Locazione e l’obbligo del locatore di mantenere la cosa locata in stato di servire all’uso convenuto

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|6 marzo 2023| n. 6615.

Locazione e l’obbligo del locatore di mantenere la cosa locata in stato di servire all’uso convenuto

In tema di locazione, l’obbligo del locatore di mantenere la cosa locata in stato di servire all’uso convenuto è subordinato alla conoscenza che il locatore abbia della sopravvenuta inidoneità della cosa stessa a soddisfare le esigenze per cui venne locata, ma non comprende, altresì, il dovere di prevenire l’eventualità che la cosa si renda inidonea all’uso per cause non appariscenti e delle quali non abbia avuto notizia, tramite il conduttore, cui incombe il relativo obbligo, a norma dell’art. 1578 cod. civ.; ne consegue che quando il conduttore, avendo omesso ogni sorveglianza, non abbia informato il locatore circa lo stato della cosa locata, del danno da lui subito non ne risponde il locatore, non essendo costui posto in grado di adempiere il suo obbligo di effettuare le riparazioni necessarie

Ordinanza|6 marzo 2023| n. 6615. Locazione e l’obbligo del locatore di mantenere la cosa locata in stato di servire all’uso convenuto

Data udienza 7 febbraio 2023

Integrale

Tag/parola chiave: LOCAZIONE – IMMOBILI – AD USO DIVERSO DA QUELLO ABITATIVO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7911-2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS) S.N.C., gia’ (OMISSIS) e S.N.C., in persona del suo rappresentante legale, (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato CINZIA MECO, dall’avvocato ALBERTO MARIO ZIZI e dall’avvocato GIANFRANCO MUREDDU, elettivamente domiciliata in Roma, via Nomentana, 61, presso lo studio dell’avvocato CINZIA MECO;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), quest’ultimo in qualita’ di procuratore generale di (OMISSIS), tutti rappresentati e difesi dall’avvocato MILENA PATTERI, elettivamente domiciliati in Roma, via Gallia, 86, presso lo studio dell’avvocato MADDALENA RISUCCI;
-controricorrenti avverso la sentenza n. 584-2018 della Corte d’Appello di CAGLIARI, sezione distaccata di SASSARI, pubblicata in data 21 dicembre 2018 e notificata in data 2 gennaio 2019.
Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio dal Consigliere Marilena Gorgoni.
Rilevato che
(OMISSIS) S.n. C. ricorre, formulando cinque motivi, alcuni articolati in una pluralita’ di censure, per la cassazione della sentenza n. 584/2018 emessa dalla Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, notificata in data 2 gennaio 2019;
resistono con controricorso (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), quest’ultimo in qualita’ di procuratore generale di (OMISSIS);
la societa’ ricorrente rappresenta nella descrizione del fatto che:
– aveva preso in locazione, con contratto del 18 novembre 2003, l’immobile, sito in (OMISSIS), di proprieta’ di (OMISSIS);
– le era stato notificato, in data 27 giugno 2011, atto di intimazione di sfratto e successiva convalida per l’omesso pagamento dei canoni e dei contributi dovuti a far data dal giugno 2010, per un ammontare complessivo di Euro 19.915,00;
– si era costituita in giudizio, individuando i presupposti risolutori del contratto nei numerosi inadempimenti imputabili alla proprietaria: i) l’abusivita’ dell’immobile, appresa in occasione della redazione del piano di sicurezza del locale ex Decreto Legislativo n. 81 del 2008, preesistente alla locazione, taciuta in mala fede dalla locatrice, la quale aveva menzionato l’ordinanza sindacale del 2 aprile 1990 da cui avrebbe dovuto desumersi la regolarita’ urbanistica del bene, e non aveva ritirato le missive inviatele con cui veniva sollecitata la sua collaborazione per opporsi al provvedimento di chiusura dell’esercizio commerciale; ii) la violazione degli articoli 1575 e 1578 c.c. per le copiose infiltrazioni di umido manifestatesi nel dicembre 2009;
– aveva rilasciato l’immobile il 12 agosto 2011;
il Tribunale di Nuoro, con sentenza n. 411/2017, aveva dichiarato risolto il contratto per inadempimento della conduttrice e condannato l’odierna ricorrente al pagamento, agli eredi di (OMISSIS), della somma di Euro 19.915,00 a titolo di canoni scaduti;
la Corte d’Appello, con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso, investita del gravame dall’odierna ricorrente, ha rigettato l’appello e ha confermato la sentenza impugnata;
la trattazione del ricorso e’ stata fissata ai sensi dell’articolo 380 bis 1 c.p.c. la ricorrente ha depositato memoria.

Considerato che

1) con il primo motivo la societa’ ricorrente deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullita’ della sentenza “in relazione all’articolo 132 c.p.c., 118 att. c.p.c., 111 Cost. – motivazione apparente”;
oggetto di censura e’ la statuizione con la quale la Corte d’Appello ha ritenuto di applicare il principio di diritto di cui a Cass., Sez. un., n. 13533/2001: essa, secondo la rappresentazione della ricorrente, sarebbe errata per non avere rilevato la presenza di una exceptio inadimpleti contractus e per essere basata su una motivazione solo apparente e quindi inesistente, perche’ confermativa della decisione impugnata con espressioni stereotipe, tradottesi nell’affermazione della mancata dimostrazione del dolo della locatrice e dell’errore essenziale della locataria e della non emersione dall’istruttoria di difformita’ urbanistiche tali da inficiare l’utilizzo del bene; non avrebbe, invece, attribuito rilievo probatorio all’articolo 7 della scrittura privata del 18 novembre 2013, ove la locatrice dichiarava che l’immobile aveva destinazione urbanistica come da certificazione rilasciata dal sindaco in data 2 aprile 1990, ne’ alla sua comunicazione di inizio dell’attivita’ con cui aveva asseverato la regolarita’ urbanistico-edilizia dell’immobile, proprio facendo riferimento alla suddetta certificazione;
2) con il secondo motivo la ricorrente rimprovera alla Corte d’Appello, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3 e n. 4, c.p.c., rispettivamente, la violazione e falsa applicazione della legge ex articolo 360 c.p.c., n. 3 in relazione dell’articolo 1460 c.c. e la nullita’ della sentenza, in relazione agli articoli 132 c.p.c., motivazione apparente o mancante;
la tesi rappresentata e’ che la sentenza impugnata abbia omesso non solo ogni valutazione dei reciproci inadempimenti e di ponderarne le rispettive gravita’, ma anche di approfondire la ricorrenza dei presupposti della buona fede implicati dall’articolo 1460, comma 2, c.c.; nella sostanza si sarebbe limitata ad affermare che la locatrice non aveva assunto l’obbligo di ottenere il certificato di agibilita’, ma sarebbe giunta a tale conclusione senza tener conto che la regolarita’ urbanistico-amministrativa dell’immobile era stata implicitamente assicurata con quanto dichiarato nella clausola n. 7, la quale riguardava non solo la destinazione commerciale del bene, ma anche le sue caratteristiche intrinseche atte a consentirne la fruibilita’ commerciale, perche’: i) la conformita’ del manufatto alle norme urbanistico-edilizie rispetto alla sua destinazione e’ il presupposto per il rilascio del certificato di agibilita’; ii) l’obbligo del conduttore di conseguire le certificazioni amministrative necessarie all’esercizio del proprio commercio si riduce all’esperimento di un ordinario iter burocratico, ma non comprende quello di assumere gli oneri relativi al risanamento delle difformita’ urbanistiche eventualmente riscontrate nell’immobile locato e condizionanti l’utilizzabilita’ del bene per la destinazione pattuita;
errata sarebbe l’affermazione della Corte territoriale secondo cui per ottenere il certificato di agibilita’ sarebbe bastata l’autocertificazione di un tecnico abilitato, giacche’, per un verso, essa avrebbe presupposto la sanatoria delle irregolarita’ presenti nell’immobile, come confermato dalla CTU, secondo cui la possibilita’ di autocertificare la conformita’ era subordinata alla sanatoria delle lievi irregolarita’ edilizie, per altro, non avrebbe approfondito la questione della riferibilita’ della sanatoria di dette irregolarita’, lievi o non, al locatore o al conduttore, atteso che per quanto sanabili esse lo erano a condizione di pagare una sanzione pecuniaria pari al doppio del valore delle parti abusive, di destinare il piano seminterrato a cantina, di eliminare la scala di collegamento con il piano terra commerciale, di conseguire alcune certificazioni per un somma da corrispondere ad un tecnico abilitato di Euro 5.000,00; per di piu’, la pronuncia impugnata non avrebbe considerato che il conduttore non poteva provvedervi se non violando l’articolo 1590 c.c.;
3) con il terzo motivo la ricorrente lamenta, invocando l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla determina prot. n. 15867 del 29 marzo 2011 rif. 14005/2011 che avviava il procedimento per la chiusura immediata del locale commerciale, che ove esaminato avrebbe dimostrato che da parte della conduttrice sarebbe stato impossibile utilizzare l’immobile e che era in buona fede nel momento in cui, avvalendosi dell’articolo 1460 c.c., aveva sospeso il pagamento dei canoni, una volta acquisita consapevolezza di non poter utilizzare l’immobile;
4) con il quarto motivo la ricorrente imputa alla sentenza gravata, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3 e n. 4, c.p.c., rispettivamente, la violazione e falsa applicazione degli articoli 1418, 1346, 1571 e 1575 c.c. e la nullita’ della sentenza in relazione in relazione all’articolo 132 c.p.c., 118 att. c.p.c., 111 Cost – motivazione apparente o mancante;
la ricorrente lamenta il carattere meramente tautologico della motivazione con cui la Corte territoriale ha negato la sussistenza della nullita’ del contratto per impossibilita’ del suo oggetto, giustificata con la ritenuta presenza i tutti i requisiti previsti da norme inderogabili;
5) con il quinto motivo si ascrivono alla sentenza impugnata la violazione e falsa applicazione degli articoli 1575, 1576 e 2051 c.c., ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e la nullita’ in relazione all’articolo 132 c.p.c., 118 att. c.p.c., 111 Cost – motivazione apparente o mancante;
la sentenza gravata ha rigettato la domanda riconvenzionale avente ad oggetto la domanda risarcitoria per i danni da infiltrazioni ritenendo non provato l’inadempimento, perche’ la locatrice, a seguito della segnalazione del problema infiltrativo, era intervenuta immediatamente e perche’ per i danni arrecati da terzi all’immobile locatore il conduttore e’ legittimato a promuovere azione di responsabilita’ nei confronti dell’autore del danno, ma avrebbe errato, secondo la ricorrente, perche’ i danni agli arredi si erano gia’ verificati prima che la locatrice provvedesse a sanare il fenomeno infiltrativo e perche’ quest’ultima non aveva messo in discussione la sua legittimazione passiva, in quanto proprietaria della porzione di immobile da cui provenivano le infiltrazioni e non aveva mai contestato di essere tenuta alla custodia e alla manutenzione riconnessi alla sua duplice veste di proprietario e di locatore;
6) in via preliminare, come, peraltro, eccepito dalla controricorrente, il ricorso non soddisfa il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa; infatti, la tecnica espositiva utilizzata a tal fine, dalla pag. 1 sino alla pag. 18, risulta singolare: a) per un verso, si rivela carente nel riferire dello svolgimento processuale, atteso che omette di riportare – come avrebbe dovuto – le allegazioni svolte dalle parti con le memorie integrative successive al passaggio della trattazione dalla fase sommaria del procedimento per convalida alla fase a cognizione piena, nulla dice sulle ragioni della decisione di primo grado, di cui riporta solo il dispositivo; ab) per altro verso, riproduce, sebbene in forma indiretta, dalla pag. 7 alla pag. 18, l’intero atto di appello, il cui contenuto, in ragione delle carenze indicate sub a) non solo appare di difficile comprensione, ma contravviene all’obbligo di sommarieta’, anch’esso prescritto dal n. 3 dell’articolo 366 c.p.c.;
quanto rilevato sub aa) evidenzia un’inidoneita’ al raggiungimento dello scopo della previsione del n. 3 dell’articolo 366 c.p.c. alla stregua del consolidato principio di diritto di cui a Cass., Sez. Un., n. 11653 del 2006, nella sostanza ribadito di recente da Cass., Sez. Un., n. 37552 del 2021;
quanto evidenziato sub ab) palesa un modo di assolvimento del requisito di cui all’articolo 366 n. 3 c.p.c. inidoneo al raggiungimento dello scopo, in quanto, anziche’ una sommaria informazione contenutistica, attraverso l’indicazione dei vari passaggi in cui si e’ articolato l’atto di cui trattasi (se essenziali in mente della parte ricorrente), si suppone che la Corte di cassazione debba, per percepirne il contenuto rilevante (in funzione della conoscenza sommaria del fatto processuale), leggere completamente il (lungo) atto di cui trattasi; il che si risolve in una modalita’ che, non essendo diversa da come sarebbe stata la mera indicazione alla Corte degli atti stessi e l’invito a leggerli aliunde rispetto al ricorso, equivale all’assenza del requisito come parte del ricorso e dunque come oggetto di un’attivita’ espositiva, conforme alla funzione narrativa del ricorso stesso sul punto, individuata dal legislatore con la parola “esposizione” (Cass., Sez. Un., 11/04/2012, n. 5698 e successiva giurisprudenza conforme);
peraltro, l’eccesso di documentazione integrata nel ricorso non soddisfa la richiesta alle parti di una concisa rielaborazione delle vicende processuali contenuta nel codice di rito per il giudizio di cassazione, viola il principio di sinteticita’ che deve informare l’intero processo (anche in ragione del principio costituzionale della ragionevole durata di questo), rende difficoltoso se non impossibile cogliere le problematiche della vicenda, mascherando i dati effettivamente rilevanti per le argomentazioni svolte, tanto da risolversi, paradossalmente, in un difetto di autosufficienza del ricorso stesso (di recente, in tal senso, cfr. Cass. 25/11/2020, n. 26837);
7) se parte ricorrente non fosse incorsa nella suddetta violazione e se, quindi, i motivi fossero stati esaminabili, l’esito dello scrutinio – condotto, naturalmente, senza possibilita’ di verificare la scrutinabilita’ dei motivi in relazione allo svolgimento del fatto sostanziale e processuale – sarebbe stato il seguente:
7.1) il primo motivo sarebbe stato dichiarato inammissibile: al) sia perche’, dichiarando di attingere la pertinenza del principio di diritto evocato dalla sentenza (tra l’altro, omettendo di considerare quando affermato di seguito), esso si colloca gia’ in thesi del tutto al di fuori della logica del vizio denunciato, risolvendosi nella denuncia di un error in iudicando (tale essendo un addebito di non pertinenza di un principio di diritto evocato dalla decisione censurata alla vicenda giudicata); a2) sia comunque perche’ il preteso vizio motivazionale e’ basato sul raffronto tra la motivazione della sentenza ed elementi estrinseci rispetto alla stessa; il che evidenzia che la censura si pone al di fuori anche per tale ragione della logica della modalita’ di deduzione della violazione dell’articolo 132, comma 2, n. 4 c.p.c., valendo il consolidato principio secondo cui tale vizio deve emergere dalla sentenza in se’ e per se’ considerata e non deve essere argomentato facendo leva su elementi estrinseci (Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053 e successiva giurisprudenza conforme);
7.1.2) si aggiunga, riprendendo l’implicazione di quanto osservato nel punto precedente sub 7.1.), che in ordine all’erronea applicazione del principio di diritto di cui a Cass., Sez. Un., n. 13533/2001, relativo alla distribuzione dell’onere della prova, sarebbe stato rilevato, in primo luogo, che il vizio avrebbe dovuto essere fatto valere invocando la ricorrenza di un vizio da ricondurre alla violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e, successivamente, che, quand’anche si fosse provveduto alla correzione d’ufficio dell’errore di sussunzione, la censura non avrebbe trovato accoglimento, perche’ la sentenza impugnata ha fondato il rigetto del motivo di appello – dopo aver premesso che non era in contestazione l’esistenza della morosita’ di quasi Euro 20.000,00 per canoni scaduti, ma l’inadempimento della locatrice rispetto alla mancanza di agibilita’ e ai danni da infiltrazioni – sull’insussistenza di un obbligo della locatrice di garantire l’agibilita’ del bene locato;
ora, come la ricorrente stessa afferma a p. 3 del ricorso, all’atto di costituirsi in giudizio, pur concordando con la locatrice in ordine all’improseguibilita’ del rapporto, aveva enunciato la ricorrenza di presupposti risolutori diversi da quelli lamentati da controparte, ascrivendo la causa della risoluzione a molteplici inadempimenti della locatrice (OMISSIS);
la’ dove si controverta di inadempimenti reciproci, ogni parte e’ onerata della prova del titolo non diversamente da quanto accade nelle ipotesi ordinarie in cui sia dedotta in lite una sola domanda di risoluzione ex articolo 1453 c.c.; quindi, nella fattispecie, ad ogni parte incombeva di dimostrare il titolo dell’obbligazione la cui violazione giudicava idonea ad alterare, in modo irreversibile, il sinallagma costituente causa tipica del contratto a prestazioni corrispettive;
dovendo trovare applicazione la regola di riparto dell’onere della prova comune alla materia contrattuale, secondo cui “In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto e’ gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito
dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex articolo 1460 c.c., risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiche’ il debitore eccipiente si limitera’ ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovra’ dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione (Cass., Sez. Un., n. 13533/2001), si deve, dunque, escludere – avendo essa detto che la prova mancava – che alla sentenza d’appello possa fondatamente rimproverarsi di non avere correttamente applicato l’indirizzo consolidatosi sin da Cass., Sez. Un., n. 13533/2001, in tema di eccezione di inadempimento; in effetti, a fronte della exceptio inadimpleti contractus, il criterio di distribuzione dell’onere della prova rimane oggettivamente identico, sia pure soggettivamente invertito nei ruoli, poiche’, come detto, chi solleva l’eccezione puo’ limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento, ma cio’ presuppone che l’obbligo il cui inadempimento viene lamentato, con l’eccezione, ricorra, cioe’ che l’eccipiente dimostri di avere titolo per pretendere la prestazione (Cass. 21/12/2021, n. 41126, in motivazione);
7.2) il secondo motivo non sarebbe stato accolto, perche’ non individua la motivazione criticanda; in aggiunta, il Collegio avrebbe rilevato che anche in questo caso il vizio di motivazione ai sensi dell’articolo 132, comma 2, n 4 c.p.c. e’ argomentato facendo leva su elementi estrinseci rispetto alla sentenza (cfr. supra § 7.1);
ne’ sarebbero stati ravvisati gli errores in iudicando ascritti alla sentenza, perche’ la censura non e’ stata argomentata ne’ in termini di violazione ne’ in termini di falsa applicazione di legge, ma si risolve in una sollecitazione ad un riesame della quaestio facti, fra l’altro argomentata evocando la CTU, senza localizzarla in questa sede ai sensi dell’articolo 366 n. 6 c.p.c. (atteso che non e’ stata depositata nel ricorso e che parte ricorrente si limita ad affermare che risultava depositata nel procedimento di primo grado e nemmeno precisa di voler adempiere all’onere di cui all’articolo 366 n. 6 c.p.c. nel modo consentito da Cass., Sez. Un., 03/11/2011, n. 22726, cioe’ facendo riferimento alla sua eventuale presenza nel fascicolo di ufficio) e senza precisare se e dove si era argomentato quanto si deduce sulla base di essa.
7.3) anche il terzo motivo sarebbe andato incontro ad una pronuncia di inammissibilita’: in prima battuta, perche’ la censura si basa su un documento rispetto al quale non sono state soddisfatte le prescrizioni di cui all’articolo 366 comma 1 n. 6 c.p.c. (cfr. supra § 7.1); in via gradata, perche’ – anche senza considerare la preclusione di cui all’articolo 348 ter ultimo comma c.p.c. – non e’ stata dimostrata la decisivita’, rispetto alla motivazione, del fatto emergente dal documento, il cui esame sarebbe stato omesso;
7.4) in ordine al quarto motivo va osservato che l’espressione “tutti i requisiti previsti da norme inderogabili” deve intendersi riferita al possesso da parte dell’oggetto del contratto dei requisiti di cui all’articolo 1346 c.c., avuto riguardo per il contratto per cui e’ causa;
questa Corte, proprio con riferimento al contratto di locazione, ha avuto occasione di affermare che il contratto locatizio puo’ essere nullo per impossibilita’ giuridica dell’oggetto, cioe’ per radicali sue connotazioni intrinseche che lo rendono inidoneo all’agibilita’, in forza del combinato disposto degli articoli 1346 e 1418 c.c.: cio’ non e’ stato riscontrato nel caso di specie, proprio perche’ la Corte d’Appello ha accertato che l’immobile era suscettibile di sanatoria; quindi, nella fattispecie per cui e’ causa, non rilevando la nullita’ del contratto per le caratteristiche dell’oggetto, la questione si sarebbe spostata sul piano dell’inadempimento delle obbligazioni contrattuali (Cass. 25/06/2019, n. 16918; Cass. 28/12/2021, n. 41744): inadempimento che la Corte territoriale ha escluso;
va rimarcato che la motivazione criticata si aggiunge a quella con cui la Corte territoriale ha ritenuto condivisibile l’affermazione con cui il giudice di prime cure aveva ritenuto inesistenti carenze intrinseche del bene e accertato l’utilizzo del bene da parte del conduttore e quindi implicitamente non sussistenti i profili di invalidita’ del contratto (cfr. p. 4); per di piu’ parte ricorrente evoca la CTU nuovamente in spregio dell’articolo 366 n. 6 c.p.c.;
7.5) quanto al quinto motivo, si osserva che la dedotta violazione dell’articolo 132, comma 2, n. 4, c.p.c. risulta manifestamente priva di fondamento, dato che la motivazione esiste; peraltro, la censura e’ supportata dal riferimento del tutto assertivo a circostanze fattuali: a p. 35 del ricorso si legge che dagli atti di causa sarebbe desumibile che la locatrice non aveva mai contestato la propria titolarita’ dominicale sulla porzione di immobile da cui provenivano le infiltrazioni e che non avrebbe ricusato gli obblighi di custodia e di manutenzione riconnessi alla duplice veste di proletario conduttore va poi rilevato che il contenuto della domanda riconvenzionale non e’ stato riprodotto nel ricorso, in violazione delle prescrizioni di cui all’articolo 366 n. 6 c.p.c.; il che non avrebbe consentito di accertare che cosa fosse stato lamentato e a che titolo – contrattuale o extracontrattuale – fosse stata invocata la responsabilita’ della locatrice;
certa e’ la circostanza – non contestata dalla ricorrente – che la locatrice era intervenuta tempestivamente, una volta segnalata la presenza delle infiltrazioni e per tale ragione la pronuncia impugnata ha escluso la ricorrenza di un inadempimento;
a tal riguardo nel ricorso (p. 35) si legge: “pur volendo prescindere dalla ovvia considerazione che nel momento in cui e’ stato richiesto l’intervento del proprietario- locatore i danni agli arredi, di cui si e’ chiesto il ristoro, si erano gia’ integralmente verificati”;
il che avrebbe indotto ad ipotizzare che la Corte territoriale abbia ritenuto adempiente la conduttrice, proprio perche’, una volta segnalato il problema, era intervenuta;
l’obbligo del locatore di mantenere la cosa locata in stato di servire all’uso convenuto e’ subordinato alla conoscenza che il locatore abbia della sopravvenuta inidoneita’ della cosa stessa a soddisfare le esigenze per cui venne locata, ma non comprende, altresi’, il dovere di prevenire l’eventualita’ che la cosa si renda inidonea all’uso per cause non appariscenti e delle quali non abbia avuto notizia, tramite il conduttore, cui incombe il relativo obbligo, a norma dell’articolo 1578 c.c.; ne consegue che quando il conduttore, avendo omesso ogni sorveglianza, non abbia informato il locatore circa lo stato della cosa locata, del danno da lui subito non ne risponde il locatore, non essendo costui posto in grado di adempiere il suo obbligo di effettuare le riparazioni necessarie (Cass. 16/11/1979, n. 5957);
tanto premesso, la Corte territoriale ha fatta salva la legittimazione del conduttore ad agire eventualmente nei confronti del responsabile delle infiltrazioni al fine di ottenere il risarcimento del danno;
8) ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
7) seguendo l’insegnamento di Cass., Sez. Un., 20/02/2020 n. 4315 si da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2012, articolo 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 articolo 13 comma 1 -quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

 

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