questa circostanza è confermata anche dal comportamento serbato dalla stessa Provincia nell’ambito del procedimento da cui è scaturita l’impugnata delibera, perché la stessa è intervenuta sia per ottenere lo stralcio delle previsioni di cambio d’uso degli edifici in area agricola come introdotti ex novo, sia lo stralcio delle previgenti previsioni di cambio d’uso, mediante la retrocessione, con effetto ex tunc, della previsione urbanistica in parola, come a suo tempo introdotta e approvata dalla medesima Provincia con la precedente variante 2011.
Questo potere configura una tipica ipotesi di autotutela, perché è rivolto all’annullamento di una precedente decisione già presa, mai impugnata da parte di terzi e anzi approvata dalla stessa Giunta provinciale con la variante del 2011, previa nuova valutazione dell’interesse pubblico generale e senza il rispetto delle garanzie partecipative e del legittimo affidamento maturato dai soggetti che, come il ricorrente, avevano già acquisito nel proprio patrimonio giuridico il bene interesse, pensando di averlo oramai consolidato.
L’unico ostacolo al legittimo esercizio del potere in parola è, dunque, il travisamento dei presupposti di fatto per potervi procedere.
Nelle premesse si è già detto, in particolare, che era stato addirittura il precedente proprietario del manufatto, dante causa dell’odierno ricorrente, a realizzare il locale deposito (nel 2004) e poi a trasformarlo in residenza col cambio di destinazione d’uso (nel 2016), in base a titoli giuridici legittimi, mai impugnati da alcuno e mai nemmeno ritirati dall’Amministrazione.
Anche la voltura della SCIA (nel 2016) e la comunicazione di fine lavori (nel 2017) da parte dell’odierno ricorrente, una volta divenuto proprietario dell’immobile in questione, non sono mai stati impugnati, annullati o altrimenti revocati.
Non colgono nel segno, dunque, nemmeno i due residui motivi appello con cui la Provincia censura l’asserita insussistenza, in capo al privato, delle garanzie partecipative e della tutela del legittimo affidamento.
Quanto al primo motivo (le garanzie partecipative), la giurisprudenza amministrativa è consolidata nel senso di riconoscere le tutele procedimentali partecipative al privato nella materia del governo del territorio, di per sé esclusa da tale regime partecipativo secondo le previsioni di cui alla legge n. 241/1990 e s.m.i., quando il privato è titolare di un interesse oppositivo al mantenimento di una precedente situazione giuridica di vantaggio allo stesso riconosciuta dall’Amministrazione pubblica. In tal caso, la garanzia partecipativa è riconosciuta, perché il privato ha un interesse diretto, personale e concreto (e distinto da quello indifferenziato e generale di cui è portatrice la collettività ), ad interloquire rispetto agli atti di pianificazione e di programmazione del territorio che incidono o rischiano di incidere sulle situazioni giuridiche di cui egli è già titolare, in base a titoli giuridici edilizi emessi dalla stessa Amministrazione, mai impugnati da terzi e mai ritirati dall’Amministrazione.
Quanto, invece, al profilo concernente la tutela del legittimo affidamento, è sufficiente rilevare che il rispetto della stessa si impone alla Provincia indipendentemente dal fatto che i titoli edilizi (e cioè la concessione edilizia del 2004, la scia del 2016 e la scia del 2017) sono stati rilasciati dal Comune e non dalla Provincia medesima.
In primo luogo, perché ciò è avvenuto sulla base dell’attribuzione normativa delle competenze amministrative tra i diversi Enti pubblici che espletano funzioni in materia di governo del territorio.
In secondo luogo, perché il Comune ha rilasciati i titoli in questione sulla base dello strumento di pianificazione adottato e poi approvato dalla stessa Provincia, e dunque in modo conforme alla legislazione urbanistica allora vigente.
Piuttosto, è l’impugnata deliberazione provinciale che, attraverso lo stralcio delle parti asteriscate, intende, ora per allora, incidere retroattivamente sull’originaria conformità urbanistica, privando i titoli ex post di tale iniziale conformità .
Ciò, ad avviso della Sezione, contrasta non solo col principio del legittimo affidamento sulla stabilità del titoli, ma anche con quello di certezza del diritto e delle situazioni giuridiche in genere, oltreché con quello della tipicità del provvedimento amministrativo, la cui legittimità (e conformità rispetto alla legge) non può che essere valutata in base allo stato di fatto esistente e allo stato di diritto vigente all’epoca della sua emanazione.
Ogni diversa rivalutazione dell’interesse pubblico rientra, dunque, come già illustrato, nel campo dell’autotutela amministrativa.
12. In definitiva, per le suesposte considerazioni, l’appello va respinto.
13. Restano fermi gli ulteriori provvedimenti che la Provincia vorrà emanare, ricorrendone i presupposti di legge, in vista del riesame delle precedenti decisioni approvate, qualora ritenute in contrasto con la sopraordinata legge urbanistica provinciale (in particolare, con la legge urbanistica provinciale n. 22 del 1991 e anche con le più recenti leggi n. 1 del 2008 e n. 15 del 2015).
14. Le spese del presente grado, liquidate in dispositivo secondo i parametri di cui al regolamento n. 55 del 2014 e s.m.i., sono regolate in base alla soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 10520/2019, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna la Provincia di Trento a rifondere le spese di lite liquidate in euro 2000,00 in favore di ciascuna parte costituita, e così per complessivi euro 4.000,00 oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. se dovute come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del giorno 17 e 30 settembre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere, Estensore
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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