Corte_de_cassazione_di_Roma

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 30 gennaio 2014, n. 4369

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 9 agosto 2013 il Tribunale di Napoli ha respinto l’appello proposto dal difensore di R.F. avverso l’ordinanza del 10 giugno 2013 del Tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Sorrento, che, in sostituzione degli arresti domiciliari, gli applicava la custodia cautelare in carcere in relazione al reato di cui agli articoli 110 c.p. e 73 d.p.r. 309/1990.
2. Ha presentato ricorso il difensore adducendo tre motivi: violazione degli articoli 350, comma 7, e 357, commi 2 e 3 in relazione agli articoli 273 e 276 c.p.p. e vizio motivazionale correlato; violazione degli articoli 276 e 299 c.p.p. e vizio motivazionale correlato; vizio motivazionale per contraddittorietà dell’ordinanza con l’annotazione dei carabinieri del 30 maggio 2013 per cui non sarebbe stata violata la cautela degli arresti domiciliare. Osserva il ricorrente che il Tribunale ha ritenuto sussistenti le condizioni di cui all’articolo 276, comma 1, c.p.p. per trasgressione della cautela che sarebbe stata effettuata tramite una lite con il fratello e la cognata svolta fuori dall’abitazione; ma nella comunicazione della polizia giudiziaria sono state riportate le circostanze riferite da fratello e cognata senza s.i.t. e solo su di esse si fonda la ricostruzione dei fatti: di qui l’inutilizzabilità ex articolo 191 c.p.p. Anche se tali dichiarazioni fossero utilizzabili, la lite non sarebbe avvenuta fuori dell’abitazione bensì in un’area di stretta pertinenza del fabbricato dove abita il prevenuto. La trasgressione delle prescrizioni non provoca comunque automaticamente l’aggravamento della misura cautelare.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è fondato.
Come espose nel primo motivo il ricorrente, i Carabinieri di Piano di Sorrento, dopo una prima annotazione che aveva denunciato la lite tra il prevenuto, suo fratello e sua cognata, su richiesta del PM ne avevano trasmesso una seconda, in data 30 maggio 2013, nella quale – così la riporta la stessa motivazione dell’ordinanza impugnata – “comunicavano che la lite era avvenuta all’interno del cortile condominiale, circondato dai muri perimetrali, delle abitazioni in uso ai due fratelli e che, pertanto, il R. non aveva violato gli arresti domiciliari”. A fronte di questo, il Tribunale ha affermato che invece il prevenuto li aveva violati, per quanto concerne il divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari stessi, non potendosi ritenere l’area condominiale come abitazione, cioè luogo di esecuzione degli arresti domiciliari.
L’interpretazione del concetto di abitazione, sia ai fini della misura cautelare degli arresti domiciliari sia, del tutto analogamente (Cass. sez. I, 30 marzo 2004 n. 17962), ai fini della detenzione domiciliare, conduce a identificarla nel “luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata con esclusione di ogni altra appartenenza (aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non sia di stretta pertinenza dell’abitazione e non ne costituisca parte integrante, al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell’imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non aleatorietà” (così Cass. sez. VI, 18 dicembre 2007-21 gennaio 2008 n. 3212; v. pure Cass. sez. VI, 17 gennaio 2007, n. 4143; Cass. sez. I, 30 marzo 2004 n. 17962, cit.; Cass. sez. VI, 7 gennaio 2003 n. 15741; Cass. sez. VI, 10 febbraio 1995 n. 5770; Cass. sez. VI, 4 ottobre 1994 n. 11000).

È definibile come di stretta pertinenza all’abitazione un luogo che sia da essa immediatamente raggiungibile senza soluzione di continuità spaziale (così condivisibilmente precisa la già citata Cass. sez. VI, 17 gennaio 2007, n. 4143) cioè senza attraversare spazi non riconducibili all’esercizio della vita domestica e privata. Non sono dunque escludibili dal concetto di abitazione un’area condominiale, un giardino o un cortile, l’abitazione non potendosi intendere esclusivamente come un appartamento in senso stretto, cioè come una serie di locali chiusi, ma dovendo, al contrario, essere considerata il luogo dove viene espletata la vita domestica e privata. Nel caso di specie, quindi, essendo avvenuta la lite in un’area condominiale circondata dai muri perimetrali del fabbricato in cui il prevenuto risiedeva, l’area poteva essere qualificabile – in difetto di soluzione spaziale tra essa e l’abitazione in senso stretto, e se conformata con una recinzione atta a qualificarla destinata alla vita privata esclusivamente di chi abitava in quel fabbricato – come pertinenza della abitazione, come avevano segnalato i Carabinieri dopo aver approfondito le indagini nella seconda annotazione. L’ordinanza impugnata non considera la giurisprudenza appena esposta, e omette quindi di vagliare le caratteristiche concrete dell’area in questione: si limita invece ad affermare in modo apodittico come l’accesso del prevenuto all’area condominiale “costituisca trasgressione alle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari”. Assorbita pertanto ogni ulteriore doglianza, il provvedimento impugnato deve essere annullato, con rinvio al Tribunale di Napoli per le valutazioni di sua spettanza.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli.

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